Lavori atipici

Inca-Cgil, boom atipici, meno pagati e meno protetti

Il lavoro atipico – dal tempo determinato al part-time involontario, dall’interinale al falso autonomo – è “esploso” in pochi decenni ma è diventato “sinonimo di precarietà, di basse retribuzioni, di scarse coperture sociali ed è spesso associato all’occupazione femminile”: è quanto indicano i rapporti di otto paesi europei nell’ambito del progetto Accessor (acronimo di Atypical Contracts and
Crossborder European Social Security Obligations and Rigths), promosso dall’Inca-Cgil insieme ai suoi partner sindacali europei: Regno Unito (capofila), Germania, Svezia, Spagna, Italia, Belgio, Slovenia e Francia.

Il progetto, presentato a Londra il 5 novembre, alla presenza di Morena Piccinini, presidente Inca Cgil e  di Susanna Camusso, segretario generale Cgil, ha fatto emergere le “incongruenze che scaturiscono nell’applicazione dei regolamenti europei e ha mostrato come, avendo l’Europa rinunciato a qualsiasi forma di armonizzazione sociale, i principi e le regole che dovrebbero garantire la protezione sociale e la libera circolazione sono oggi, di fatto, impraticabili a una schiera crescente di lavoratori atipici e precari, di cui governi e istituzioni nazionali ed europee non conoscono le dimensioni, le caratteristiche e i bisogni”.
Anche sulla varietà delle forme di contratti atipici non vi sono dati definitivi: il rapporto nazionale italiano indica un
numero compreso tra 19 e 46, a seconda – sottolinea lo studio – di quale organizzazione esegua il calcolo. Il rapporto nazionale francese e quello britannico elencano nove forme di contratto, ulteriormente suddivise in base alla natura del rapporto di lavoro. Il rapporto nazionale belga e quello sloveno ne elencano sette tipi principali.
Il tutto “è un gatto che si morde la coda”, afferma lo studio, “l’asimmetria che si è generata tra lavoratori standard e lavoratori atipici fa sì che questi siano discriminati, non una, ma tre volte: hanno redditi bassi e precari quando
lavorano, sono scarsamente coperti dai sistemi di sicurezza sociale quando restano disoccupati, perdono una parte dei loro diritti quando si spostano in un altro stato Ue”.

“Con diverse denominazioni, tipologie e modalità, tutti i paesi europei sono caratterizzati negli ultimi anni dall’aumento di forme di lavoro precarie, sottotutelate, sottopagate e con livelli di contribuzione decisamente irrisori – ha detto Morena Piccini, presidente Inca Cgil -. “Sembra quasi che il coordinamento delle politiche sociali, in questo caso, funzioni al contrario e cioè che i paesi si siano accordati tra loro per avere ognuno di essi un’area di lavoratori più o meno vasta (in Italia vastissima), che in realtà hanno pochissimi diritti e tutele e con modalità che non riescono a essere esercitate negli altri paesi”.

“Questi lavoratori, giovani ma non solo, precari nel paese di residenza, cercano di spostarsi in altri paesi – ha spiegato la presidente del patronato Inca – per cercare un’occupazione migliore, ma in realtà è facile che incontrino anche nel paese di arrivo una condizione di precarietà in una spirale senza fine. Una situazione in cui spesso i pochi diritti maturati nel paese di provenienza non possono essere esercitati nel paese di arrivo, o la somma dei due periodi non dà diritto a prestazioni cumulate o cumulabili. Quasi che la normativa, positiva, europea per il lavoro a tempo indeterminato e tempo pieno non sia assolutamente applicabile a questa gamma di lavoratori che si va estendendo”.

L’Inca, quindi, lancia un monito a tutti i soggetti coinvolti: “Innanzitutto – avverte la presidente – ai sindacati, ognuno nel proprio paese di azione, perché questo terreno del lavoro atipico deve essere di più e meglio presidiato. In secondo luogo, alla Ces, il sindacato europeo, perché occorre che sia promotore di un’iniziativa congiunta che parta dai diversi paesi, in modo da pretendere una normativa sempre più unificata e unificante per i diritti delle persone. Questo vuol dire che il monito è rivolto anche all’Unione europea, e al Parlamento europeo in particolare, che noi pensiamo debba cominciare finalmente a occuparsi anche di queste tematiche, perché i numeri stanno diventando veramente esplosivi”.

E un ruolo importante spetta anche al patronato. “Da un lato, non possiamo permetterci di tollerare – ha sottolineato la presidente dell’Inca – che le persone siano tanto inconsapevoli dei loro diritti, perché vediamo con sempre più frequenza che chi si sposta da un paese all’altro spesso non è consapevole delle opportunità offerte dalla legislazione ma anche dei rischi cui va incontro; dall’altro lato, occorre garantire una tutela a 360 gradi secondo un messaggio che noi vogliamo dare: l’Inca ovunque vai c’è, c’è in tutti i paesi europei, e ovunque le persone si spostino, dall’Italia all’estero o dall’estero all’Italia, devono sapere che l’Inca è in grado di fornire l’accompagnamento nella tutela. Questo vuol dire che ci deve essere un impegno maggiore da parte nostra, che ci dobbiamo fare carico di più anche noi del diritto di conoscenza di queste normative e di interpretare una tutela che è un po’ diversa rispetto a come siamo abituati a gestirla per un lavoratore a tempo pieno: se per un lavoratore a tempo pieno e indeterminato, infatti, si è proiettati su come fare in modo che la contribuzione serva a fini pensionistici, per un lavoratore precario a questo obiettivo se ne aggiunge un altro, che è quello di fare in modo che anche il sostegno al reddito o la ricostruzione dei diversi periodi della carriera lavorativa siano esercitati e mantenuti unificati. E questo è un compito decisamente molto più difficile rispetto a quello che abbiamo svolto finora”.

“In Italia il fenomeno del precariato è da record – ha detto Susanna Camusso, segretario generale Cgil – ma anche negli altri Paesi si è assistito ad un progressivo impoverimento dei diritti dei lavoratori e alla creazione di contratti sempre più atipici. Il progetto Accessor punta, dunque, a raccogliere le diverse esperienze nei vari Paesi europei  in una realtà in cui i precari si spostano facilmente e comunque trovano contratti che offrono pochi diritti. Sono soprattutto i giovani – ha continuato Camusso – a subire questa situazione. Purtroppo le contraddizioni sono aumentate in un’Europa che è passata da un processo di accrescimento, all’individuazione di un punto minimo di diritto. Dalla progressiva separazione tra protezione sociale, diritti di cittadinanza, alla tutela individuale, tutti gli interventi sono stati tesi allo smantellamento dei diritti. I trend del lavoro atipico ci dicono che nascono sempre più nuovi soggetti deboli (le donne principalmente) e crescono posti di lavoro sempre più deboli dal punto di vista dei diritti. E’ dunque necessario – ha concluso Camusso – stimolare una maggiore formazione professionale permanente dei lavoratori, rivendicare diritti sociali uguali in tutta Europa, chiedere che ci sia un compact sulla previdenza, e l’eliminazione di contrattazioni troppo dissimili tra di loro in Europa.

c. stampa.doc

Lavori atipiciultima modifica: 2013-11-08T10:48:10+01:00da vitegabry
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