Archivi giornalieri: 8 febbraio 2013
Università della Terza Età di Quartu sant’Elena
13- 2- 2013 6° Lezione di Letteratura sarda
di Francesco Casula
1. ANTONIO CANO*
Il primo scrittore di un poema in lingua sarda(1400-1476/78)
Antonio Cano (o Canu) nasce a Sassari, sul finire del Trecento e muore verso il 1470: ma non conosciamo la data esatta né della nascita né della morte. Sappiamo però che dopo essere stato rettore nella villa di Giave, fu eletto abate nella prestigiosa abbazia di Saccargia dell’Ordine Camaldolese e che, essendo figlio del barone di Osilo, nel 1420 pare sia stato nominato oratore di corte da Alfonso V il Magnanimo.
Nominato inoltre dal Papa Eugenio IV, dal Luglio del 1436 al 1448 fu vescovo della Diocesi di Bisarcio (oggi scomparsa) e dal 1448 al 1480 dell’Archidiocesi di Sassari (un tempo di Torres).
Il 12 Marzo 1437 in qualità di vescovo indisse un sinodo nella Chiesa di Santa Maria di Ozieri: i cui Atti però sono andati perduti. Nel 1444, essendo deceduto l’abate Giovanni, della SS Trinità di Saccargia, chiese ed ottenne dal Papa l’amministrazione spirituale e temporale del monastero.
La sua fama è legata soprattutto al poemetto in rima, Sa vitta et sa morte et passione de Sanctu Gavino, Prothu et Januariu, scritto in Lingua sarda- logudorese, probabilmente nel 1463, in occasione di un Concilio provinciale da lui stesso convocato e celebrato.
Fu però pubblicato molto più tardi, nel 1557: l’esemplare, conservato nella Biblioteca dell’Università di Cagliari e proveniente dal lascito Baylle, è l’unico che si conosca del poema. L’edizione reca, segnata a penna da mano più recente, l’attribuzione all’arcivescovo di Torres Antonio Cano: «Auctore Antonio Cano Archiepiscopo Turritano realisti». Confermerebbe tale attribuzione Giovanni Francesco Fara (1553-1591, arciprete del capitolo turritano, vescovo di Bosa e padre della storiografia sarda con le opere Chorographia Sardiniae e De rebus Sardois.
Certo è che il successo del poema dovette essere notevole se ancora dopo circa un secolo si sentì la necessità di pubblicarlo a stampa, in un periodo nel quale nella Sardegna del Cinquecento, la stampa di un libro –naturalmente se è sarda- doveva costituire un avvenimento abbastanza eccezionale. Per la notevole importanza filologica del testo, fu ristampato dalla Ditta G. Dessì di Cagliari nel 1912, in edizione critica del grande linguista tedesco Max Leopold Wagner.
Il poemetto, di argomento agiografico, è considerato la più antica opera letteraria in lingua sarda fino ad oggi conosciuta.
Protasi
O Deu eternu, sempre omnipotente,
In s’aiudu meu ti piachat attender
Et1 dami gratia de poder acabare
Su sanctu2 martiriu in rima vulgare3
De sos sanctos martires tantu gloriosos
Et cavaleris de Cristus victoriosos
Sanctu Gavinu Prothu e Januariu
Contra su demoniu nostru adversariu
Fortes defensores et bonos advocaos,
Qui in su paradisu sunt glorif icados
De sa corona de sanctu martiriu,
Cussos sempre siant in nostru adiutoriu.
Amen.
Traduzione
(O Dio eterno, sempre onnipotente, ti piaccia intervenire in mio aiuto e donarmi la grazia per poter finire in rima volgare, il santo martirio dei santi Martiri tanto gloriosi e cavalieri di Cristo vittoriosi, San Gavino, Proto e Gianuario.Contro il demonio nostro nemico, forti difensori e buoni avvocati, che sono glorificati in paradiso con la corona del santo martirio, intervengano sempre in nostro aiuto. Così sia)
*Passo tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula, volume I, Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianova, 2011, pagine 33-35.
