Archivi giornalieri: 1 luglio 2022

il manifesto

Ballottaggi, successo del centrosinistra: conquistate alle destre Verona, Monza, Catanzaro, Piacenza e Alessandria

CITTÀ AL VOTO. Trionfo di Damiano Tommasi nella città dell’arena. Il centrodestra si prende Lucca e mantiene Frosinone e Barletta. Letta esulta: vince una politica seria e lineare
<img src="data:;base64,” alt=”” />Ballottaggi, successo del centrosinistra: conquistate alle destre Verona, Monza, Catanzaro, Piacenza e Alessandria
Damiani Tommasi, neosindaco di Verona – Ansa
 

Vittoria netta del centrosinistra ai ballottaggi delle comunali. Pd e alleati conquistano quattro città che erano delle destre: Verona, Catanzaro e Alessandria e Piacenza. E ancora Parma e, Cuneo (che era già governata dai progressisti). Il centrodestra mantiene il governo di Gorizia, Frosinone e Barletta. A Como a sorpresa vince l’indipendente Alessandro Rapinese contro la dem Patrizia Minghetti, a Viterbo si impone la candidata civica Chiara Frontini, ancora contro una candidata di centrosinistra, Alessandra Troncarelli.

Molto significativi i risultati di Verona e Catanzaro, considerati feudi del centrodestra. Nella città veneta si impone l’ex calciatore Damiano Tommasi con il 53,3% contro il 46,6% del sindaco uscente di Fdi Federico Sboarina, che aveva rifiutato l’appoggio di Flavio Tosi. “Mi auguro che la gente possa prendersi il ruolo di protagonista a Verona, perchè la città lo merita. Io spero di essere parte di questo progetto in maniera importante», il commento di Tommasi.

«Tutto questo entusiasmo – ha aggiunto Tommasi, sovrastato dall’esultanza dei sostenitori – si spiega con il fatto che non era semplice, e non lo sarà. Ma ci siamo messi in gioco per fare una cosa che Verona aspettava da tempo. E siamo pronti anche alle cose difficili».

Così a Catanzaro: Nicola Fiorita ha ribaltato i pronostici e si è imposto con un largo 58,7% contro 41,3% del candidato sostenuto dal centrodestra Valerio Donato. Al primo turno Donato era in netto vantaggio (44% contro 31,7%). “Ci ho sempre creduto, il nostro è un progetto che viene da lontano… Gli avversari hanno fatto un disastro, ci hanno aiutato, ma la verità è che questa città voleva cambiare.»

Clamoroso il risultato che si profila a Monza: il sindaco uscente Dario Allevi del centrodestra (47,5% al primo turno) è indietro rispetto a Paolo Pilotto, outsider di centrosinistra che si era fermato sotto il 40% al primo turno. Con 78 sezioni scrutinate su 100 Pilotto è avanti con il 51,1% contro il 48,5%.

Molto netto il successo di Michele Guerra a Parma: il candidato sostenuto dal centrosinistra e dall’ex sindaco Pizzarotti stravince col 66%. Anche Piacenza torna a sinistra con Katia Tarasconi che batte la sindaca uscente Patrizia Barbieri col 53,5%.

Lucca (che veniva da una giunta di sinistra) va in controtendenza: al fotofinish Mario Pardini del centrodestra (sostenuto al ballottaggio anche dal candidato legato a CasaPound) la spunta su Francesco Raspini per un pugno di voti: 50,8% contro 49,2%.  In Toscana il centrosinistra vince a Carrara: Serena Arrighi batte col 57,2% Simone Caffaz, che aveva ottenuto al ballottaggio il sostegno del renziano Cosimo Ferri (15% al primo turno).

Molto soddisfatto Enrico Letta: «Alla fine paga la linearità e la serietà: vinciamo perché la responsabilità è più importante di tutto, in questo momento difficile serve una politica che sia seria e lineare. Il campo largo è stato preso in giro ma questa strategia paga. Le prese in giro si sono rivoltate contro chi le faceva perché vinciamo e in modo convincente.  Perde male il centrodestra per scelte incredibili, scegliendo fuoriusciti del centrosinistra, penso a Catanzaro». «Questo risultato ci rafforza in vista del futuro, della costruzione di un centrosinistra che sia vincente anche a livello nazionale per le politiche dell’anno prossimo

Nel complesso, Pd e alleati vincono in 7 su 13 città al ballottaggio, 4 vanno al centrodestra e 2 a formazioni civiche. Contando anche il primo turno, quando le destre avevano vinto a Palermo, Genova, L’Aquila e altri sei capoluoghi, il risultato finale è 13 per il centrodestra (5 anni fa erano 19), 10 per il centrosinistra e tre civiche (Messina, Como e Viterbo). Nel 2017 il centrosinistra aveva vinto solo in sei capoluoghi.

RIFORMA PENSIONI 2022/ Sbarra (Cisl): sistema va cambiato e reso più flessibile

RIFORMA PENSIONI 2022/ Sbarra (Cisl): sistema va cambiato e reso più flessibile

Riforma pensioni, le parole di Luigi Sbarra, Segretario generale della Cisl, dopo il varo del decreto bollette da parte del Governo

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LE PAROLE DI SBARRA

La Cisl attende di conoscere i dettagli del decreto approvato ieri dal Governo con lo scopo di ridurre il peso delle bollette per gli italiani anche nel terzo trimestre dell’anno. Secondo il Segretario generale Luigi Sbarra, occorre “mettere in campo misure forti e strutturali per rilanciare i redditi ed il potere di acquisto di lavoratori, pensionati e famiglie, gestire e controllare le tariffe pubbliche, valorizzare e defiscalizzare la contrattazione, alleggerire il carico fiscale sulle fasce medie e popolari del lavoro e delle pensioni”.

 

Inoltre, “il sistema previdenziale va cambiato e reso più flessibile, inclusivo, socialmente sostenibile, occorre accelerare gli investimenti pubblici e privati  ed avviare un grande piano sulle politiche attive, formazione e crescita delle competenze per elevare quantità, stabilità, qualità e sicurezza dell’occupazione. Capitoli che vanno declinati dentro il quadro di un accordo organico a cui la Cisl vuole dare la forma di un moderno patto sociale”.

LE PAROLE DI ERIKA STEFANI

Come riporta quotidianosanita.it, durante il question time alla Camera, la ministra per la Disabilità Erika Stefani ha spiegato che “durante l’esame della legge di bilancio, avevo anche condiviso e sostenuto gli emendamenti che proponevano un incremento delle pensioni di invalidità parziale dal 79 al 99 per cento.

Come è noto, la sentenza n. 152 del 2020 della Corte Costituzionale ha disposto il cosiddetto ‘incremento al milione’ per gli importi percepiti dagli invalidi civili totali, dai ciechi assoluti e dai sordi. Tuttavia, tali incrementi non riguardano coloro che, pur non essendo invalidi al 100 per cento, sono in condizioni svantaggiate. Pertanto, per fare fronte a questa situazione, mi sono attivata insieme con il Ministro del Lavoro, inserendo nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2022, tra i disegni di legge collegati al bilancio, una delega legislativa volta al riordino e all’incremento delle pensioni di invalidità proprio di questo range” e “ciò ci si inserisce, ovviamente, in un contesto di maggiore attenzione da parte del Governo alle politiche in favore delle persone con disabilità”.

