Archivi giornalieri: 30 gennaio 2016

Contos – parte II

Contos – parte II

Pubblicato il 27 gennaio 2016 di

Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! …Dlin!

Sas chimbe e quartu.

La campana de Cumbentu mi ricordava che era ora de ghirare a domo prima che mia madre si accorgesse che ero uscita e che, per giunta, avevo assistito a quello che sarebbe diventato unu contu nei giorni a venire. Ripassai mentalmente quello che era successo e quello che avrei dovuto dire in caso mi avessero chiesto dove fossi stata. Non potevo certo raccontare di aver visto mio padre ammacchiarsi tutto ad un tratto e dare del canistergiu a quel ballalloi del deputato Siotto. Toccava innanzi tutto tornare dalle parti di Sa Udditta senza farmi vedere.

Scesi di corsa a Santa Gruche dove mi accolse l’odore acerbo proveniente dal frantoio, chiuso. Unu viacu avvolgente e ipnotico che mi portò all’oliveto di babbo, prima che partisse in guerra e iniziasse a parlare strano.

Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! Dlen! …Dlin! Dlin!

Sas chimbe e mesa.

Stavolta era la campana di Santa Gruche a riportarmi alla realtà. L’incombenza de sa missa de sa novena de Santu Jorgi iniziava ad attirare schiere di signore avvolte nei muccadores che, per la prima volta in vita mia, mi apparvero minacciosi. Percorsi via Eleonora d’Arborea per evitare la chiesa. Arrivata a Su Patio ero salva. Mi inginocchiai a terra di fronte alla chiesa di Sant’Andria e iniziai a disegnare unu paradisu con un pezzo di preda modde.

“Luna, luna
ghettamind’una
e un aranzu
a facher su pranzu
a facher sa chena
imbiamindela…”

 << Ciao bella bambina… >>
<< … >>

Mi bloccai senza dire nulla. Intravedevo un uomo, vestito di nero, seduto sulla panca in pietra affianco alla sartoria di tziu Jubanne.

<< A cosa stai giocando? >>

Abbassai la testa e feci finta di continuare a disegnare col cuore in gola.

“Luna, luna
ghettamind’una
e un aranzu…”

Con la coda dell’occhio vidi che l’uomo si avvicinava a passo lento.

“Luna, luna…”

<< L’italiano lo capisci? La lingua della tua patria? >>

Era dietro di me. Sentivo qualcosa sfiorarmi i capelli. D’un tratto il rumore di un portone che si apriva. Feci in tempo a voltarmi per un secondo: tziu Jubanne comparve sull’uscio, immobile.

<< Chie ses? Ite cheres? >>

 Chiese, a chizos corrugati: lo sguardo fisso sull’uomo in nero.

<< Chi sono io? Chi è lei, piuttosto! >>

Sentii i passi dello sconosciuto allontanarsi verso tziu Jubanne che non gli tolse gli occhi di dosso.

<< Io qui ci lavoro. A te invece non ti ho mai visto, cosa vuoi dalla bambina? >>
<< Che razza di cristiano lavora di domenica? >>
<< Ite ratza ‘e omine dat’iffadu a una pitzinna chi jocat? >>

DLEN! DLEN! DLEN! DLEN! DLEN! …Dlin! Dlin! Dlin!

Da quel momento non riuscii più a sentire nulla. Un assustu ‘e morrere.
Stordita e spaventata dalla campana di Sant’Andrìa che rimbombava sopra le nostre teste mi sollevai in piedi e corsi via, sfrecciando tra le case di via Sulis senza voltarmi indietro. Arrivai ansimando di fronte al traghinu che tagliava in due Sa Udditta, popolato di sciami di mosche e api che ronzavano dove l’acqua si faceva maleodorante. Il cielo si stava imbrunendo e così anche le facciate delle case che davano sulla piazza. L’ultimo, flebile, raggio di sole bastò per farmi notare quello strano disegno sul muro accanto alla porta di casa nostra. Pariat un’ispezie ‘e roda chin d’una gruche in intro.

rassegna sindacale

 

del 30/01/2016

 

Marche, siglato accordo sulla cassa integrazione in deroga

29 gennaio 2016 ore 18.46

 
 

Povertà, Cgil: una delusione il ddl delega del governo

Lamonica: “Non sembra esserci un vero piano in materia né si definiscono le tappe per raggiungere, anche con gradualità, l’obiettivo di una misura nazionale strutturale e universale di contrasto alla povertà assoluta. Va aperto il confronto per cambiarlo”
29 gennaio 2016 ore 18.15