2. GIROLAMO ARAOLLA*
Il poeta sardo trilingue che vuole “ripulire” la lingua sarda (1510 circa-fine secolo XVI)to nel primo ventennio del secolo XVI, apparteneva a una nobile famiglia sassarese (un Francesco Araolla fu castellano di Torres nel 1531 e un altro Girolamo Araolla fu nel 1554 consigliere di Sassari). La prima data certa che troviamo per il poeta è il 1543-44, anni in cui fu Capo Giurato (il Sindaco di oggi) di Sassari: carica che ricoprì anche nel 1548-49 e che potevano esercitare solo i cavalieri e i nobili, feudatari esclusi. In seguito la famiglia cadde in disgrazia. Studiò Lettere e Filosofia poi si laureò in Diritto: certamente non in Sardegna, dove le Università non erano ancora state istituite. Quella di Cagliari nascerà infatti nel 1626 e quella di Sassari nel 1634. Probabilmente si adottorò a Pisa o a Bologna, dove ebbe come maestro Gavino Sambigucci. Suo amico fu in particolare lo storico Giovanni Francesco Fara, vescovo della diocesi di Bosa e storico, considerato anzi dopo Sigismondo Arquer, il più antico storico e geografo isolano.
Dopo una certa vita dissoluta abbracciò lo stato ecclesiastico, fu ordinato sacerdote e subito ottenne la nomina a canonico della cattedrale di Bosa il 18 Marzo del 1569 da parte del vescovo Antonio Cavaro (Pintor). Fu anche consultore dell’Inquisizione del regno di Sardegna ma ciò non gli impedì di usare la satira e pungere indisturbato i costumi del tempo. La tranquillità e l’agiatezza della nuova condizione gli permisero di coltivare gli studi poetici e storici.
Scrisse pregevoli versi in Lingua sarda, italiana e spagnola. Nel 1582 pubblicò il suo poema Sa vida, su martiriu, et morte dessos gloriosos Martires Gavinu, Brothu et Gianuari, opera che si riallaccia a quella quattrocentesca di Antonio Cano, riadattando il vasto materiale della leggenda popolare sulla vita dei martiri turritani ad una costruzione narrativa più articolata. La sua morte viene collocata tra il 1595 e il 1615.
La sua opera, in ottava rima, sulla vita e il martirio dei santi turritani Proto, Gavino e Gianuario fu pubblicata per la prima volta a Cagliari nel 1582 e poi a Mondovì nel 1615. Il poema fu ben acconto per questi motivi: per l’argomento molto caro ai suoi concittadini e per il carattere religioso dell’opera ma soprattutto per aver usato la lingua sarda ovvero “l’obliato idioma patrio”: l’espressione è dello storico Francesco Sulis.
Il poemetto, che ha per argomento l’epopea dei santi, abbastanza innocua sia politicamente che culturalmente, è un’amplificazione e uno sviluppo di Sa vitta et sa morte et passione de Sanctu Gavino, Prothu et Januariu, scritto dall’arcivescovo di Sassari Antonio Cano, probabilmente nel 1463, in occasione di un Concilio provinciale da lui stesso convocato e celebrato ma pubblicato molto più tardi nel 1557.
Sa Vitta del Cano è di 1081 versi, quella dell’Araolla invece è quasi il doppio, 244 stanze per circa 2000 versi. Ambedue raccontano la storia dei martiri di Torres Gavino, Brotu e Gianuario. Quella però di Araolla -scrive Michelangelo Pira- voleva essere più che un’operetta religiosa, un poema eroico, cioè la forma più alta di un’opera poetica così come la concepiva il nostro Cinquecento. I tre martiri infatti, protagonisti del poema ci vengono presentati più che come santi portatori ed espressione della fede cristiana, come eroici paladini di essa, esempi e paradigmi di fortezza e di coraggio: tres gloriosos advocados qui triunfant como in sa celeste corte (tre gloriosi avvocati che adesso trionfano nella corte celeste).
