Mai più Rana Plaza?


La tragedia della fabbrica tessile Raza Plaza a Savar, periferia di Dacca, in Bangladesh, ha provocato un vero e proprio shock collettivo. Di portata globale. 

È noto che nel processo di produzione, soprattutto nel comparto tessile e soprattutto nel sudest asiatico, le condizioni di sfruttamento e la violazione dei diritti si perdono nella rete fitta e intricata dei fornitori a basso costo, nonostante le varie forme di certificazione e di auditing della responsabilità sociale d’impresa. 

Sono note anche le denunce delle organizzazioni non governative, degli organismi e dei sindacati internazionali sulla mancanza di controlli seri da parte dei compratori occidentali e dei governi, sui limiti degli standard di salute e sicurezza. Tutto questo, però, non ha impedito il ripetersi delle tragedie. 

La lista degli incendi, dei crolli e delle vittime è lunga. 

Sempre a Dacca, a novembre 2012 un incendio ha ucciso più di 120 persone, mentre a settembre, a Karachi, Pakistan, hanno perso la vita quasi 300 operai. 

Alla fine, ci sono voluti questi 1.127 morti del Rana Plaza, in gran parte donne, giovani lavoratrici tessili, per costringere le grandi imprese e la comunità internazionale del lavoro a ripensare l’intero sistema di produzione, affinché non si ripetano più eventi simili. 

La settimana scorsa, mentre gli scavatori ancora rimuovevano macerie e cercavano i corpi dei dispersi, un gruppo di grandi compagnie tessili ha sottoscritto un accordo sulle condizioni di sicurezza nelle fabbriche del paese. L’iniziativa ha coinvolto 31 multinazionali e catene di distribuzione, per circa mille fabbriche, un terzo del totale. Tra questi spiccano i nomi di Hennes and Moritz (H&M), Inditex (Zara), Marks&Spencer e Benetton. Non hanno ancora firmato però gli americani Walmart e Gap. 

L’accordo è stato promosso dai sindacati IndustraiALL e UNI Global Union, insieme alle organizzazioni che promuovono da tempo il lavoro dignitoso nel comparto tessile, come Clean Clothes Campaign. 

L’ILO ha dato il pieno appoggio all’iniziativa e subito dopo il crollo ha inviato una delegazione ufficiale a Dacca. Dalla visita è scaturito un piano d’azione in sette punti, incentrati sulla prevenzione e sul pieno coinvolgimento del governo, delle imprese e dei sindacati, nel pieno spirito tripartito dell’Organizzazione. 

Tra i punti più importanti, ci sono l’impegno del governo a presentare subito in parlamento un pacchetto di riforme del lavoro che comprenda sia i diritti fondamentali, come la libertà sindacale e la contrattazione collettiva, sia un miglioramento significativo delle misure di salute e sicurezza. 

Inoltre, entro la fine del 2013 è previsto l’accertamento dell’idoneità delle strutture dove si produce per l’esportazione, con l’eventuale trasferimento in fabbricati certificati. A questo, si aggiungono programmi di formazione e riqualificazione per chi è rimasto disabile dopo gli incidenti più gravi, cosi come il potenziamento delle ispezioni e l’aumento del numero dei funzionari, almeno 200 in più nei prossimi sei mesi. Ora non arrivano neanche a 100, su un totale di 150 milioni di abitanti.

Tuttavia, affinché non si ripetano tragedie come quella del Rana Plaza, viene spontaneo chiedersi se queste misure siano sufficienti o se sia il caso di estenderle oltre il Bangladesh. Non andrebbero applicate ai paesi dell’area che continuano a concorrere al ribasso sui costi del lavoro e della produzione? 

Il giorno dopo la firma dell’accordo sulla sicurezza a Dacca, un altro crollo è avvenuto in una fabbrica di scarpe cambogiana che produceva per il marchio giapponese Asics. Sono morte tre persone, tra cui una ragazza di appena 15 anni.

Mai più Rana Plaza?ultima modifica: 2013-11-13T19:29:44+01:00da vitegabry
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