             
 
 

Napoli: Cgil, grave aggressione squadrista a studenti

29 gennaio 2016 ore 18.10

             
 
 

Il 1° febbraio presidio al ministero dei docenti precari Afam

La federazione dei lavoratori della conoscenza della Cgil sarà al loro fianco, in una vertenza che si annuncia dura e difficile per la loro stabilizzazione. Il sindacato chiede un tavolo di confronto, ma finora il ministero non ha dato alcuna risposta
29 gennaio 2016 ore 17.49

             
 
 

Sicilia, tavolo di confronto permanente su emergenza casa

29 gennaio 2016 ore 16.52

             
 
 

Camere di commercio, mobilitazione anche a Siena

“Inaccettabili tagli e ridimensionamenti”
29 gennaio 2016 ore 16.16

             
 
 

Il primo programma a distanza sulla Carta

Si compone di sei cicli, di cui ognuno prevede due lezioni: l’una, a cura della segretaria confederale Serena Sorrentino, l’altra, di un costituzionalista; in più, ci sono i riferimenti e il commentario ai singoli articoli del nuovo Statuto dei lavoratori
29 gennaio 2016 ore 16.09

             
 
 

Le risposte della contrattazione sociale

Assicurare risposte efficaci e mirate alle tante fragilità presenti sul territorio. È l’obiettivo dell’accordo firmato tra Anci Lombardia, Cgil, Cisl e Uil regionali e i rispettivi sindacati dei pensionati Spi, Fnp e Uilp
29 gennaio 2016 ore 15.52

             
 
 

«General Electric non chiuda Sesto San Giovanni»

Fiom, Fim e Uilm scrivono al governo in vista dell’incontro del 31 gennaio. “Il gruppo vuole investire nel nostro paese? Bene. E allora lo stabilimento non deve chiudere. L’esecutivo intervenga per evitare il licenziamento di 249 lavoratori”
29 gennaio 2016 ore 15.32

             
 
 

Camere di commercio: rsu denunciano smantellamento

A essere tagliate sarebbero funzioni e servizi essenziali
29 gennaio 2016 ore 15.18

             
 
 

Calcio, 1° febbraio Camusso incontra nazionale femminile

29 gennaio 2016 ore 15.01

             
 
 

La Carta dei diritti in Veneto, tra lavoratori e precari

Piron (Cgil Venezia) a RadioArticolo1. Nella Regione 1.200 assemblee. “Discutiamo con tutti, compresi sindaci e aziende, vogliamo che il nuovo Statuto sia un fenomeno anche culturale”. Tappa al Petrolchimico, Fincantieri e nei call center
29 gennaio 2016 ore 14.10

             
 
 

Cgil Padova, 1° febbraio incontro stampa su legge 194

29 gennaio 2016 ore 13.32

             
 
 

Cgil-Sunia Puglia: non paghino inquilini e lavoratori cattive gestioni enti

29 gennaio 2016 ore 13.29

             
 
 

Sunia Palermo, manca una politica abitativa

29 gennaio 2016 ore 13.22

             
 
 

Scuola, così il concorso non serve

Pantaleo (Flc): mancano tutele per coloro che, in possesso dell’abilitazione e del servizio, possono vantare il diritto alla stabilizzazione, compresi i docenti della scuola dell’infanzia delle Gae estromessi dal piano nazionale di assunzione
29 gennaio 2016 ore 13.08

             
 
 

Flai Puglia, 1 febbraio convegno su Ttip

29 gennaio 2016 ore 12.04

             
 
 

«Le buone intenzioni non sono la realtà»

Le politiche di genere in Italia mancano di una strategia complessiva. Legge di stabilità e Jobs Act sembrano muoversi sulla stessa lunghezza d’onda e risultano per tanto inadeguate
29 gennaio 2016 ore 11.44

             
 
 

Filt: approvato ccnl handling, nasce contratto di settore

29 gennaio 2016 ore 11.31

             
 
 

«Donne e lavoro, qualcosa comincia a muoversi»

“Niente trionfalismi, ma messa in campo di strumenti a tutto tondo, che toccano i diversi aspetti e i più sensibili di una vicenda delicata come la maternità e la genitorialità; scelta privata ma dall’impatto profondo sulla collettività”
29 gennaio 2016 ore 11.14

