Archivi giornalieri: 16 luglio 2022

4. Le aree residenziali nei paesi europei

4. Le aree residenziali nei paesi europei

L’Ue promuove l’armonizzazione delle politiche abitative negli stati membri, ma come abbiamo raccontato nei precedenti approfondimenti sulla questione abitativa in Europa, sono ancora molte le differenze da stato a stato e anche all’interno dei singoli stati, a livello regionale.

Per esempio, gli scenari sono molteplici per quel che riguarda il rilascio dei permessi erogati dagli stati per la costruzione di edifici abitabili e l’incidenza delle aree residenziali.

Quante residenze si costruiscono negli stati Ue

Con permesso per la costruzione di edifici residenziali si intende l’autorizzazione che il governo nazionale dà per progetti abitativi, per la costruzione o la trasformazione urbanistica o edilizia. Eurostat misura l’azione degli stati membri in questo senso con un indice, il cui valore base è fissato pari a 100 nel 2015.

Negli anni 2013 e 2014 sono stati erogati meno permessi per costruire residenze.

Il valore medio registrato nell’Unione ha raggiunto il picco intorno al 2010, per poi calare progressivamente fino agli anni 2013 e 2014 – anno a partire dal quale si è poi verificata una graduale anche se modesta ripresa. Facendo un paragone dei dati dell’anno 2021 con quelli del 2010, i primi a disposizione, si rileva un aumento particolarmente marcato in Svezia (+157%) e Irlanda (+133%), e in alcuni paesi dell’Europa orientale e baltica, come EstoniaLituania e Bulgaria.

Rispetto al valore base del 2015 è invece la Grecia ad aver riportato l’incremento più notevole – anche se osservando i valori dal 2010, risulta comunque un calo pari al 45%.

La Grecia è quindi il paese Ue in cui l’indice, nel 2021, riporta il valore più elevato. Parliamo di 413,1, più di 4 volte il valore del 2015. Seguono Irlanda, Cipro e Portogallo, tutti e tre con valori superiori a 300.

Mentre i valori più bassi sono registrati in Austria e Francia, con cifre inferiori a 120. Con un indice pari a 142,8, l’Italia è il quartultimo stato Ue per quel che riguarda i permessi erogati nel 2021, sempre rispetto al 2015.

Nei grandi paesi dell’Unione, dal 2015 al 2021 l’aumento è stato marcato in maniera particolare in Spagna. Come anche in Francia, Germania e Italia, il valore ha registrato un calo nel 2020, l’anno della pandemia, per poi rialzarsi nel 2021. Nel caso della Spagna, si è passati da 137 a 195,6. Come in Italia però, anche la Spagna ha registrato un calo piuttosto evidente rispetto al 2010 (-23%). Mentre l’aumento è stato più costante in Germania.

L’incidenza delle aree residenziali in Europa

Quando si parla di zone residenziali, si tratta di aree, misurate in chilometri quadrati, di terreno ricoperto da edifici a finalità abitativa. La situazione europea risulta ampiamente variegata., con una quota maggiore negli stati più piccoli e in quelli maggiormente urbanizzati.

17,8% del territorio di Malta è ricoperto di aree residenziali (2018).

Malta è il primo stato membro in questo senso, con oltre il 17% della propria estensione territoriale che nel 2018 (l’anno dell’ultimo aggiornamento Eurostat) era occupata da aree residenziali. La seguivano il Belgio e i Paesi Bassi, due paesi di dimensioni ridotte e fortemente urbanizzati, con valori pari rispettivamente a 12,1% e a 6,6%.

L’Italia è settima (3,8%), mentre agli ultimi posti si trovano Spagna e Bulgaria (entrambe con l’1,2% di terreno occupato da aree residenziali). Seguono stati dalla bassa densità abitativa come Svezia e Finlandia, con rispettivamente 1,3% e 1,4%.

Come immaginabile, è soprattutto nelle aree metropolitane che la quota risulta più elevata. A livello regionale vediamo infatti che ai primi posti si trovano le regioni delle capitali, prima tra tutte Berlino.

33,4% la quota di territorio dedicata alle aree residenziali, nella regione di Berlino (2018).

Alla capitale tedesca seguiva la regione di Brema, nello stesso paese, con un valore pari a 31,2%. Al terzo e quarto posto si trovavano, nel 2018, altre due grandi capitali europee: Bruxelles (27,9%) e Vienna (24,5%). Agli ultimi posti invece alcune regioni spagnole come l’Aragona (0,2%), Navarra, Castilla y Leon, La Rioja e il nord-est, tutte con una cifra pari allo 0,5%.

Per quanto riguarda invece il nostro paese, la situazione è eterogenea: si va dal 7,7% dell’Emilia-Romagna (il valore più elevato della penisola), allo 0,7% della provincia autonoma di Bolzano. In generale le cifre sono più elevate al nord e nelle regioni caratterizzate dalla presenza di grandi città, come il Lazio (5,9%) e la Campania (5%) e sono invece più basse nelle regioni meno urbanizzate.

 

Foto: Nicole Baster – licenza

 

Il livello di indebitamento dei comuni italiani Bilanci dei comuni

Il livello di indebitamento dei comuni italiani Bilanci dei comuni

Il debito non è di per sé un elemento negativo ma è importante gestirlo in un’ottica di sostenibilità nel futuro. Anche i comuni possono contrarlo, anche se sottoposto a vincoli costituzionali.

 

Come le amministrazioni centrali, anche gli enti locali possono accendere prestiti e mutui. Ci sono però dei particolari vincoli che devono seguire.

La finanza locale ha le sue basi nella Costituzione italiana.

Questi aspetti sono delineati nell’articolo 119 della Costituzione italiana che è stato modificato dalla legge costituzionale che nel 2012 ha introdotto il vincolo di pareggio di bilancio. Viene riconosciuto che comuni, province, città metropolitane e regioni hanno risorse autonome tramite le quali vengono finanziate le attività e un proprio patrimonio. Vi è inoltre un’autonomia nello stabilire i propri tributi e le proprie entrate, all’interno di un quadro condiviso.

Per quel che riguarda il debito pubblico, i comuni possono ricorrere a questa misura a condizione che il complesso degli enti locali di una regione sia in equilibrio di bilancio, ovvero in presenza di un risultato di competenza dell’esercizio non negativo.

Inoltre, mutui e prestiti non possono essere contratti per finanziare la spesa corrente, come i servizi per la cittadinanza, ma le risorse devono essere impiegate in investimenti come le opere pubbliche.

Bisogna valutare attentamente il ricorso a fonti di debito.

È proprio per questo motivo che di per sé il debito non è un elemento negativo. Può infatti rappresentare la volontà di un comune di effettuare degli investimenti nel lungo periodo. È però una variabile da tenere sotto controllo per evitare conseguenze avverse. La sostenibilità del debito nel futuro è infatti una questione centrale, a qualsiasi livello. Oltre all’entità complessiva è importante anche valutare la spesa annua sostenuta dai comuni per ripianare i prestiti, per evitare che la situazione debitoria sia fuori controllo e ne risenta l’erogazione dei servizi per la comunità.

La spesa dei comuni per il debito pubblico

Nei bilanci comunali, un’intera missione di spesa è dedicata al debito pubblico. Sono comprese due voci: la quota di capitale e la quota di interessi. Attraverso la prima, viene rimborsata la somma che inizialmente è entrata nelle casse comunali, a questa vengono poi applicati gli interessi che vengono versati con la seconda voce.

Tramite queste due uscite, viene progressivamente estinto nel presente un prestito o un mutuo contratto nel passato.

