Archivi giornalieri: 22 febbraio 2014

L’armata Brancaleone di Renzi

di Pierfranco Pellizzetti | 22 febbraio

“Vedendo Roberta Pinotti ministro c’è da credere nell’esistenza di un qualche dio”. Un po’ quello che disse Manlio Scopigno, l’allenatore-filosofo del Cagliari campione d’Italia nell’annata calcistica 1969/1970, alla convocazione di Comunardo Niccolai in nazionale. Per i più giovani preciso che Niccolai era il difensore famoso per una quantità clamorosa di autogol realizzati. Così come la neoministra della Difesa è quella che riuscì ad arrivare ultima tra i ‘big’ nelle primarie 2012 per il sindaco di Genova (evidenziando nei propri concittadini una capacità valutativa ben diversa da quella dell’attuale Presidente incaricato). Ma allora era bersaniana, mentre adesso è fervente renziana. Lo stesso percorso a ricollocarsi del suo ex capobastone, il ‘boss’ ligure Claudio Burlando. Tutta gente che non va troppo per il sottile nell’afferrare i pioli della scala su cui proseguono la loro carriera di imprenditori di se stessi.

Piuttosto sarebbe da capire che cosa mai abbia intravisto Matteo Renzi nella birignaosa signora; tanto da affidarle la responsabilità politica delle nostre Forze Armate. Forse ha voluto fare riferimento alle di lei lontane esperienze nel corpo dei boy-scout, che la renderebbero edotta nell’arte di accendere un falò coi legnetti o montare una tenda da campo. Forse solo perché (relativamente) giovane e di sesso femminile.

Scherzi a parte, se in età democristiana i governi si costruivano sulla falsariga del “Manuale Cencelli”, in epoca neodemocristiana la compagine nasce da una rigorosa compulsazione del “Bigino del Politicamente Corretto”; ossia la guida linguistica a gabellare per santità l’eufemismo. Perché genere e anagrafe – di per se stessi – sono soltanto “accidenti”, non “sostanza”. E la sostanza è che questi eroi amboisessi del New Deal renziano – giovani e (alcuni) belli, direbbe Francesco Guccini – hanno una caratteristica fondamentale; come si diceva già per la Pinotti e lo stesso Renzi: sono dei formidabili carrieristi. Non di rado “ercolini sempre-in-piedi”.

Prendete attentamente in considerazione (per un istante) la biografia del Ministro Guardasigilli Andrea Orlando e ritroverete il tipico itinerario del funzionario di partito che, deambulando nei corridoi e nelle periferie del potere, ha smarrito (se mai l’aveva avuta) la spinta ideale e ora bordeggia seguendo venti e correnti. Tanto da aver proposto da responsabile giustizia del Pd progetti (punitivi) di separazioni delle carriere dei magistrati fotocopiati da quelli dell’avvocato Ghedini. Non un bel viatico per chi si attenderebbe dal newdealismo renziano un rafforzamento della legalità. Illuso! Agli scalatori in marcia verso le vette del successo interessa solo mostrare condiscendenza nei confronti del successo stesso. Magari dei suoi surrogati. Tanto da offrire una poltrona ministeriale, apparentemente strategica come lo Sviluppo, a Federica Guidi. Sia chiaro, non un’esponente delle Lobby (in questo non sono d’accordo con Peter Gomez), ma – semmai – una insignificante ex leader di un movimento ormai insignificante quale quello dei Giovani Imprenditori (da tempo immemorabile il Rotaract Club di Confindustria, asilo-nido dei figli degli industriali). E così via: tra carrieristi pronti al balzo e riciclati alla ricerca della sopravvivenza.

Il tutto avvolto nella nebbiolina sottile del genere e dell’anagrafe. Ossia il luoghi comuni “che più comuni non si può” di qualsivoglia chiacchiera da bar, in cui avventori già un po’ alticci espongono le banalità sul da farsi. L’apoteosi dei preliminari più generici. Non a caso uno serio come Fabrizio Barca, rivelando le pressioni cui era sottoposto per fargli mettere a disposizione della carnevalata ministeriale renziana la sua immagine prestigiosa, lo disse chiaramente: “cosa succederà quando gli italiani capiranno che qui non c’è un’idea che sia una”?

