Archivi giornalieri: 10 luglio 2022

La pensione Quota 100 è ancora possibile anche per chi non ha raggiunto i 38 anni di contributi nel 2021

La pensione Quota 100 è ancora possibile anche per chi non ha raggiunto i 38 anni di contributi nel 2021

La Quota 100 è scaduta il 31 dicembre 2021. Questo non significa che non è più accessibile, bensì soltanto che non è possibile, dopo quella data perfezionare i requisiti di accesso. La pensione con 62 anni di età e con 38 anni di contributi, quindi, è ancora aperta. Ma solo per  chi riesce ad avere entrambi i requisiti perfezionati entro il 31 dicembre 2021. Non sussiste, infatti, alcun obbligo a richiedere questo tipo di pensionamento entro la sua scadenza. La misura rimane accessibile anche nel 2022 e negli anni successivi. La pensione Quota 100 è ancora possibile e soprattutto è accessibile anche per chi non ha perfezionato i 38 anni di contributi entro il 2021.

In pensione anche con i 38 anni di contributi dopo il 2021

Ma una grossa novità al riguardo è portata da quanto previsto nella circolare INPS numero 38 del 2022. I questa l’istituto comunica che i 38 anni di contributi possono essere riscattati anche dopo la scadenza della misura. Perché, ed è bene chiarirlo, il riscatto è retroattivo a patto che i contributi che si riscattano si trovino temporalmente collocati prima del 31 dicembre 2021.

Se, quindi, un lavoratore che ha compiuto i 62 anni di età entro la fine dello scorso anno non è in possesso del requisito contributivo, può ancora sperare. E non solo in altre misure che permettono la quiescenza a questa età, ma anche nella stessa Quota 100. I contributi da riscatto, infatti, si collocano temporalmente laddove avrebbero dovuto essere versati inizialmente.

Il lavoratore che procede, quindi, a riscattare periodi precedenti al 2021 può ancora perfezionare i 38 anni di contributi necessari per la Quota 100. Si può, ad esempio, riscattare il periodo di studi universitari. Anche con il riscatto ligth. In questo caso, però, se il periodo si colloca prima del 1996 è necessario scegliere l’opzione contributiva per la pensione. E di fatto si avrà un assegno calcolato interamente con il sistema contributivo.

La pensione Quota 100 è ancora possibile anche per chi non ha raggiunto i 38 anni di contributi nel 2021

Per chi ha raggiunto i 62 anni entro il 2021, quindi, è ancora possibile accedere alla Quota 100. Ma è da tenere presente che, in nessun caso la pensione potrà avere decorrenza precedente alla domanda di riscatto. Anche se i requisiti si considerano perfezionati al 31 dicembre 2021.

Lo stesso identico meccanismo si applicherà anche alla Quota 102. Per chi non perfeziona i 38 anni di contributi entro la fine del 2022, ma ha compiuto i 64 anni entro quest’anno, la pensione rimarrà accessibile anche dopo. Andando, però, a perfezionare il requisito contributivo con un riscatto oneroso.

Approfondimento

Per andare sicuramente in pensione a 57 o 62 anni bisogna fare questa cosa per tempo

Ricordiamo di leggere attentamente le avvertenze riguardo al presente articolo e alle responsabilità dell’autore, consultabili QUI»)
 

Sante Rufina e Seconda

 

Sante Rufina e Seconda


Nome: Sante Rufina e Seconda
Titolo: Martiri di Roma
Ricorrenza: 10 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Seconda Martire, santa (sec. III). Secondo un’antica passio, redatto intorno alla metà del secolo V, Seconda subì il martirio insieme alla sorella Rufina durante la violenta persecuzione al tempo di Valeriano e Gallieno sulla via Cornelia.

La tradizione vuole che, fidanzate con due giovani cristiani divenuti apostati, Seconda e Rufina si votarono alla verginità, provocando la reazione dei due giovani che prima tentarono di indurle all’apostasia, poi le denunciarono: arrestate dal prefetto Giunio, furono torturate e martirizzate a Roma, al decimo miglio della via Cornelia, nella cosiddetta “silva nigra”, che da allora fu chiamata “silva candida”, Rufina venne decapitata, mentre Seconda fu bastonata a morte.

I loro corpi abbandonati furono piamente recuperati e sepolti da una matrona romana di nome Plautilla, a cui le giovani martiri erano apparse in sogno, invitandola a convertirsi. Sul luogo della sepoltura papa Giulio I (341-353) fece erigere una basilica, di cui non è però rimasta traccia.

MARTIRIOLOGIO ROMANO. a Roma le sante Vergini e Martiri Rufina e Secónda sorelle, le quali, nella persecuzione di Valeriàno e Gallièno, furono sottoposte ai tormenti, e da ultimo, l’una percossa nel capo colla spada, l’altra decapitata, volarono al cielo. I loro corpi si conservano col dovuto onore nella Basilica Lateranense, vicino al Battistero.

I ministri indipendenti e la quota mezzogiorno del Pnrr Pnrr

I ministri indipendenti e la quota mezzogiorno del Pnrr Pnrr

Stando agli ultimi dati disponibili risulta che solo alcuni ministri riusciranno a rispettare l’obbligo di destinare il 40% delle risorse del Pnrr al mezzogiorno. Tra questi i ministri di Forza Italia, Movimento 5 stelle, Insieme per il futuro e alcuni indipendenti, anche se non tutti.

 

Come abbiamo raccontato più nel dettaglio in un recente articolo, uno dei principali obiettivi del Pnrr è ridurre i divari territoriali. Proprio per questo il decreto legge 77/2021 ha previsto che il 40% delle risorse, allocabili territorialmente, del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del fondo complementare (Pnc) , sia destinato alle regioni del mezzogiorno, ma non solo.

L’obbligo infatti vale per tutte le organizzazioni titolari e non basta che complessivamente il governo raggiunga questo obiettivoOgni ministro ha quindi la responsabilità di destinare al sud almeno il 40% dei fondi associati agli investimenti di cui è titolare. Leggendo la prima relazione istruttoria sul rispetto del vincolo di destinazione alle regioni del mezzogiorno, redatta dal dipartimento per la coesione territoriale, emerge che varie delle organizzazioni titolari di risorse del Pnrr raggiungono questa quota (13 su 22), o vi si avvicinano molto (7 su 22).

