Archivi giornalieri: 8 luglio 2022

Le attività estrattive di materiali non energetici Ecologia e innovazione

Le attività estrattive di materiali non energetici Ecologia e innovazione

Cave e miniere sono una parte importante dell’economia italiana. Le attività a loro connesse hanno però delle ripercussioni importanti sull’ambiente.

 

L’attività estrattiva è importante per lo sviluppo economico di uno stato. Le estrazioni da cave e miniere consentono la produzione di materie prime che stanno alla base di tutti gli altri settori produttivi garantendo lo sviluppo economico dello stato. Allo stesso tempo, rappresentano un’attività ad ampio impatto ambientale, contribuendo al degrado del suolo e alla modificazione della morfologia del paesaggio. Inoltre, è un settore inquinante sia per quel che riguarda le emissioni che per il rumore.

Nel 2019 erano presenti in Italia 4.135 siti estrattivi divisi tra cave e miniere. Questo è un dato che riguarda i siti autorizzati ma di questi solo la metà è attiva.

2.229 le cave e le miniere produttive (Istat, 2019).

L’industria del settore è supportata principalmente da piccole imprese. Come descritto da Eurostat, nel 2018 rappresentano il 62,5% dei lavoratori contro il 22,9% delle imprese di medie dimensioni e il 14,6% di grandi dimensioni. Andiamo quindi ad analizzare la posizione dell’Italia rispetto al resto d’Europa per quel che riguarda l’estrazione di materiali non energetici.

Sono otto i paesi in cui la produzione supera i cento milioni di tonnellate. Di questi, l’Italia è il quinto con 207,21 milioni di tonnellate. Gli stati che estraggono più materiale sono Germania (546,31), Romania (444,78), Francia (351,93) e Polonia (328,49). Gli stati in cui invece si produce di meno sono Cipro (11,63), Lussemburgo (6,5) e Malta (3,41).

Cave e miniere: la legislazione italiana

Attualmente, la regolamentazione riguardante le attività estrattive è definita dal regio decreto 1443/1927. Qui si trova la distinzione tra miniere e cave: le prime sono definite industrie di prima categoria e producono materiali di elevato valore e combustibili; le seconde sono invece industrie di seconda categoria e vi si svolgono attività estrattive legate principalmente al settore delle costruzioni e delle pietre ornamentali.

Sia lo stato che le regioni hanno delle competenze in materia

Inizialmente la competenza in materia di siti estrattivi era esclusivamente statale ma, per quel che riguarda strettamente le produzioni di materiale non energetico, gradualmente alcune attività sono state affidate alle regioni. Con il decreto del presidente della Repubblica 616/1977 riguardante le cave, le regioni sono state incaricate di gestire le autorizzazioni legate alle attività estrattive e le numerose attività di controllo. Con tempi diversi tra il 1978 e il 2009 tutte le regioni hanno emanato delle leggi per istituire un piano cava per definire le quantità estraibili e gestire i siti produttivi, la gestione dei rifiuti di produzione e i piani di recupero al termine della coltivazione. Questo tipo di pianificazione non è armonizzato tra i vari territori e non viene ancora applicato trasversalmente a livello nazionale.

Purtroppo ancora in molte Regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si verificano situazioni di grave arretratezza e rilevanti problemi legati ad un quadro normativo inadeguato, ad una pianificazione incompleta e una gestione delle attività estrattive senza controlli pubblici trasparenti.

Per quel che riguarda le miniere, tramite il decreto legislativo 1998/112 sono state conferite alle regioni le attività di gestione dei permessi, le funzioni di polizia mineraria su terraferma, la concessione e l’erogazione degli ausili finanziari, la determinazione delle tariffe e dei canoni e la gestione degli obblighi di informazione previsti da chi ha i permessi estrattivi. La titolarità delle politiche minerarie rimane in capo al ministero dello sviluppo economico (Mise)

Come dichiarato da Ispraè necessario un adeguamento del piano legislativo che inquadri l’attività in un’ottica di sostenibilità e preservazione del paesaggio, coerentemente con le linee comunitarie. Quindi, oltre a gestire un adeguato livello produttivo, è necessario anche incentivare il riciclo e il recupero delle aree che ospitavano dei siti estrattivi (per questa operazione sono previste anche delle uscite a livello di bilanci comunali). Un’operazione sicuramente delicata vista l’importanza del settore per l’economia.

