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Archivi giornalieri: 21 aprile 2020
il manifesto
il manifesto
Non solo staliniani e «miscredenti» del virus. In Nord Ossezia è rivolta sociale
Federazione russa. Un fiume di gente si riversa nelle strade urlando «fame» e prova a piantare le tende nella capitale. Arresti e violente cariche della polizia. Imbarazzo a Mosca
Vladikavkaz, capitale della Ossezia settentrionale, repubblica autonoma della Federazione russa, 350 mila abitanti. Scoppia qui la prima rivolta popolare all’epoca di Covid-19.
Già dalle prime ore del mattino un fiume di povera gente, donne, anziani si era riversata ieri in piazza Shtyba dove ha sede il governo della repubblica. I manifestanti urlavano «fame! fame!» chiedendo la riapertura delle aziende in lockdown e le dimissioni del governo. Una rottura violenta del regime di quarantena esemplificato dal fatto che nessuno in piazza indossava le mascherine e non badava in alcuno modo a tenere distanze di sicurezza.
INIZIAVA A GIRARE LA VOCE, poi risultata fondata, che la ribellione era stata organizzata dal gruppo Cittadini dell’Urss, un’organizzazione informale di nostalgici dell’Urss con tinte vagamente staliniane diretta da Vadim Celdiev, un ex soprano prestatosi alla politica convinto che coronavirus non esista e sia semplicemente un’invenzione dei «poteri forti globali» per asservire i popoli. Con il passare delle ore la tensione cresceva con l’arrivo dei reparti speciali della polizia, gli Omon, mentre i manifestanti iniziavano a installare tende con l’intenzione di presidiare giorno e notte la piazza. Veniva anche invitata per una trattativa nella sede del governo una delegazione di manifestanti, ma l’iniziativa non produceva risultati.
LE RICHIESTE DEI DIMOSTRANTI (liberazione dei leaders della protesta arrestati già in mattinata, aiuto economico alla popolazione e dimissioni del governo) venivano tutte respinte. E così nel giro di pochi minuti iniziavano le cariche della polizia per sgomberare la piazza. Malgrado la resistenza dei manifestanti che rispondevano agli attacchi e ai lacrimogeni con una violenta sassaiola, in serata la piazza veniva infine “ripulita”.
Secondo quanto informa il canale telegram Osetia, gli scontri sono proseguiti in altre zona della città e la polizia ha proceduto a rastrellamenti nei quartieri periferici. Tutti gli accessi stradali alla città sono ora stati sigillati mentre sui tetti delle case continuano a volteggiare gli elicotteri.
PER MOLTE ORE le principali agenzie di notizie russe, non si sa se imbarazzate o rispondendo a qualche direttiva, non hanno informato di quanto stava succedendo. Kommersant il quotidiano di Confindustria, quasi ad esorcizzare quanto stava avvenendo nel Caucaso ha messo in rilievo solo l’elemento caricaturale, sottolineando come la manifestazione fosse stata indetta da un gruppo staliniano e cospirazionista. «La manifestazione di “miscredenti nel coronavirus” non può essere definita spontanea: circa un mese fa, era stata indetta da un ex cantante lirico, Vadim Cheldiev. Dall’introduzione della quarantena, sul suo canale Telegram egli esortava alla ribellione contro la “cospirazione mondiale” e chiedeva “verità”, accusando i medici che lavorano nelle aree “sporche” degli ospedali di cospirare con il governo», chiosava il giornale moscovita.
In serata i politici locali hanno evitato di farsi vedere in tv. Sugli schermi intanto i medici affermabano che «la scelta di scendere in piazza è stata un disastro sanitario e provocherà un focolaio immenso».
ORA IN MOLTI SI CHIEDONO se la scintilla di Vladikazakaz potrebbe estendersi in tutto il paese. Difficile dirlo. La miseria e la disperazione sociale osseta non è generalizzabile a tutta la Russia. Molti commercianti di quella regione hanno attività in nero e quindi né loro né i loro dipendenti possono ricevere gli aiuti finanziari decisi da Putin. Tuttavia più passano i giorni e più i segnali di cedimento della coesione sociale iniziano a manifestarsi in varie provincie e la proverbiale pazienza dei russi potrebbe essere sul punto di finire.