La grande città in cui si registra la spesa maggiore per il debito pubblico è Torino (272,78 euro pro capite). Seguono Napoli (153,77), Genova (133,79) e Firenze (100,79). Sono invece due i comuni in cui non sono riportate uscite: Milano e Padova.

Gli andamenti di queste quattro città risultano simili fino al 2018. Nel 2019, sono stati rilevati due picchi di spesa: quello di Napoli (349,65 euro pro capite) e quello di Torino (338,31). In relazione all’anno precedente, le uscite sono aumentate dell’87% e del 111%. Nel 2019 si assiste anche a un calo di spesa, a Genova, che da 195,26 euro pro capite passa a 103,02 con una riduzione pari al 47%.

Esaminando tutti i comuni, invece, le uscite medie registrate per il debito pubblico sono pari a 51,13 euro pro capite. Le amministrazioni che spendono di più afferiscono a regioni a statuto speciale. Sono infatti quelle della provincia autonoma di Bolzano (170,15), della Valle d’Aosta (115,08) e del Friuli-Venezia Giulia (107,98). I comuni che invece riportano le spese minori sono quelli marchigiani (33,12 euro pro capite), toscani (31,44) e umbri (26,68).

Tra tutti i comuni italiani sono cinque quelli a superare i mille euro di spesa pro capite nel 2020. Sono Cerignale (Piacenza, 2.949,73 euro pro capite), Valleve (Bergamo, 2.411,50), Valprato Soana (Torino, 2.004,15), Barcis (Pordenone, 1.116,16) e Argentera (Cuneo, 1.093,51).

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti di questa rubrica sono realizzati a partire da openbilanci, la nostra piattaforma online sui bilanci comunali. Ogni anno i comuni inviano i propri bilanci alla Ragioneria Generale dello Stato, che mette a disposizione i dati nella Banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap). Noi estraiamo i dati, li elaboriamo e li rendiamo disponibili sulla piattaforma. I dati possono essere liberamente navigati, scaricati e utilizzati per analisi, finalizzate al data journalism o alla consultazione. Attraverso openbilanci svolgiamo un’attività di monitoraggio civico dei dati, con l’obiettivo di verificare anche il lavoro di redazione dei bilanci da parte delle amministrazioni. Lo scopo è aumentare la conoscenza sulla gestione delle risorse pubbliche.

Foto: cegoh – pixabay

 

Gli incarichi chiave nel governo e in parlamento di Insieme per il futuro Mappe del potere

La nascita di Insieme per il futuro a seguito della scissione dal Movimento 5 stelle di diversi esponenti, tra cui Luigi Di Maio, cambia gli equilibri politici sia al governo che in parlamento.

 

Come è noto il 21 giugno Luigi Di Maio ha annunciato la propria decisione di uscire, insieme a diversi parlamentari, dal Movimento 5 stelle dando vita alla nuova formazione Insieme per il futuro (Ipf). Questo passaggio ha portato a diversi cambiamenti nelle dinamiche della maggioranza di governo.

Certamente il primo effetto è stato la crescita dei cambi di gruppo visto che in un primo momento 50 parlamentari hanno seguito il ministro degli esteri nella sua nuova impresa. Numeri importanti anche perché, come affermato dallo stesso Di Maio, cambiano gli equilibri parlamentari e il potere relativo dei gruppi di maggioranza.

Oggi io e tanti colleghi lasciamo il Movimento 5 stelle. Lasciamo quella che da domani non sarà più la prima forza politica in parlamento.

Ma a contare non sono solo i numeri complessivi in parlamento. È importante invece considerare le posizioni chiave, sia nell’esecutivo che nelle aule parlamentari.

Cosa cambia nel consiglio dei ministri

Un primo cambiamento sostanziale ad esempio è avvenuto in consiglio dei ministri (Cdm), organo a cui prendono parte con diritto di voto solo il presidente del consiglio e i ministri.

In questa sede la maggior parte dei ministri dell’attuale esecutivo (8 su 23 escluso il presidente del consiglio) sono indipendenti. Fino a pochi giorni fa però erano i ministri espressione del Movimento 5 stelle a rappresentare la più consistente delegazione politica all’interno del Cdm, con 4 ministri contro i 3 di Lega, Partito democratico (Pd) e Forza Italia (FI).

La scissione ha coinvolto diversi membri dell’esecutivo, ma solo Di Maio tra i ministri. Di conseguenza oggi il movimento si trova con 3 esponenti in Cdm come le altre formazioni maggiori. Insieme per il futuro invece esprime un ministro in questo consesso, così come Italia viva e Liberi e uguali.

Gli altri incarichi di governo

Ma pur non partecipando alle sedute del Cdm, anche i sottosegretari e i viceministri sono esponenti di governo e anche su questo fronte la scissione di Di Maio ha avuto un impatto significativo sul gruppo pentastellato.

Prima infatti il M5s era di gran lunga la formazione più rappresentata nell’esecutivo inteso in senso ampio. L’unico gruppo che esprimeva ben 2 viceministri e 9 sottosegretari. A seguire la Lega, con un viceministro e 8 sottosegretari (considerando anche Federico Freni, nominato in quota Lega ma che a oggi non risulta iscritto al partito).

L’importanza di viceministri e sottosegretari risiede principalmente nel ruolo politico amministrativo che svolgono all’interno del proprio ministero. Per questo è interessante notare in quali strutture di governo si trovano gli esponenti di Insieme per il futuro e di conseguenza quali posizioni ha perso il Movimento 5 stelle.

Visto che oltre a Di Maio ha partecipato alla scissione anche il sottosegretario agli esteri Manlio Di Stefano, il M5s rimane quindi escluso dal ministero degli esteri. D’altronde è proprio sulla politica estera che si sono registrate maggiori frizioni tra l’esecutivo e il gruppo pentastellato.

i ministeri in cui, dopo la scissione, il Movimento 5 stelle non ha più propri rappresentanti.

Lo stesso è avvenuto per vari altri ministeri, primo tra tutti quello dell’economia, dove il Movimento 5 stelle ha dovuto rinunciare alla posizione di viceministro, ricoperta da Laura Castelli, ora iscritta anche lei a Insieme per il futuro. A seguire il ministero della giustizia con la sottosegretaria Anna Macina, e il ministero della salute con il sottosegretario Pierpaolo Sileri. Due perdite non irrilevanti per il movimento visto che il tema della giustizia è sempre stato identitario per il M5s mentre la salute ha rappresentato la questione centrale del secondo governo Conte. Proprio Sileri infatti ha fatto parte di entrambi gli esecutivi Conte ricoprendo anche il ruolo di viceministro della salute nella fase più dura della lotta al coronavirus.

Infine ha seguito Di Maio anche la sottosegretaria al sud e la coesione territoriale Dalila Nesci.

I ruoli chiave in parlamento e le commissioni permanenti

Se da un punto di vista sostanziale si può considerare corretta l’affermazione di Luigi Di Maio secondo cui il M5s non è più il primo gruppo in parlamento, da un punto di vista formale questo è vero solo per la camera. Qui il primo gruppo è diventato la Lega con 132 deputati, seguito dal M5s con 105. Lo stesso invece non vale per il senato, anche se di poco. A palazzo Madama infatti è ancora il M5s il gruppo di maggioranza relativa, con 62 senatori, seguito da vicino dalla Lega che ne conta 61.

I differenti equilibri politici nelle due aule si confermano e rafforzano guardando ai ruoli chiave ricoperti da deputati e senatori della nuova formazione politica.

Non tutti i parlamentari hanno lo stesso peso. Deputati e senatori che hanno un ruolo chiave riescono ad incidere maggiormente. Vai a “Quali sono i ruoli chiave del parlamento”

Analizzando gli incarichi di presidente, vicepresidente e segretario nelle commissioni permanenti questa differenza emerge chiaramente. Infatti mentre al senato Insieme per il futuro non ricopre nessun ruolo chiave alla camera è diventato uno dei gruppi centrali.