PENSIONI DI GUERRA VERSO L’AUMENTO

Come riporta isnews.it, “con l’accoglimento di due ordini del giorno di M5S, Lega e Forza Italia, il Sottosegretario Sartore si è impegnata, a nome del Governo, a rivedere gli importi delle pensioni di guerra”.

Michele Vigne, Presidente dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, promotrice della proposta di aggiornamento, ha ringraziato i senatori che si sono impegnati per “portare all’attenzione del Governo una problematica che, contrariamente a quello che comunemente si crede, tocca ancora oggi decine di migliaia di famiglie”. Il Sottosegretario al Mef Alessandra Sartore si è impegnata “ufficialmente e formalmente a nome dell’Esecutivo a prevedere, in sede di presentazione del prossimo disegno di legge di bilancio, l’incremento del 10 per cento, dal 1° gennaio 2023, di tutti i trattamenti pensionistici di guerra. Una categoria che, ahimè, annovera ancora molti giovani a causa dei numerosi ordigni bellici inesplosi disseminati ancora oggi nel nostro Paese”. Francesco Faccenda, Presidente ANVCG Molise, ha ricordato che “le pensioni di guerra sono al minimo da oltre 30 anni”.

LA RICHIESTA DELL’ANP-CIA

Le pensione di luglio porta in dote a molte italiani la quattordicesima e il bonus una tantum da 200 euro. Misure che, secondo l’Anp-Cia, “non sono sufficienti in questa fase, ma restano misure tampone a cui vanno affiancati provvedimenti strutturali.

Occorre, per esempio, aumentare le pensioni al minimo almeno a 780 euro; modificare i criteri di accesso alle pensioni di cittadinanza; adeguare le modalità di indicizzazione delle pensioni per difendere il potere d’acquisto degli anziani, che è calato già del 4 per cento; istituire una pensione di garanzia per i giovani”. Secondo la vicepresidente nazionale di Anp-Cia, Giovanna Gazzetta, occorrerebbe anche una misura di riforma pensioni che modifichi “le regole previdenziali per le donne, oggi assai penalizzanti. Ricordiamo, infatti, che la quattordicesima ha un importo variabile a seconda della contribuzione con cui è stata liquidata la pensione, elemento che penalizza le donne, che hanno alle spalle una carriera lavorativa spesso discontinua”.

RIFORMA PENSIONI, LE SIMULAZIONI SUI VERSAMENTI ALLA COMPLEMENTARE

MF- Milano Finanza ha cercato recentemente di capire, tramite delle simulazioni affidate alla società di consulenza indipendente Smileconomy, quanto occorrerebbe versare ogni mese in un fondo pensione per arrivare poi a un’integrazione che consente, insieme alla normale pensione, di ricevere un importo pari allo stipendio percepito durante la vita lavorativa. “Ad un trentenne con un reddito di 1.500 euro netti possono bastare cifre mensili tra i 149 euro (dipendente che ha scelto una linea del fondo pensione con rischio medio) e i 261 euro (autonomo con una linea a rischio basso). Per un quarantenne da 2.000 euro netti, le cifre salgono tra i 402 euro (dipendente con rischio medio) ed i 693 euro (autonomo con rischio basso)”.

L’IMPORTANZA DEL FATTORE TEMPO

Spostandosi più in là con l’età, “per i 50enni e soprattutto i 60enni, naturalmente le cifre salgono molto, sia perché sale il reddito, sia perché si ipotizza che il piano per raggiungere l’obiettivo 100% inizi oggi”. Il fondatore di Smileconomy Andrea Carbone evidenzia che “le elaborazioni confermano i punti fermi di ogni ragionamento previdenziale: il valore del tempo e l’aiuto che può offrire il rendimento dei mercati”. Appare chiaro in ogni caso che “costanza di versamenti e iscrizione alla previdenza complementare in giovane età permettono senza costi eccessivi di arrivare al traguardo di quota 100, ovvero all’obiettivo di avere con i versamenti ai fondi pensione, un tasso di sostituzione (ovvero il rapporto tra primo assegno previdenziale atteso, tra parte pubblica e privata, e ultimo stipendio) del 100%”.

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Decreto Semplificazioni: come cambia l’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

Decreto Semplificazioni: come cambia l’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

 

L’articolo 7 del decreto-legge n. 73 del 21 giugno 2022 interviene sulla validità dell’attestazione della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto a canone concordato all’accordo territoriale stipulato: viene estesa la validità dell’attestazione a tutti i contratti di locazione stipulati dopo il suo rilascio, anche se relativi al medesimo immobile, fino a eventuali variazioni delle caratteristiche dell’immobile o dell’accordo territoriale del comune a cui si riferisce.

     Indice

  1. Il decreto cd. semplificazioni fiscali
  2. Modifica della validità dell’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

1. Il decreto cd. semplificazioni fiscali

Dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2022, il Decreto cd. “semplificazioni fiscali” (decreto-legge n. 73 del 21 giugno 2022) è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 giugno e sta per principiare l’iter parlamentare per essere convertito in legge. Il testo contiene misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali, tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali, nonché varie proroghe per adempimenti fiscali.

2. Modifica della validità dell’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

All’esordio del Capo II (recante “Semplificazioni in materia di imposte dirette”) l’articolo 7 contiene una novella di assoluta rilevanza per i contratti di locazione a canone concordato non assistiti dalle associazioni di categoria della proprietà edilizia e dei conduttori. In particolare, il comma I interviene sulla validità dell’attestazione della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo territoriale stipulato. Attestazione siffatta, all’attualità, è rilasciata dalle suddette associazioni di categoria con riferimento a ogni contratto stipulato, pure se relativo allo stesso immobile. Le disposizioni di cui all’articolo 7 in disamina, invece, estendono la validità di tale attestazione, al pari dell’attestato di prestazione energetica (APE), a tutti i contratti di locazione stipulati successivamente al suo rilascio, anche se relativi al medesimo immobile, fino ad eventuali variazioni delle caratteristiche dell’immobile stesso o dell’accordo territoriale del comune a cui si riferisce. Per l’effetto, il succedersi tra più conduttori non determina più l’obbligo di replicare l’attestazione, a meno che non intercorra uno dei due eventi richiesti dalla novella:

  • variazioni delle caratteristiche dell’immobile locato,
  • variazioni dell’accordo territoriale del comune a cui si riferisce.

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Le problematiche rilevate nell’indagine conoscitiva sui discorsi d’odio Hate speech

Le problematiche rilevate nell’indagine conoscitiva sui discorsi d’odio Hate speech

È conclusa l’indagine conoscitiva sui discorsi d’odio, iniziata nel maggio 2021 dalla commissione straordinaria guidata da Liliana Segre. Le due principali sfide individuate nel documento conclusivo sono la definizione chiara del fenomeno e un intervento normativo nel mondo digitale.

 
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La commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, istituita nel 2019 per volere di Liliana Segre (che ne è presidente) ma attiva soltanto dall’aprile 2021, si occupa delle leggi e delle iniziative relative al tema dell’intolleranza.

Nella seduta n.2 del 20 maggio 2021 è stato approvato all’unanimità l’avvio da parte della commissione di un’indagine conoscitiva sulla natura, cause e sviluppi recenti del fenomeno dei discorsi d’odio, con particolare attenzione alle evoluzioni della normativa europea in materia, e a giugno 2022 l’indagine è stata conclusa.

