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Ocse. Mancanza di sostegno alla maternità danneggia le donne

In tutto il mondo le donne pagano ancora un prezzo troppo alto per la maternità: gli uomini partecipano poco al carico di lavoro domestico, i servizi di assistenza all’infanzia hanno spesso costi troppo alti o semplicemente non sono disponibili, e tutto questo impedisce a molte donne di lavorare di più, o di accedere ad un lavoro giustamente retribuito. Questo, in sintesi, secondo un nuovo Rapporto Closing the Gender Gap: Act Now sulla condizione di genere pubblicato dall’Ocse.

Secondo l’Ocse, l’accesso all’istruzione ha contribuito ad un aumento in tutto il mondo della partecipazione delle donne alla forza lavoro, ma restano notevoli differenze per quanto riguarda l’orario di lavoro e le condizioni di lavoro e di guadagno. Nei paesi Ocse gli uomini guadagnano in media il 16% in più rispetto alle donne a parità di lavori a tempo pieno. Il divario è ancora più alto nella parte superiore della scala salariale, dove la differenza di retribuzione tra uomini e donne raggiunge il 21%, confermando la persistenza del “tetto di vetro” che impedisce alle donne di progredire giustamente nella loro carriera.

Il divario di retribuzione media tra uomini e donne cambia in funzione del numero di figli. Nelle famiglie con uno o più figli il divario è del 22%, mentre scende al 7% per le coppie senza figli. Nel complesso la perdita salariale collegata alla maternità è del 14%. Ai due estremi la Corea, con un gap salariale del 47% in presenza di almeno un figlio, e l’Italia con un gap del 3%.

Migliorare il sistema fiscale e previdenziale per i genitori che lavorano aiuterebbe ad affrontare meglio il divario. In presenza di figli, il fisco preleva infatti, in media, più della metà (52%) del secondo salario della famiglia. Questa percentuale supera il 65% in Australia, Germania, Irlanda, Svizzera, Stati Uniti e nel Regno Unito.

Non è soltanto il fisco che “mangia uno stipendio”. In presenza di figli è spesso impossibile che entrambi i genitori lavorino, o che la donna lavori a tempo pieno. Il lavoro part-time tra le donne è più comune in Austria, Germania, Irlanda, Paesi Bassi e Regno Unito. Tenendo conto del lavoro a tempo parziale, il divario salariale tra uomini e donne raddoppia in molti paesi europei, e tripla in Irlanda e nei Paesi Bassi.

La crisi ha inoltre comportato tagli drastici dell’occupazione nel settore pubblico, dove le donne rappresentano quasi il 60% della forza lavoro. Secondo l’Ocse, occorre aumentare il diritto individuale dei padri al congedo parentale su base del criterio “use it or lose it” (prendere o lasciare). Gli uomini sono insomma essenziali per accrescere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro: i paesi con il più piccolo divario di genere nella distribuzione del lavoro (paesi scandinavi in testa) non retribuito sono anche quelli con i più alti tassi di occupazione femminile.

Avendo lavorato meno in occupazioni formalmente retribuite, e avendo svolto più lavoro non retribuito, molte donne hanno pensioni più basse e rischiano di finire i loro ultimi anni in povertà. Vivendo in media quasi 6 anni in più rispetto agli uomini, le donne sopra i 65 anni hanno più di una volta e mezzo più probabilità di vivere in povertà rispetto agli uomini della stessa fascia di età.

Il rapporto Ocse presenta anche nuove prove del divario di genere in ambito imprenditoriale. La percentuale di imprese femminili è di circa il 30% nei paesi Ocse. Anche nel lavoro autonomo le donne guadagnano 30-40% in meno rispetto ai colleghi maschi. Migliorare l’accesso delle donne al finanziamento delle imprese è fondamentale, dice l’Ocse.