Il poema è scritto in sardo-logudorese, lingua e letteratura sarda che egli voleva elevare a dignità letteraria con chiari propositi nazionalisti, mischiandola a questo scopo con voci tratte dall’italiano e dallo spagnolo.
Ecco, a questo proposito, quanto scrive, testualmente, nell’introduzione al poema che funge anche da dedica all’arcivescovo di Sassari Don Alonso De Lorca : “Semper appisi desigiu, Illustrussimu segnore, de magnificare e arrichire sa limba nostra sarda: de sa matessi manera qui sa naturale insoro tottu sas naciones de su mundu hant magnificadu et arrichidu; comente est de vider peri sos curiosos de cuddas. Et si bene d’issas matessi riccas et abundantes fuint algunas, non però hant lassadu de arrichirelas et magnificarelas pius cun vocabulos et epithetos foras d’issa limba non dissonantes de sa insoro, à tale qui usadas et exercitadas in sas scrituras sunt venidas in tanta sublimidade et perfezione arrichida s’una cun s’atera qui in pius finesa non podent pervennere, comente veros testimongios nos dimostrant sos iscrittos de sos eccellentes et famosos Poetas Italianos et Spagnolos” (Sempre desiderai Illustrissimo Signore, di magnificare e arricchire la nostra lingua sarda, alla stessa maniera che tutte le nazioni del mondo hanno magnificato e arricchito la loro propria: come si può vedere dagli studiosi di queste. E nonostante alcune di esse fossero già ricche e copiose, non si tralasciò di arricchirle e magnificarle ancora più con vocaboli ed epiteti d’altre lingue ma da quelle non dissonanti: sì che esse adoperate e sveltite nelle scritture, sono ora giunte a tale sublimità e a tale perfezione con l’arricchirsi l’una con l’altra che non è possibile possano conquistare maggiore eleganza e chiara testimonianza ce ne forniscono gli scritti dei più eccellenti e famosi poeti italiani e spagnoli).
Con l’opera oltre che magnificare e arricchire la nostra lingua sarda, vuole recuperare un tema nazional-religioso molto noto e diffuso, offrendo alla fantasia dei suoi lettori l’immagine edificatrice e commovente della fede e della fortezza di Gavino, Proto e Gianuario, già personaggi leggendari.
SA FIDE DE GIANUARI
1. Los agatant in logu in hue1 soliant
Viver, sempre in abstrattu contemplende
Sa ineffabile altesa, in hue sentiant
Immensa gloria cun Deus conversende:
Sa pena, su martiriu si queriant
Fuer, los potint mas issos bramende
Stant su puntu, s’hora, et sa giornada
Qui l’esseret per Christu morte dada.
2. Los imbarcant cun furia, et cuddos Santos,
Quale angione portadu a sacrificiu,
Cantende istant sos versos et sos cantos
Dessu2 devotu Re divinu officiu;
Non timent pena, morte, non ispantos,
Aspirende a’ cuddu altu benefficiu,
In hue pr’unu mortale suffrimentu
Eterna gloria, eternu est su contentu.
3. Brothu, su perfectissimu Oradore,
Et valente Theologu, vidende
Gianuari santu esser d’annos minore,
Et d’isse algunu tantu dubitende,
Qui pro carissia o pro qualqui terrore
Su Barbaru l’andaret isvoltende,
Lu exortat in sa barca, et dat consiggiu3
Sendeli babu, et mastru, et isse figgiu.
4. «Como ti s’hat a parrer, figgiu meu,
Si has Como esser constante, firmu et forte
A cuddu veru Trinu, et unu Deu,
Et sufferrer con gaudiu et pena, et morte:
Non ti spantet su visu horrendu, et feu
De custu Barbariscu, pro qui a sorte
Dizzosa, l’has a tenner a soffrire
Per Christu ogni trabagliu, ogni martire.
5.«Non piaguere, o riquesa transitoria
Qui solet ingannare assos ignaros,
Qui tenent cuddos pro contentu et gloria
Quales sunt sos carnales et avaros,
T’ingannet, no; ma sigui, qui vitoria
Ti s’aparizzat dessos donos raros;
Qui mai nexuno s’ind’est coronadu,
Si con affannos non l’hat conquistadu.