La regione che presenta il maggior numero di siti è la Lombardia con un totale di 445. Seguono Puglia (393) e Piemonte (392). La Lombardia riporta anche la quantità più ampia di cave e miniere produttive (292) seguita da Toscana (256) e Piemonte (213). Al contrario, Campania (34), Calabria (31) e Valle d’Aosta (15) sono le regioni in cui ci sono meno siti produttivi. L’area in cui si trovano più cave è la Lombardia (437) mentre quella in cui si trovano più miniere è la Sardegna (32).

Quasi tutte le estrazioni sono aumentate tra il 2018 e il 2019. Le variazioni maggiori si sono registrate per argilla (+24,93%), talco, bauxite e fluorite (+15,38%) e salgemma (+12,25%). Sono due invece le categorie che hanno riportato una riduzione: il marmo (-1,12%) e il granito (-5,6%).

Come è stato detto, questi settori produttivi hanno un impatto considerevole sull’ambiente. Come ben spiegato in questa comunicazione dell’unione europea, i principali effetti negativi delle attività estrattive possono essere l’inquinamento dell’aria legato principalmente alle polveri, il rumore, l’inquinamento del suolo e dell’acqua, gli effetti sui livelli della falda freatica e la distruzione totale o parziale di habitat con conseguenti danni al paesaggio. Ci sono comunque effetti diversi a seconda del materiale estratto, della profondità dei giacimenti e di altre condizioni climatiche e geografiche, oltre a tecniche e tecnologie impiegate per l’estrazione e lo smaltimento dei rifiuti prodotti che in alcuni casi possono contenere delle sostanze tossiche.

Foto credit: Mariana Proença – licenza

 

L’emergenza afghana non è finita Migranti

L’emergenza afghana non è finita Migranti

L’Afghanistan è da decenni vessato da conflitti e disastri naturali. Nell’ultimo anno la situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla presa di potere da parte dei talebani e alla crisi alimentare, accentuata dalla guerra in Ucraina.

 

In seguito al ritiro delle truppe statunitensi, al termine di una guerra durata 20 anni, e alla presa del potere da parte dei talebanil’Afghanistan è diventato oggetto di interesse per l’opinione pubblica in occidenteUn’attenzione che però è durata poco, spostandosi presto verso altri conflitti, in primis quello ucraino. Anche in virtù del teorema, purtroppo sostenuto da molti, secondo cui gli ucraini sarebbero gli unici profughi “veri” del 2022.

Nonostante la graduale perdita di interesse però in Afghanistan l’emergenza non è affatto finita, e il paese è ad oggi uno dei più problematici a livello globale non solo per la sua situazione sociale e politica, ma anche dal punto di vista umanitario, alimentare e ambientale.

L’Afghanistan tra vecchie e nuove emergenze

Da molti anni il paese è vessato da numerosi conflitti e caratterizzato quindi da importanti ondate migratorie. Dall’invasione sovietica degli anni ’80 fino a quella statunitense conclusasi l’anno scorso, è stato per decenni oggetto di mire esterne, per via della sua posizione geografica di collegamento tra l’Asia e centrale e il Medio oriente. A questo si aggiungono i numerosi conflitti interni, dovuti anche all’incidenza di gruppi estremisti.

Il paese è inoltre fortemente esposto agli effetti avversi dei cambiamenti climatici come il gelo invernale. La siccità che lo caratterizza contribuisce a sua volta a generare carestie, insicurezza alimentare e quindi, indirettamente, anche instabilità politica e disordini sociali. Infine, negli ultimi anni si sono succeduti diversi devastanti terremoti. L’ultimo dei quali, lo scorso giugno, ha causato la morte di oltre mille persone.

2,7 milioni di rifugiati sotto il mandato Unhcr sono afghani.