Difatti l’immagine, in questa politica diventata un sottoprodotto del mass-market, è solo l’investimento in immagine di un bel po’ di soldi.

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Osservatore Romano

 

Editoriali e articoli
del direttore

Le origini de “L’Osservatore Romano”

Le origini de “L’Osservatore Romano”

[Papa Pio IX]Il primo numero de L’Osservatore Romano uscì nell’Urbe il 1° luglio del 1861, a pochi mesi dalla proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861). Lo scopo della pubblicazione era chiaramente apologetico, in difesa dello Stato Pontificio, e i suoi intenti polemico-propagandistici. Il giornale riprendeva il nome di un precedente foglio privato (5 settembre 1849 – 2 settembre 1852), diretto dall’abate Francesco Battelli e finanziato da un gruppo cattolico legittimista francese.

La nascita de L’Osservatore Romano è strettamente correlata con la sconfitta bellica subita dalle truppe Pontificie a Castelfidardo (8 settembre 1860). Dopo questo evento, infatti, mentre il potere temporale del Pontefice veniva fortemente ridimensionato in termini di estensione territoriale e in tutta Europa non sembrava esserci una potenza disposta a difenderlo, un gran numero di intellettuali cattolici cominciarono a giungere a Roma con il fermo desiderio di mettersi al servizio di Pio IX.

Tra le autorità romane, decise a ripristinare lo status quo ante, cominciò perciò a farsi strada l’idea di una pubblicazione quotidiana di carattere privato, che si facesse vindice dello Stato Pontificio e dei principi di cui esso era portatore.

Già dal 20 luglio 1860 il Sostituto Ministro dell’Interno, Marcantonio Pacelli, voleva porre accanto al bollettino ufficiale il Giornale di Roma, una pubblicazione polemica e battagliera di natura ufficiosa dal nome L’Amico della Verità. L’elaborazione del progetto richiese del tempo ed è probabile che arrivò alle orecchie del Marchese Augusto Baviera, già noto pubblicista, concittadino di Pio IX, che nella stessa estate (il 19 agosto) aveva domandato licenza di pubblicare un periodico bisettimanale – più di cultura che di politica – il quale avrebbe dovuto assumere il vecchio nome de L’Osservatore diretto dal Battelli.

Nei primi mesi del 1861, venne a domandare aiuto al Governo pontificio un famoso polemista forlivese, Nicola Zanchini. A questi e ad un altro esule, il vivacissimo giornalista Giuseppe Bastia giunto da Bologna, fu concessa la direzione del giornale progettato dal Pacelli. Era il 22 giugno 1861 quando il Ministero dell’Interno, competente per la stampa, si vide recapitare un manoscritto firmato dai supplicanti Zanchini e Bastia che chiedevano il permesso di pubblicazione. Due giorni dopo la proposta era già in discussione in Consiglio dei Ministri. Infine il 26, nell’Udienza Pontificia, Pio IX concedeva l’assenso al “Regolamento” de L’Osservatore.
Eccone alcuni articoli:

Art. 1: Il giornale concesso ai Sigg.i Avvocati Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia avrà il titolo – L’Osservatore Romano – e verrà pubblicato con numeri progressivi onde formarne volumi. La sua pubblicazione avrà luogo nei giorni e ore stabilite nel relativo Manifesto di associazione, in cui saranno pure specificati il formato della carta, la qualità dei caratteri, il prezzo e le altre condizioni dell’associazione suddetta.
Art. 2: Il fine cui deve essere diretto tale giornale è quello:
1 – di smascherare e confutare le calunnie che si scagliano contro di Roma e del Pontificato Romano;
2 – di far noto quanto di più rimarchevole avviene alla giornata di Roma e fuori;
3 – di ricordare i principii inconcussi della Religione cattolica, e quelli della giustizia e del diritto, come basi inconcusse d’ogni ordinato vivere sociale;
4 – d’istruire dei doveri che si hanno verso la patria;
5 – di eccitare e promuovere la venerazione al Augusto Sovrano e Pontefice;
6 – di raccogliere e illustrare quanto per arti, lettere e scienze meriti di essere segnalato al pubblico, e specialmente le invenzioni ed applicazioni relative, a cui si dà opera negli Stati Pontificii.