Traduzione:
LA FEDE DI GIANUARIO
1.Li trovano nel luogo dove erano soliti vivere, sempre a contemplare in estasi l’ineffabile altitudine dove, conversando con Dio, sentivano l’immensa gloria: se avessero voluto sfuggire alla pena, al martirio, avrebbero potuto ma bramandolo sanno il punto, l’ora e la giornata in cui, per Cristo, sarebbe loro data la morte.
2. Li imbarcano con furia e quei santi, come agnelli portati al sacrificio, cantano i versi e i canti, divino ufficio del devoto Re. Non temono né pene né morte, né paure ma aspirano a quell’alto beneficio dove in cambio della mortale sofferenza c’è l’eterna gloria e l’eterna felicità.
3. Proto, il perfettissimo oratore e valente teologo, vedendo Gianuario giovane d’anni e dubitando un po’ di lui che il Barbaro potesse, per difetto o per qualche paura, convincerlo, nella barca lo esorta e lo consiglia, essendogli babbo e maestro e lui invece figlio.
4.Ora si vedrà figlio mio se saprai essere costante fermo e forte in quel vero Dio, uno e trino, e saprai soffrire con gaudio pena e morte: non ti spaventi il viso orrendo e brutto di questo Barbaro, perché per una sorte fortunata soffrirai in nome di Cristo ogni tormento e ogni martirio.
5.Non piaceri o ricchezze futili, che sogliono ingannare gli ignari, che li reputano gioia e gloria, come sono carnali ed avari, non t’inganni, no; ma pensa che ti si prepari una vittoria di doni rari, di cui mai nessuno s’è incoronato se non li ha conquistati con sofferenze.
*Passo tratto da Letteratura e civiltà della Sardegna di Francesco Casula, volume I, Edizioni Grafica del Parteolla, Dolianova, 2011, pagine 52-55
ALCUNI PREGIUDIZI E LUOGHI COMUNI SUL SARDO*
-Il sardo è un dialetto
Sul Sardo sono presenti –e spesso vengono circuitati ad arte- una serie di pregiudizi e di luoghi comuni. Una sorta di Idola fori, per dirla con il lessico forbito del filosofo e politico inglese Francesco Bacone. Essi si sono creati e sedimentati nel tempo, frutto insieme dell’ignoranza e della malafede da parte degli nemici della Lingua sarda.
l pregiudizio e il luogo comune più diffuso è che il sardo sia un dialetto. Occorre rispondere e chiarire con nettezza che nessun linguista o intellettuale rigoroso e serio ritiene che il sardo sia un dialetto: dal massimo studioso Max Leopold Wagner (che scriverà una monumentale opera dal titolo inequivocabile: La lingua sarda. Storia, spirito e forma) a un intellettuale come Antonio Gramsci (che in una lettera dal carcere 26 Marzo del 1927 alla sorella Teresina scriverà: “Intanto il sardo non è un dialetto…) .
Ma oggi è lo stesso Stato italiano a riconoscere al sardo lo status di Lingua: nella Legge del 15 Dicembre 1999, n.482 concernente “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”l’art.2 recita testualmente: ”In attuazione dell’art. 6 della Costituzione e in armonia con in principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”.
E’ una lingua con proprie strutture sintattiche e grammaticali, espressioni foniche e semantiche, peculiari, autonome e distinte da tutte le altre lingue neolatine o romanze, ad iniziare dall’italiano. Ciò premesso occorre anche aggiungere che la linguistica moderna, scientifica, non distingue e fa differenze tra ciò che comunemente si chiama lingua da ciò che si chiama dialetto e, a maggior ragione non distingue tra lingua egemone e lingua subalterna.
Ciò che rende differente ciò che noi chiamiamo lingua da quello che chiamiamo dialetto non è qualcosa di insito nel sistema linguistico ma l’uso e l’importanza sociale dello stesso. In altra parole fra lingua e dialetto non ci sono differenze culturali ma politiche e giuridiche.