Si tratta del terzo dato più elevato dopo quello siriano (6,8 milioni di rifugiati) e venezuelano (4,6 milioni). Inoltre, la cifra comprende solo i profughi registrati all’estero – che nel caso dell’Afghanistan sono principalmente ospitati nei due paesi confinanti, Pakistan e Iran. Sempre secondo le stime Unhcr, altri 3,5 milioni di persone non avrebbero oltrepassato i confini nazionali, rientrando nella categoria degli sfollati interni.

Metà della popolazione afghana dipende dagli aiuti umanitari.

L’alto commissariato Onu per i rifugiati afferma anche che a giugno 2022 circa la metà di tutti gli abitanti del paese dipendono dagli aiuti umanitari (circa 24 milioni di persone). Essendo l’Afghanistan un paese mediamente molto giovane, tantissimi sono bambini.

La situazione degli afghani si è poi ulteriormente aggravata a partire da agosto dello scorso anno, quando i talebani hanno preso il controllo paese, e si è profilata una nuova emergenza di profughi e sfollati.

A settembre 2021 gli sfollati erano già più di mezzo milione. Nei mesi successivi la cifra è progressivamente aumentata, soprattutto a partire dai mesi di febbraio e marzo del 2022 – parallelamente alla crisi ucraina. All’ultimo aggiornamento risalente al primo giugno, gli sfollati per conflitti sono più di 820mila.

A questi si aggiungono anche i numerosi sfollati per disastri ambientali. Secondo l’Internal displacement monitoring center (Idmcsono 302 gli eventi climatici estremi che hanno colpito il paese dal 2008 al 2021, causando circa 892mila sfollati interni. Parliamo in particolare di alluvioni, che in questo lasso di tempo hanno generato 404mila sfollati, e siccità (378mila).

Come abbiamo raccontato in un recente approfondimento, l’Afghanistan è il terzo paese del mondo, dopo Somalia e Etiopia, per sfollati causati da eventi di siccità.

Negli ultimi mesi poi la situazione è diventata gradualmente più preoccupante anche a causa della crisi alimentare in corso, che si è aggravata con il conflitto in Ucraina, ma che sta colpendo in maniera particolare gli stati più poveri del mondo.

L’Afghanistan è infatti il secondo paese maggiormente colpito, con 22,8 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare nel 2021. Nel 2020 erano 13,2 milioni.

L’accoglienza dei profughi afghani

Dagli anni 2000 ad oggi, l’Afghanistan è più o meno costantemente rientrato tra i principali paesi di provenienza dei richiedenti asilo in Italia. Ma se negli ultimi anni la cifra era andata progressivamente calando, nel passaggio tra 2020 e 2021 si è verificato un forte aumento.

+899% i richiedenti asilo di nazionalità afghana in Italia nel 2021, rispetto al 2020.

Dal 2015 al 2019 si è registrata una graduale contrazione del numero di richiedenti asilo afghani in Italia, passando da circa 4mila a 599 nel 2019. Nel 2020 si è registrato un lieve aumento (+46 persone). Mentre nel 2021 il numero di richiedenti asilo è passato a 6.445, circa mille volte superiore al dato dell’anno precedente.

In Italia l’approccio è stato quello di favorire l’inserimento dei profughi afghani all’interno del sistema di accoglienza ordinaria, come abbiamo raccontato in un precedente approfondimento. Senza tuttavia adottare una strategia mirata in questo senso.

L’Ue non ha implementato misure straordinarie per gestire l’emergenza afghana.

Un’emergenza, insomma, che però non è stata affrontata come tale. In risposta al recente scoppio della guerra in Ucraina infatti l’Ue ha attivato in modo eccezionale una direttiva (la direttiva 55/2001) che garantisce una protezione speciale temporanea ai cittadini ucraini, in qualsiasi paese dell’Ue e con validità pari a un anno dall’ingresso, rinnovabile per altri 2. Si è trattato di un approccio radicalmente diverso rispetto a quello con cui i paesi europei hanno gestito altri flussi migratori altrettanto meritevoli di accoglienza, come quello degli afghani. Anche se questi ultimi sono in fuga da problemi reali, e come tutte le persone che lasciano il proprio paese hanno diritto a cercare una vita migliore altrove.