In materia di istruzione, le donne hanno fatto grandi passi in avanti in tutto il mondo nel corso degli ultimi due decenni, anche se soffrono ancora di disparità di accesso in alcuni paesi in via di sviluppo. Nei paesi dell’Ocse, le ragazze hanno spesso risultati scolastici migliori dei maschi e hanno maggiori probabilità di rimanere a scuola fino a 18 anni e oltre. Ma le ragazze hanno meno probabilità di scegliere corsi di studio più utili ai fini del lavoro e della retribuzione. L’Ocse raccomanda pertanto di aumentare la consapevolezza delle conseguenze delle scelte educative sulla carriera e le prospettive di guadagno. Ma il cambiamento delle percezioni e delle norme sociali richiede tempo e deve avvenire sia a scuola che a casa. Le società – conclude il Rapporto Ocse – devono anche fare del loro meglio per approfittare di questi maggiori investimenti in capitale umano da parte delle donne, poiché all’aumento del livello di istruzione scolastica femminile non corrisponde ancora pienamente una loro giusta partecipazione alla vita professionale.

 

Italia penalizzata dalla scarsa partecipazione femminile al lavoro

Come nella maggior parte dei paesi Ocse, in Italia nelle ultime generazioni le donne hanno risultati migliori degli uomini negli studi. Nel 2010, il 59% dei laureati italiani erano donne, ma la presenza femminile cala tra le specializzazioni che offrono migliori opportunità nel mondo del lavoro: 15% tra i laureati in scienze informatiche e 33% tra i laureati in ingegneria. All’età di 15 anni, queste professioni attirano più del 20% dei ragazzi italiani ma meno del 5% delle ragazze.

L’Italia è il terz’ultimo paese Ocse per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51% contro una media Ocse del 65%, peggio di noi soltanto India e Turchia. Meno del 30% dei bambini italiani al di sotto dei tre anni usufruisce dei servizi all’infanzia e il 33% circa delle donne Italiane lavora part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari (la media Ocse è 24%). Il tempo dedicato dalle donne italiane al lavoro domestico e di cura – in media 3,6 ore al giorno in più rispetto agli uomini – limita la loro partecipazione al lavoro retribuito.

Una maggiore partecipazione femminile al lavoro non solo aiuta a sostenere il reddito familiare, ma contribuisce anche a mitigare la pressione che deriva dall’invecchiamento della popolazione. Le proiezioni Ocse mostrano che – a parità di altre condizioni – se nel 2030 la partecipazione femminile al lavoro raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l’anno.

Le differenze di genere nei salari, nel settore di occupazione e nella progressione professionale sono meno pronunciate in Italia che in altri paesi Ocse poiché, più che altrove, le donne con salari più bassi hanno maggiore probabilità di lasciare il mercato del lavoro. Nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e, nel 2009, il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate (media Ocse 10%). Le donne italiane continuano inoltre ad essere una minoranza tra gli imprenditori e si concentrano in imprese di piccole e medie dimensioni: nel 2010 il 22% degli imprenditori con lavoratori dipendenti erano donne, ma il loro reddito era solo la metà di quello degli uomini nella stessa categoria.

Le recenti riforme varate in Italia sulla composizione dei consigli di amministrazione promuovono una maggiore uguaglianza di genere, alla quale dovrebbe contribuire – secondo l’Ocse – anche l’introduzione del congedo di paternità retribuito e obbligatorio. L’introduzione dei voucher attribuiti alle madri lavoratrici che riprendono l’attività lavorativa, in alternativa al congedo parentale, oltre ad offrire ai genitori lavoratori più scelta per la cura dei figli, potrebbe portare ad una più equa distribuzione del lavoro retribuito e non retribuito tra uomini e donne. Tuttavia l’effetto complessivo della riforma deve essere valutato anche sulla base dei tagli ai fondi pubblici allocati per i servizi all’infanzia, che si aggiungono ad una probabile riduzione nella cura informale fornita dai nonni legata all’innalzamento dell’età di pensionamento. Il contributo che le donne italiane potranno dare al mondo del lavoro, alla sicurezza economica delle famiglie e alla crescita dell’economia – conclude l’Ocse – dipenderà anche dalla misura in cui gli uomini italiani saranno pronti a contribuire al lavoro domestico e alla cura della famiglia.

Ocseultima modifica: 2013-02-27T17:29:43+01:00da vitegabry
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