             
 
 

Blocco della rivalutazione: l’Inps riconosce l’errore

L’istituto aveva trasformato in “indebito” la parziale rivalutazione spettante con la quale è stata attuata la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco. Poi, grazie all’Inca, ha riconosciuto di aver preso un granchio e si è corretto
29 gennaio 2016 ore 10.49

             
 
 

Pensioni:  al via opzione donna 2016 

29 gennaio 2016 ore 10.09

             
 
 

Malattie professionali, accordo a Torino

Intesa tra sindacati e medici di famiglia per l’emersione delle patologie lavorative, soprattutto quelle collegate all’amianto. L’obiettivo è superare l’ostacolo rappresentato dallo scarso numero di denunce e segnalazioni da parte dei camici bianchi
29 gennaio 2016 ore 09.58

             
 
 

Sanpellegrino, un accordo per la sostenibilità

Il protocollo d’intesa firmato da azienda e sindacati segna un solco nel segno della salvaguardia di fonti e territori. Si valorizzano le opportunità occupazionali e di sviluppo di un settore che nel nostro paese occupa 35mila persone
29 gennaio 2016 ore 09.36

             
 
 

Almaviva Contact, con la Regione incontro positivo

L’assessore, dicono i sindacati, “ha mostrato attenzione e ha avviato incontri con i principali committenti del gruppo, a partire da Enel, Telecom, Wind”. Sul tavolo anche le questioni che riguardano ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro
29 gennaio 2016 ore 09.22

             
 

Eliseo Spiga, l’intellettuale controcorrente

 

Eliseo Spiga, l’intellettuale controcorrente.

di Francesco Casula.

Inizio con l’analisi del suo romanzo: Capezzoli di pietra

Capezzoli di pietra è un avvincente e suggestivo romanzo costruito con fraseggiare, periodare e passaggi agili e felici; con un lessico acuminato, con straordinari intrecci che hanno inizio, si interrompono, si intessono di nuovo, si spezzano e infine si risolvono, facendo abbondante uso dei flash-back. Con soluzioni linguistiche e prosadiche fortemente personali: perché Spiga ha pochissimi debiti con la cultura accademica e difficilmente gli si può attagliare qualche “ismo” tradizionale.

Spiga si ribella allo sfacelo e alla società alienata della apparente razionalità capitalistica del sistema economico e sociale occidentale. In altre parole non si conforma e non si arrende alle logiche e alle ragioni della modernizzazione tecnicista, al mito dello Stato e del mercato, al dio moneta: ma non in nome di qualche società perfetta e ideale, di qualche “città del sole” utopica – alla Tommaso Moro o alla Campanella, tanto per intenderci – bensì della comunità nuragica, della sua organizzazione politica e sociale, della sua economia e dei suoi valori.

   Il tema che attraverserà l’intero romanzo è annunciato solennemente ed affermato apoditticamente fin dalla prima pagina e dal primo capitolo che sopra si riporta: ”I miti della moneta e dello stato, che erano affluiti in cielo per oltre 50 secoli da tutti i punti dell’orizzonte e che si erano addossati gli uni agli altri fino a formare un’unica coltre, quasi un altro cielo, si squarciavano fragorosamente e rovesciavano sulla terra grandine vento e fuoco”.

   La razionalità del sistema, la visione rettilinea e lineare della storia, la fede <nelle magnifiche sorti e progressive>, sono fatte a pezzi, ridotte in frantumi, fin dall’esordio del romanzo. La civiltà industriale, – o più propriamente l’inciviltà industriale, per usare un’espressione del grande scrittore italiano PaoloVolponi- produce infatti immani catastrofi, mostruosi disastri, ciclopiche sciagure. L’Ordigno –questa è la potente immagine e il simbolo che Spiga utilizza per riassumere il trinomio città/stato/moneta- cui si oppone l’Organismo, ovvero la triade campagna/comunità/beni d’uso,  ha creato nuove barbarie: la pascoliana “truce ora dei lupi”.

   La Sardegna è diventata così “un atollo nuclearizzato” in mezzo al mediterraneo e “l’occhio vitreo” dell’Ordigno, da milioni di teleschermi impone ordini sul mangiare, sul vestire, sul pensiero e sul sapere. Perché vuole ridurre tutto all’unità: ”Un mondo. Una legge. Un’umanità indistinta, Una coscienza frollata. Un paesaggio spianato,. Una luce fredda“. Insieme nelle città “persino l’aria scarseggiava e l’acqua era diventata quasi un articolo da farmacia”.