 

Il sostegno della Commissione europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un’approvazione del contenuto, che riflette esclusivamente il punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per l’uso che può essere fatto delle informazioni ivi contenute.

 

Foto: Farid Ershad – licenza

 

L’emergenza afghana non è finita Migranti

L’emergenza afghana non è finita Migranti

L’Afghanistan è da decenni vessato da conflitti e disastri naturali. Nell’ultimo anno la situazione si è ulteriormente aggravata in seguito alla presa di potere da parte dei talebani e alla crisi alimentare, accentuata dalla guerra in Ucraina.

 

In seguito al ritiro delle truppe statunitensi, al termine di una guerra durata 20 anni, e alla presa del potere da parte dei talebanil’Afghanistan è diventato oggetto di interesse per l’opinione pubblica in occidenteUn’attenzione che però è durata poco, spostandosi presto verso altri conflitti, in primis quello ucraino. Anche in virtù del teorema, purtroppo sostenuto da molti, secondo cui gli ucraini sarebbero gli unici profughi “veri” del 2022.

Nonostante la graduale perdita di interesse però in Afghanistan l’emergenza non è affatto finita, e il paese è ad oggi uno dei più problematici a livello globale non solo per la sua situazione sociale e politica, ma anche dal punto di vista umanitario, alimentare e ambientale.

L’Afghanistan tra vecchie e nuove emergenze

Da molti anni il paese è vessato da numerosi conflitti e caratterizzato quindi da importanti ondate migratorie. Dall’invasione sovietica degli anni ’80 fino a quella statunitense conclusasi l’anno scorso, è stato per decenni oggetto di mire esterne, per via della sua posizione geografica di collegamento tra l’Asia e centrale e il Medio oriente. A questo si aggiungono i numerosi conflitti interni, dovuti anche all’incidenza di gruppi estremisti.

Il paese è inoltre fortemente esposto agli effetti avversi dei cambiamenti climatici come il gelo invernale. La siccità che lo caratterizza contribuisce a sua volta a generare carestie, insicurezza alimentare e quindi, indirettamente, anche instabilità politica e disordini sociali. Infine, negli ultimi anni si sono succeduti diversi devastanti terremoti. L’ultimo dei quali, lo scorso giugno, ha causato la morte di oltre mille persone.

2,7 milioni di rifugiati sotto il mandato Unhcr sono afghani.

Si tratta del terzo dato più elevato dopo quello siriano (6,8 milioni di rifugiati) e venezuelano (4,6 milioni). Inoltre, la cifra comprende solo i profughi registrati all’estero – che nel caso dell’Afghanistan sono principalmente ospitati nei due paesi confinanti, Pakistan e Iran. Sempre secondo le stime Unhcr, altri 3,5 milioni di persone non avrebbero oltrepassato i confini nazionali, rientrando nella categoria degli sfollati interni.

Metà della popolazione afghana dipende dagli aiuti umanitari.

L’alto commissariato Onu per i rifugiati afferma anche che a giugno 2022 circa la metà di tutti gli abitanti del paese dipendono dagli aiuti umanitari (circa 24 milioni di persone). Essendo l’Afghanistan un paese mediamente molto giovane, tantissimi sono bambini.

La situazione degli afghani si è poi ulteriormente aggravata a partire da agosto dello scorso anno, quando i talebani hanno preso il controllo paese, e si è profilata una nuova emergenza di profughi e sfollati.

A settembre 2021 gli sfollati erano già più di mezzo milione. Nei mesi successivi la cifra è progressivamente aumentata, soprattutto a partire dai mesi di febbraio e marzo del 2022 – parallelamente alla crisi ucraina. All’ultimo aggiornamento risalente al primo giugno, gli sfollati per conflitti sono più di 820mila.

A questi si aggiungono anche i numerosi sfollati per disastri ambientali. Secondo l’Internal displacement monitoring center (Idmcsono 302 gli eventi climatici estremi che hanno colpito il paese dal 2008 al 2021, causando circa 892mila sfollati interni. Parliamo in particolare di alluvioni, che in questo lasso di tempo hanno generato 404mila sfollati, e siccità (378mila).