[Prima pagina del numero 1 - 1 luglio 1861<br />
]Ecco come si presentava al lettore il primo numero del giornale. Sulla testata appariva la scritta “L’Osservatore Romano – giornale politico morale”, costo di un numero 5 baj. Erano poi spiegati i “patti dell’associazione” per chi intendeva abbonarsi.

Poco più sotto erano contenuti l'”Avviso” ai potenziali associati e l’articolo di fondo dal titolo “L’Osservatore Romano ai suoi lettori”, che era una dura requisitoria contro la politica del Cavour recentemente scomparso.

I primi numeri erano composti di quattro pagine nelle quali erano presenti tutti gli argomenti polemici che avrebbero caratterizzato la “linea editoriale” per molto tempo.

Alla fine del 1861, caduto il sottotitolo “giornale politico-morale”, comparvero sotto la testata i motti unicuique suum e non praevalebunt, tuttora presenti.

All’inizio L’Osservatore non ebbe nemmeno una sede: i primi redattori – come Bayard de Volo, Anton Maria Bonetti, Ugo Flandoli, don Nazareno Ignazi, Costantino Pucci, Paolo Pultrini, Telesforo Sarti – si incontravano nella tipografia dei Salviucci, in P.zza de’ SS Apostoli n. 56, dove si stampava il giornale. Solo a partire dal 1862 la redazione si insediò al palazzo Petri in piazza de’ Crociferi, ove subito dopo sarebbe stata impiantata la tipografia in proprio. Il primo numero vi fu stampato il 31 marzo, data in cui alla testata si aggiunse la dicitura Giornale quotidiano.

Il 30 giugno 1865 i due avvocati Zanchini e Bastia cedettero la proprietà, con decorrenza a partire dall’inizio dell’anno successivo, al Marchese di Baviera. Questi nei primi mesi di direzione fu affiancato dal bolognese Giovan Battista Casoni che, nel 1890, sarebbe diventato direttore unico. Il giornale si presentò subito con un programma di avanguardia e con uno spirito di indipendenza e si impegnò in aspre polemiche con altre pubblicazioni italiane e straniere, difendendo la Chiesa ed i principi del diritto umano.

Nel primo decennio di vita L’Osservatore Romano dedicò molto spazio agli argomenti di politica internazionale compresa la “Questione romana”. Quasi mai si discutevano problemi puramente politici; piuttosto si rilevavano la giustizia o l’ingiustizia di atti pubblici e le loro conseguenze per la religione cattolica e per la morale della società. Anche le tematiche di carattere religioso, ecclesiastico ed economico-sociale trovavano spazio nella prima pagina. Così ben presto il giornale si qualificò come “specchio leale ed abbastanza completo non solo delle opinioni e dei desideri della maggioranza dei cattolici romani, ma anche di quelli – almeno nelle sue forme esteriori e pubbliche – del medesimo Governo del Papa”.

Con la Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), L’Osservatore Romano da organo “semi ufficiale” dello Stato Pontificio divenne un giornale di opposizione all’interno del giovane ed ampliato Regno d’Italia. Dopo circa un mese di sospensione, il giornale riprese le pubblicazioni il 17 ottobre. In quell’occasione riportò in prima pagina una dichiarazione di obbedienza al Papa e di totale adesione alle sue direttive, ribadendo che esso sarebbe rimasto fedele “a quell’immutabile principio di religione e di morale di cui riconosce solo depositario e vindice il vicario di Gesù Cristo in terra”.

Nel clima particolarmente acceso di quegli anni, il giornale fu più volte sequestrato. Ma nulla impedì ai redattori di riprendere la loro battaglia di fede e di idee. Ed anzi ben presto L’Osservatore Romano cominciò a sostituirsi al Giornale di Roma, l’organo ufficiale dello Stato Pontificio, nella comunicazione di notizie ufficiali riguardanti la Chiesa. Ciò avvenne in maniera più evidente sotto il Pontificato di Leone XIII, che acquistò la proprietà del giornale e, a partire dal 1885, ne fece l’organo d’informazione della Santa Sede.

Fedele alle sue origini, in questi 146 anni di vita, L’Osservatore Romano ha continuato la sua opera al servizio della Verità. Con passione e senza timore di farsi voce fuori dal coro ha documentato la storia di popoli e nazioni. E soprattutto ha continuato il suo servizio privilegiato per la diffusione del Magistero del Successore di Pietro.

