Archivi giornalieri: 1 febbraio 2013

Rischio diabete per la generazione precaria


La precarietà nel lavoro, condizione che a causa della crisi economica caratterizza un’intera generazione, mette in pericolo anche la salute. I giovani precari hanno più probabilità di ammalarsi di diabete perché’ accumulano maggiori fattori di rischi. E’ l’allarme degli esperti dell’Accademia di medicina francese che hanno realizzato un’indagine ad hoc in grado, per la prima volta, di valutare le conseguenze della crisi economica sui giovani che devono fare i conti con un mondo del lavoro sempre più privo di sicurezze.

La ricerca su oltre 1700 persone è stata realizzata in una delle regioni d’oltralpe a più alto tasso di precariato e povertà, la Linguadoca. Ma i risultati, secondo gli esperti, sono indicativi di una tendenza generalizzabile. Dai dati emerge che, prima dei 65 anni, la percentuale dei diabetici è più elevata nei precari rispetto agli altri, con il 7% contro il 4,4% , così come gli ipoglicemici intermedi 23% contro 19,5%. E la previsione è al rialzo. L’indagine indica che la popolazione più precaria è costituita da persone generalmente più giovani, soprattutto maschi, con percentuali più elevate di fumatori e di sovrappeso, un livello d’istruzione superiore alle persone stabili più anziane. A renderli vulnerabili al diabete le loro condizioni di vita socioeconomiche, con un’alimentazione povera di proteine animali nobili, di frutta e verdura e un eccesso di consumo di bibite zuccherate e alimenti a base di farina e zuccheri.

A ciò si aggiunge che i problemi di denti, frequenti, vengono curati poco e male. Secondo l’indagine la precarietà influenza sfavorevolmente l’equilibrio glicemico, la diagnosi precoce, la presa in carico a la cura del diabete. Inoltre la malattia è vissuta peggio tra i precari, con una forte percentuale di stati d’ansia e depressione. In base a questi dati gli esperti raccomandano alle istituzioni un potenziamento dello screening e diagnosi precoce e di migliorare l’informazione, sia ai medici che ai cittadini, sui rischi di questa fascia di popolazione emergente.

Confapi e Cgil, Cisl e Uil consolidano gli strumenti bilaterali


Con la sottoscrizione dell’Intesa Applicativa degli Accordi Interconfederali vigenti, Confapi (Confederazione delle PMI che raccoglie 120 mila aziende, con 2,3 milioni di addetti) e Cgil, Cisl e Uil hanno reso pienamente operativi gli strumenti bilaterali che le confederazioni hanno messo a disposizione delle imprese e dei lavoratori in questi anni. Si tratta, infatti, di un’ importante intesa che definisce le modalità di azione per dare organicità agli interventi in materia di previdenza complementare, sanità integrativa, formazione permanente e continua, salute e sicurezza, apprendistato, welfare, osservatorio della contrattazione e del lavoro.

“Questa intesa – ha commentato Maurizio Casasco Presidente di Confapi –  consolida le già positive relazioni sindacali della Confapi con Cgil, Cisl e Uil ed interviene in una materia rilevante e su temi di grande importanza per la vita dell’impresa e dei lavoratori. Il sistema della bilateralità trova in questo accordo la puntuale definizione delle modalità di intervento degli enti bilaterali, che rappresentano strumenti di servizio per i lavoratori e per le imprese occupandosi di problematiche importanti nell’organizzazione dell’azienda”. 
“La bilateralità – ha osservato  il Presidente Casasco – rappresenta una forma concreta e moderna di artecipazione e condivisione delle scelte strategiche nella gestione di servizi di interesse comune per i  lavoratori, tramite le proprie rappresentanze sindacali, e per gli imprenditori, tramite la Confapi e le associazioni territoriali espressione del sistema.”     La bilateralità del sistema Confapi infatti si occuperà di previdenza complementare con il FONDAPI (Fondo nazionale pensione complementare), sanità integrativa con il SANAPI (Fondo di assistenza sanitaria integrativa), formazione permanente e continua con il FAPI (Fondo Formazione PMI), salute e sicurezza con l’OPNC (Organismo Paritetico Nazionale Confapi), apprendistato, sostegno al reddito e di contrattazione con l’ENFEA (Ente Nazionale per la Formazione e l’ambiente).
Si tratta di attività concrete che sono garantite in forma partecipativa e condivisa fra le parti sociali, datoriali e sindacali.