Infatti alla camera, Insieme per il futuro, oltre ad aver tolto al M5s il primato assoluto in quest’ambito è diventato anche il secondo gruppo, dopo il Pd, per numero di presidenti di commissione. Un incarico assolutamente fondamentale per i meccanismi parlamentari.

Si tratta in particolare delle commissioni difesa, presieduta da Gianluca Rizzo, politiche dell’Unione europea, con al vertice Sergio Battelli, cultura, guidata da Vittoria Casa, e agricoltura, con Filippo Gallinella.

Come accennato però lo stesso non vale al senato, dove il nuovo gruppo di Luigi Di Maio non ricopre alcun incarico chiave nelle commissioni permanenti.

Gli altri organi parlamentari

Quanto agli altri organi della camera è importante innanzitutto sottolineare come il M5s mantenga la terza carica dello stato. Il presidente della camera Fico infatti non solo non ha aderito alla scissione, ma piuttosto ha utilizzato toni molto duri nei confronti degli scissionisti.

È un’operazione di potere non è un’operazione politica

Alcuni cambiamenti però si sono comunque registrati all’interno dell’ufficio di presidenza, dove un questore e 3 segretari hanno seguito Di Maio. In questo modo Insieme per il futuro diventa il gruppo con più componenti all’interno dell’ufficio di presidenza, a pari merito con la Lega che conta 4 segretari. Anche in questo caso dunque il M5s perde la maggioranza pur mantenendo, oltre alla presidenza, un vicepresidente e un segretario.

Al senato invece le cose sono meno favorevoli per il nuovo gruppo. A oggi infatti il consiglio di presidenza non conta tra i suoi componenti membri di Ipf. Tuttavia non è detto che questo non cambi. Il regolamento d’aula infatti stabilisce che i gruppi non rappresentati in quest’organo possano richiedere che si proceda all’elezione di un proprio segretario.

A oggi inoltre Ipf non conta parlamentari né tra le giunte per il regolamento di entrambe le aule parlamentari né all’interno di un organo bicamerale importante come il comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica (Copasir).

Al contempo però Insieme per il futuro può vantare due presidenze di commissioni bicamerali, ovvero la commissione di inchiesta sul sistema bancario (Carla Ruocco) e la commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (Stefano Vignaroli) oltre a due vicepresidenze presso la commissione per l’attuazione del federalismo e la commissione di vigilanza Rai.

Infine alla camera Ipf conta un altro vicepresidente (commissione semplificazione) e due segretari nella giunta per le autorizzazioni mentre non risultano altri componenti di spicco al senato.

 

Foto: Luigi Di Maio (Facebook)

 

In aumento le risposte alle interrogazioni ma alcuni ministeri restano in difficoltà

Il parlamento svolge un’importante attività di controllo sull’operato del governo attraverso i cosiddetti “atti di sindacato ispettivo”. L’attuale esecutivo sta aumentando la sua capacità di risposta in questo senso ma con significative differenze tra i diversi ministeri.

 

Negli ultimi anni ci siamo abituati ad assistere alle sempre più frequenti informative che il presidente del consiglio o altri esponenti del governo rendono alle aule parlamentari. Lo abbiamo visto prima con l’emergenza coronavirus e lo vediamo adesso con la guerra in Ucraina.

Il governo infatti deve sempre rendere conto al parlamento del proprio operato, in virtù del rapporto fiduciario che lo lega a quest’ultimo e senza il quale sarebbe costretto alle dimissioni. Proprio per questo motivo, deputati e senatori hanno anche ulteriori possibilità per indagare l’attività del governo, attraverso la presentazione dei cosiddetti “atti di sindacato ispettivo”. Si tratta di istanze attraverso cui i parlamentari possono chiedere informazioni agli esponenti del governo in merito a temi di loro interesse.

Anche se questi atti hanno indubbiamente un importante valore simbolico, non sempre i governi danno seguito alle richieste di chiarimento presentate. Per quanto riguarda l’attuale esecutivo ad esempio, gli atti di sindacato ispettivo prodotti sono stati 7.845 ma solo 2.523 di questi hanno ricevuto una risposta.

32,2% le risposte fornite dal governo Draghi agli atti di sindacato ispettivo del parlamento.

Un dato in aumento rispetto ai mesi scorsi ma ancora piuttosto basso, sebbene in linea con quello dei governi precedenti. Tra i ministeri più in difficoltà da questo punto di vista troviamo quelli della salute, dell’istruzione, dell’interno e della giustizia, oltre alla stessa presidenza del consiglio.

Quanti e quali atti di sindacato ispettivo

Per acquisire tutte le informazioni necessarie alla valutazione dell’attività del governo, il parlamento ha a disposizione tre strumenti principali:

  • le interrogazioni mediante le quali un membro del parlamento può chiedere ad un esponente dell’esecutivo se è un fatto è vero, se ne abbia notizia e se il governo intenda prendere dei provvedimenti a riguardo. I parlamentari possono richiedere che a tali interrogazioni sia data risposta immediata in assemblea o in commissione, oppure con risposta scritta;
  • le interpellanze: domande scritte sui motivi della condotta del governo le cui risposte vengono fornite in assemblea;
  • le informative urgenti rese dai membri del governo su iniziativa propria o su richiesta dei gruppi parlamentari su questioni di particolare rilievo e attualità.

In questo articolo in particolare ci soffermeremo sulle prime due voci. Da questo punto di vista, possiamo dire che dall’inizio della legislatura fino al 31 maggio 2022, sono stati presentati in totale 23.489 atti di sindacato ispettivo di cui 7.932 (il 33,8%) hanno ricevuto una risposta. Per quanto riguarda l’attuale esecutivo in particolare possiamo osservare che le interrogazioni e le interpellanze che ancora attendono una risposta rappresentano oltre i due terzi.

In particolare sono le interrogazioni a risposta scritta quelle che tipicamente vengono lasciate più indietro. Delle circa 4mila presentate infatti, ancora 3.500 circa devono essere concluse. A queste si devono aggiungere oltre 1.200 interrogazioni con risposta in commissione, 360 interrogazioni a risposta orale e 218 interpellanze.

88,6%  le interrogazioni a risposta scritta a cui il governo Draghi non ha ancora risposto.

Nonostante si tratti di numeri piuttosto significativi, possiamo osservare che la performance dell’attuale esecutivo non si discosta di molto da quelle dei suoi predecessori. Infatti, analizzando i dati delle ultime due legislature, notiamo che solo i governo Renzi (33,2%) e Conte I (33%) presentano un tasso di risposta agli atti ispettivi superiore.

Tra gli ultimi 6 governi invece, la performance peggiore da questo punto di vista è quella del governo Letta che non raggiunge il 30%.

Quali sono i ministeri più in difficoltà

Fin qui abbiamo analizzato i dati relativi all’attuale esecutivo in forma aggregata. Ma in questo modo non è possibile individuare quali sono i componenti del governo maggiormente in difficoltà da questo punto di vista. Per questo occorre approfondire i dati di ogni singolo componente del governo Draghi, a partire dalla data del suo insediamento.

Il parlamento ha presentato molti atti ispettivi ai ministeri guidati dai tecnici.