In due precedenti articoli abbiamo visto come i ministri della Lega sono quelli che guidano le organizzazioni che arrivano più distanti dall’obiettivo, mentre quelli del centro sinistra vi si avvicinano, pur senza raggiungerlo. Nello specifico sono i ministri Franceschini e Orlando del Partito democratico a non raggiungere il traguardo, mentre il ministro della salute Speranza, di Liberi e Uguali, arriva precisamente al 40%.

A questo punto non resta che vedere come si sono comportati gli altri ministri. Ovvero quelli espressione di Forza Italia, del Movimento 5 stelle, di Insieme per il futuro, oltre che i ministri cosiddetti tecnici, ovvero quelli che non sono diretta espressione di un partito politico.

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I partiti e la quota del 40% delle risorse per il sud

Ogni misura del Pnrr è attribuita alla responsabilità di un ente titolare, di solito un ministero o un dipartimento della presidenza del consiglio. Alla guida di queste organizzazioni dunque si trova sempre un responsabile politico, ovvero un ministro o in alcuni casi un sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Analizzando come le varie organizzazioni stanno distribuendo, o si stima che distribuiranno, gli importi del Pnrr a livello territoriale, e in particolare verso il mezzogiorno, è dunque possibile aggregarle considerando il partito di appartenenza del ministro responsabile della misura.

Da un’analisi di questo tipo emerge come siano i ministri di Forza Italia quelli alla guida di organizzazioni che stanno destinando più risorse al sud (66%). Al secondo posto i ministri tecnici, o indipendenti, (43%) e poi Movimento 5 stelle, Insieme per il futuro e Liberi e uguali che raggiungono esattamente la soglia del 40%.

Sotto il 40% invece i ministri del Partito democratico, che tuttavia vi si avvicinano abbastanza (37,6%). All’ultimo posto infine la Lega molto distante dall’obiettivo che si è posto il governo.

Forza Italia e la quota più alta di risorse al mezzogiorno

I ministri di Forza Italia alla guida di organizzazioni titolari di misure del Pnrr sono 3: la ministra per gli affari regionali Mariastella Gelimini, il ministro della funzione pubblica Renato Brunetta e la ministra per il sud e la coesione territoriale Mara Carfagna.

Le risorse destinate nell’ambito del Pnrr alle strutture da loro guidate non sono molte, poco più di 2,5 miliardi di euro. Ovvero appena l’1,2% degli importi complessivi.

Per entrare più nel dettaglio al dipartimento per gli affari regionali, guidato da Gelmini, sono attribuiti 135 milioni di euro destinati alla nascita e sviluppo delle Green Communities per sostenere comunità rurali e montane. La misura deve essere ancora attivata ma si stima che la riserva destinata al mezzogiorno sarà pari al 40%.

Al dipartimento della funzione pubblica invece (Brunetta) vanno 1,27 miliardi. Queste risorse riguardano 2 misure di cui una (Task Force digitalizzazione, monitoraggio e performance) già atttiva in buona parte delle sue componenti e l’altra (Competenze e capacità amministrativa) da attivare. In entrambi i casi tuttavia l’amministrazione ha raggiunto o garantisce di raggiungere quota 40%.

Infine, la ragione per cui il dato relativo a Forza Italia risulta così alto, sta nella quota di fondi attribuita al mezzogiorno dalla ministra per il sud e la coesione territoriale Mara Carfagna.

79,4% le risorse del Pnrr e del Pnc con destinazione territoriale destinate dalla ministra per il sud e la coesione territoriale al mezzogiorno.

Certo, data la funzione istituzionale attribuita al dipartimento per la coesione territoriale gestito dalla ministra, questo dato può stupire fino a un certo punto.

I ministri eletti nel movimento 5 stelle e la quota mezzogiorno

Quando abbiamo cominciato ad analizzare se e quanto i ministri esponenti di partito rispettassero la quota del 40% di risorse al mezzogiorno ancora Luigi di Maio non aveva compiuto la scissione che ha portato alla nascita del gruppo “Insieme per il futuro”. Ad oggi quindi possiamo dire che sono 3 i ministri del governo Draghi che gestiscono risorse del Pnrr e che sono stati nominati in quota Movimento 5 stelle. Due di questi fanno ancora parte del movimento, ovvero la ministra delle politiche giovanili Fabiana Dadone e il ministro delle politiche agricole Stefano Patuanelli. Di Maio invece, come è noto, fa ora parte di un nuovo gruppo parlamentare.

In ogni caso, stando ai dati della relazione, ciascuno di loro rispetta o garantisce che rispetterà, la quota mezzogiorno.

Fabiana Dadone è, tra questi, la ministra che gestisce meno fondi nell’ambito del Pnrr. Si tratta di 650 milioni interamente destinati al servizio civile universale. Di queste risorse 260 milioni, ovvero il 40%, sarà destinato alle regioni del sud.

Stefano Patuanelli al contrario è il ministro eletto tra i 5 stelle ad amministrare più fondi. Al ministero delle politiche agricole infatti sono attribuiti 4,8 miliardi, tutti con destinazione territoriale. Alla data della verifica circa il 52% di queste risorse erano state attivate, rispettando la clausola del 40%. Anche per quanto riguarda le misure da attivare, il ministero ha previsto meccanismi che dovrebbero garantire il rispetto della quota.

Quanto a Luigi Di Maio infine, il ministero degli esteri è titolare in questo contesto di un’unica misura (Rifinanziamento del Fondo 394/81) da 1,2 miliardi di euro, parte del più ampio investimento “Politiche industriali di filiera e internazionalizzazione“. La misura è già stata attivata e i meccanismi che disciplinano l’assegnazione delle risorse prevedono un meccanismo competitivo che tuttavia include una clausola di garanzia per i territori del sud. Tale clausola però è stata pensata con un limite temporale, trascorso il quale, se non sono pervenute sufficienti domande dal mezzogiorno, le risorse possono essere indirizzate verso altre regioni. Tale previsione dunque pone un possibile rischio su quella che sarà la quota effettivamente raggiunta.