Nel documento conclusivo, sono identificate due sfide principali a riguardo. Da una parte, introdurre una definizione chiara e trasparente di “hate speech”, anche da un punto di vista normativo. Dall’altra, un intervento specifico nell’ambito dell’odio online.

Il documento esplora prima di tutto il problema della definizione, per poi passare in rassegna gli strumenti già esistenti per contrastare i discorsi d’odio, a livello internazionale, europeo e italiano, e il contesto normativo. Entrando nel merito degli specifici gruppi bersagli dei discorsi d’odio, analizzando le loro peculiarità, e soffermandosi anche sul problema delle piattaforme digitali.

Delimitare la nozione di “hate speech”

Il primo problema individuato dalla commissione è la mancanza di una definizione giuridica univoca, sia in Italia che in Ue, del fenomeno dell’hate speech. Il principale ostacolo, quando si cerca di definire i discorsi d’odio, è che la libertà di opinione è un diritto fondamentale all’interno di una democrazia.

Ad oggi non esiste una definizione internazionale univoca di hate speech o discorso d’odio. Vai a “Che cos’è l’hate speech e com’è regolamentato”

A differenza del costituzionalismo liberale statunitense però il costituzionalismo europeo riconosce la categoria dell’abuso di diritto. In diverse istanze infatti l’uguaglianza, la dignità, l’onore e la reputazione sono stati affermati come diritti che di fatto possono limitare la libertà di espressione di un altro.

Dalle audizioni è emerso che si è certamente sempre liberi di odiare e che il sentimento d’odio va distinto dai discorsi d’odio. La libertà di odiare non equivale, infatti, alla libertà di manifestare espressioni d’odio […]

Caratteristica fondamentale dei discorsi d’odio è infatti che essi sono pericolosi. Oltre a ferire le persone contro cui sono diretti, fungono da valvola di sfogo per pulsioni antisociali che possono dilagare. Anche se tutelare la libertà di esprimere dissenso, disagio e malcontento rimane cruciale.

I discorsi d’odio limitano la libertà di espressione delle vittime.

Come illustra il documento conclusivo, l’hate speech va inteso come più di una semplice contrapposizione tra due diritti – il diritto di libera espressione da un lato e quello alla dignità dall’altro. Esso può essere più efficacemente compreso come uno stesso diritto, esercitato da due soggetti, la cui espressione in uno può limitare l’altro. Difatti l’odio calpesta la libertà di espressione della vittima, sino anche a impedirle di denunciare il reato subito, per vergogna, timore, paura di non incontrare supporto – come dimostrato anche dal fenomeno dell’under-reporting, ovvero il fatto che i reati denunciati sono di entità nettamente inferiore rispetto a quelli compiuti.

L’odio online e le sue peculiarità

Il documento si sofferma anche sulle modalità di diffusione dell’odio, e in particolare su quelle digitali – anche se è importante sottolineare che l’hate speech è caratteristico anche dei media tradizionali.

I discorsi d’odio online hanno caratteristiche peculiari.

Online, l’odio rimane attivo più a lungo, si presenta in diversi formati ed è facilitato dalla generale percezione di anonimato e impunità. Inoltre è transnazionale, il che rende più complesso individuare i meccanismi legali idonei per combatterlo. Gli algoritmi poi distorcono ulteriormente le notizie, creando dei veri e propri filtri cognitivi. Oltre al fatto che la comunicazione digitale è più veloce, e che genera effetti a catena.

A questo si aggiunge il fatto che le piattaforme esercitano ormai un enorme potere che non è solo sociale, ma anche economico, politico e tecnologico. Sono capaci di orientare il dibattito pubblico, come fossero un organo politico.

Questo espone ad un rischio gigantesco il rapporto tra infrastrutture digitali e sistemi democratici: la libertà di espressione online finisce per dipendere dalle piattaforme, con ruolo potenzialmente alternativo allo stato.

Al momento, lo strumento principale in questo senso è il codice di condotta dell’Ue, del 2016. A livello nazionale, l’Agcom ha introdotto un analogo regolamento su segnalazione e moderazione di contenuti d’odio.

Ma è necessario un ulteriore intervento normativo specifico. La commissione straordinaria propone in questo senso l’introduzione di un regolamento sui servizi digitali (Dsa) che possa in futuro costituire una base normativa comune per tutti i paesi membri, oltre che, per l’Italia, di un osservatorio nazionale permanente sui discorsi d’odio e i crimini d’odio. Sostenendo inoltre la necessità di promuovere una regolamentazione internazionale sull’anonimato.

Come raccogliere dati e monitorare?

Come evidenzia la commissione, i discorsi d’odio costituiscono una sfida per la statistica ufficiale. In primis proprio per via della difficoltà di definizione e per la complessità del fenomeno. In questo senso l’indagine conoscitiva ha portato alla conclusione che è necessario definire e implementare una metodologia comune e un coordinamento a livello europeo per la raccolta dati e il monitoraggio.

Da un punto di vista giuridico, ci sono i dati sui procedimenti penali sui crimini d’odio. Tuttavia, siccome al momento non è riconosciuta come aggravante la discriminazione basata sul sesso, sul genere, sull’identità e sull’orientamento, i dati di questo genere sono disponibili ma solo per le vittime di crimini di matrice razzista o xenofoba.

+33 i procedimenti per discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi nel 2018, rispetto al 2010.

Dal 2010 al 2018 è aumentato soprattutto il numero di procedimenti per discriminazione, odio o violenza basate su pregiudizio etnico, razziale, nazionale o religioso, passati da 65 a 98. Anche i casi di apologia del fascismo, seppure meno numerosi, sono aumentati molto significativamente, passando in questo stesso lasso di tempo da 11 a 25.

Per quanto riguarda invece l’aggravante per atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il picco è stato raggiunto nel 2015, quando sono stati registrato 282 casi. La cifra è poi andata gradualmente diminuendo, ma il 2020 ha rappresentato un incremento rispetto all’anno precedente (+16 casi).

Oltre a questi dati, rilevati dalle autorità giudiziarie, Istat fa anche misurazioni relative agli stereotipi, alla percezione dei ruoli sociali e alla consapevolezza della discriminazione – per tutte le categorie considerate vulnerabili: donne, popolazione Lgbt, stranieri, immigrati e comunità rom e sinti. Oltre a registrare l’adozione di misure per garantire una maggiore diversità nell’ambiente lavorativo.

L’ambito di diversità rispetto a cui più aziende adottano misure è quello relativo alla disabilità: se ne occupa circa il 16% delle aziende, più di 1 grande azienda su 5. Seguono le misure per la parità di genere (13%) e per la diversità di età (10%). Agli ultimi posti invece le differenze di cittadinanza, nazionalità o etnia e appartenenza religiosa, su cui meno del 10% delle aziende implementa misure.

Nel contesto dell’indagine conoscitiva, Istat vuole inoltre avviare nel 2022 una indagine pilota sulle discriminazioni da realizzare poi nel corso del 2023, per stabilire l’adeguatezza degli aspetti tecnici di misurazione dei fenomeni discriminatori.