Per cui schematicamente potremmo affermare che la lingua è un dialetto che nella storia “vince” politicamente: così è stato per l’Attico di Atene in Grecia; per il castigliano di Madrid in Spagna; per il francese che da “dialetto” di Parigi, in seguito alla supremazia della città è stato adottato come idioma di tutto lo stato francese; per lo stesso italiano che da “dialetto” di Firenze, diviene idioma comune a tutta la penisola per il prestigio culturale degli scrittori fiorentini, e via via elencando.
O ai “dialetti” dei vari paesi africani e asiatici ecc., che una volta decolonizzati e ottenuta l’indipendenza, diventano “lingue”. Così il Kiswahili- ma è solo un esempio- considerato “dialetto” nel Kenya sotto il dominio inglese fino al 1964, è oggi la lingua ufficiale di questo paese africano. E’ cambiata qualcosa? Sì. Lo status politico e giuridico, non altro. Ed è proprio lo status politico, in buona sostanza a distinguere una lingua da un dialetto. A questo proposito è quanto mai opportuno ricordare la famosa definizione di Max Weinreich:”Una lingua è un dialetto con un esercito e una flotta”.
-Il Sardo non è unitario*
Un altro diffuso e ubiquitario pregiudizio e luogo comune attiene all’unità e unitarietà del Sardo. Non c’è un Sardo, si dice, ma molti Sardi. Occorre rispondere con nettezza che il Sardo consta di due fondamentali varianti o parlate: il logudorese e il campidanese. Ma il fatto che esistano due parlate non mette minimamente in discussione l’esistenza di una lingua sarda sostanzialmente unitaria, in quanto la lingua, per la linguistica scientifica è considerata un sistema o un insieme di sistemi linguistici. Inoltre la struttura del campi danese e del logudorese è sostanzialmente identica: quando vi sono delle differenziazioni di tratta di differenziazioni o lessicali (dovuta alla diversa penetrazione delle lingue dei popoli dominatori, soprattutto spagnolo e italiano) o differenze fonetiche, di pronuncia. Cioè differenze minime. Peraltro presenti anche nei diversi paesi della stessa “zona linguistica”. Ma non differenze sostanziali a livello grammaticale o sintattico. Del resto, qualcuno può affermare che l’Italiano non sia una lingua unitaria perché viene parlata con una pronuncia che varia –e molto!- da regione a regione, da paese a paese, da città e città? Qualcuno può pensare che la lingua sarda non sia unitaria perché “adesso” in campidano risulta “immoi” e nel logudoro “como”? Che dire allora dell’italiano unito a fronte di adesso, ora, mo’ per indicare la stessa “cosa”? Il fatto che in sardo per indicare asino si utilizzino molti lessemi (ainu, molente/i, poleddu, burricu, bestiolu, burriolu, burragliu, chidolu, cocitu, unconchinu) non è forse segno di ricchezza lessicale piuttosto che di disunità del Sardo? Una lingua fatta di somme e di accumuli in virtù delle influenze plurime indotte dalla presenza nei secoli, di svariati popoli, ognuno dei quali ha influenzato e contaminato la lingua sarda?