Infatti tra un ministro o una ministra e l’altro possono intercorrere delle differenze anche molto significative. Sia dal punto di vista della quantità di atti ispettivi a loro sottoposti che come capacità di risposta. Per quanto riguarda il primo aspetto, il ministero che ha ricevuto più interrogazioni dal parlamento – come ampiamente prevedibile – è quello della salute. Alla struttura guidata da Roberto Speranza (Leu) infatti, tuttora in prima linea nel fronteggiare l’emergenza Covid, sono state poste oltre mille tra interrogazioni e interpellanze. Interessante notare che, dopo il ministero della salute, gli altri 5 più inquisiti dal parlamento sono tutti guidati da tecnici. Si tratta dei ministeri dell’interno (Lamorgese), delle infrastrutture (Giovannini), dell’economia (Franco), della transizione ecologica (Cingolani) e della giustizia (Cartabia).

A livello di risposte fornite invece, al primo posto troviamo proprio il ministero dell’economia con 273 atti conclusi con una risposta. Seguono poi il ministero del lavoro guidato dal dem Andrea Orlando (245), quello della transizione ecologica (229) e quello delle infrastrutture (225).

Ma com’è del tutto evidente, non tutti i ministeri sono stati coinvolti allo stesso modo da quest’attività. Si passa infatti da dicasteri a cui sono stati sottoposte diverse centinaia di atti ispettivi ad altri chiamati a rispondere (spesso senza riuscirci peraltro) a poche decine. Alla luce di ciò, è molto importante valutare il tasso percentuale di risposta che ogni ministero riesce a fornire. Tenendo sempre presente che – evidentemente – un maggior numero di atti ispettivi richiede comunque un maggiore sforzo per fornire le risposte richieste, le strutture meno efficienti sono quella che fa capo alla ministra per gli affari regionali Maria Stella Gelmini (11,1%), la presidenza del consiglio dei ministri (13,16%) e lo stesso ministero della salute (18,7%). Sotto il 25% di risposte fornite anche il ministero dell’istruzione (21%) e quello dell’interno (21,6%).

Per quanto riguarda il ministero della salute in particolare è probabile che il minor tasso di risposta alle richieste di chiarimento da parte di deputati e senatori sia da ricollegarsi alla priorità data dal ministero alla gestione dell’emergenza. Soprattutto nelle fasi più critiche, la comunicazione con il parlamento si è sostanziata principalmente attraverso le informative del ministro in aula, avvenute con una certa regolarità.

Meritevole di attenzione invece l’atteggiamento della presidenza del consiglio che, pur avendo ricevuto una quantità piuttosto contenuta di atti ispettivi, ha scelto di rispondere solo a una minima parte delle interrogazioni e delle interpellanze.

Com’è variata nel tempo la capacità di risposta al governo Draghi

Un ultimo elemento interessante da notare riguarda com’è cambiata nel tempo la capacità del governo in carica di rispondere agli atti di sindacato ispettivo presentati dal parlamento. Possiamo osservare infatti che l’attuale esecutivo, dopo i primi mesi di insediamento, ha iniziato a recuperare il tempo perso.

Se osserviamo l’evoluzione mensile del rapporto tra la somma degli atti di sindacato ispettivo presentati e quelli a cui il governo ha risposto, possiamo notare un costante aumento mese dopo mese. Al netto di qualche piccola battuta d’arresto quindi, il governo ha dimostrato un certo sforzo da questo punto di vista anche nel cercare di recuperare il tempo perso. A maggio infatti, come già detto, si è arrivati a superare il 32% di atti ispettivi conclusi con la risposta dell’esecutivo. Dato che rappresenta il record per il governo Draghi.

Nonostante questo sforzo sia apprezzabile, i valori rimangono comunque ancora piuttosto bassi e difficilmente si potranno avere dei significativi incrementi in questi pochi mesi che ci separano dalla fine della legislatura. Anche perché, come appare evidente pure dal grafico, i parlamentari presentano sempre nuovi atti di questo tipo. Forse ancora di più in un momento come questo: ci troviamo infatti ormai a pochi mesi dalla fine della legislatura e molti deputati e senatori non sono ancora sicuri della possibilità di rielezione. Presentare atti di sindacato ispettivo può quindi rappresentare per costoro un’importante occasione di visibilità, o comunque un modo per segnalare ai propri elettori di riferimento un interesse su determinati temi.

Foto: governo – licenza

 

Giorni estivi e notti tropicali: i dati dei capoluoghi Ambiente

 

L’aumento medio delle temperature determina un incremento dei giorni estivi e delle notti tropicali, con conseguenze sull’ambiente e sulle attività umane.

 

I cambiamenti climatici stanno determinando degli impatti sempre crescenti anche sui centri urbani. La struttura delle zone più densamente abitate può favorire il fenomeno dell’isola di calore, ovvero un surriscaldamento locale favorito dalla presenza di superfici in cemento, asfalto e metallo.

La variabilità climatica ha importanti ripercussioni sull’ambiente e sull’uomo.

Questo si somma ad altri effetti negativi causati da una crescente variabilità climatica che determina eventi meteorologici più estremi, come ad esempio lunghi periodi di siccità e l’aumento delle alluvioni. Questa situazione genera una forte pressione sull’ambiente naturale ma anche potenziali criticità nell’erogazione dei servizi essenziali e danni infrastrutturali.

Uno dei principali indicatori climatici che ha registrato dei forti cambiamenti è sicuramente quello della temperatura, che riporta nel 2021 un incremento a livello mondiale pari a 1,11°C in più rispetto alla media calcolata tra 1850 e 1990. Questo valore si avvicina pericolosamente ai limiti imposti dall’accordo di Parigi.

Per quel che riguarda l’Italia, Istat rileva che la temperatura media nel 2020 è pari a 16,3°C con 0,3°C di aumento rispetto al valore medio del decennio 2006-2015. Se invece si vanno a considerare i capoluoghi di regione, la temperatura media si assesta a 15,8°C.

+1,2°C l’anomalia registrata nel 2020 rispetto al valore medio calcolato sul trentennio 1971-2000 (Istat).

Sempre Istat rileva che l’incremento della temperatura porta all’aumento degli estremi di caldo e una diminuzione di quelli di freddo. In particolare, si parla di giorni estivi quando le massime superano i 25°C mentre le notti tropicali sono le nottate in cui la temperatura non scende al di sotto dei 20°C. Considerando i capoluoghi di regione, i giorni estivi medi nel 2020 sono 15 in più rispetto al valore medio 1971-2000 mentre si registrano 18 notti in più.

Andiamo dunque ad analizzare le rilevazioni effettuate nei capoluoghi di provincia e di regione per quel che riguarda questi due specifici ambiti.

Nei capoluoghi di provincia italiani, l’aumento maggiore è registrato a Mantova ed è pari a 36 giorni in più rispetto al valore medio calcolato tra 2006 e 2015. Seguono Cremona (+32), Sondrio (+21) e Caltanisetta (+19). Le uniche città in cui il dato risulta stabile sono Monza, Rieti, Ascoli Piceno e Chieti. Al contrario, le diminuzioni più ampie sono state riportate a Ancona (-31), Salerno (-30) e Arezzo (-28).

Considerando i capoluoghi di regione con più di 200mila abitanti, a Roma si registra l’anomalia più ampia, con 27 giorni estivi in più rispetto al valore medio calcolato tra 1971 e 2000. Seguono Trieste (+26), Milano (+18) e Torino (+16). L’unica città che registra un calo è Palermo (-9).

Il capoluogo di provincia che riporta l’incremento maggiore di notti tropicali è Salerno. Sono 21 in più rispetto al valore medio calcolato tra 2006 e 2015. Seguono Massa (+20), Catania (+19) e Napoli (+17). Il valore risulta stabile a Aosta, Bari, Belluno, Isernia, Pavia e Rieti. Le diminuzioni più ampie sono invece registrate a Padova (-17), Verona (-22) e Teramo (-29).