Insomma ‘indagine conoscitiva ha portato alla conclusione che sul tema dei discorsi d’odio sono ancora necessari degli interventi, anche a livello normativo. Come abbiamo recentemente raccontato riguardo alle leggi che espandono i diritti individuali, manca però meno di un anno alla fine della legislatura attuale e quindi il tempo a disposizione è ridotto.

 

Il sostegno della Commissione europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un’approvazione del contenuto, che riflette esclusivamente il punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per l’uso che può essere fatto delle informazioni ivi contenute.

 

Foto: Senato – licenza

 

Decreto Semplificazioni: come cambia l’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

Decreto Semplificazioni: come cambia l’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

 

L’articolo 7 del decreto-legge n. 73 del 21 giugno 2022 interviene sulla validità dell’attestazione della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto a canone concordato all’accordo territoriale stipulato: viene estesa la validità dell’attestazione a tutti i contratti di locazione stipulati dopo il suo rilascio, anche se relativi al medesimo immobile, fino a eventuali variazioni delle caratteristiche dell’immobile o dell’accordo territoriale del comune a cui si riferisce.

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  1. Il decreto cd. semplificazioni fiscali
  2. Modifica della validità dell’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

1. Il decreto cd. semplificazioni fiscali

Dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno 2022, il Decreto cd. “semplificazioni fiscali” (decreto-legge n. 73 del 21 giugno 2022) è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 giugno e sta per principiare l’iter parlamentare per essere convertito in legge. Il testo contiene misure urgenti in materia di semplificazioni fiscali, tesoreria dello Stato e ulteriori disposizioni finanziarie e sociali, nonché varie proroghe per adempimenti fiscali.

2. Modifica della validità dell’attestazione per i contratti di locazione a canone concordato

All’esordio del Capo II (recante “Semplificazioni in materia di imposte dirette”) l’articolo 7 contiene una novella di assoluta rilevanza per i contratti di locazione a canone concordato non assistiti dalle associazioni di categoria della proprietà edilizia e dei conduttori. In particolare, il comma I interviene sulla validità dell’attestazione della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all’accordo territoriale stipulato. Attestazione siffatta, all’attualità, è rilasciata dalle suddette associazioni di categoria con riferimento a ogni contratto stipulato, pure se relativo allo stesso immobile. Le disposizioni di cui all’articolo 7 in disamina, invece, estendono la validità di tale attestazione, al pari dell’attestato di prestazione energetica (APE), a tutti i contratti di locazione stipulati successivamente al suo rilascio, anche se relativi al medesimo immobile, fino ad eventuali variazioni delle caratteristiche dell’immobile stesso o dell’accordo territoriale del comune a cui si riferisce. Per l’effetto, il succedersi tra più conduttori non determina più l’obbligo di replicare l’attestazione, a meno che non intercorra uno dei due eventi richiesti dalla novella:

  • variazioni delle caratteristiche dell’immobile locato,
  • variazioni dell’accordo territoriale del comune a cui si riferisce.

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Curatore speciale del minore: raccomandazioni del CNF

Curatore speciale del minore: raccomandazioni del CNF

 

Le norme della riforma Cartabia (Legge 206/2021) in tema di Curatore speciale del minore, entrate in vigore il 22 giugno, sono oggetto delle Raccomandazioni espresse dal CNF in apposito documento apparso sul sito istituzionale.

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>>>Leggi il documento del CNF<<<

1. La guida

Il Curatore speciale, nominato dal giudice e incaricato di rappresentare e assistere un minore nei procedimenti ove, pure solo astrattamente, sussiste l’ipotesi di un conflitto di interessi tra e con le parti, ovvero con i genitori, è la figura destinataria di alcune norme della riforma sul processo civile (cd. Cartabia), e che ha indotto il CNF a diffondere alcune “raccomandazioni” per gli avvocati chiamati a svolgere tale funzione. In particolare, il CNF, su proposta della Commissione diritto di famiglia, e col contributo delle associazioni specialistiche di riferimento, ha elaborato una breve guida con delle raccomandazioni, ispirate ai principi generali del codice deontologico forense che informano l’esercizio dell’attività dei professionisti legali.

2. Le modifiche all’art. 78 c.p.c.

Il c. 30 dell’art. 1 della legge di riforma interviene sull’art. 78 c.p.c., per estendere la possibilità per il giudice di procedere alla nomina del curatore speciale del minore e, tale nomina, in alcuni specifici casi, deve da considerarsi obbligatoria, pena la nullità degli atti del procedimento. In particolare, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

“Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento:

1) con riguardo ai casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell’altro;

2) in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell’articolo 403 del codice civile o di affidamento del minore ai sensi degli articoli 2 e seguenti della legge 4 maggio 1983, n. 184;

3) nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;

4) quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni.

In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore; il provvedimento di nomina del curatore deve essere succintamente motivato”.


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3. Modifiche all’articolo 80 c.p.c.

Il c. 31 dell’art. 1 della Riforma novella l’art. 80 c.p.c. prevedendo che il curatore speciale debba procedere all’ascolto del minore e che possano essergli attribuiti specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Vengono inoltre disciplinati i presupposti e il procedimento per la revoca del curatore speciale. Più in dettaglio, sono apportate le seguenti modificazioni:

  • al primo comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Se la necessità di nominare un curatore speciale sorge nel corso di un procedimento, anche di natura cautelare, alla nomina provvede, d’ufficio, il giudice che procede”;
  • dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: “Al curatore speciale del minore il giudice può attribuire nel provvedimento di nomina, ovvero con provvedimento non impugnabile adottato nel corso del giudizio, specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Il curatore speciale del minore procede al suo ascolto. Il minore che abbia compiuto quattordici anni, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, il tutore o il pubblico ministero possono chiedere con istanza motivata al presidente del tribunale o al giudice che procede, che decide con decreto non impugnabile, la revoca del curatore per gravi inadempienze o perché mancano o sono venuti meno i presupposti per la sua nomina”.

4. Raccomandazioni CNF per gli avvocati curatori speciali di minori

Il Curatore speciale del minore nello svolgimento del proprio incarico dovrà sempre rammentare i principi generali di cui all’art. 9 CDF, tra i quali riteniamo di sottolineare:

INDIPENDENZA

COMPETENZA

CORRETTEZZA E LEALTA’

Il Curatore speciale del minore deve avere sempre tutela e rispetto della propria indipendenza dal Giudice e dalle parti, svolgendo il proprio ruolo nel solo e preminente interesse del minore nel rispetto anche dei diritti garantiti allo stesso dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali. Il Curatore speciale del minore deve curare la propria competenza professionale attraverso l’acquisizione di una formazione, anche multidisciplinare, adeguata e avere un aggiornamento costante nelle materie attinenti al diritto della famiglia, delle persone e dei minori. Il Curatore speciale del minore deve svolgere il proprio incarico con correttezza e lealtà in collaborazione con tutte le parti e nell’interesse del minore. I principi generali si sostanziano nelle seguenti raccomandazioni:

  1. DEONTOLOGIA

Il Curatore speciale del minore deve comportarsi sempre avendo a mente la ricorrenza dei principi generali che costituiscono gli imprescindibili canoni deontologici contenuti agli artt. 9, 14 e 15, e 19 del Codice Deontologico Forense. Il Curatore speciale del minore ha il dovere di evitare incompatibilità nel rispetto dell’art. 24 CDF e ha inoltre l’obbligo di astenersi dall’assumere l’incarico ove abbia assistito in altre controversie, anche con oggetto diverso, le persone appartenenti allo stesso nucleo familiare. Il Curatore speciale del minore nel rispetto dell’art. 18, comma 2, CDF garantisce l’anonimato del proprio assistito e si astiene dal comunicare con ogni mezzo informazioni relative al procedimento.

