Archivi giornalieri: 9 aprile 2020

il manifesto

 

Diritti e Migranti. Una norma del decreto Sicurezza. Nel testo è stato aggiunto il permesso di soggiorno per calamità: valido sei mesi, può essere usato adesso

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Migranti al lavoro nei campi

La più beffarda delle eterogenesi dei fini. Potrebbe essere firmata da Matteo Salvini. Che come autore del Decreto sicurezza rischia di dare il via libera alla regolarizzazione dei migranti agricoli che invece vorrebbe cacciare o continuare a pagare in nero o a voucher.

La beffa sta nell’articolo 20 bis del Decreto sicurezza – convertito nella legge 132 del 2018 – che ha modificato il Testo unico sull’immigrazione. Il decreto Sicurezza ha soppresso la tipologia di soggiorno per «motivi umanitari» come provvedimetno bandiera leghista, introducendo però casi speciali di permesso di soggiorno temporaneo per esigenze di carattere umanitario.

PROPRIO UNA CIRCOLARE del ministero dell’Interno del 15 ottobre del 2018 – con Salvini saldamente in sella al Viminale in pieno amore con il M5s – spiega «i principali interventi che hanno inciso sui testi normativi vigenti, in particolare introducendo, dopo l’articolo 20 Testo Unico sull’immigrazione, un nuovo articolo, il 20-bis, riconducibile alla situazione dello straniero che dovrebbe fare ritorno in un paese che versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non gli consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza».

In questa situazione di «pandemia globale» e con in più il blocco totale dei voli è chiaro che ogni bracciante migrante africano delle baraccopoli di San Ferdinando in Calabria o di Borgo Mezzanone in Puglia o un sikh nel Pontino rientra in questa specifica.
In questi casi le Commissioni dei tribunali che devono valutare le domande per il permesso di soggiorno presentate dai migranti «rilasceranno – spiega la circolare del Viminale – un permesso di soggiorno per calamità, di durata di sei mesi, cartaceo, che consente l’accesso al lavoro valido solo sul territorio nazionale».

Questo permetterebbe per esempio ai migranti di San Ferdinando sulla piana di Gioia Tauro e Rosarno che ora lavorano poco per la fine del raccolto delle arance di spostarsi a nord dove Coldiretti continua a chiedere manodopera per la raccolta degli ortaggi.
«Il decreto Sicurezza aveva obiettivi di ostracismo, di soffocamento della realtà migratoria – osserva Jean Renè Bilongo, dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil – . Ma la previsione di un titolo di soggiorno per eccezionale calamità, e tutti sappiamo come il Covid 19 sia una calamità globale, è la strada per regolarizzare i migranti, specie quelli più in difficoltà e a rischio sanitario, potendo quindi essere soccorsi in caso di contagio».

«LA NORMA DEL DECRETO Sicurezza sul permesso per calamità ha una doppia valenza – spiega l’avvocata Mara Biancamano, esperta di immigrazione – da una parte la pandemia colpisce anche il paese di provenienza del migrante, dall’altra rende impossibile per l’Italia il rimpatrio del migrante che dunque non può che rimanere sul territorio italiano. La sua regolarizzazione assume quindi ancora più senso».

La strada del «permesso per calamità» è certamente una subordinata per il sindacato e le associazioni del terzo settore. La principale rimane una regolarizzazione totale, come fatto in Portogallo.
Anche perché la stessa circolare del Viminale specifica come il «permesso per calamità» non sia «convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro».

NONOSTANTE L’IMPEGNO della Flai Cgil e delle tante associazioni che fin da venerdì scorso hanno chiesto la regolarizzazione completa dei migranti braccianti, infatti, dal governo sono arrivate solo generiche aperture della ministra Teresa Bellanova che ha seguito quelle del ministro per il Sud Peppe Provenzano. Alla richiesta di accelerare sulla normativa per regolarizzare i migranti fatta dal segretario generale della Flai Cgil Giovanni Mininni, la ministra Bellanova non ha infatti ancora risposto.

Che qualcosa però si possa muovere viene confermato dalle dichiarazioni di ieri della capogruppo di Italia Viva – lo stesso partito della Bellanova . alla Camera Maria Elena Boschi: «La Bellanova ha fatto una ragionamento pragmatico: facciamo emergere il lavoro nero».