Ma poi, dopo essere stata riconosciuta anche giuridicamente e politicamente come lingua, chi impedisce al Sardo di assurgere al piano e al ruolo anche pratico, di lingua unificata? Così come è successo storicamente a molte lingue, antiche e moderne, nel mondo e in Europa, prima pluralizzate in molte parlate e dialetti e in seguito unificate? Negli ultimi 150 anni della nostra storia è successo nell’800 e nel primo ‘900, tanto per fare qualche esempio, al Rumeno, all’Ungherese, ,al Finlandese, All’Estone; e recentemente al catalano, le cui varietà (il barcellonese, il valenzano, il maiorchino per non parlare del rossiglionese, del leridano e dell’algherese) erano assai diverse fra loro e assai più numerose delle varietà del Sardo di oggi. Dopo l’incerto procedere, fra molte incomprensioni e non pochi pregiudizi, che accompagnò una prima proposta di standardizzazione della lingua, dal 2006 la Regione si è dotata di Sa limba sarda comuna, uno standard linguistico per i documenti in uscita dall’Amministrazione e di riferimento per le decine di varietà del sardo. Si tratta non di un cocktail di varianti ma di una lingua effettivamente parlata nel centro dell’Isola, qualcosa che sta al sardo come il lucchese stava all’italiano nascente. E’ un primo incoraggiante inizio: Occorrerà proseguire in tale direzione. Si potrà ancora obiettare che tra logudorese e campi danese potrebbero esserci differenze poco sostanziali, ma come la mettiamo con il Catalano di Alghero, i Tabarchino di Carloforte e Calasetta, e lo stesso Gallurese e Sassarese? I linguisti rispondono a questa obiezione con chiarezza e scientificità: si tratta di Isole alloglotte. Ovvero di lingue e dialetti diversi dalla Lingua sarda, pur presenti nello stesso territorio sardo. Un fenomeno del resto presente in tutto il territorio italiano –e non solo- dove vi sono molte isole alloglotte in cui si parla: albanese, catalano, greco, sloveno e croato oltre che francese, franco-provenzale, il friulano, il ladino e l’occitano. Questo fenomeno ha radici storiche precise: per quanto attiene al catalano di Alghero è da ricondurre al fatto che nel 1354 Alghero fu conquistata dai catalani che cacciarono i Sardi e da quella data si parlò il catalano, appunto. Il Tabarchino parlato a Carloforte (Isola di San Pietro) e a Calasetta (Isola di Sant’Antioco) è ugualmente da ricondurre a motivazioni storiche: alcuni pescatori di corallo provenienti dalla Liguria e in particolare dalla città di Pegli (a ovest di Genova, ora quartiere del comune capoluogo) intorno al 1540 andarono a colonizzare Tabarca (un’isoletta di fronte a Tunisi) assegnata dall’imperatore Carlo V alla famiglia Lomellini. Nel 1738 una parte della popolazione si trasferì nell’Isola di San Pietro. Nel 1741 Tabarca fu occupata dal bey di Tunisi. La popolazione rimasta fu fatta schiava, carlo Emmanuele di Savoia re di Sardegna ne riscattò una parlte portandola ad accrescere la comunità di Carloforte. Di qui il tabarchino.Diverso è invece il discorso che riguarda il sassarese, considerato dai linguisti un sardo-italiano e il gallurese ritenuto un corso-toscano. E da ricondurre ugualmente a motivazioni storiche.
*Passi tratti da La Lingua sarda e l’insegnamento a scuola, di Francesco Casula, Alfa Editrice, Quartu, 2010, pagine 8-11
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AMERICA DEL NORD
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Sbloccare pagamenti Inps per ammortizzatori
Lavoro: Damiano, sbloccare pagamenti Inps per ammortizzatori
“Mentre Berlusconi continua con le sue bufale da campagna elettorale, promettendo agli italiani 4 milioni di nuovi posti di lavoro, la Conferenza delle regioni ci riporta alla cruda realtà. I dati sulla disoccupazione sono allarmanti ed è alto il rischio che molti lavoratori che hanno maturato il diritto ai trattamenti in deroga nel 2012 resteranno senza protezione sociale”. Lo dichiara il capogruppo del Pd nella commissione Lavoro della Camera, capolista in Piemonte, Cesare Damiano.
“Davanti a questa drammatica possibilità -prosegue-è evidente che non si può perdere altro tempo. Per questo chiediamo al governo di non lasciar cadere nel vuoto la richiesta delle regioni e dei sindacati e quindi di intervenire immediatamente sull’Inps per sbloccare i pagamenti degli ammortizzatori sociali in deroga relativi al 2012 e ripristinare le risorse per incentivare l’assunzione dei lavoratori in mobilita’”.