  1. PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

Il Curatore speciale che assuma le vesti di difensore, ove ricorrano i presupposti pervisti dal DPR 115/2002, deposita – in nome e per conto del minore – istanza per l’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato, in applicazione anche del disposto di cui all’art. 27, IV comma 4, CDF.

  1. COSTITUZIONE IN GIUDIZIO

Il Curatore speciale del minore, dopo la nomina, con tempestività assumerà le informazioni necessarie dalle parti e dai soggetti coinvolti, ascolterà il minore, esaminerà gli atti e i documenti per procedere alla costituzione in giudizio nel preminente interesse del minore e nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, partecipando personalmente alle udienze.

  1. RAPPRESENTANZA SOSTANZIALE

Il Curatore speciale del minore al quale l’Autorità Giudiziaria procedente abbia attribuito poteri di rappresentanza sostanziale, qualora ciò non sia già avvenuto, deve attivarsi affinché il Giudice specifichi in concreto tali poteri e gli obiettivi specifici ai quali siano finalizzati.

  1. COLLABORAZIONE CON TUTTE LE PARTI DEL PROCESSO

Nell’adempimento del proprio mandato, il Curatore speciale del minore mantiene continui contatti e rapporti improntati a correttezza e lealtà con il tutore, laddove esistente, con i servizi sociali, con gli educatori, con i responsabili delle comunità, con il personale sanitario, con gli affidatari (o l’ente affidatario), con gli insegnanti, nonché con tutti gli altri soggetti che a vario titolo si occupano del minore. I contatti con genitori, parenti e parti private dovranno sempre avvenire per il tramite dei rispettivi difensori, in ossequio alle norme deontologiche.

        6. ASCOLTO

  1. Il Curatore speciale deve procedere all’ascolto del minore capace di discernimento, con modi e termini a lui comprensibili, fornendo allo stesso – anche in relazione all’età e al suo sviluppo psicofisico – le informazioni ritenute più utili a comprendere l’oggetto del procedimento che lo riguarda. Il Curatore speciale, inoltre, in virtù dell’incarico ricevuto, deve fornire al minore adeguate informazioni e spiegazioni relative al ruolo che è chiamato a svolgere e relative alle decisioni assunte che lo riguardano.
  2. Il Curatore speciale deve individuare il luogo più idoneo per effettuare i colloqui con il minore. Inoltre, deve valutare le modalità di ascolto e di comunicazione ritenute più adeguate all’età e alle condizioni psicofisiche del minore.
  3. Il Curatore speciale, infine, deve chiarire al minore che sia capace di discernimento, con modi e termini a lui comprensibili, che la sua opinione sarà tenuta in debita considerazione ma non necessariamente accolta.
  4. Il Curatore speciale del minore può assistere ad eventuali operazioni peritali riferibili al minore.

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La legge delega e le novità immediatamente precettive dal 22 giugno 2022: negoziazione assistita, consulenze tecniche, allontanamento del minore, riparto di competenze, curatore speciale del minore

 

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Google Analytics dichiarato “illegale” dal Garante: e ora che succede?

Google Analytics dichiarato “illegale” dal Garante: e ora che succede?

 

Il garante dichiara “illegale” Google Analytics: e ora che succede?

Il garante dichiara “illegale” Google Analytics: e ora che succede?Diritto.it

Il Garante per la Protezione dei Dati Personali, con un comunicato di ieri, ha affermato che i siti web che utilizzano il servizio Google Analytics o servizi analoghi, senza le garanzie previste dal Regolamento UE 679/2016 (GDPR), violano la normativa sulla protezione dei dati perché trasferiscono negli Stati Uniti i dati degli utenti, e gli Stati Uniti, in attesa che venga finalmente messo a punto l’accordo per il trasferimento, per cui Biden e Van Der Layen si sono stretti la mano poco tempo fa, ma che deve ancora essere formalizzato, sono considerati, in questa materia, un Paese pericoloso.

Era solo questione di tempo, e lo sapevamo: dopo la sentenza Schrems II (C-311/18 del 16 luglio 2020), la nota pronuncia  con la quale la Corte di Giustizia Europea invalidava il privacy shield, evidenziando come la normativa sulla protezione di dati in USA sia del tutto piena di falle, permettendo alle Autorità Pubbliche, in nome della sovraordinata sicurezza nazionale, di accedere senza limitazione ai dati personali di chiunque, ivi compresi quelli che vengono trasferiti dall’Europa; dopo la decisione dell’Autorità per la Protezione dei Dati Personali austriaca, che nel dicembre scorso affermava che l’utilizzo del servizio Google Analytics fornito da Google LLC non risulta conforme al GDPR; dopo che negli ultimi sei mesi, presso gli uffici di piazza Venezia, si è letteralmente riversata una pioggia di segnalazioni e ricorsi, principalmente ad opera di una nota associazione di attivisti, NOYB (None of your business, letteralmente “non sono affari tuoi”), che fa capo ad un “certo” Maximilien Schrems (l’omonimia non è un caso) che denunciavano l’illecito utilizzo di Analytics sui siti di oltre 7.000 pubbliche amministrazioni; dopo tutto questo, anche la nostra Authority non poteva tacere e non lo ha fatto.

Il provvedimento, ampiamente motivato, non si è concluso con una sanzione per la società che ne è stata oggetto, ma soltanto con un ammonimento a conformarsi al Reg. UE 679/2016 (il GDPR) entro 90 giorni.

Ma le conseguenze non solo per la società ammonita, ma per tutti i Titolari, pubblici o privati, potrebbero essere potenzialmente dirompenti.

    Indice

>>>Leggi il comunicato del Garante<<<

1. I fatti ed i problemi sollevati

Nel suo comunicato, il Garante ha richiamato l’attenzione di tutti i gestori italiani di siti web, pubblici e privati, sull’illiceità dei trasferimenti effettuati verso gli Stati Uniti attraverso Google Analytics.

I fatti traggono origine da un reclamo presentato da un interessato (una persona fisica) nei confronti della società Caffeina Media s.r.l., che appunto utilizzava Analytics sul proprio sito.

La società “accusata” ha affermato di aver continuato ad utilizzare lo strumento di Google anche dopo il dicembre 2021, in quanto Google stessa dichiarava di trattare soltanto cookie, dati relativi al dispositivo/browser, indirizzo IP e attività sul sito, di utilizzare Analytics solo in forma aggregata e statistica e di limitarsi a trattare solo dati anonimizzati.

Inoltre, il Titolare ha affermato di trasferire i dati verso Google LLC nel rispetto di Clausole Contrattuali Standard, che corrispondono allo schema adottato il 5 febbraio 2010 dalla Commissione Europea: in sostanza, la società si è difesa nel modo in cui chiunque di noi si sarebbe difeso nella stessa situazione, perché chi è senza peccato, scagli la prima pietra, o meglio, chi non utilizza Analytics sulla base delle stesse considerazioni (peraltro anche svolte in buona fede) alzi la mano.