I ministri indipendenti che raggiungono la quota mezzogiorno

Sono ben 11 le organizzazioni titolari di misure del Pnrr che non sono guidate da un ministro o un sottosegretario diretta espressione di un partito politico. Tra queste 6 raggiungono e in molti casi superano ampiamente la quota del 40% prevista per il mezzogiorno. Le altre 5 invece si posizionano poco sotto.

Nel primo gruppo si trova il ministero dell’economia che indirizza al sud il 100% delle risorse del Pnrr con destinazione territoriale affidate alla sua gestione. Si tratta però di appena 340 milioni relativi a una misura volta a favorire l’innovazione e tecnologia della microelettronica.

Ben più rilevanti invece sono gli importi in gestione al ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili Enrico Giovannini. Alla sua struttura infatti è attribuito oltre il 22% dei fondi del Pnrr, pari a poco meno di 50 miliardi di euro, quasi tutti con destinazione territoriale (48,5 miliardi). A quanto si apprende dalla relazione una parte preponderante di queste risorse, quasi tutte già attivate (98%), andrà proprio al mezzogiorno, contribuendo in misura sostanziale al raggiungimento dell’obiettivo del 40% considerato sul totale delle risorse del Pnrr.

48,2% le risorse del Pnrr e del Pnc con destinazione territoriale indirizzate dal ministero delle infrastrutture al mezzogiorno.

È in buona parte grazie al ministero delle infrastrutture se il governo può sostenere di star rispettando la quota mezzogiorno, almeno in termini generali.

Il ministero guidato da Giovannini insomma ha riservato alle regioni del sud Italia quasi 4 miliardi di euro in più di quanto non fosse richiesto dalla quota mezzogiorno. Si tenga presente infatti che al momento il governo può affermare che, almeno in termini generali, l’obiettivo in questione venga rispettato. Infatti sul totale delle risorse con destinazione territoriale, per ora si stima che al mezzogiorno arrivi il 40,8%. Tuttavia se il ministero delle infrastrutture si fosse limitato al 40% oggi il governo arriverebbe complessivamente al 38,6%.

Ma oltre al ministero delle infrastrutture altre organizzazioni con dotazioni finanziarie del Pnrr considerevoli hanno raggiunto o superato l’obiettivo.

Si tratta ad esempio del ministero dell’interno, con una dotazione di 12,7 miliardi, di cui il 47% destinato al mezzogiorno. Ma anche del dipartimento per la trasformazione digitale, guidato da Vittorio Colao, che dovrebbe indirizzare alle regioni meridionali il 45,9% degli oltre 10 miliardi che ha in gestione. Discorso simile per il ministero dell’istruzione, guidato da Patrizio Bianchi, che destinerà al sud il 44,3% dei 17,3 miliardi che gli sono stati attribuiti per il Pnrr.

Infine, anche il dipartimento per lo sport, al cui vertice si trova la sottosegretaria alla presidenza del consiglio Valentina Vezzali, ha rispettato l’obbligo, fermandosi tuttavia esattamente al 40%. In questo caso però le risorse nelle disponibilità della sottosegretaria sono decisamente più modeste (700 milioni).

I ministri indipendenti che non raggiungono la quota mezzogiorno

Ma non tutti i ministeri guidati da esponenti indipendenti dai partiti, hanno raggiunto gli stessi obiettivi. Stando alle informazioni attualmente disponibili arrivano molto vicini al 40% sia la ministra della giustizia Marta Cartabia (39,8%), a cui il Pnrr attribuisce circa 2,8 miliardi, sia la ministra dell’Università Maria Cristina Messa (39,6%), che ha in gestione ben 12,3 miliardi.

Un po’ sotto invece l’Ufficio terremoti (38,8%) e il dipartimento della protezione civile (37,2%). Nel primo caso la quota del 38,8% corrisoponde ai fondi destinati al territorio abruzzese, mentre le rimanenti sono rivolte ai territori colpiti dal sisma del 2016 (prevalente Marche, Umbria e Lazio) che si trovano principalmente nel centro-nord.

In fondo alla classifica dei ministri indipendenti poi troviamo Roberto Cingolani e il ministero della transizione ecologicaAnche questa struttura in effetti non è così lontana da raggiungere il traguardo, fermandosi al 37%. Tuttavia in questo caso si tratta del secondo ministero che in assoluto gestisce più risorse del Pnrr, ovvero oltre 39,2 milliardi di euro, quasi tutti con destinazione territoriale (38,6). Il 3% mancante dunque corrisponde in questo caso a oltre un miliardo di euro che potrebbe non contribuire a ridurre i divari territoriali tra nord e sud del paese.

Come per gli altri casi analizzati bisogna sempre tenere presente che le cifre indicate rappresentano in buona parte stime o proiezioni. In varie situazioni dunque è ancora possibile correggere la rotta. Nel caso di specie in effetti la relazione precisa come la quantificazione delle risorse destinate al mezzogiorno derivi per il 56% da stime dell’ministero interessato, per il 41% da proiezioni su dati di attuazione e per il 3% da procedure con riserva territoriale.

Guardando tra le molte misure attribuite a questo ministero inoltre è possibile notare come in diversi casi l’amministrazione abbia raggiunto o anche superato per quote considerevoli l’obiettivo del 40%. Tra queste ad esempio l’Utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate e Isole verdi, che in entrambi i casi indirizzano l’80% delle risorse al sud. Tuttavia si tratta di misure con dotazioni relativamente modeste se paragonate ai volumi in gestione al ministero della transizione ecologica.

A pesare sull’indicatore in effetti è in particolare una misura, che da sola rappresenta il 47% delle risorse nella disponibilità del ministero in ambito di Pnrr e Pnc.

32% la quota di risorse della misura “Ecobonus e Sismabonus” che secondo le proiezioni andrà al mezzogiorno.

Anche in questo caso si tratta di proiezioni. Tuttavia la misura è attiva già da prima della definizione del Pnrr. La proiezione dunque si basa proprio sui risultati ottenuti dall’amministrazione fino a gennaio 2022.

Foto: governo.it – Credit

 

Perché i correttivi sono importanti, anche per disciplinare i cambi di gruppo Riforme istituzionali

Perché i correttivi sono importanti, anche per disciplinare i cambi di gruppo Riforme istituzionali

Dopo il taglio dei parlamentari, le camere dovranno rivedere i loro regolamenti. Le proposte in discussione prevedono anche disincentivi alla mobilità dei parlamentari. Ma l’iter per l’approvazione dei correttivi prosegue a rilento.