Come abbiamo raccontato in un recente approfondimento, l’Afghanistan è il terzo paese del mondo, dopo Somalia e Etiopia, per sfollati causati da eventi di siccità.

Negli ultimi mesi poi la situazione è diventata gradualmente più preoccupante anche a causa della crisi alimentare in corso, che si è aggravata con il conflitto in Ucraina, ma che sta colpendo in maniera particolare gli stati più poveri del mondo.

L’Afghanistan è infatti il secondo paese maggiormente colpito, con 22,8 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare nel 2021. Nel 2020 erano 13,2 milioni.

L’accoglienza dei profughi afghani

Dagli anni 2000 ad oggi, l’Afghanistan è più o meno costantemente rientrato tra i principali paesi di provenienza dei richiedenti asilo in Italia. Ma se negli ultimi anni la cifra era andata progressivamente calando, nel passaggio tra 2020 e 2021 si è verificato un forte aumento.

+899% i richiedenti asilo di nazionalità afghana in Italia nel 2021, rispetto al 2020.

Dal 2015 al 2019 si è registrata una graduale contrazione del numero di richiedenti asilo afghani in Italia, passando da circa 4mila a 599 nel 2019. Nel 2020 si è registrato un lieve aumento (+46 persone). Mentre nel 2021 il numero di richiedenti asilo è passato a 6.445, circa mille volte superiore al dato dell’anno precedente.

In Italia l’approccio è stato quello di favorire l’inserimento dei profughi afghani all’interno del sistema di accoglienza ordinaria, come abbiamo raccontato in un precedente approfondimento. Senza tuttavia adottare una strategia mirata in questo senso.

L’Ue non ha implementato misure straordinarie per gestire l’emergenza afghana.

Un’emergenza, insomma, che però non è stata affrontata come tale. In risposta al recente scoppio della guerra in Ucraina infatti l’Ue ha attivato in modo eccezionale una direttiva (la direttiva 55/2001) che garantisce una protezione speciale temporanea ai cittadini ucraini, in qualsiasi paese dell’Ue e con validità pari a un anno dall’ingresso, rinnovabile per altri 2. Si è trattato di un approccio radicalmente diverso rispetto a quello con cui i paesi europei hanno gestito altri flussi migratori altrettanto meritevoli di accoglienza, come quello degli afghani. Anche se questi ultimi sono in fuga da problemi reali, e come tutte le persone che lasciano il proprio paese hanno diritto a cercare una vita migliore altrove.

 

Il sostegno della Commissione europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un’approvazione del contenuto, che riflette esclusivamente il punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per l’uso che può essere fatto delle informazioni ivi contenute.

 

Foto: Farid Ershad – licenza

 

Le attività estrattive di materiali non energetici Ecologia e innovazione

Le attività estrattive di materiali non energetici Ecologia e innovazione

Cave e miniere sono una parte importante dell’economia italiana. Le attività a loro connesse hanno però delle ripercussioni importanti sull’ambiente.

 

L’attività estrattiva è importante per lo sviluppo economico di uno stato. Le estrazioni da cave e miniere consentono la produzione di materie prime che stanno alla base di tutti gli altri settori produttivi garantendo lo sviluppo economico dello stato. Allo stesso tempo, rappresentano un’attività ad ampio impatto ambientale, contribuendo al degrado del suolo e alla modificazione della morfologia del paesaggio. Inoltre, è un settore inquinante sia per quel che riguarda le emissioni che per il rumore.

Nel 2019 erano presenti in Italia 4.135 siti estrattivi divisi tra cave e miniere. Questo è un dato che riguarda i siti autorizzati ma di questi solo la metà è attiva.

2.229 le cave e le miniere produttive (Istat, 2019).

L’industria del settore è supportata principalmente da piccole imprese. Come descritto da Eurostat, nel 2018 rappresentano il 62,5% dei lavoratori contro il 22,9% delle imprese di medie dimensioni e il 14,6% di grandi dimensioni. Andiamo quindi ad analizzare la posizione dell’Italia rispetto al resto d’Europa per quel che riguarda l’estrazione di materiali non energetici.