Giovedì Santo

 

Giovedì Santo


Giovedì Santo

autore Daniele Crespi anno 1625 titolo L’Ultima Cena
Nome: Giovedì Santo
Titolo: L’ultima cena
Ricorrenza: 9 aprile
Tipologia: Solennità

Il Giovedì Santo si celebra il rito della benedizione degli olii santi durante la Messa del Crisma ricordando l’ultima Cena del Signore dando così inizio al Triduo Santo.

Nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto». La sorgente di questo dono per la Chiesa e per ogni singolo credente è la Mensa Eucaristica nella quale la comunità radunata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito, ripetere il gesto compiuto da Gesù con l’istituzione del Sacramento dell’Altare.

Il comando di Gesù rivolto ai suoi discepoli chiamati a perpetuare quanto da lui stesso compiuto nel cenacolo si prolunga poi nel segno della lavanda dei piedi, tanto che lo stesso Maestro e Signore dice ai suoi commensali: «Vi ho dato l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi». Così facendo pone una relazione profonda e indisgiungibile tra l’Eucaristia, sacramento della sua offerta sacrificale al Padre per la salvezza del mondo, e il comandamento dell’amore che si traduce nel servizio incondizionato, sino al dono della vita, ai fratelli.

Dall’Eucaristia la Chiesa trae la sua origine permanente e all’Eucaristia essa deve fare ritorno in ogni istante della sua esistenza e della sua missione perché possa essere e crescere secondo il pensiero e il disegno di Dio. Del resto «la Chiesa è stata fondata, come comunità nuova del Popolo di Dio, nella comunità apostolica di quei dodici che, durante l’ultima cena, sono divenuti partecipi del corpo e del sangue del Signore sotto le specie del pane e del vino. Cristo aveva detto loro: “Prendete e mangiate…”, “prendete e bevete”. Ed essi, adempiendo questo suo comando, sono entrati, per la prima volta, in comunione sacramentale col Figlio di Dio, comunione che è pegno di vita eterna.

Da quel momento sino alla fine dei secoli, la Chiesa si costruisce mediante la stessa comunione col Figlio di Dio, che è pegno di pasqua eterna». La ricchezza di questo mistero di salvezza è sapientemente raccolta in un’opera in avorio che fa parte di una collezione più vasta di tavolette eburnee istoriate, molte delle quali illustrano scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, probabilmente costituenti nel loro insieme un paliotto d’altare. Oggi sono conservate al Museo S. Matteo di Salerno.

La “tavola” qui illustrata è divisa in verticale in due scene distinte e complementari. La parte superiore è occupata dall’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, chiaro rimando al mistero eucaristico. Gesù è intento a consegnare il pane moltiplicato ai suoi discepoli che a loro volta lo distribuiscono alla folla. La parte inferiore è invece costituita a sua volta da due scene. Innanzitutto l’ultima cena, in cui possiamo vedere Gesù seduto assieme ai suoi discepoli a una tavola imbandita con al centro un grande pesce, simbolo cristologico ed eucaristico, poco prima di annunciare il tradimento di Giuda. Poi ecco la lavanda dei piedi, lì dove Gesù, dopo aver deposto la veste su uno sgabello posto alle sue spalle ed essersi cinto di un asciugatoio, lava i piedi a Pietro e agli altri discepoli. Il suo gesto ha una forte connotazione liturgica e richiama immediatamente ciò che durante la celebrazione della Cena Domini compie il sacerdote quando ripete l’azione compiuta da Gesù nel cenacolo.

Le due scene sono strettamente relazionate e celebrano un solo mistero: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine». Verso Cristo, il quale «ci nutrisce con tutto il sangue del suo corpo e del suo cuore, sotto il peso di inauditi dolori, pressato come in un torchio, solo per la forza del suo amore infinito» (M. S. Scheeben), si muove il cuore della Chiesa alla quale il Maestro «prima di consegnarsi alla morte, affidò il nuovo ed eterno sacrificio, convito nuziale del suo amore» (Preghiera Colletta).

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