In occasione del centenario di fondazione del giornale Giovanni XXIII scrisse:

I cento anni trascorsi hanno reso questo giornale non soltanto testimone, ma anche artefice di storia: poiché, strettamente congiunto, per la stessa vicinanza del luogo, alla Sede Apostolica e seguendo diligentemente il suo magistero, ha continuamente apportato, nel promuovere il Regno di Cristo sulla terra, ciò che è in grande stima presso i fedeli cattolici e tutti gli onesti: ha asserito la verità, difeso la giustizia, promosso la causa della vera libertà, tutelato l’onestà e l’onore della condizione e dignità umana. Nei tempi tranquilli e in quelli tempestosi, fra le mutevoli vicende degli avvenimenti, esso ha sempre mantenuto la medesima costanza, la stessa moderazione ed equità, il medesimo sentimento di pietà verso il genere umano, alimentato dalla carità cristiana, poiché fondava il suo modo di pensare e di agire non nelle passioni dei miseri mortali, ma nella verità e giustizia divina. In tal modo diveniva esempio eccelso di ogni analoga pubblicazione. Giacché disprezzare la religione, storcere il vero a false interpretazioni, irridere la virtù, esaltare i vizi e i delitti, è somma vergogna, che diviene ancor più nefasta, quando in nome della libertà si attua la licenza sfrenata e si prepara così la rovina della società umana.

E trent’anni dopo, in occasione dell’introduzione delle nuove tecnologie informatiche nella produzione del giornale, Giovanni Paolo II ha indirizzato al Direttore Responsabile la seguente lettera:

Oggi, 1° luglio 1991, in coincidenza col 130° anniversario di fondazione, “L’Osservatore Romano” apre un nuovo capitolo della sua storia, avviando l’utilizzo delle tecnologie fotocompositive. La nuova fase consente di sperare frutti ancora migliori nel servizio che codesto Giornale autorevolmente rende, nel solco del Magistero Pontificio, alla comunione ecclesiale ed alla moderna comunicazione sociale.Volentieri invoco la divina assistenza su redattori e tecnici, collaboratori e lettori, chiamati, con doni diversi, a rendere presente nel mondo, mediante le nuove tecniche editoriali, la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa. É un servizio all’umanità tutta, desiderosa di trovare “canali di speranza”, da cui si possano attingere fiducia e coraggio evangelici.

Nell’augurare che la quotidiana fatica, ispirata dalla fede e confortata dall’amore, allarghi gli spazi della comprensione e della solidarietà tra gli uomini ed i popoli, riflettendo costantemente quella “luce delle genti”, Cristo, che risplende sul volto della Chiesa universale e delle Chiese locali, a tutti imparto di cuore con stima ed affetto la mia Benedizione.

[Benedetto XVI]

I Papi de L’Osservatore Romano

  • Pio IX (1846-1878)
  • Leone XIII (1878-1903)
  • Pio X (1903-1914)
  • Benedetto XV (1914-1922)
  • Pio XI (1922-1939)
  • Pio XII (1939-1958)
  • Giovanni XXIII (1958-1963)
  • Paolo VI (1963-1978)
  • Giovanni Paolo I (1978-1978)
  • Giovanni Paolo II (1978-2005)
  • Benedetto XVI

I Direttori

  • Nicola Zanchini e Giuseppe Bastia (1861-1866)
  • Augusto Baviera (1866-1884)
  • Cesare Crispolti (1884-1890)
  • Giovan Battista Casoni (1890-1900)
  • Giuseppe Angelini (1900-1919)
  • Giuseppe Dalla Torre di Sanguinetto (1920-1960)
  • Raimondo Manzini (1960-1978)
  • Valerio Volpini (1978-1984)
  • Mario Agnes (1984-2007)
  • Giovanni Maria Vian

Le Edizioni

  • Settimanale in lingua Francese (1949)
  • Settimanale in lingua Italiana (1950)
  • Settimanale in lingua Inglese (1968)
  • Settimanale in lingua Spagnola (1969)
  • Settimanale in lingua Portoghese (1970)
  • Settimanale in lingua Tedesca (1971)
  • Mensile in lingua Polacca (1980)