La società ha poi sottolineato un problema non solo suo, ma di chiunque abbia a che fare con i Big Tech sul web: l’impossibilità di stipulare reali accordi sul trattamento dei dati, di nominare Google o qualsiasi altro dei Big Player responsabili esterni secondo il disposto dell’art. 28 del GDPR e la necessità, in altre parole, di accettare, in quanto parte contrattuale non solo debole, ma debolissima, le auto nomine e gli accordi pre confezionati redatti da Google stessa: una “falla nel piano”, cioè nel GDPR, che molti non hanno mancato di sottolineare, anche in passato.

2. Le osservazioni del Garante

L’Autorità ha respinto le motivazioni del Titolare con una serie di osservazioni:

  1. Google raccoglie, mediante cookies trasmessi al browser degli utenti, informazioni relative alle modalità di interazione di questi ultimi con il sito web, con le singole pagine e con i servizi proposti;
  2. I dati raccolti consistono in: identificatori online unici che consentono sia l’identificazione del browser o del dispositivo, sia del gestore stesso del sito (attraverso l’ID account Google); indirizzo, nome del sito web e dati di navigazione; indirizzo IP del dispositivo utilizzato dall’utente; informazioni relative al browser, al sistema operativo, alla risoluzione dello schermo, alla lingua selezionata, a data e ora della visita al sito
  3. La cosiddetta anonimizzazione dell’IP costituisce, di fatto, solo una pseudonimizzazione, in quanto non impedisce a Google di re-identificare l’utente, tenuto conto delle informazioni complessivamente dalla stessa detenute su chiunque interagisca nel web.
  4. Sussiste, inoltre, in capo a Google, la possibilità, qualora l’interessato abbia effettuato l’accesso al proprio profilo Google, di associare l’indirizzo IP ad altre informazioni aggiuntive già in suo possesso, in modo da ricreare un profilo completo dell’utente.
  5. Sussiste, dunque, una violazione, da parte del sito che utilizza Analytics, del principio di accountability, dal momento che il Titolare non ha adottato le misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare il corretto trattamento dei dati personali.
  6. Infine, il Garante ha riscontrato una violazione dell’art. 13 del GDPR, l’informativa, in quanto il Titolare non ha provveduto a rendere edotti gli interessati in ordine all’intenzione di trasferire dati personali a un paese terzo (e per di più un Paese pericoloso).

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3. La fine di un’epoca?

Come già detto, nonostante la rilevazione della violazione degli artt. 5, par. 2, 13, par. 1, lett. f), 24, 44 e 46 del GDPR, la società non è stata sanzionata, ma solo ammonita.
Ma l’ammonimento rivolto a Caffeina Media riguarda tutti noi, poiché tutti i siti, di Titolari pubblici e privati, che utilizzano Analytics si trovano adesso a dover fare i conti con questo provvedimento, che è il primo, ma che, possiamo stare certi, non sarà l’ultimo.

Per quanto riguarda le Pubbliche Amministrazioni, AgID nelle proprie “Linee guida di design per i siti internet e i servizi digitali della PA” da tempo suggerisce di sostituire Google Analytics con Web Analytics Italia, una versione open source italiana, su cui tuttavia il Garante non si è ancora pronunciato.

E per tutti gli altri?

I Titolari potrebbero decidere di smettere di usare Google Analytics e non sostituirlo in alcun modo: c’è da dire, in effetti, che moltissimi siti raccolgono dati che non usano, magari anche senza saperlo, e che siccome da grandi data base derivano grandi responsabilità, potrebbe questa essere una buona occasione per fare un po’ di piazza pulita e smettere di incamerare dati a casaccio perché chissà prima o poi potrebbero servire.

D’altro canto, Google, che di certo non può stare con le mani in mano a guardare che mezza Europa smette di usare i suoi servizi, è già corsa ai ripari, lanciando il nuovo servizio Google Analytics 4 (GA4), che dovrebbe stavolta essere GDPR compliant e quindi risolvere alla radice il problema. Sarà così?

Per il momento non possiamo che stare alla finestra, ed osservare quali saranno le prossime mosse del Garante e dei Big Tech, auspicando che questo (benedetto) accordo per il trasferimento dei dati negli Stati Uniti in presenza di adeguate garanzie veda al più presto la luce.

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Obiettivi più elevati per la transizione energetica: nuovi orientamenti dall’UE

Obiettivi più elevati per la transizione energetica: nuovi orientamenti dall’UE

 

Il Consiglio UE, il 27 giugno 2022, ha adottato degli orientamenti su due proposte di direttiva che affrontano gli aspetti energetici della transizione climatica dell’UE nell’ambito del pacchetto “Fit for 55”: energie rinnovabili ed efficienza energetica.

     Indice

1. Fit for 55

Il 14 luglio 2021 la Commissione ha presentato il pacchetto “Fit for 55”, per allineare il quadro legislativo UE in materia di clima ed energia col suo obiettivo di neutralità climatica per il 2050, e di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Il pacchetto consiste in una serie di proposte interconnesse, che modificano atti legislativi esistenti o introducono nuove iniziative in una serie di settori politici ed economici. All’interno del Consiglio, le proposte sono gestite da quattro formazioni: Ambiente, Energia, Trasporti e Affari economici e finanziari. Nell’attualità, La produzione e l’uso di energia rappresentano il 75% delle emissioni dell’UE.

2. Energie rinnovabili

Il Consiglio ha fissato un obiettivo vincolante a livello UE del 40% di energia da fonti rinnovabili nel mix energetico complessivo, entro il 2030. L’attuale obiettivo a livello di UE è almeno del 32%. Inoltre, per promuovere l’integrazione delle energie rinnovabili nei settori in cui l’incorporazione è stata più lenta, il Consiglio ha convenuto obiettivi e misure settoriali più ambiziose. Per quanto concerne i sotto-obiettivi per i trasporti, il Consiglio ha introdotto la possibilità per gli Stati membri di scegliere tra:

  • un obiettivo vincolante di riduzione del 13% dell’intensità dei gas serra nei trasporti entro il 2030,
  • un obiettivo vincolante di almeno il 29% di energia rinnovabile nel consumo finale di energia nel settore dei trasporti entro il 2030.

Il Consiglio, inoltre:

  • ha fissato un obiettivo secondario vincolante per i biocarburanti avanzati nella quota di energie rinnovabili Fornito al settore dei trasporti allo 0,2% nel 2022, all’1% nel 2025 e al 4,4% nel 2030, integrando l’aggiunta di un doppio conteggio per questi combustibili,
  • ha convenuto, in merito ai combustibili rinnovabili di origine non biologica nei trasporti (principalmente idrogeno rinnovabile e combustibili sintetici a base di idrogeno), un obiettivo secondario indicativo del 2,6%, che corrisponde al 5,2% anche con l’aggiunta di un moltiplicatore,
  • ha aggiunto un tetto all’importo del consumo finale di energia nel settore marittimo da includere nel calcolo dei propri obiettivi di trasporto specifici,
  • ha deciso un aumento graduale degli obiettivi in materia di energie rinnovabili per il riscaldamento e il raffreddamento, con un aumento vincolante dello 0,8% annuo a livello nazionale fino al 2026 e dell’1,1% dal 2026 al 2030 Il tasso medio annuo minimo applicabile a tutti gli Stati membri è integrato con ulteriori incrementi indicativi calcolati ad hoc per ciascuno Stato membro,
  • ha fissato un obiettivo indicativo di un aumento medio annuo dell’1,1% dell’uso di energia rinnovabile per l’industria,
  • ha convenuto che il 35% dell’idrogeno utilizzato nell’industria dovrebbe provenire da combustibili rinnovabili di origine non biologica entro il 2030, e il 50% entro il 2035,
  • ha fissato un obiettivo indicativo di almeno una quota di energia rinnovabile del 49% negli edifici nel 2030,
  • ha rafforzato i criteri di sostenibilità per la biomassa al fine di ridurre il rischio di produzione non sostenibile di bioenergia,
  • ha aggiunto misure per limitare le frodi per quanto riguarda la durata dei biocarburanti,
  • ha incluso la procedura di autorizzazione per accelerare i progetti di energia rinnovabile, in linea col piano RepowerEU proposto dalla Commissione nel maggio 2022.