Sono otto i paesi in cui la produzione supera i cento milioni di tonnellate. Di questi, l’Italia è il quinto con 207,21 milioni di tonnellate. Gli stati che estraggono più materiale sono Germania (546,31), Romania (444,78), Francia (351,93) e Polonia (328,49). Gli stati in cui invece si produce di meno sono Cipro (11,63), Lussemburgo (6,5) e Malta (3,41).

Cave e miniere: la legislazione italiana

Attualmente, la regolamentazione riguardante le attività estrattive è definita dal regio decreto 1443/1927. Qui si trova la distinzione tra miniere e cave: le prime sono definite industrie di prima categoria e producono materiali di elevato valore e combustibili; le seconde sono invece industrie di seconda categoria e vi si svolgono attività estrattive legate principalmente al settore delle costruzioni e delle pietre ornamentali.

Sia lo stato che le regioni hanno delle competenze in materia

Inizialmente la competenza in materia di siti estrattivi era esclusivamente statale ma, per quel che riguarda strettamente le produzioni di materiale non energetico, gradualmente alcune attività sono state affidate alle regioni. Con il decreto del presidente della Repubblica 616/1977 riguardante le cave, le regioni sono state incaricate di gestire le autorizzazioni legate alle attività estrattive e le numerose attività di controllo. Con tempi diversi tra il 1978 e il 2009 tutte le regioni hanno emanato delle leggi per istituire un piano cava per definire le quantità estraibili e gestire i siti produttivi, la gestione dei rifiuti di produzione e i piani di recupero al termine della coltivazione. Questo tipo di pianificazione non è armonizzato tra i vari territori e non viene ancora applicato trasversalmente a livello nazionale.

Purtroppo ancora in molte Regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si verificano situazioni di grave arretratezza e rilevanti problemi legati ad un quadro normativo inadeguato, ad una pianificazione incompleta e una gestione delle attività estrattive senza controlli pubblici trasparenti.

Per quel che riguarda le miniere, tramite il decreto legislativo 1998/112 sono state conferite alle regioni le attività di gestione dei permessi, le funzioni di polizia mineraria su terraferma, la concessione e l’erogazione degli ausili finanziari, la determinazione delle tariffe e dei canoni e la gestione degli obblighi di informazione previsti da chi ha i permessi estrattivi. La titolarità delle politiche minerarie rimane in capo al ministero dello sviluppo economico (Mise)

Come dichiarato da Ispraè necessario un adeguamento del piano legislativo che inquadri l’attività in un’ottica di sostenibilità e preservazione del paesaggio, coerentemente con le linee comunitarie. Quindi, oltre a gestire un adeguato livello produttivo, è necessario anche incentivare il riciclo e il recupero delle aree che ospitavano dei siti estrattivi (per questa operazione sono previste anche delle uscite a livello di bilanci comunali). Un’operazione sicuramente delicata vista l’importanza del settore per l’economia.

La regione che presenta il maggior numero di siti è la Lombardia con un totale di 445. Seguono Puglia (393) e Piemonte (392). La Lombardia riporta anche la quantità più ampia di cave e miniere produttive (292) seguita da Toscana (256) e Piemonte (213). Al contrario, Campania (34), Calabria (31) e Valle d’Aosta (15) sono le regioni in cui ci sono meno siti produttivi. L’area in cui si trovano più cave è la Lombardia (437) mentre quella in cui si trovano più miniere è la Sardegna (32).

Quasi tutte le estrazioni sono aumentate tra il 2018 e il 2019. Le variazioni maggiori si sono registrate per argilla (+24,93%), talco, bauxite e fluorite (+15,38%) e salgemma (+12,25%). Sono due invece le categorie che hanno riportato una riduzione: il marmo (-1,12%) e il granito (-5,6%).