In tutti i capoluoghi di regione si registra un incremento delle notti tropicali. La città caratterizzata dall’aumento maggiore è Napoli, con un’anomalia pari a 53 notti in più rispetto al valore climatico tra 1971 e 2000. Seguono Milano (34), Palermo (27) e Genova (26). Le crescite minori si riportano a Bari (20), Venezia (16) e Trieste (13).

Foto: whoisdenilo – licenza

 

Le differenze nel servizio di refezione nei nidi italiani #conibambini.

In media circa il 78% degli utenti dei nidi comunali usufruisce del servizio di refezione. Con divari sul territorio che si incrociano con la presenza stessa del servizio: superano il 90% Lazio ed Emilia Romagna, non raggiungono il 66% Molise, Puglia, Liguria e Calabria.

 

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La presenza o meno dell’asilo nido non è l’unico fattore che distingue l’offerta dei servizi prima infanzia sul territorio. Un aspetto cruciale è anche la presenza del servizio di refezione, che ricopre molteplici funzioni.

Il pasto consumato a scuola o all’asilo è anche uno strumento di lotta alla povertà infantile.

Oltre ad assicurare almeno un pasto equilibrato al giorno, elemento la cui importanza è stata ribadita nelle relazioni del garante dell’infanzia, consente anche la prosecuzione delle attività in orario pomeridiano. Con ricadute positive sia per la conciliazione dei tempi di vita familiari che per il percorso di apprendimento dei più piccoli.

(…) fascia di età 0-6 anni. Una fascia in cui è possibile incidere in maniera significativa per promuovere la crescita e il benessere fisico e psicologico. Il focus sui nidi e sulle mense, quali servizi educativi e di contrasto alla povertà, ha permesso di introdurre, in particolare, un importante aspetto del sistema di welfare: la necessità di uniformare le prestazioni e i servizi a livello nazionale e fare in modo che tutte le famiglie e le persone di minore età possano avere le stesse opportunità.

Per questa ragione, accanto all’estensione della rete (ineludibile in un paese ancora segnato da ampi divari interni), un tema è anche quello del tipo di offerta che viene erogata. A partire dalla presenza di mense anche nelle strutture rivolte all’età prescolare.

Nel quadro di come il servizio si articola in Italia, approfondiamo la presenza della refezione negli asili nidi, comune per comune.

L’andamento nazionale dell’offerta di nidi

Negli ultimi anni, pur lentamente, l’offerta potenziale di servizi rivolti alla prima infanzia è cresciuta. Se nel 2013 erano 22,5 i posti disponibili ogni 100 residenti con meno di 3 anni, la quota è salita a 26,9 nel 2019.

Una quota che segna sicuramente un miglioramento in termini di offerta, sebbene questa sia ancora inferiore alla soglia obiettivo condivisa in sede europea.

Ogni stato membro dovrebbe garantire un posto in asili nido o servizi per la prima infanzia ad almeno il 33% dei bambini sotto i 3 anni. Vai a “Che cosa prevedono gli obiettivi di Barcellona sugli asili nido”

Prima ancora della presenza della refezione negli asili nido, una questione aperta per il nostro paese (perciò oggetto anche degli obiettivi del Pnrr) è quindi proprio aumentare l’offerta del servizio, riducendo allo stesso tempo i divari sul territorio, in particolare nelle aree interne e nel mezzogiorno.

Tenendo conto dell’attuale configurazione del servizio, è interessante capire come si sviluppi l’offerta della refezione sul territorio, nello specifico nei nidi comunali.

La refezione nei nidi comunali sul territorio

dati di contesto visti fin qui sono relativi a tutta l’offerta presente nel nostro paese: pubblica e privata, in asili nido veri e propri o nei servizi integrativi (spazi gioco, strutture domiciliari e simili).

Approfondendo solo l’offerta erogata dal comune, possiamo verificare – per le regioni a statuto ordinario – quanti utenti dei nidi usufruiscono del servizio di refezione. In media si tratta di poco meno dell’80% dei bambini che frequentano i nidi comunali. In due regioni, Lazio ed Emilia Romagna, oltre 9 bambini su 10 che frequentano i nidi comunali usufruiscono anche della refezione. Quote superiori al 75% anche in Basilicata, nelle Marche, in Umbria, Toscana e Veneto.

Usufruisce della refezione una quota di utenti dei nidi compresa tra il 66% e il 75% in Campania (66,4%), Piemonte (69,1%), Lombardia (70,1%) e Abruzzo (70,9%). Mentre l’estensione del servizio di refezione appare più limitata in regioni come Molise (46,2%), Puglia (56,2%), Liguria (61,8%) e Calabria (62,7%).

48,8 punti percentuali di differenza tra la quota di utenti della refezione nel Lazio e in Molise.

Tali divari possono essere ancora meglio valutati in chiave comunale. Dalla mappa emerge chiaramente la distanza tra l’Italia centro-settentrionale, dove il servizio di refezione è molto più diffuso, e quella meridionale, dove spesso manca.

Non solo: a colpire è anche la differenza tra le città e i piccoli comuni. Uno iato questo percepibile anche nel centro-nord, dove a fronte di comuni più popolosi e dotati del servizio esistono ampie aree meno servite.

35% utenti dei nidi che usufruiscono della refezione nei comuni con meno di 500 abitanti. Nelle città con oltre 100mila residenti il dato supera l’88%.

Come era presumibile aspettarsi tali differenze sono spesso sovrapponibili a quelle sulla presenza stessa di una qualsiasi struttura per la prima infanzia. Un aspetto che abbiamo avuto modo di approfondire in passato e che ribadisce come l’obiettivo dei prossimi anni dovrà essere necessariamente la ricucitura delle due fratture oggi esistenti nell’offerta del servizio. Quella tra centro-nord e sud e quella tra città maggiori e piccoli comuni.

 

Non è chiaro se tutte le scadenze Pnrr di questo trimestre siano state completate #OpenPNRR

Il 30 giugno si è concluso il secondo trimestre del 2022 e il governo ha inviato una nuova richiesta di fondi per il Pnrr all’Ue. Tuttavia, non tutti gli interventi previsti risultano conseguiti come da cronoprogramma.

 

Il 29 giugno scorso, l’Italia ha presentato a Bruxelles la richiesta per ricevere il secondo finanziamento destinato al piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), pari a 21 miliardi di euro. Un procedimento che avviene al massimo due volte all’anno, ogni sei mesi, quando la commissione europea controlla che i paesi abbiano completato, nei tempi stabiliti, le scadenze definite nei rispettivi Pnrr. Solo dopo tale verifica, l’organo esecutivo dell’Unione procede all’erogazione dei fondi concordati.

L’iniziativa del nostro paese ha anticipato di un giorno la fine del secondo trimestre del 2022. Anche se la verifica da parte dell’Ue è semestrale infatti, il governo italiano ha previsto il conseguimento di determinate milestone e target per ogni trimestre dell’anno, fino al 2026. Dal 1 aprile al 30 giugno 2022 erano 38 le scadenze europee – sottoposte al controllo delle istituzioni Ue – da completare. Ma nonostante la richiesta già inviata dal governo a Bruxelles, il 30 giugno risultavano ancora 5 interventi da conseguire, in base ai dati disponibili e reperiti sia attraverso la nostra attività di monitoraggio, sia sulla piattaforma del governo Italia domani.

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Le scadenze europee

Sono in totale 527 gli interventi di rilevanza europea da mettere in atto tra il 2021 e il 2026 nell’ambito del Pnrr. Di questi, 100 sono da completare entro il 2022 e, in particolare, 38 erano previsti per questo secondo trimestre (dal 1 aprile al 30 giugno 2022).

le scadenze europee – tutte milestone – del secondo trimestre che risultano in ritardo, al 30 giugno 2022.