3. Efficienza energetica

Quanto alla proposta di direttiva sull’efficienza energetica, il Consiglio:

  • ha convenuto di ridurre il consumo di energia a livello UE del 36 % per il consumo finale di energia e del 39 % per il consumo di energia primaria entro il 2030,
  • ha convenuto che tutti gli Stati membri contribuiranno al raggiungimento dell’obiettivo generale dell’UE attraverso contributi e traiettorie nazionali, mediante aggiornamento dei loro piani nazionali integrati per l’energia e il clima (PNEC), nel 2023 e nel 2024,
  • ha consentito di aumentare l’obiettivo di risparmio energetico per il consumo finale di energia: gli Stati membri assicurerebbero un risparmio dell’1,1 % del consumo energetico finale annuo a partire dal 1° gennaio 2024; 1,3 % dal 1° gennaio 2026; e 1,5% dal 1 gennaio 2028 al 31 dicembre 2030, con la possibilità di portare un massimo del 10% del risparmio in eccesso al periodo successivo. Il Consiglio ha incluso nel calcolo verso l’obiettivo la possibilità di contare nei risparmi energetici realizzati attraverso tecnologie di combustione di combustibili fossili, solo in casi debitamente giustificati, confermati da audit energetici,
  • ha convenuto un obbligo specifico per il settore pubblico di energia, iniziando gradualmente con i comuni più grandi,
  • ha convenuto che gli Stati membri devono mantenere almeno il 3% della superficie totale degli edifici di proprietà degli enti pubblici,
  • ha convenuto che una quota proporzionale del risparmio energetico negli Stati membri si concentra sui consumatori vulnerabilità,
  • ha aggiunto una disposizione sulla trasparenza del consumo energetico dei data center. La Commissione creerebbe una banca dati pubblica dell’UE, raccogliendo informazioni sul consumo energetico dei data center.

4. Prossimo step

Il Consiglio e il Parlamento avvieranno i negoziati interistituzionali per concordare il testo definitivo delle due direttive.

 

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La sentenza della corte suprema americana sull’aborto: una riflessione

La sentenza della corte suprema americana sull’aborto: una riflessione

 

In questi giorni non si parla d’altro nel web, su social, blog e forum, se non della storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che ha sovvertito il precedente Roe vs Wade del 1973 ed ha sostanzialmente reso illegale l’aborto nella Federazione Americana.

Ma che cosa è successo, veramente negli USA? Come è possibile che una sentenza, per quanto emanata dalla corte di maggiore istanza del Paese, abbia tutto questo potere? E adesso che cosa succederà nei vari Stati?

     Indice

  1. Il sistema giudiziario americano e il ruolo del precedente
  2. Il caso Roe vs Wade
  3. Il lato conservatore dell’America

1. Il sistema giudiziario americano e il ruolo del precedente

La Corte Suprema costituisce il massimo grado giudiziario degli Stati Uniti, ovvero di tutti i 50 Stati che costituiscono la Federazione degli Stati Uniti d’America.

È composta da nove giudici, che vengono nominati dal Presidente con il consenso del Senato.

Ad oggi, la Corte è composta per i due terzi da Giudici nominati da Presidenti Repubblicano (dunque il Partito più conservatore degli USA), in quanto sei dei nove giudici sono stati nominati dal Presidente Trump e dai due Bush, padre e figlio.

Il mandato di un Giudice nominato alla Corte Suprema è potenzialmente vitalizio, in quanto la Costituzione prevede che duri per tutta la durata della “buona condotta” del Giudice, ossia a meno di procedimento di impeachment.

Dinanzi alla Corte Suprema, proprio come dinnanzi alla nostrana Corte di Cassazione, arrivano le cause in terzo grado di giudizio da parte di tutti i 50 Stati, cioè le cause che dibattono su diritti federali, trasversali a tutti gli Stati, e la caratteristica delle sentenze emesse da questo organo è che esse costituiscono un precedente vincolante, diversamente da quanto accade nel nostro Paese: nel sistema giuridico della common law, che si basa essenzialmente su fonti non scritte, ma di formazione giurisprudenziale, le sentenze della Supreme Court dettano legge e le corti inferiori non possono decidere in difformità rispetto a quanto da essa statuito. Inoltre, stavolta come la nostra Corte Costituzionale, la Corte Suprema decide sulla costituzionalità di alcune leggi federali.

Solo la Corte stessa può, con sentenza successiva, mutare un precedente già adottato e di conseguenza mutare gli assetti legislativi dei singoli Stati americani.

2. Il caso Roe vs Wade

Il precedente Roe contro Wade fu un caso giudiziario molto importante che venne dibattuto dinanzi alla Corte nel 1972 ed andato a sentenza nel gennaio del 1973, con una pronuncia che fece storia: con il voto favorevole di sette giudici su nove, la Corte riconobbe la sussistenza di un diritto federale (dunque applicabile a tutti gli Stati) alle donne di interrompere volontariamente la gravidanza, anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse la libera scelta della donna.

I Giudici fondarono la propria decisione sul quattordicesimo emendamento della Costituzione, secondo cui sussiste un diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo e stabilirono due principi cardine: la possibilità di abortire senza alcuna limitazione fino al momento in cui il feto non sia in grado di sopravvivere in maniera autonoma al di fuori dell’utero materno e la possibilità di abortire anche al di là di questi limiti qualora sussista un pericolo di vita per la donna.

Prima di questa storia sentenza l’aborto era illegale, negli Stati Uniti, in 30 Stati; in 13 era legale in caso di pericolo per la donna, stupro, incesto o malformazioni fetali; in 3 solo in caso di stupro e di pericolo per la donna, mentre in soli 4 Stati l’unico requisito richiesto era la libera volontà della donna.

Il caso Dobbs contro Organizzazione per la Salute delle Donne di Jackson.

Il 24 giugno scorso, con 5 volti favorevoli e quattro contrari, la Corte ha sovvertito il proprio stesso precedente, stabilendo che il diritto all’aborto non è protetto dalla Costituzione degli Stati Uniti, e di conseguenza non si tratta più di un diritto federale.

Pertanto, ogni Stato d’ora in poi è e sarò libero di legiferare in materia come ritiene opportuno e corretto.