 

Nelle ultime settimane uno dei temi maggiormente al centro del dibattito pubblico ha riguardato l’abbandono del Movimento 5 stelle da parte di Luigi Di Maio e di altri 60 parlamentari. Un passaggio politico che ha determinato una nuova impennata del fenomeno dei cambi di gruppo.

In molti a questo proposito hanno ricordato come proprio il ministro degli esteri in passato avesse duramente condannato il fenomeno, proponendo addirittura l’introduzione del vincolo di mandato per i parlamentari. Un’innovazione che però richiederebbe la modifica della costituzione dato che l’assemblea costituente, memore dell’esperienza del fascismo, aveva introdotto proprio la possibilità per i parlamentari di esercitare le loro funzioni in totale autonomia.

Il numero dei cambi di gruppo però negli ultimi anni è cresciuto a dismisura, motivo per cui anche nell’opinione pubblica è emersa la necessità di regolare il fenomeno. In effetti alcuni accorgimenti in questo senso potrebbero essere introdotti all’interno del processo di revisione dei regolamenti parlamentari. Uno dei correttivi necessari per assicurare l’efficace funzionamento delle camere a seguito del taglio dei deputati e dei senatori che diventerà effettivo a partire dalla prossima legislatura. Si tratta comunque di innovazioni abbastanza blande (specie alla camera) e che potrebbero non essere sufficienti per disciplinare il fenomeno.

A ciò si aggiunge il fatto che l’iter per l’approvazione di questo, come degli altri correttivi previsti, in larga misura è ancora lontano dalla sua conclusione. Il rischio è quindi che anche le innovazioni proposte in questo settore possano saltare o essere riviste al ribasso per facilitare l’accordo tra le diverse forze politiche.

Cosa sono i correttivi e perché sono indispensabili

A seguito dell’esito positivo del referendum sul taglio dei parlamentari, si sono rese necessarie una serie di riforme ulteriori volte a garantire l’operatività di camera e senato con i nuovi ranghi ridotti. Questo tema in particolare era stato posto dal Partito democratico come uno dei punti focali per il suo appoggio alla riforma costituzionale, fortemente voluta dal Movimento 5 stelle, e conditio sine qua non per la nascita del governo Conte II.

L’emergenza Covid e la caduta del governo Conte II hanno rallentato l’iter dei correttivi.

Con l’esplosione dell’emergenza coronavirus e successivamente la caduta del secondo esecutivo guidato da Giuseppe Conte però il tema è passato in secondo piano. Ma di quali correttivi stiamo parlando? Le modifiche necessarie possono essere così riassunte:

  • l’abbassamento della soglia d’età per il voto a palazzo Madama;
  • il superamento della base regionale per l’elezione del senato;
  • la riduzione da 3 a 2 delegati regionali per l’elezione del presidente della repubblica;
  • la revisione dei regolamenti di camera e senato.

Di questi interventi, ad oggi solo il primo è già stato completato. Il 4 novembre scorso è infatti entrata definitivamente in vigore la legge costituzionale 1/2021 che ha modificato l’articolo 58 della carta, equiparando gli elettorati di camera e senato. Gli altri aspetti invece sono ancora in discussione e l’iter appare lontano dal concludersi.

I regolamenti di camera e senato, un focus sui cambi di gruppo

Con la scissione interna al M5s guidata da Luigi Di Maio i parlamentari che hanno cambiato appartenenza nel corso dell’attuale legislatura sono diventati più di 400. Dobbiamo ricordare che la nostra costituzione riconosce il divieto di vincolo di mandato per i parlamentari. In questo modo i padri costituenti intendevano tutelare l’indipendenza e la libertà decisionale di deputati e senatori.

L’articolo 67 della costituzione prevede il divieto di mandato imperativo. Ogni parlamentare può aderire al gruppo che preferisce. Vai a “Che cosa sono i gruppi parlamentari”

Tuttavia il numero di riposizionamenti, specie nelle ultime 2 legislature, ha raggiunto livelli talmente consistenti da rendere il fenomeno inaccettabile agli occhi dell’opinione pubblica. Per questo motivo, in particolare il Movimento 5 stelle ma anche il Partito democratico avevano invocato l’introduzione di accorgimenti per cercare di scoraggiare questa pratica.

Anche per questo motivo le proposte di revisione dei regolamenti che sono in discussione in entrambi i rami del parlamento prevedono degli interventi su questo tema. Le innovazioni più rilevanti da questo punto di vista sarebbero introdotte al senato. Qualora il testo base approvato dalla giunta per il regolamento di palazzo Madama fosse licenziato dall’aula, sarebbero molte infatti le novità introdotte. Una delle più rilevanti riguarderebbe l’introduzione dell’istituto di senatore non iscritto a gruppi parlamentari. Una prassi in uso ad esempio all’interno del parlamento europeo e che in Italia è consentita solo ai senatori a vita. Questo status verrebbe attribuito automaticamente a ogni senatore dimissionario o espulso dal gruppo di appartenenza nel caso in cui non aderisca a un’altra formazione entro 3 giorni.

Con il nuovo regolamento inoltre l’incremento nella consistenza del gruppo parlamentare dovuto a cambi di appartenenza non andrebbe più ad incidere sulle dotazioni finanziarie e strumentali assegnate. I bilanci di camera e senato infatti prevedono l’erogazione di risorse ad ogni gruppo al fine di consentire lo svolgimento delle proprie attività istituzionali.

Si prevede inoltre l’abbassamento a 7 senatori della soglia per la costituzione di un gruppo autonomo che nasca all’inizio della legislatura. Mentre rimarrebbe a 10 per i gruppi nati in corso d’opera. Resta inoltre il vincolo di poter costituire formazioni che siano rappresentative di liste che si sono presentate alle elezioni. Anche se i casi di Italia viva, Costituzione, ambiente e lavoro e Insieme per il futuro dimostrano come questo vincolo sia facilmente aggirabile. Questi tre gruppi infatti sono nati in parlamento ma, con un’interpretazione estensiva del regolamento, è stata data loro comunque la possibilità di formarsi attraverso l’associazione con un’altra lista che effettivamente si era presentata alle elezioni. Si tratta rispettivamente del Partito socialista italiano, dell’Italia dei valori e di Centro democratico.