In 3 casi, si tratta dell’entrata in vigore di decreti ministeriali che non risultano ancora pubblicati in gazzetta ufficiale (Gu) e che quindi non si possono considerare in vigore. Sono in particolare i decreti di adozione della strategia nazionale per l’economia circolare, del programma nazionale di gestione dei rifiuti e due su semplificazione e mobilità nel settore della ricerca e sviluppo – in quest’ultimo caso risulta pubblicato il decreto sulla semplificazione ma non quello sulla mobilità.

La pubblicazione in Gu è un criterio indicato dallo stesso Pnrr, per considerare completate certe scadenze.

È in ritardo anche l’entrata in vigore dell’atto nazionale che assegna i finanziamenti necessari a sostenere progetti di notevole rilevanza per lo sviluppo produttivo e tecnologico del paese. In questo caso, è stato pubblicato il decreto che delibera l’erogazione delle risorse necessarie, ma non l’atto nazionale in gazzetta ufficiale.

Per quanto riguarda la produzione di elettrolizzatori invece, il decreto pubblicato e citato anche da Italia domani fa riferimento in realtà solo all’erogazione delle risorse e non all’aggiudicazione degli appalti, come richiesto invece dalla scadenza.

La politica degli annunci

L’Italia ha quindi avviato il processo per ricevere il secondo finanziamento, quando ancora questi interventi erano formalmente incompleti. Un’evidenza piuttosto singolare, considerando che quando i paesi inviano la domanda di fondi alla commissione, devono allegare la documentazione necessaria a verificare che tutti gli interventi previsti siano stati effettivamente realizzati.

Viene quindi da chiedersi se il governo abbia effettivamente completato tutte le scadenze, senza condividere dati aggiornati a riguardo ma solo proclamandone il raggiungimento. Oppure se quelle 5 milestone siano realmente in ritardo e quindi, in tal caso, l’Italia avrebbe inviato una richiesta di fondi a Bruxelles senza avere i requisiti per farlo. Su questo punto chiaramente è necessario attendere la valutazione da parte della commissione europea. Anche se, come abbiamo spiegato in un recente approfondimentoil processo di verifica Ue sull’attuazione dei Pnrr si conclude in realtà con una decisione che sembra più politica, in capo al voto dei commissari, che tecnica.

Il ruolo del comitato economico e finanziario è più che altro quello di fornire un parere tecnico, che non vincola in modo obbligatorio le scelte della commissione. Vai a “Come l’Ue verifica l’attuazione dei Pnrr negli stati membri”

Le scadenze italiane: il fondo complementare

Un’altra questione da affrontare in merito alla fine del trimestre riguarda le scadenze italiane. Cioè milestone e target che seguono lo stesso cronoprogramma trimestrale delle scadenze europee, ma che non sono sottoposte al controllo delle istituzioni Ue.

Il Pnc è alimentato da risorse nazionali.

Parliamo innanzitutto del fondo complementare (Pnc), cioè di quelle risorse aggiuntive – 30,6 miliardi di euro in totale – che il governo italiano ha deciso di affiancare ai fondi provenienti da Bruxelles. Sia per facilitare l’attuazione di alcune misure del Pnrr, sia per finanziare eventuali interventi inizialmente non previsti.

Trattandosi di soldi dello stato, i dati sull’attuazione delle misure e delle scadenze previste dal Pnc dovrebbero essere chiari e accessibili. Almeno quanto quelli sul Pnrr che, come abbiamo avuto modo di raccontare più volte, rivelano comunque numerose criticità e mancanze. Invece, le scadenze del fondo complementare sono ancora più difficili da monitorare di quelle del Pnrr. Questo probabilmente perché gli interventi previsti dal Pnc non sono oggetto di verifica da parte delle istituzioni Ue. Di conseguenza, il governo ha ancora meno interesse a produrre documentazione a riguardo.

Il monitoraggio del Pnc

Sono in totale 298 i target e i milestone previsti dal fondo complementare al Pnrr. Di queste, grazie al nostro progetto OpenPNRRsiamo in grado di monitorarne 163, poco più della metà. Come per i target e milestone europei, abbiamo verificato il completamento delle scadenze previste dal Pnc per il secondo trimestre 2022 e il quadro riscontrato è tutt’altro che positivo.

7 su 11 le scadenze in ritardo al 30 giugno 2022, sul totale di quelle previste dal Pnc per il secondo trimestre di quest’anno.

La maggior parte degli interventi pianificati risulta quindi in ritardo, almeno alla data di fine del trimestre.

Essendo risorse nazionali, il governo può decidere di gestirle con maggiore autonomia rispetto a quelle del Pnrr. E questo probabilmente spiega il perché di una maggiore flessibilità sul cronoprogramma definito. Tant’è che alcune scadenze del fondo complementare sono in ritardo anche da trimestri già trascorsi. In particolare una che andava completata entro il 31 dicembre 2021 e tre entro il 31 marzo 2022.

Le scadenze italiane: tappe intermedie alle scadenze europee

Sono scadenze di rilevanza italiana anche quegli interventi minori del Pnrr, che il governo ha inserito come tappe intermedie per completare quelli più ampi di rilevanza europea.

621 tutte le scadenze di rilevanza italiana previste dal Pnrr.

Per fare un esempio, prima abbiamo parlato della scadenza Ue relativa ai decreti su semplificazione e mobilità nel settore della ricerca e sviluppo, prevista per il secondo trimestre 2022. Propedeutiche al conseguimento di questa milestone europea ce ne sono due italiane: una per l’approvazione del decreto su semplificazione, prevista e completata nel quarto trimestre del 2021; e una per il decreto su mobilità, che era da conseguire entro il primo trimestre del 2022, ma che a oggi risulta ancora in ritardo.

Anche su queste scadenze valgono le stesse dinamiche descritte prima per il fondo complementare: la comunicazione del governo è carente, è difficile monitorarne l’attuazione e molti di questi target e milestone sono in ritardo. Anche in questo caso infatti si tratta di interventi che non vengono verificati dalla commissione europea.

Il monitoraggio delle scadenze italiane per il Pnrr

Vista l’enorme quantità di scadenze di rilevanza italiana (621), abbiamo scelto di monitorarne solo quelle (99) che riteniamo più rilevanti ai fini dell’attuazione del Pnrr.

3 su 10 le scadenze in ritardo al 30 giugno 2022, sul totale di quelle italiane previste dal Pnrr per il secondo trimestre di quest’anno.

Si tratta in particolare dell’approvazione di: un accordo quadro tra stato e regioni per distribuire i centri di facilitazione digitale sul territorio, il piano per la tipizzazione del patrimonio culturale e la pubblicazione di un bando di concorso per l’assunzione di insegnanti di qualità.

A queste si aggiungono, come abbiamo visto prima per il Pnc, 4 scadenze in ritardo dal 31 dicembre 2021 e 3 dal 31 marzo 2022.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Fonte: Facebook – Palazzo Chigi – Presidenza del Consiglio dei Ministri

 

Sostegno alla Produzione cinematografica e audiovisiva: annualità 2022

Sostegno alla Produzione cinematografica e audiovisiva: annualità 2022

Nove milioni di euro di sovvenzioni destinate a imprese e società di produzione per opere cinematografiche e audiovisive realizzate in tutto o in parte nel territorio del Lazio. Premialità per i protocolli green e al femminile

 Si rinnova l’impegno della Regione Lazio a fianco dei produttori indipendenti, attraverso il Fondo annuale di 9 milioni di euro destinato al sostegno alla produzione cinematografica e audiovisiva. A partire dal 28 giugno sarà infatti possibile presentare le domande di sovvenzione per la produzione di opere cinematografiche e audiovisive italiane, europee e straniere realizzate in tutto o in parte nel territorio del Lazio.