Giovani

Giovani – Proposta Cgil per l’adozione della “Garanzia giovani”

Garantire agli under 29, entro quattro mesi dal termine degli studi o dalla perdita di un impiego, una buona offerta di lavoro, un corso di perfezionamento, un contratto di apprendistato o
un tirocinio di qualità. E’ questa in estrema sintesi la proposta presentata oggi dalla Cgil per affrontare il nodo della disoccupazione giovanile, rivolta a quei 2,1 milioni di giovani tra i  15 e i 29 anni noti come i Neet, ovvero che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale.

Una proposta, lanciata oggi dalla Cgil nel corso dell’iniziativa ‘Garantiamo Noi! Un Paese all’altezza delle nostre capacità. La Youth Guarantee anche in Italia’, che ricalca quanto annunciato lo scorso 5 dicembre dalla Commissione Europea, vagliato poi dal Parlamento di Strasburgo, con l’adozione del ‘Pacchetto Giovani’. Contro quella che definisce
essere l’ “Ereditalia”, ovvero “un paese ingessato, nel quale le fortune ereditate dalla famiglia di origine, siano esse beni, relazioni, professione o impresa, rendono ogni giovane socialmente predestinato”, la Cgil sostiene infatti che la  ‘Garanzia Giovani’ possa offrire “una preziosa opportunità di innovazione, in linea con gli standard avanzati dalla Commissione Europea”.

Le misure del sindacato di corso d’Italia prevedono che: “Ogni giovane che abbia terminato gli studi, o perso il lavoro, sia preso in carico dai servizi all’impiego che con lui formulano un percorso di orientamento e inserimento lavorativo oppure un progetto mirato di autoimpiego;

i servizi all’impiego si impegnino a fornire una concreta proposta di lavoro (a tempo indeterminato o con contratto di apprendistato) oppure una esperienza qualificante di formazione/tirocinio entro un margine di 4 mesi dall’inizio del periodo di disoccupazione o dal termine degli studi;

l’interessato stipuli con i servizi all’impiego un vero e proprio contratto di ricerca di occupazione, che certifica lo stato di disoccupazione e ne stabilisce diritti e doveri”.

Il tutto andrebbe sovvenzionato attraverso la creazione di uno specifico ‘Fondo nazionale per
l’attuazione della Garanzia Giovani’, che sia moltiplicatore di risorse collegato all’utilizzo dei fondi strutturali.

Le misure nel suo complesso dovrebbero per la Cgil essere adottate con una legge quadro dello Stato, “che ne delinei le risorse, gli obiettivi, gli standard qualitativi, gli strumenti di valutazione”, mentre alla competenza delle Regioni “deve spettare la declinazione territoriale anche in relazione ai programmi operativi regionali determinati per l’utilizzo dei Fondi strutturali”. Se i destinatari individuati sono tutti i giovani under 29 che hanno appena terminato gli studi o hanno perso un lavoro (la Commissione Europea indica il limite dell’età di 25 anni ma in Italia andrebbero considerati i tempi più lunghi dei percorsi formativi e i limiti previsti dall’apprendistato), la proposta prevede l’adozione
di una serie di azioni di sistema.

Rapporto Eurispes

Rapporto Eurispes – Un Paese ripiegato sul presente che non arriva a fine mese

“Il Paese è completamente ripiegato sul suo presente. Si è operato affidandosi al giorno per giorno, con risposte parziali, spesso improvvisate, con misure utili al massimo a tamponare qualche falla. Il nostro ormai è un Paese prigioniero del suo presente e il “presentismo” è diventato la nostra filosofia di vita”. Così il Presidente dell’Eurispes, Prof. Gian Maria Fara, in merito alla presentazione del Rapporto Eurispes sull’Italia.

Secondo il rapporto il 53,5% dei nostri connazionali afferma di non essere più in grado di sostenere adeguatamente il proprio nucleo familiare (37,1% poco, 16,4% per niente). Secondo i due terzi dei lavoratori (61,3%) l’attuale occupazione non permette loro di sostenere spese importanti quali
l’accensione di un mutuo, o l’acquisto di un’automobile (22,2% per niente, 39,1% poco). La famiglia d’origine resta rifugio e fonte di sostentamento per quasi il 30% dei lavoratori (chiede abbastanza aiuto alla famiglia il 19,6%, molto aiuto l’8,6%). Il 21% degli italiani è ricorso a una raccomandazione per trovare un lavoro.

Il 27% di chi ha un’occupazione, invece, dichiara di
averlo trovato tramite una candidatura spontanea e solo il 9,1% si è rivolto a un Centro per l’impiego (4%), o a un’Agenzia per il lavoro (5,1%). Nel 2012 il ricorso al pagamento rateizzato è stato più frequente al Sud (36,3%), nelle Isole (34,1%) ed al Centro (33,3%) che al Nord-Ovest (26,8%) ed al Nord-Est (26%).