Un’altra innovazione volta a disincentivare la mobilità parlamentare riguarda il decadimento del senatore, in caso di cambio di gruppo, da componente del consiglio di presidenza, della giunta per il regolamento e della giunta per le elezioni e le immunità parlamentari. Anche il presidente del senato inoltre potrebbe decadere dall’incarico nel caso di un suo cambio di gruppo. La perdita del ruolo però non scatterebbe se il senatore coinvolto viene espulso, oppure il gruppo di appartenenza si scioglie o si fonde con altre formazioni.

Le revisioni dei regolamenti di camera e senato non introducono il divieto di cambio di gruppo.

Le innovazioni apportate alla camera invece appaiono più limitate da questo punto di vista. Nella proposta adottata come base per la discussione infatti innanzitutto non è prevista l’introduzione della figura del deputato non iscritto a gruppi. È previsto il decadimento di vicepresidenti e segretari dell’ufficio di presidenza che decidono di cambiare appartenenza, salvo i casi in cui il deputato venga espulso o il gruppo si sciolga per mancanza del numero minimo di aderenti. Non sono previsti disincentivi di natura economica per limitare la mobilità dei parlamentari. La soglia minima per costituire un gruppo autonomo alla camera scenderebbe da 20 a 14 aderenti. Resta la possibilità di formare gruppi anche successivamente all’inizio della legislatura. L’ufficio di presidenza inoltre può autorizzare l’esistenza di gruppi di numero inferiore, anche se con alcuni requisiti specifici (tra cui essersi presentati alle elezioni in almeno 20 circoscrizioni).

Come si può vedere quindi le proposte in discussione non prevedono un divieto esplicito né introducono limiti precisi al numero di cambi di gruppo che ogni parlamentare può fare nel corso della legislatura. Inoltre anche i disincentivi al riposizionamento, in particolare alla camera, appaiono abbastanza blandi.

Regolamenti parlamentari, a che punto siamo

Nel paragrafo precedente ci siamo focalizzati sugli strumenti predisposti per cercare di regolare il fenomeno dei cambi di gruppo. Ma a seguito del taglio dei parlamentari si è resa necessaria una revisione complessiva dei regolamenti al fine di assicurare il corretto funzionamento delle camere e degli organi che le compongono. Anche da questo punto di vista la proposta in discussione in senato non solo è più incisiva (sia numericamente che qualitativamente) ma si trova anche in uno stato più avanzato.

76 gli articoli dei regolamenti parlamentari potenzialmente interessati dai correttivi (45 per il senato e 31 per la camera), secondo Federalismi.

Dopo l’approvazione all’interno della giunta per il regolamento lo scorso 27 aprile infatti, il testo è adesso sottoposto all’assemblea con relatori Roberto Calderoli (Lega) e Vincenzo Santangelo (M5s). L’inizio della discussione in aula è stato calendarizzato per il prossimo 7 luglio. La proposta adottata va a rivedere le soglie numeriche previste dal regolamento e i quorum richiesti riducendoli sostanzialmente di un terzo. La proposta iniziale inoltre prevedeva anche la riduzione delle commissioni permanenti da 14 a 10 con un conseguente ampliamento del raggio d’azione di alcune di queste. Ma, dopo la discussione in giunta, questo aspetto è stato rimesso all’assemblea.

Per le revisione dei regolamenti parlamentari le giunte hanno optato per modifiche minimali.

A seguito della discussione degli emendamenti alla proposta, è stata prevista la possibilità di creare anche al senato il comitato per la legislazione, organo già presente alla camera. Anche se quest’ultimo avrebbe compiti differenti. Altro elemento degno di nota ha riguardato la bocciatura di un emendamento presentato dal senatore Davide Faraone che prevedeva l’introduzione del cosiddetto “voto a data certa”. Principio in base al quale prevedere una corsia preferenziale per le proposte di legge di iniziativa governativa in modo che queste potessero essere discusse ed eventualmente approvate in tempi brevi. I relatori del provvedimento però si erano detti contrari a questo emendamento. In linea generale infatti l’orientamento è stato quello di adottare solo le modifiche strettamente necessarie al funzionamento delle camere. Escludendo quindi eventuali revisioni dell’intero processo legislativo.

Come detto, alla camera invece l’iter è più indietro. Infatti deve ancora essere conclusa la discussione all’interno della giunta per il regolamento. Il testo presentato dai relatori è stato adottato durante la seduta della giunta dello scorso 27 aprile. Il termine per la presentazione degli emendamenti è scaduto l’11 maggio. Ma per il momento non risultano nuove convocazioni della giunta per il prosieguo della discussione.

Inoltre la portata della proposta appare più limitata rispetto a quella prevista dal senato. Infatti sono state semplicemente riviste le soglie numeriche e i quorum previsti dal regolamento. Anche in questo caso, come al senato, la riduzione è sostanzialmente di un terzo.

La proposta infine non interviene nemmeno nella ridefinizione del numero di componenti e delle competenze delle commissioni. Da questo punto di vista infatti si rinvia ad un “raccordo” con la proposta in discussione nella giunta del senato al fine di garantire una specularità tra le due camere. Tuttavia tale raccordo, come riportato nel resoconto della seduta del 17 febbraio, è ancora in fase embrionale.

La riforma della costituzione

Detto dei regolamenti parlamentari, vediamo a che punto sono gli ultimi due correttivi che ancora devono essere completati (riduzione del numero dei delegati regionali per l’elezione del presidente della repubblica e superamento della base regionale per l’elezione dei senatori). Entrambi sono affrontati all’interno di una proposta di legge di revisione costituzionale che vede come primo firmatario Federico Fornaro (Leu).

Dopo una lunga interruzione, la discussione è ripresa nella commissione affari costituzionali della camera che ne ha significativamente modificato l’impianto iniziale. È stato soppresso infatti l’articolo 2 che prevedeva la riduzione da 3 a 2 delegati regionali per l’elezione del presidente della repubblica. Mentre dopo un lungo dibattito è stato mantenuto il riferimento alla base circoscrizionale per l’elezione dei senatori (che lo stesso autore aveva proposto di rimuovere per rendere il testo costituzionale identico per entrambe le camere). Dopo l’approvazione del testo in commissione, il 28 marzo è iniziata la discussione in assemblea.