Il caso discusso ha riguardato la costituzionalità di una legge dello Stato del Mississippi del 2018 che metteva al bando l’aborto dopo la 15ª settimana di gravidanza nella gran parte dei casi; le Corti federali di grado inferiore avevano sospeso l’entrata in vigore della legge, considerandola incostituzionale (proprio sulla base del precedente Roe vs Wade) e provocando il ricorso alla Corte Suprema.

Gli effetti di questa storica sentenza non hanno tardato a farsi sentire: in Utah, South Dakota, Kentucky, Louisiana, Oklahoma, Missouri, Arkansas e Texas l’aborto è già stato dichiarato illegale, ma l’elenco è destinato a crescere ed in altri Stati, ad esempio Alabama, West Virginia, Wisconsin e Arizona, sono state chiuse le cliniche per l’interruzione volontaria della gravidanza.

Di contro, molte grandi aziende americane si sono dette pronte a coprire le spese di viaggio necessarie alle loro dipendenti per andare ad abortire se il diritto è loro negato nello Stato di residenza: tra i nomi più in vista, Disney, Apple, Alphabet, JPMorgan Chase, Tesla, Meta e Bank of America, Yelp, Netflix, Levi Strauss e Microsoft.

C’è da chiedersi, tuttavia, quanto durerà questa rete di solidarietà, dal momento che alcuni governatori repubblicani hanno minacciato di annullare i contratti con le società che offrono sostegno all’aborto.

3. Il lato conservatore dell’America

La sentenza Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization ha scatenato un’ondata di indignazione in tutto il mondo, con cortei, manifestazioni e proteste nelle maggiori città americane e dinnanzi alla sede della Supreme Court a Washington.

Si tratta indubbiamente di un clamoroso passo indietro nel garantire i diritti civili ed il principio di autodeterminazione del singolo ed oggi non possiamo fare altro che stupirci che questa retrocessione arrivi da uno Stato che nel nostro immaginario è sempre stato un baluardo di progresso, civiltà e democrazia.

Ma è veramente così? L’immagine che noi abbiamo degli Stati Uniti d’America è quella della cosmopolita New York, di Los Angeles e della California, dell’elegante Boston e di Washington con i suoi intrighi di palazzo: è, in pratica, l’immagine che vediamo nei film di Hollywood.

Ma che cosa sappiamo delle cittadine e dei paesini del Nebraska, del South Carolina, del North Dakota? Che cosa sappiamo della provincia americana remota, lontana da tutto, dove ancora la maggioranza delle persone vota, appunto repubblicano, dove Trump ha stravinto le elezioni, dove le leggi razziali sono state abolite da 60 anni scarsi (nel Mississippi le leggi Jim Crow che discriminavano i neri sono state abolite definitivamente solo nel 1964)? Che cosa conosciamo dei movimenti per la supremazia della razza bianca, e dell’America agli Americani?

Noi vediamo ancora gli Americani come i nostri salvatori a Omaha Beach, portatori sani di un’idea di democrazia e di uguaglianza, dello slogan “Yes, we can” e del sogno americano per cui chi lotta con tutte le sue forze e ci crede veramente può realizzare qualsiasi cosa, anche se partito da casa con una valigia di cartone e due penny nelle tasche bucate.

Eppure l’America, quella vera, è quello Stato federale in cui, su 50 Stati, 28 sono governati dai Repubblicani e i Repubblicani sono stati eletti dal popolo. Gli stessi Repubblicani che, all’indomani di una sentenza che ci fa ripiombare dritti nell’oscurantismo, si sono precipitati a cancellare il diritto sacrosanto di ogni donna a decidere in maniera autonoma del proprio corpo. E che, per quanto il pensiero ci disturbi, non sono altro che l’espressione del popolo che li ha regolarmente eletti al Governo del proprio Paese, che, forse, alla fine, non era poi così progressista come finora lo avevamo immaginato.


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Il Governo delegato a revisionare la normativa sui contratti pubblici

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E’ stata pubblicata in G.U. (G.U. Serie Generale n. 146 del 24 giugno 2022) la Legge 21 giugno 2022, n. 78, recante la “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”. L’emanazione della legge delega per la riforma del quadro legislativo in materia di appalti pubblici ha costituito un traguardo del PNRR che doveva essere conseguito entro il 30 giugno 2022.

     Indice

1. La delega

Il Governo è stato delegato ad adottare, nel termine di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 78/22, uno o più d.lgs. sulla disciplina dei contratti pubblici, nella finalità di adeguare l’attuale normativa a quella del diritto europeo e ai principi espressi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, interne e sovranazionali, come pure a razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, ma anche per evitare l’avvio di procedure di infrazione da parte della Commissione UE e di giungere alla risoluzione delle procedure avviate.

2. Aderenza al diritto UE

Tra i numerosi principi e i criteri direttivi ai quali dovrà attenersi il Governo nell’attività di legiferazione, emerge quello di garantire il perseguimento di obiettivi di coerenza e stretta aderenza alle direttive europee tramite l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ferma rimanendo l’inderogabilità delle misure a tutela del lavoro, della sicurezza, del contrasto al lavoro irregolare, della legalità e della trasparenza, per assicurare l’apertura alla concorrenza e il confronto competitivo tra i diversi operatori dei mercati dei lavori, dei servizi e delle forniture, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, e tenendo conto delle specificità dei contratti nel settore dei beni culturali, tenendo altresì conto delle specificità dei contratti nei settori speciali (gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica) e che l’apertura alla concorrenza e al confronto competitivo tra i diversi operatori deve includere anche le micro imprese.

3. Riduzione qualificazione stazioni appaltanti

La delega onera a intervenire ridefinendo la disciplina sulla qualificazione delle stazioni appaltanti per conseguire una loro riduzione numerica anche tramite procedure di accorpamento e di riorganizzazione delle stesse, al contempo prevedendo la possibilità di introdurre degli incentivi all’impiego delle centrali di committenza e delle stazioni appaltanti ausiliarie per l’espletamento delle gare pubbliche, e individuando le modalità di monitoraggio dell’accorpamento e della riorganizzazione delle stazioni appaltanti.


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4. Green e digitale

Il Governo, nell’opera di legiferazione delegata, dovrà procedere a semplificare le procedure rivolte alla realizzazione di investimenti in tecnologie green e digitali, innovazione e ricerca, anche per perseguire gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, precisando che la semplificazione delle procedure deve essere orientata anche alla realizzazione di investimenti in innovazione sociale, ma anche prevedere misure per garantire il rispetto dei criteri di responsabilità energetica e ambientale nell’affidamento degli appalti pubblici in particolare mediante la definizione dei criteri ambientali minimi da rispettare obbligatoriamente, differenziati per tipologie ed importi di appalto e valorizzati economicamente nelle procedure di affidamento.

5. Regime di revisione dei prezzi

Nell’opera di legiferazione il Governo dovrà introdurre l’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di peculiari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, statuendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto congegno di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante.

6. Divieto di prestazioni gratuite

Il Governo dovrà introdurre il divieto di prestazione gratuita delle attività professionali, facendo salve le ipotesi eccezionali e previa adeguata motivazione.

7. Semplificazione delle procedure di pagamento

La delega contempla che il Governo dovrà anche procedere a semplificare le procedure di pagamento da parte delle stazioni appaltanti del corrispettivo contrattuale, anche riducendo gli oneri amministrativi a carico delle imprese.

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