I beni o servizi per i quali risulta più consistente la quota di italiani che ha fatto ricorso al pagamento rateizzato sono in primo luogo gli elettrodomestici (49,9%, la metà di chi è ricorso al credito al consumo) e le automobili (46,4%); seguono computer e telefonini (37,6%, in aumento
rispetto al 25,6% dello scorso anno). Il 27,6% ha pagato a rate oggetti di arredamento o servizi per la casa, il 24,4% cure mediche (visite specialistiche interventi, protesi dentarie, in aumento rispetto al 17,6% del 2012).

Al Sud si registra una quota decisamente più elevata,
rispetto alle altre macroaree geografiche, di soggetti
che nel corso dell’ultimo anno si sono rivolti ad un
compro oro: 38,1% contro 27,5% delle Isole, 27,4% del Nord-Est, 24,2% del Centro e 23,6% del Nord-Ovest. Sono soprattutto i soggetti in cerca di prima occupazione (42,6%) e quelli in cerca di nuova occupazione (36,9%) ad essersi rivolti ad un compro oro nell’ultimo anno la quota più bassa si registra tra i pensionati (20,5%).

Cittadinanza: non sa leggere l’italiano, “torni tra sei mesi”


Ad oggi, nonostante diverse proposte di legge che vanno in questa direzione, le regole sull’acquisto della cittadinanza non obbligano i candidati a superare un test di italiano, ma il sindaco di Vigonovo (Ve) ha però “rimandato” di sei mesi un marocchino a causa della sua scarsa conoscenza della lingua.
 
Tutto era pronto per la cerimonia, ma l’aspirante italiano, un operaio di 47 anni, 21 dei quali passati in Italia, è andato nel pallone quando si è trovato in mano un foglio con la formula del giuramento: non riusciva a leggerla.
 
L’impasse è stata notata dal primo cittadino che,  dopo essersi consultato con il responsabile immigrazione della prefettura ha deciso di rinviare la cerimonia  a luglio. Il marocchino avrà sei mesi di tempo per imparare a leggere l’italiano (o forse, più semplicente, per imparare a memoria la formula del giuramento).
 
Gli esperti legali di Stranieriinitalia.it segnalano, però, un particolare importante.
 
L’articolo 10 della legge sulla cittadinanza (l. 91/1992) recita: “Il decreto di concessione della cittadinanza non ha  effetto  se la persona a cui si  riferisce  non  presta,  entro  sei  mesi  dalla notifica del decreto  medesimo,  giuramento  di essere  fedele  alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato”.  
 
Il rinvio imposto dal sindaco di Vigonovo potrebbe insomma complicare la vita dell’aspirante cittadino per molto più di sei mesi. Una volta pronto per il giuramento, sarebbe infatti quasi oltre tempo massimo. E rischiare di essere costretto a presentare altri documenti che dimostrano che può diventare italiano.

www.stranieriinitalia.it

Pensioni di vecchiaia

Pensioni di vecchiaia: 15 anni di contribuzione entro il 1992

Via libera del Ministero del lavoro alla circolare Inps per la pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi, se versati entro la fine del 1992.

Il ripristino della vecchia salvaguardia, prevista nel dlgs 503/1992, poi cancellata da una circolare Inps (n.53/2012), è stato annunciato ieri dal ministro del lavoro Fornero, che ha anticipato il suo “via libera” a una nuova circolare dell’istituto previdenziale.

Su questa vicenda si erano create le condizioni per un contenzioso di massa. Infatti, sindacati e patronati avevano da sempre sostenuto la tesi, supportata da pareri legali, che una circolare dell’Inps non poteva superare una norma speciale elevando il requisito per l’ottenimento della pensione di vecchiaia a 20 anni di contribuzione.

La questione, che era stata sostenuta anche in sede parlamentare dalle interrogazioni dell’on.le Maria Luisa Gnecchi (Pd), trova dunque una soluzione positiva per una problematica che, al momento, secondo una stima del ministero del lavoro, riguarderebbe circa 65mila persone, per lo più donne, ma anche ex lavoratori con occupazioni discontinue (addetti/e ai servizi domestici, agricoli, lavoratori dello spettacolo) con contribuzione antecedente al dicembre 1992, che prima della riforma Fornero avrebbero pututo accedere alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contribuzione e 60 e 65 anni, rispettivamente per donne e uomini. Possiblilità cancellata dalla legge 214/2011 che ha elevato il requisito minimo di contribuzione a 20 anni. Con questa nuova decisione si scongiura, almeno in parte, la formazione di posizioni silenti, cioè quelle che non producono alcuna prestazione previdenziale.