In questa occasione peraltro l’autore della proposta ha evidenziato che la modifica costituzionale non comporterebbe necessariamente l’obbligo di una revisione della legge elettorale. Questo perché la legge attualmente in vigore (il cosiddetto Rosatellum) si limita a identificare le regioni come circoscrizioni elettorali. Il testo presentato quindi permetterebbe un maggiore margine di manovra per il legislatore, con l’unico limite di non poter prevedere un’unica circoscrizione che racchiuda in sé l’intero territorio nazionale.

La proposta di legge è stata approvata dalla camera il 10 maggio e adesso proseguirà il suo percorso nella commissione affari costituzionali del senato. Dove però la discussione non è ancora iniziata.

L’importanza approvare i correttivi entro la fine della legislatura

Come abbiamo visto, la maggior parte dei correttivi deve ancora completare il proprio iter ma il tempo inizia a scarseggiare. Mancano pochi mesi ormai alla fine della legislatura e sarebbe importante che tutte le riforme necessarie trovassero compimento prima dell’insediamento delle nuove camere. Questo per evitare che, in una fase storica così complessa come quella attuale, deputati e senatori della XIX legislatura non debbano perdere mesi di tempo per rivedere i regolamenti.

Lo spazio per affrontare il tema dei correttivi appare molto limitato.

Questo obiettivo però non appare così semplice da raggiungere, anche per i molti impegni che vedranno coinvolti i parlamentari nelle prossime settimane. Dopo l’estate infatti camera e senato entreranno nella sessione di bilancio. Da ricordare inoltre che il parlamento è anche chiamato a fare la sua parte per quanto riguarda le riforme legislative previste dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), molte delle quali dovranno essere approvate entro la fine dell’anno.

Da questo punto di vista quindi lo spazio per occuparsi dei correttivi appare estremamente limitato. È forse anche per questo motivo che le giunte per il regolamento hanno scelto di apportare modifiche limitate: il minimo indispensabile per consentire il funzionamento delle camere. Una scelta probabilmente tesa a cercare di evitare eccessive divisioni tra le diverse forze politiche.

Allo stesso modo appare estremamente incerto il destino della legge elettorale, ferma nella commissione affari costituzionali della camera dal 10 settembre 2020. Anche se su questo punto specifico non sono da escludere accelerazioni improvvise nelle prossime settimane. Anche questo caso però conferma la difficoltà nel trovare un accordo tra le forze politiche per portare a compimento i correttivi.

Foto: senato

 

Quanto spendono i comuni per il funzionamento delle istituzioni Bilanci dei comuni

Quanto spendono i comuni per il funzionamento delle istituzioni Bilanci dei comuni

Si parla molto di limitazione dei costi della politica. Per i comuni, questi sono relativi a molti aspetti, dalle spese per il consiglio comunale alla comunicazione, fino agli altri organi istituzionali

 

Una delle spese iscritte a bilancio a qualsiasi livello governativo riguarda il funzionamento degli organi istituzionali, ovvero quelle strutture che garantiscono il funzionamento dell’ente stesso. È importante mantenere il giusto equilibrio tra rappresentatività e un livello di spesa sostenibile. Queste tematiche sono declinate anche in chiave locale.

Quando si parla di costi della politica, ci si riferisce ai costi del funzionamento delle istituzioni elettive e non. L’argomento ha anche una sua rilevanza a livello territoriale. In seguito al decreto-legge 95/2012, noto come “spending review”, sono stati istituiti dei contributi straordinari per i comuni che attuano fusioni, per incentivare la riduzione del personale all’interno di territori con numeri esigui di abitanti.

188 la differenza di comuni italiani tra il 2012 e il 2022 (Istat).

Dal 2012 al 2022 i comuni italiani sono passati da 8.092 a 7.904. Bisogna però ricordare che anche nelle aree più periferiche è importante avere una giusta rappresentanza delle comunità, dal momento che il comune in quanto ente di prossimità svolge funzioni importanti per la vita quotidiana dei cittadini.

Queste uscite si possono trovare all’interno dei bilanci.

Le spese per gli organi istituzionali vengono inserite all’interno del bilancio d’esercizio dei comuni. Sono comprese le uscite per l’ufficio del sindaco, i vari livelli degli organi legislativi comunali, il personale di consulenza, amministrativo e legislativo che viene affidato agli organi istituzionali e le attrezzature materiali di cui dispongono questi uffici.

Vengono inoltre inserite anche tutte le spese relative alle commissioni e ai comitati permanenti per lo sviluppo dell’ente in un’ottica di governance e paternariato. Infine, si comprendono tutte le uscite legate alla comunicazione istituzionale, tra cui i rapporti con gli organi di informazione, alle manifestazioni istituzionali e alle attività di difensore civico.

Se si analizzano le città italiane che superano i 200mila abitanti, quella che riporta le spese più rilevanti è Napoli con 77,37 euro pro capite. Seguono Palermo (53,66), Venezia (41,56) e Padova (38,62). I grandi comuni che spendono di meno registrano valori al di sotto dei venti euro pro capite. Si parla di Verona (17,22), Bologna (16,83) e Messina (13,91).

GRAFICO
DA SAPERE

I dati mostrano la spesa per cassa per organi istituzionali. Spese maggiori o minori non implicano necessariamente una gestione positiva o negativa della materia. Da notare che spesso i comuni non inseriscono le spese relative a un determinato ambito nella voce dedicata, a discapito di un’analisi completa. Tra le città italiane con popolazione superiore a 200mila abitanti, sono state considerate le 5 che hanno speso di più per la voce considerata nel 2020. Non viene preso in considerazione il dato di Palermo perché alla data di pubblicazione non risultano disponibili i bilanci consuntivi del 2018 e del 2019.