L’attacco al 25 aprile
L’attacco al 25 aprile
Festa della Liberazione
L’attacco al 25 aprile
di Francesco Casula
Anche quest’anno prosegue l’attacco al 25 aprile: il neofascista Ignazio La Russa propone di trasformarlo in una “Giornata per ricordare le vittime del Coronavirus e i caduti di tutte le guerre”.
Una vera e propria sciocchezza sesquipedale, che al di là della strumentalizzazione dei morti per la corona virus, nasconde un’insidia pericolosa: equiparare i “morti di tutte le guerre”, anche se in realtà pensa segnatamente ai morti durante la Resistenza, che ha visto contrapposti fascisti e antifascisti.
Sia ben chiaro: per i morti, per tutti i morti non possiamo che nutrire e riversare tutta intera la nostra pietas: ma per favore senza metter sullo stesso piano oppressi e oppressori; chi si batteva per la libertà e chi invece ce la voleva togliere ed eliminare.
Tener viva la memoria, la verità, significa ricordare a chi lo dimentica e a chi non l’ha mai saputo cos’è stato il fascismo, compreso il suo epilogo con la RSI (Repubblica sociale italiana di Salò): fu uno stato fondato sulla tortura, sulla persecuzione razziale e politica, sulla distruzione fisica degli avversari, sulla delazione: né sessanta né cento anni bastano a cancellare tutto questo. [segue]
Né basteranno per farci dimenticare i ben 900 campi di sterminio e di concentramento disseminati soprattutto in Germania e nell’Europa orientale ma anche in Italia (Fossoli, Bolzano, Trieste, Borgo San Dalmazzo-Cuneo), con milioni di innocenti sterminati.
Si dirà che è roba vecchia, consegnata ormai al passato remoto; che il fascismo è morto e dunque serve solo all’antifascismo per vivere di rendita, parassitariamente.
Può darsi.
Ma pensiamo veramente che siano morte e sepolte le coordinate ideologiche, culturali e persino economiche e sociali che hanno fatto nascere, alimentato e fatto crescere e vivere il fascismo? Pensiamo sul serio che la cultura – o meglio l’incultura – della guerra e della violenza, del sopruso e della sopraffazione, dell’esclusione e dell’intolleranza, dell’ipocrisia e del perbenismo, del servilismo e dell’informazione addomesticata e velinara, sia morta per sempre?
E gli inquietanti fenomeni – soprattutto giovanili – di rinascita e affermazione di Movimenti che si ispirano al nazifascismo? Roba vecchia anche questa o drammaticamente nuova e attuale?
Si dirà che comunque il Fascismo ha realizzato opere meritorie e importanti, ad iniziare dalla Sardegna: ma, di grazia, quali?
A tal proposito, ecco quanto sostiene nella sua bella e interessante “Storia della Sardegna” (pag.914) Raimondo Carta-Raspi: «Anche della Sardegna appariranno, in libri e riviste, descrizioni e fotografie delle ”opere del regime” durante il ventennio. Favole per l’oltremare, per chi non conosceva le condizioni dell’Isola. V’erano sempre incluse la diga del Tirso, già in potenza dal 1923, le Bonifiche d’Arborea, iniziate fin dal 1919 e perfino il Palazzo comunale di Cagliari, costruito nel 1927. Capolavoro del fascismo fu invece la creazione di Carbonia, per l’estrazione del carbone autarchico, che non doveva apportare alcun beneficio all’Isola e doveva costare centinaia di milioni e poi miliardi che tanto meglio si sarebbero potuti investire in Sardegna, anche per la trasformazione del Sulcis in zona di colonizzazione agraria… più volte Mussolini aveva fatto grandi promesse alla Sardegna e aveva pure stanziato un miliardo da rateare in dieci anni. Era stato tutto fumo, anche perché né i ras né i gerarchi e i deputati isolani osarono chiedergli fede alle promesse».
Che si continui dunque nella celebrazione del 25 Aprile come Festa della Liberazione, ma soprattutto come momento e occasione di studio, di discussione sul nostro passato che non possiamo né rimuovere, né recidere né dimenticare. Dobbiamo anzi disseppellirlo, non per riproporre vecchie divisioni e steccati ormai anacronistici e superati ma per creare concordia e unità: però nella chiarezza. Evitando dunque il pericolo e il rischio, corso spesso negli anni, di ridurre il 25 aprile a rito unanimistico o, peggio, a semplice liturgia celebrativa. Magari accompagnato dal tricolore e dall’orrendo bolso e vieto Inno guerresco di Fratelli d’Italia.