Le opere, le cui riprese devono essere iniziate a partire dal 1° gennaio 2020 e ultimate entro il 31 dicembre 2021, devono essere riconosciute come “prodotto culturale”.

Destinatari delle sovvenzioni sono i produttori indipendenti, ovvero imprese e società che esercitano in modo esclusivo o prevalente l’attività di produzione di opere cinematografiche e/o audiovisive da almeno 2 anni.

E’ possibile presentare domanda per: lungometraggi, cortometraggi, documentari, fiction, serie tv, web series.

La principale novità dell’Avviso 2022 riguarda le premialità previste in fase di valutazione, a sostegno delle produzioni che aderiscono a protocolli green e garantiscano almeno il 50% di presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società oppure nei cast e nelle troupe.

Il Fondo annuale, attivo dal 2013, ha permesso di finanziare nel corso degli anni numerose opere di successo, tra cui serie tv come “Don Matteo”, e “Doc – nelle tue mani”, oltre a film protagonisti del panorama cinematografico, quali “Tre piani” di Nanni Moretti e “Diabolik” dei Manetti Bros.

Le domande per la concessione delle sovvenzioni (con relativi allegati) dovranno pervenire alla Regione esclusivamente attraverso l’utilizzo della piattaforma applicativa informatica https://app.regione.lazio.it/cineproduzione messa a disposizione da LAZIOcrea S.p.A. a partire dalle ore 12:00 di martedì 28 giugno 2022, fino alle ore 12:00 del 19 luglio 2022.

Scarica i documenti e la modulistica 

Lazio Cinema International 2022: 5 milioni per il sostegno alle coproduzioni internazionali

Lazio Cinema International 2022: 5 milioni per il sostegno alle coproduzioni internazionali

Il bando, cofinanziato dal PR-FESR 2021-2027, sostiene le coproduzioni cinematografiche e audiovisive internazionali, per rilanciare a pieno il settore e promuovere il turismo e le bellezze dei territori del Lazio. Domande aperte fino al 5 agosto.

Ci siamo. Torna l’Avviso Lazio Cinema International, attraverso il quale la Regione sostiene, dal 2016, le coproduzioni internazionali made in Lazio.

Si apre infatti la prima delle due finestre previste per il 2022, durante la quale è possibile richiedere i finanziamenti. L’Avviso, cofinanziato dal PR-FESR 2021-2027, prevede uno stanziamento annuale di 10 milioni di euro (suddivisi in due finestre), nell’ambito di un sostegno complessivo di 70 milioni stanziati per i prossimi 7 anni.

Con Lazio Cinema International la Regione ha l’obiettivo di valorizzare le bellezze dei territori, promuovere il turismo e far scoprire le mete regionali, attraverso investimenti in coproduzioni audiovisive che prevedano la compartecipazione dell’industria del Lazio con quella estera, la distribuzione di carattere internazionale dei prodotti e la realizzazione di opere che diano maggiore visibilità internazionale ai territori (soprattutto oltre Roma) e maggiore competitività alle imprese.

L’Avviso assume particolare importanza, inoltre, in un momento così particolare come quello attuale, in cui, di fronte alle difficoltà contingenti (pandemia e guerra in primis) appare più che mai indispensabile rilanciare un comparto in cui il Lazio è leader in Italia per numero di imprese, produzione e addetti.

I destinatari sono le PMI, singole o in aggregazione, già iscritte al Registro delle Imprese o a un registro equivalente in uno Stato membro dell’Unione europea, che siano produttori indipendenti in ambito di produzione cinematografica, di video e di programmi televisivi.

Il Contributo è a fondo perduto, commisurato alle spese ritenute ammissibili, che i beneficiari hanno sostenuto per realizzare l’opera coprodotta. L’Avviso è gestito da Lazio Innova.

Lazio Cinema International ha consentito di finanziare dal 2016 ad oggi, attraverso 7 Bandi, 154 opere, realizzate da 220 imprese di produzione in rappresentanza di 33 paesi esteri. Le pellichttps://lazioterradicinema.it/film-finanziati/ole finanziate hanno ricevuto 322 premi e 411 nomination nei più importanti festival internazionali, quali Cannes, Berlino, Venezia, Roma.

Tra le opere di maggior successo ricordiamo “Pinocchio” e “Dogman” di Matteo Garrone, “Qui rido io” di Mario Martone, “I Medici”, ma anche tante altre che hanno permesso al Lazio di aprirsi ancora di più al contesto internazionale, confermando la sua vocazione ad essere “terra di cinema”.

Le richieste andranno inviate compilando il formulario presente sulla piattaforma GeCoWEB Plus disponibile sul sito di Lazio Innovaseguendo gli step e le procedure previste. La scadenza è fissata alle ore 18:00 del 5 agosto 2022 (salvo chiusura anticipata).

 

Scarica il testo dell’Avviso e la modulistica 

 

L’estate della Regione Lazio nei parchi del Lazio

L’estate della Regione Lazio nei parchi del Lazio

Consulta il programma da giugno a settembre e scegli dove andare

Torna l’Estate della Regione Lazio con tantissimi eventi nei Parchi del Lazio, una bellissima opportunità che offriamo a tutti i cittadini, bambini, ragazzi, famiglie, per scoprire le bellezze della nostra regione e vivere la natura in modo sostenibile.
Tantissimi eventi gratuiti, tante occasioni per scoprire la biodiversità, i paesaggi, la storia, l’archeologia, i prodotti tipici dei territori protetti della nostra regione in programma da luglio a settembre.

Dalle escursioni archeologiche ai laboratori naturalistici, alle attività per bambini dalle visite guidate in luoghi sconosciuti, ai trekking, alle attività sportive, ai disegni sulla sabbia, alle degustazioni dei prodotti a Marchio “Natura in Campo” in tutte le province del Lazio.

Un’offerta ampia, gratuita, immersa nella Natura e diffusa su tutto il territorio regionale, che ha già preso il via con l’inizio dell’estate, con l’obiettivo di moltiplicare, per cittadini, Comuni e operatori del settore, le opportunità legate al turismo sostenibile, di prossimità, immersi nella bellezza della natura.

È possibile scaricare il file Excel con l’elenco completo delle Attività di Giugno, le Attività di Luglio, le Attività di Agosto e le Attività di Settembre.
I colori aiuteranno nello scelta del tipo di attività che si preferisce: VERDE chiaro (escursione/sport/visita guidata); VERDE scuro (divulg. scientifica/naturalistica); ROSA (ed. ambientale); GIALLO (gastronomia); ARANCIONE (laboratori); AZZURRO (teatro/concerti/mostre); BLU (eventi).
Le attività possono essere consultate anche utilizzando la Pagina News e Appuntamenti del portale, in cui la ricerca può essere effettuata per data, utilizzando il filtro “PERIODO”, o selezionando direttamente l’Area naturale protetta di proprio interesse.

 

Beata Vergine Maria del Monte Carmelo

 

Beata Vergine Maria del Monte Carmelo


Nome: Beata Vergine Maria del Monte Carmelo
Titolo: Apparizione
Ricorrenza: 16 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Il Monte Carmelo fu, fin dai tempi più remoti, assai famoso in Palestina ma oggi territorio israeliano. Su di esso infatti si ritiravano uomini di santa vita per onorarvi, ancor prima che nascesse, la Vergine Madre di Dio. Venne santificato pure da un lungo soggiorno che vi fece il profeta Elia.

Continuarono poi sempre pii solitari a ritirarsi sul Monte Carmelo, ma quando la spada di Maometto assoggettò la Palestina, a stento alcuni riuscirono a salvarsi nascondendosi nelle spelonche.