FONTE: openbilanci – consuntivi 2016-2020
(ultimo aggiornamento: lunedì 4 Luglio 2022)

 

Napoli è la città che riporta la spesa maggiore in tutti gli anni considerati. Si evidenzia però un calo costante, che parte dai 104,42 euro pro capite del 2016 fino ad arrivare ai 77,37 del 2020, con una variazione tra 2016 e 2020 pari al 25,90%. Gli andamenti delle altre tre grandi città risultano piuttosto stabili. Tra 2020 e 2019, sono due le città che riportano un aumento delle uscite: Padova (+6,17%) e Venezia (+0,82%). Al contrario, si registrano dei cali a Bari (-3,02%) e a Napoli (-10,40%).

Ampliando l’analisi a tutta la penisola, in media i comuni spendono 35,14 euro pro capite per il funzionamento degli organi istituzionali. Le amministrazioni che mediamente riportano le uscite maggiori sono quelle valdostane (123), altoatesine (64,08) e trentine (60,9). Al contrario, le spese minori sono registrate dai comuni dell’Emilia Romagna (21,16 euro pro capite), della Puglia (20,2) e del Veneto (17,44).

Tra tutti i comuni italiani, quello che spende di più è Rosello, in provincia di Chieti, con 1.266,45 euro pro capite. Seguono Sambuco (Cuneo, 812,60), Sauze d’Oulx (Torino, 800,90) e Rhemes-Notre-Dame (Aosta, 759,61).

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti di questa rubrica sono realizzati a partire da openbilanci, la nostra piattaforma online sui bilanci comunali. Ogni anno i comuni inviano i propri bilanci alla Ragioneria Generale dello Stato, che mette a disposizione i dati nella Banca dati amministrazioni pubbliche (Bdap). Noi estraiamo i dati, li elaboriamo e li rendiamo disponibili sulla piattaforma. I dati possono essere liberamente navigati, scaricati e utilizzati per analisi, finalizzate al data journalism o alla consultazione. Attraverso openbilanci svolgiamo un’attività di monitoraggio civico dei dati, con l’obiettivo di verificare anche il lavoro di redazione dei bilanci da parte delle amministrazioni. Lo scopo è aumentare la conoscenza sulla gestione delle risorse pubbliche.

Foto: palazzo San Giacomo – comune di Napoli

 

 

“S’intelligentzia de Elias”, straordinario romanzo in lingua sarda di Giuseppe Corongiu..

 