“I temi sociali e del lavoro -rimarca- non possono attendere la conclusione della campagna elettorale, necessitano risposte immediate. Il rischio è quello di far scivolare migliaia di italiani nella povertà ed alimentare un enorme conflitto sociale. Quando la scelta di governo toccherà a noi -conclude- non avremo dubbi nel scegliere la strada della crescita e dell’equità sociale ed abbandonare quella del puro rigore, che ci ha condotto in questa drammatica situazione”.
Esodati
Esodato perde diritto a pensione per un Cud da 152 euro
Un “esodato” di 60 anni, di Brindisi, rischia di non vedersi riconosciuto il diritto alla pensione per aver ricevuto un compenso di 152 euro nel 2011 quando fece da comparsa in un film girato nella sua città. Ad E.d’A., per una ”assunzione a tempo determinato dal 14.7.2011 al 15.7.2011”, è stata rigettata la domanda presentata alla direzione provinciale del lavoro per ottenere i benefici che gli spettavano per aver scelto di lasciare il lavoro con 30 mesi di anticipo e secondo i quali al 61esimo anno di età, con apposita istanza, avrebbe iniziato a percepire la pensione.
Nel luglio del 2011 infatti si trovava per strada, a Brindisi, quando fu notato da un componente della troupe cinematografica per la somiglianza con il protagonista del film. Gli fu proposta una piccola parte come controfigura nel ruolo di un protagonista deceduto. Accettò e la scena fu girata.
La casa di produzione, come si legge nella lettera firmata dal suo legale, e indirizzata alla direzione
territoriale del lavoro di Brindisi che, con una nota del 14 dicembre 2012 ha rigettato la domanda dell’aspirante pensionato, ha poi emesso un Cud per l’anno 2012, contestualmente al versamento di un assegno con importo di 152 euro.
”Non si ritiene, pertanto, che il ruolo di un morto, svolto per 20 minuti in 2 soli giorni, in un film occasionalmente girato nel comune di residenza, possa costituire rioccupazione in altra attività lavorativa – scrive inoltre l’avvocato – considerato, peraltro, che il D’A. non è mai stato nè potrà mai avere alcuna prospettiva occupazionale di attore cinematografico”. Il diritto pensionistico, insomma, secondo il legale non può venir meno per prestazioni lavorative che non raggiungano almeno i 6 mesi di occupazione e non ha superato i 7.500 euro di reddito annuo. L’opposizione del legale è stata ancora una volta respinta il 28 gennaio 2013…(!)
AdnKronos
Giovani
I giovani: quegli sconosciuti …
Sempre meno opportunità di lavoro per i giovani: fino a marzo se ne cercano il 26% in meno di un anno fa. È quanto emerge dall’analisi, a cura di Datagiovani, delle previsioni di assunzione per i giovani fino ai 29 anni nelle aziende italiane per il primo trimestre 2013.
Le aziende italiane prevedono di assumere nel primo trimestre dell’anno poco meno di 140 mila lavoratori, e meno di 3 su 10 saranno giovani: si tratta di 38.600 posizioni, di cui poco più di 33 mila non stagionali, il 26% in meno di un anno fa. A soffrire maggiormente delle minori opportunità lavorative saranno i giovani del Mezzogiorno, in particolare della Puglia e della Sardegna, mentre più rassicuranti sono i dati dell’Emilia Romagna. La contrazione delle assunzioni previste deriva prevalentemente dalle minori prospettive nel commercio e nella ristorazione, ma le opportunità crescono per gli ingegneri e gli architetti, gli addetti all’informazione ed assistenza della clientela e gli operatori della cura estetica.
Il dato è maggiormente negativo se si considera che per il complesso delle assunzioni (senza distinzione d’età) la flessione è del 9,4%: il risultato è che la quota di assunzioni riservate ai giovani è scesa dal 34% di un anno fa al 28%. E va peggio per le assunzioni non stagionali, quelle per cui dunque ci si aspetta, ferma restando la predilezione ad assumere con contratti a termine, un periodo di permanenza in azienda un po’ più lungo: la flessione sfiora il 28%.
Un paese per le donne
Un paese per le donne: se non ora quando?