Come è stato detto, questi settori produttivi hanno un impatto considerevole sull’ambiente. Come ben spiegato in questa comunicazione dell’unione europea, i principali effetti negativi delle attività estrattive possono essere l’inquinamento dell’aria legato principalmente alle polveri, il rumore, l’inquinamento del suolo e dell’acqua, gli effetti sui livelli della falda freatica e la distruzione totale o parziale di habitat con conseguenti danni al paesaggio. Ci sono comunque effetti diversi a seconda del materiale estratto, della profondità dei giacimenti e di altre condizioni climatiche e geografiche, oltre a tecniche e tecnologie impiegate per l’estrazione e lo smaltimento dei rifiuti prodotti che in alcuni casi possono contenere delle sostanze tossiche.

Foto credit: Mariana Proença – licenza

 

Presentazione XXI Rapporto annuale INPS

Presentazione XXI Rapporto annuale INPS

Lunedì 11 luglio 2022, alle 11, presso la Sala della Regina di Montecitorio, il Presidente dell’INPS Pasquale Tridico terrà la Relazione annuale, in occasione della presentazione del XXI Rapporto annuale dell’Istituto; interverrà il Vicepresidente della Camera Ettore Rosato, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Il Rapporto prende in esame la situazione del Paese, con particolare attenzione alle più rilevanti prestazioni erogate dall’Istituto e alla dinamica dei contribuenti.

La Relazione sarà tramessa in streaming sul canale WebTV della Camera dei Deputati e in diretta su Rai 3.

Esonero contributivo per agenzie di viaggi e tour operator

Esonero contributivo per agenzie di viaggi e tour operator

Il “Fondo unico nazionale per il turismo” ha previsto, per i datori di lavoro privati operanti nel settore delle agenzie di viaggi e dei tour operator, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all’INAIL, fruibile entro il 31 dicembre 2022.

L’agevolazione consiste in un esonero totale dal versamento dei contributi dovuti per il periodo da aprile 2022 ad agosto 2022, in relazione a tutti i rapporti di lavoro subordinato, sia instaurati che instaurandi, e spetta nei limiti delle risorse stanziate.

Con il messaggio 6 luglio 2022, n. 2712, l’INPS fornisce informazioni in merito ai datori di lavoro che possono accedere al beneficio e alla misura dell’esonero.

Santi Aquila e Priscilla

 

Santi Aquila e Priscilla


Nome: Santi Aquila e Priscilla
Titolo: Sposi e martiri, discepoli di San Paolo
Ricorrenza: 8 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Questi due sposi (Aquila era giudeo originario del Ponto trapiantato a Roma, mentre Prisca detta anche Priscilla era romana) convertiti al cristianesimo, erano molto legati a San Paolo apostolo e furono suoi collaboratori nella diffusione del Vangelo. Erano stati scacciati da Roma da un editto dell’imperatore Claudio che espelleva i giudei, ed erano venuti a stabilirsi a Corinto. Qui Paolo li incontrò al suo arrivo nella città, nel 50: “si stabilì nella loro casa e lavorava”; di mestiere facevano i tessitori di tende. Quando Paolo andò a Efeso, verso l’anno 54, tutti e due lo accompagnarono. Nella loro casa si riunivano i cristiano, come precisa l’Apostolo stesso: “Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con le comunità che si raduna nella loro casa”. E sempre loro, a Efeso, completarono l’istruzione cristiana di Apollo . Verso il 57 tornarono a Roma, come attesta ancora Paolo: “Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù”. Egli aggiunge, alludendo ad avvenimenti per altro sconosciuti “per salvarmi la vita, essi hanno rischiato la loro testa, ed ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le chiese dei gentili”. Verso la fine della sua vita Paolo prega Timoteo di salutare “Prisca e Aquila”, i quali si erano recati evidentemente di nuova a Efeso, dove risiedeva Timoteo. Le reliquie di Aquila sono a Roma, dove la tradizione sostiene sia morto; lo hanno rivendicato come patrono i fabbricanti di tele per tende, naturalmente, ma anche gli architetti.

MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione dei santi Aquila e Prisca o Priscilla, coniugi, che, collaboratori di san Paolo, accoglievano in casa loro la Chiesa e per salvare l’Apostolo rischiarono la loro stessa vita.