Contos – parte II

Contos – parte II

Pubblicato il 27 gennaio 2016 di

Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! …Dlin!

Sas chimbe e quartu.

La campana de Cumbentu mi ricordava che era ora de ghirare a domo prima che mia madre si accorgesse che ero uscita e che, per giunta, avevo assistito a quello che sarebbe diventato unu contu nei giorni a venire. Ripassai mentalmente quello che era successo e quello che avrei dovuto dire in caso mi avessero chiesto dove fossi stata. Non potevo certo raccontare di aver visto mio padre ammacchiarsi tutto ad un tratto e dare del canistergiu a quel ballalloi del deputato Siotto. Toccava innanzi tutto tornare dalle parti di Sa Udditta senza farmi vedere.

Scesi di corsa a Santa Gruche dove mi accolse l’odore acerbo proveniente dal frantoio, chiuso. Unu viacu avvolgente e ipnotico che mi portò all’oliveto di babbo, prima che partisse in guerra e iniziasse a parlare strano.

Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! …Dlin! Dlin!

Sas chimbe e mesa.

Stavolta era la campana di Santa Gruche a riportarmi alla realtà. L’incombenza de sa missa de sa novena de Santu Jorgi iniziava ad attirare schiere di signore avvolte nei muccadores che, per la prima volta in vita mia, mi apparvero minacciosi. Percorsi via Eleonora d’Arborea per evitare la chiesa. Arrivata a Su Patio ero salva. Mi inginocchiai a terra di fronte alla chiesa di Sant’Andria e iniziai a disegnare unu paradisu con un pezzo di preda modde.

“Luna, luna
ghettamind’una
e un aranzu
a facher su pranzu
a facher sa chena
imbiamindela…”

 << Ciao bella bambina… >>
<< … >>

Mi bloccai senza dire nulla. Intravedevo un uomo, vestito di nero, seduto sulla panca in pietra affianco alla sartoria di tziu Jubanne.

<< A cosa stai giocando? >>

Abbassai la testa e feci finta di continuare a disegnare col cuore in gola.

“Luna, luna
ghettamind’una
e un aranzu…”

Con la coda dell’occhio vidi che l’uomo si avvicinava a passo lento.

“Luna, luna…”

<< L’italiano lo capisci? La lingua della tua patria? >>

Era dietro di me. Sentivo qualcosa sfiorarmi i capelli. D’un tratto il rumore di un portone che si apriva. Feci in tempo a voltarmi per un secondo: tziu Jubanne comparve sull’uscio, immobile.

<< Chie ses? Ite cheres? >>

 Chiese, a chizos corrugati: lo sguardo fisso sull’uomo in nero.

<< Chi sono io? Chi è lei, piuttosto! >>

Sentii i passi dello sconosciuto allontanarsi verso tziu Jubanne che non gli tolse gli occhi di dosso.

<< Io qui ci lavoro. A te invece non ti ho mai visto, cosa vuoi dalla bambina? >>
<< Che razza di cristiano lavora di domenica? >>
<< Ite ratza ‘e omine dat’iffadu a una pitzinna chi jocat? >>

DLEN! DLEN! DLEN! DLEN! DLEN! …Dlin! Dlin! Dlin!

Da quel momento non riuscii più a sentire nulla. Un assustu ‘e morrere.
Stordita e spaventata dalla campana di Sant’Andrìa che rimbombava sopra le nostre teste mi sollevai in piedi e corsi via, sfrecciando tra le case di via Sulis senza voltarmi indietro. Arrivai ansimando di fronte al traghinu che tagliava in due Sa Udditta, popolato di sciami di mosche e api che ronzavano dove l’acqua si faceva maleodorante. Il cielo si stava imbrunendo e così anche le facciate delle case che davano sulla piazza. L’ultimo, flebile, raggio di sole bastò per farmi notare quello strano disegno sul muro accanto alla porta di casa nostra. Pariat un’ispezie ‘e roda chin d’una gruche in intro.

Contos – parte IIultima modifica: 2016-01-30T21:45:52+01:00da vitegabry
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