Verso il secolo XI, un pio sacerdote calabrese eresse sui ruderi di una cappella anteriore una chiesetta alla Vergine, ed, avendo raccolti altri compagni, ebbe dal patriarca di Gerusalemme una regola di vita. Ebbe così inizio l’ordine dei Carmelitani che fu poi approvato dai Sommi Pontefici Onorio II e Gregorio IX.

Ma la festa della Madonna del Carmine è strettamente legata al grande devoto della Vergine, S. Simone Stock. Era questi un inglese che, per onorare la Madre di Dio, si era dato ad austerissime discipline, rinnovando le mortificazioni dei primi eremiti. E quando, sul principio del XIII secolo, l’Ordine Carmelitano si estese in Inghilterra, S. Simone, attratto dalla devozione che i Carmelitani professavano a Maria, volle entrare nel loro Ordinè. Accettato, chiese di vedere il Monte Carmelo, e così visitò a piedi nudi tutti i luoghi sacri della Palestina, trattenendovisi per ben sei anni. Solo Iddio è testimonio delle fervorose preghiere che il Santo fece su quel sacro suolo nelle notti silenziose!

Ed appunto in una di quelle notti gli apparve la Vergine che, consegnandogli uno scapolare, gli disse con dolcezza: Figlio, prendi il segnale del mio amore.

E che questo sia il segnale dell’amore di Maria ce lo dice il seguente versetto, riferito allo scapolare: Protego nunc, in morte juvo, post funera salvo! —Avranno, dice Maria, la mia protezione in vita, saranno da me aiutati in morte e dopo la morte li condurrò in cielo.

S. Simone, per soddisfare il desiderio della Regina del Cielo, con grande zelo propagò questa devozione, che si estese rapidamente.

Anche i Papi si tennero onorati di appartenere alla milizia di Maria, e concessero molte indulgenze agli ascritti. Il Privilegio sabatino che godono gli ascritti all’abitino del Carmine assicura la liberazione dal Purgatorio, per intercessione di Maria, il primo sabato dopo la morte.

La solennità della Beata Vergine del Carmine si celebra il 16 luglio, in ricordo dell’apparizione e della consegna dello scapolare a S. Simone.

Il Beniamino di Maria, l’apostolo dell’abitino del Carmine, morì proprio il 16 luglio del 1265 in età di oltre cento anni.

PRATICA. Impariamo ad amare Maria, e portiamo sempre sul nostro corpo l’abitino del Carmine.

PREGHIERA. O Dío, che decorasti l’ordine del Carmelo del titolo singolare della tua beatissima sempre Vergine e Madre Maria, concedi propizio che mentre oggi ne celebriamo la festa con solenne ufficio, muniti della sua protezione, meritiamo di giungere ai gaudi eterni.

MARTIROLOGIO ROMANO. Beata Maria Vergine del Monte Carmelo, dove un tempo il profeta Elia aveva ricondotto il popolo di Israele al culto del Dio vivente e si ritirarono poi degli eremiti in cerca di solitudine, istituendo un Ordine di vita contemplativa sotto il patrocinio della santa Madre di Dio.

SUPPLICA ALLA
MADONNA DEL CARMINE

Madonna del Carmine
I. O Vergine Maria, Madre e Regina del Carmelo, in questo giorno che ricorda la tua tenerezza materna per chi piamente indossa il santo Scapolare, innalziamo le nostre preghiere e, con confidenza di figli, imploriamo il tuo patrocinio.continua >>

LO SCAPOLARE

Lo scapolare deriva dal latino scapula ossia spalla e rappresenta oggi una parte significativa dell’abito religioso indossato dai monaci.

Lo scapolare è caratterizzato da due grandi rettangoli di tessuto uniti da due strisce dello stesso tessuto che vengono posate sulle spalle e lasciano cadere i due rettangoli lungo la persona, una parte sulla schiena e una parte sul petto. In alcuni casi è possibile trovare anche la versione con il cappuccio. Questa tipologia è la versione originale indossata ancora oggi dalla maggior parte dei membri di diversi ordini religiosi, primi fra tutti i Carmelitani, i principali diffusori di questa devozione.

Lo scapolare ha un significato importante, indica un rapporto di appartenenza alla Madonna, e da parte della Madonna indica il suo impegno a proteggerci e a soccorrerci nel momento del bisogno.

Lo scapolare ha un origine umile. Nell’Alto Medioevo i servi erano soliti indossare sopra la tunica, una corta casacca del colore che indicava il padrone. Si trattava di un segno di appartenenza ma anche una garanzia di protezione. Anche nella cavalleria era presente infatti, il cavaliere indossava sopra la sua armatura le insegne della dama alla quale dedicava le sue imprese.

Uno degli usi più tradizionali è quello fatto dai confratelli del Carmine, diffuso grazie a Simone Stock e che portano lo scapolare durante le processioni in onore alla Vergine del Monte Carmelo, durante il pellegrinaggio del Giovedì Santo da un altare della reposizione ad un altro.

Nel 1950 una bolla di Pio XII invitava ad utilizzare lo scapolare come arma di devozione mariana poichè era uno strumento accessibile a tutti i fedeli.

Ma nel corso del tempo si venne a creare uno scapolare sempre più compatto e pensato per i fedeli laici. In questo modo, il fedele poteva partecipare alla spiritualità del Carmelo e alle grandi grazie ad esso legate, come ad esempio il privilegio sabatino. Infatti, nella sua bolla chiamata Sabatina, papa Giovanni XXII affermò che chi avrebbe usato lo scapolare poteva essere liberato dalle pene del Purgatorio il sabato successivo alla sua morte e accedere alle porte del Paradiso.

Lo scapolare del Carmelo

Scapolare Madonna del Carmine

Oggi lo scapolare è formato da due quadratini di tessuto marrone uniti da cordoni. All’interno di essi è presente da una parte l’immagine della Madonna del Carmelo e dall’altra il Cuore di Gesù, oppure in alcuni casi lo stemma dell’Ordine Carmelitano. Possiamo considerarla come una miniatura dell’abito carmelitano e per questo è solitamente di tela. Il fedele che si riveste dello scapolare entra a far parte della famiglia carmelitana e si consacra alla Madonna. Lo scapolare è quindi un segno visibile dell’alleanza con Maria.

ICONOGRAFIA

La Madonna del Carmine viene rappresentata nell’iconografia con il Bambino Gesù in braccio, spesso con abito e scapolare bruni e mantello bianco, nell’atto di mostrare lo scapolare carmelitano. All’immagine di Maria sono spesso associate quelle dei santi dell’ordine o di anime purganti tra le fiamme.

Madonna del Carmelo

titolo Madonna del Carmelo
autore Pittore peligno anno 1931
Madonna del Carmelo

Madonna del Carmelo

titolo Madonna del Carmelo
autore Ambito salentino anno 1870

Ma la Vergine Maria è rappresentata spesso sempre con in mano lo scapolare del Carmine ma nell’azione di donarlo a San Simone Stock e al suo ordine religioso affidando come detto particolari promesse a chi l’avrebbe indossato per tutta la vita. Un esempio lo possiamo ammirare con la splendida tela di Marcello Vieri, artista senese del XVIII sec.

Madonna del Carmelo con San Simone Stock

titolo Madonna del Carmelo con San Simone Stock
autore Marcello Vieri anno 1792

Spesso lo scapolare non è quello in formato ridotto ma il vero e proprio indumento carmelitano che ricevette Simone Stock dalla Vergine come nella tela di Graziani E. detto il Giovane, artista bolognese del XVIII secolo.

San Simone Stock riceve dalla Madonna lo scapolare

titolo San Simone Stock riceve dalla Madonna lo scapolare
autore Graziani E. detto il Giovane anno 1739

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