“Come sono le giornate delle donne? Quali sono i loro bisogni e desideri? Che cosa le offende? Che cosa le rende felici? Cosa vogliono le donne dalla politica?”. Queste le domande rivolte da “Se non ora quando?” a donne di tutta Italia che si sono raccontate attraverso delle interviste video.
Lunedì 11 febbraio alle ore 12 al piccolo Eliseo di Roma, “Se Non Ora Quando?” incontra i rappresentanti di tutte le forze politiche per presentare la video-inchiesta ”Un paese per donne: le parole per dirlo” che indica alcuni punti – democrazia paritaria, welfare, diritti civili – come prioritari nell’Agenda delle donne e per illustrare un’analisi comparata, da un punto di vista di genere, dei programmi dei partiti.
Su questi temi sono invitati a rispondere i rappresentanti delle forze politiche (tra cui Vendola, Fassina, Granata) che si candidano a governare il Paese
La manifestazione sarà seguita in diretta audio e video da RadioArticolo1 (www.radioarticolo1.it).
Niente tassa su assistenti familiari
Il ministero chiarisce: niente tassa su assistenti familiari
“Bene ha fatto il ministero del lavoro a chiarire che la norma sul contributo dovuto dai datori di lavoro, in caso di licenziamento del dipendente, contenuta nell’articolo 2 della legge di riforma del mercato del lavoro (l.92/2012 non riguarda le colf e le assistenti familiari”. E’ questo il commento di Morena Piccinini, presidente Inca rispetto alla precisazione fornita dal Ministero del lavoro, dopo le proteste dei sindacati e dei patronati.
“A questo punto – aggiunte la Presidente Inca – , è auspicabile che lo stesso ministero fornisca indicazioni precise all’Inps, sollecitandolo a emanare una circolare esplicativa in tal senso, per sgombrare il campo da qualsiasi altro equivoco”.
UE
UE: votata la risoluzione contro la violenza sulle donne
Votata stamattina in sessione plenaria a Strasburgo la risoluzione contro la violenza sulle donne, con cui la Commissione FEMM attraverso il presidente Gustafsson sollecita il buon esito della prossima sessione della CSW (Commissione sullo Status delle Donne) delle Nazioni Unite, che si terrà a New York dal 4 al 15 marzo prossimi.
Molti i punti messi in luce dalla Risoluzione, che parte dalla constatazione che la violenza contro le donne persiste in tutti i paesi del mondo come la violazione più diffusa dei diritti umani e che – si legge nel testo -rappresenta uno dei principali ostacoli al conseguimento della parità di genere e dell’emancipazione femminile, interessando donne e ragazze di tutti paesi del mondo indipendentemente da fattori quali l’età, la classe sociale o la situazione economica, danneggia le famiglie e le comunità, comporta notevoli costi economici e sociali e limita e compromette la crescita economica e lo sviluppo.
La risoluzione invita l’UE a sostenere pienamente la raccomandazione del gruppo di esperti secondo cui la CSW 2013 dovrebbe decidere di sviluppare un piano globale di attuazione per l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze.
Per l’Italia soddisfazione dalle europarlamentari Costa, Barracciu, Balzani, Borsellino, Serracchiani,
e Toia che chiedono l’adozione del piano accompagnato da opportune azioni di sensibilizzazione e dall’adozione di misure normative specifiche.
“Sul piano europeo – hanno commentato le europarlamentari – chiediamo che l’UE metta in atto una strategia rivolta specificamente alla prevenzione e al contrasto di questo fenomeno che, come evidenzia la Risoluzione, si configura come un dato strutturale della violazione dei diritti umani in tutti i paesi del mondo, nelle molteplici forme e
situazioni in cui esso si manifesta: dalla violenza
domestica e psicologica a quella subita sul lavoro,
alla violazione dell’integrità del corpo spesso messa
in atto anche dai media, ai casi di violenza in situazioni di disabilità e a danno delle donne appartenenti a minoranze, fino alle MGF e alle violazioni subite dalle donne durante conflitti e crisi umanitarie”.
Unione e Stati Membri sono inoltre invitati a firmare e ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.