Francesco Casula Relata de de Frantziscu Casula
S’intelligentzia de Elias est unu romanzu chi tenet bator tragios, bator caratteristicas printzipales. Sa ‘e una: est unu romanzo grogu, unu thriller chi ti pigat e non ti lassat prus. Finas a s’acabbu. A comintzare dae sa pitzoca morta e fuliada in unu sutapassagiu de s’asse medianu de Casteddu. Su protagonista de su romanzu, Elias, unu giornalista, renessit a iscoviare chie est, gratzias a testimonias e ateras proas. Ma faddit: sa piloca identificada est viva. Est istau collonadu, imbrogliadu. E ant a comintzare pro Elias disacatos de cada ispessia e zenia E’ il primo deragliamento del romanzo. Altri ne seguiranno. Con continui colpi di scena. Proite a sa gente agradant sas furriadas de s’iscena. Sa ‘e duas: est unu romanzu eroticu. O mengius: bi sunt medas e largos tretos in ue s’autore contat (e cantat, in pazinas finas liricas) s’erotismu. E custa est una novidade manna, ca in sa tradizione iscritoria in limba sarda s’erotismu tenet pagu ispatziu. Calchi assembru. Amento a duos paras: Luca Cubeddu, patadesu e Baignu Pes, galluresu. Ambos duos cantant s’erotismu in sa poesia issoro ma semper suta cobertanztia, suta metafora. Amento galu a Efisio Pintor Sirigu, chi dedicat poesias intreas a s’erotismu ma peri issu suta metafora, in suspu. Pintoreddu (goi beniat giamadu) est unu grandu poeta casteddaiu, eroticu ironicu e ispassiosu, ma comente persona, non b’at omine (naramus nois in Ollolai e in Barbagia): difatis est unu de sos leader democaticos chi su 24 de abrile de su 1794 in Casteddu, in sa Die de s’aciapa, nche bogant sos Piemontesos, ma luego pro unu pratu de lentigias s’at a bendere a su poteriu sabaudu (li dant s’ingarrigu de podatariu, aministradore de unu feudu) e diventat unu de sos peus inimigos de Zuanne Maria Angioy e de sa rivolutzione antifeudale e antisabauda. Peri Cicitu Masala dedicat calchi tretu a s’erotismu, mescamente in su romanzu Il dio petrolio. Sa ‘e tres: est unu romanzu fantascientificu. Cun robot e roboteddos in donzi logu: in sos ufitzios, in sas iscolas, in sas redatziones de sos giornales. Cun roboteddos programados pro faeddare in sardu e cantare Dimonios e Nanneddu meu. Cun drones chi bardiant sas berbeghes e gasi su pastore podet sighire sa gama in su telefoneddu intelligente. Ma mescamente cun s’intelligentzia artifitziale e sos logaritmos aplicados a s’aministratzione in su compitu de sas detzisiones politicas…trampa manna manna chi cheriant parare a sa democrazia e a s’umanidade. Sa ‘e bator: est unu romanzu distopicu. In sa traditzione literaria sarda su prus si contat e si cantat una Sardigna bella e galana, cun pastores e bandidos, mare e maghia. Una Sardigna esotica e folcloristica cun binnennas e tusorgios. Cun sardos eroes e fortes chi non tzedent mancu pro sa morte. A narrere sa beridade tocat peroe de amentare puru su chi at iscritu Cicitu Masala: chi pro s’Istadu italianu sos sardos sunt eroes ma sceti in gherra, ca in tempos de paghe abarrant semper bandidos! Pro la fagher in curtzu una Sardigna chi praghiat meda a David Herbert Lawrence chi chircaiat in Sardigna sardos primitivos e farastigos. Sa Sardigna de custu romanzu est imbetzes un’Isula cun industrias fallidas ca ant confusu sa modernizaztione cun sa colonizatzione italiana. Ispopulada. Una prataforma boida. Unu logu negadu, Una natzione ismentigada. Una limba pratzida in tribalismos. In prus a dolu mannu est dae su 1861 ingurtida aintro de s’Italia e duncas nemos la connoschet. Ca sos italianos l’ant cuada e intro l’ant fatu dannu ebbia guvernende°la male e guastende sas élites e su populu. Imaginade chi nde ant aurtidu finas sa limba…Cun s’indipendentzia forsis si diat fàghere connòschere de prus….E sos sardos sunt arretrados meda meda dae cando sunt italianos. De s’Italia nd’ant leadu totu sos vitzios… Podimus nàrrere chi l’ant guvernada semper metzanos chi faghiant àteros interessos. Nudda de nou: una colonia interna. Ma est totu inoghe su romanzu? No, pro nudda. Comente at iscritu, in una bella retzensione Zuanne Follesa (in s’Unione Sarda de su 31 de maju colau) “attraverso Elias l’autore, manifesta una visione del mondo”, duncas, una bera e propia Weltanschauung. Cun pessos pessamentos e meledos, longos e fungudos, subra sa cultura, sa limba e s’identidade sarda ma peri subra sos politicos e sos intelletuales cun giuditzios, “fulminanti e apodittici” narant in italianu: Sa Sardigna? In morientzia. Fallida. Unu campusantu. Sa classe politica? Timorosa, umile e finas tzeraca. Un mafiedda locale: ca sos politicos no ant mai persighidu su bene de sa comunidade issoro e ant semper chircadu de si béndere sas resursas de s’ìsula a sos istràngios pro s’irrichire issos. In passadu los aiant definidos “Borghesia compradora o notarile”. E sos intelletuales? S’assembru prus mannu est impersonadu dae su babu de Elias, su Professore, amasesadore de sa limba sarda cun sa poesia dialetale e popolare. Imbonidore e imbovadore de sardidade petzi antropologica. Un’intelletuale chi reduit sa cultura e s’identidade a folclore, chi no istorbat a nemos, una borta chi est bestida a mustajone, una borta chi est amasedada e caratzada. Un intellettuale conformista chi reduit sa limba a frastimu de tzeracas, aurtindela. Bene totu custu est de importu e de interessu mannu. Ma a pàrrere meu sa calidade majore de custu romanzu no est petzi (o mesche) in su chi contat ma in su comente contat: est a narrere in su limbagiu. Deo non so crocianu e galus prus pagu d’annuntzianu: ca no est beru chi “il verbo è tutto”. E non si podet reduire sa paraula – comente su prus de sas bortas faghet D’Annuntzio – sceti a mudongiu o indoru, musica o mazine subrabundante, simple frutu esteticu lughente e pomposu. Ma in una faina literaria sa paraula est comentecasiat de importu mannu. E ateretantu sa “forma”, in custu romanzu semper bene castiada e coidada. Ca in segus de S’intelligentzia de Elias b’est una chirca longa e funguda, unu triballu, unu “lavorio” pro la narrere in italianu, unu “labor limae”, in latinu, chi no acabat prus. Ca s’Autore at chertziu iscriere unu romanzu de calidade leteraria e estetica arta. Si licet parare magna cun parvis, m’amentat Araolla, chi in s’opera sua ue cheriat “ripulire sa limba sarda pro la magnificare e l’irrichire”. Pepe Corongiu de custu romanzu nde cheret faghere un’opera literaia illustre: mescamente gratzias a una limba rica in ue sas paraulas sunt prenas de significados (pregnanti) e de simbulos. Comente sos conchizus chi puru cando parent boidos si los ascurtas bene podes intendere chi in intro b’at su mare, antzis, s’otzeanu. Ma non b’at sceti paraulas in su romanzu ma unu muntone de maginas (Gosaiat che sue in s’arula cun su verre maistru); analogias, leadas subratotu dae su mundu animale e vegetale e dae sa vida fitiana (Sas notes fiant che istojas de pensamentos); metaforas e cobertanztias (Aiat comintzadu a aboghinare che a unu canargiu in cassa. O unu bendidore de lissa in sas bangas de su mercau); onomatopeas (intzitziligadu, istrichibidatzu, apistighingiare); brachilogias, dicios (caddu meu non ti morgias, su ferraine est giai ghetadu; s’issolvet che neula cando essit su sole a s’arvèschida); apoftegmas meda sabias (Como s’edade est avantzada ma non s’ischit si illonghiat sa vida o si illonghiat sa betzesa e sas maladias). Su romanzu est iscritu in limba sarda comuna (LSC). No est su primu: giai Zuanne Franztiscu Pintore (in medas romanzos) e Zuanne Piga (in Sa vida cuada), pro ammentare duos iscritores de giudu, l’ant impreada. E no est mancu de su totu una novidade a cunfrontu de sa traditzione literaria illustre sarda, ca depimus ischire chi peri sos primos poetas e iscritores in sardu (dae Antoni Canu a Zuanne Mateu Garipa a Zeronimu Araolla) ant chircau de iscriere in una limba chi non fit unu dialetu locale. Gai etotu faghent Diegu Mele, Peppino Mereu e Montanaru: chi no iscrient in ortzaesu e tonaresu o desulesu ma in unu sardu chi oe podimus narrere “comune”. Antzis Montanaru si ponet su problema de una “lingua nazionale sarda unitaria” e nde faeddat in su “Diariu”, a dolu mannu, mai publicadu. Pro cuncruire: chie est Elias Dessanay, su protagonista de su romanzu? Est forsis s’Autore etotu? Nessi in cussu ritratu chi nd’essit: Creativu abistu ideaticu e reverde, semper in chirca de segare sa matza a su poteriu? Eja e nono. A pàrrere meu una faina literaria si fundat subra sa vida personale e colletiva, sena peroe ismentigare sa fictio (e duncas s’imaginatzione e sa libera creadividade) chi b’est in cada chistione literaria. Chergio narrere chi una faina literaria, puru si no est istesiada dae s’istoria e s’alimentat de datos personales e de sas isperientzias de sa vida de s’autore e duncas espressat s’istoria sua de s’anima e de sas ideas, non si depet limitare a las contare e a las filmare custas esperientzias, ma las depet annapare e bendare. Carotandelas cun cobertantzas e assignendelis sos sinnos de una conditzione umana prus universale, ispurpende e ispuntende sa conditzione pretzisa e isvanessende sa dimensione temporale e ispatziale pro nde faghere una ocasione de epifania rispetu a sa realidade etotu: comente faghet in custu romanzu s’autore.