   Cagliari è distrutta da un uragano di fuoco e di acqua e Nurgulè – il protagonista del romanzo è “trasportato dal diluvio come arca inzuppata, sullo sperone più alto del promontorio di Sant’Elia, nella sfera del delirio, al di là del tempo e dello spazio”.

   Perché – ecco un altro suggestivo tema del romanzo – l’uomo contemporaneo non è più in nessun luogo e il tempo non sa ormai cosa sia. La moderna inciviltà urbana e industriale crea infatti sradicamento, estraneità, tragica solitudine, costante declino di tutti i valori, perdita orribile e insanabile del senso della totalità, disperante lacerazione e cancrena dell’individuo. E insieme cancella la dimensione del tempo storico: sia lo spessore del passato che la prospettiva del futuro, riducendo tutto a un presente astorico e senza tempo.

   A fronte di tale catastrofe e disfatta, Nurgulè rientra nel ventre materno e risale il tempo, con il suo spirito disincarnato, fino all’origine della biforcazione fatale in cui si era smarrita una parte dell’Umanità.

   Ritorna così al mondo delle origini, al mondo della natura, a uno splendido passato di bellezza: che ci lascia un’impressione di letizia, come se avessimo attraversato un paese amabile e felice.

   Il periodo nuragico, la società nuragica è infatti vista, descritta, rappresentata, cantata e celebrata nel romanzo come l’età dell’oro, arcana e felice,- soprattutto a confronto con

 

 

il buio del presente  – solcata com’è da lampi di magia che creano nel lettore stati d’incanto.

 E’ la civiltà della sovranità comunitaria, che non costruisce città ma villaggi, perché “la città è ostile alla terra, agli alberi, agli animali e inselvatichisce gli uomini, pretende tributi insopportabili per accrescere le sue magnificenze…crea i funzionari del tempio e del sovrano…i servi e gli schiavi”.

 E’ la civiltà della gestione comunitaria delle risorse, della democrazia, dell’egalitarismo, dei rapporti amichevoli con gli altri popoli del Mediterraneo.

 E’ la civiltà che rispetta l’ambiente, la natura, gli equilibri dell’ecosistema, della terra perché “non ci appartiene e siamo noi che le apparteniamo, siamo solo i suoi figli e non i suoi padroni”.  E’ la civiltà che identifica la Comunità e la Nazione sarda con i suoi nuraghi, “fiaccole perenni di indipendenza”, simbolo “della libertà eterna della Confederazione delle

Comunità nuragiche” che si oppone “alla pretesa eternità delle monarchie divine raffigurate dalle piramidi nilotiche”.

 E’ la civiltà con il suo peculiare idioma, che sarà <tagliato> e proibito dai Romani, che avevano decretato il taglio della lingua e la crocifissione per chiunque fosse stato sorpreso a pronunciare una parola nuragica. ”Le croci da quel momento furono i nuovi alberi piantati dallo stato: Ne furono piantati dovunque e in tutte le stagioni. Ciascuna di esse riguardava l’obbligo del mutismo. E col l’abolizione della lingua si dissolveva anche l’ultimo segno di riconoscimento e di appartenenza alla Comunità. Un mutismo che sapeva di peste. E la peste spingeva tutti verso l’ebetudine, dissecava il pensiero, calcificava le idee, annientava la creatività”.

 Si tratta solo di lacerti lirici e onirici? Di struggente nostalgia per un antico splendore? Di una favola – sia pure bella – che Spiga sogna, invoca, almanacca, come una necessità fantastica e biologica, ma pur sempre una favola? L’invocazione di un mondo salvo e salvifico, di una tana, di un’arca di Noè per salvarci dalla disumanizzazione di una realtà dominata dall’Ordigno? Certo, può darsi. Ma non solo. E comunque se di favola si tratta, è una favola che parla di noi, di noi sardi e di noi uomini e donne del 2007. Dei nostri problemi. Delle nostre

 

FINE DEL REGNUM SARDINIAE [tratto da La Sardità come utopia- note di un cospiratore, Ed. CUEC, Cagliari 2006 pagine 151-154].

“L’evento politicamente più significativo dell’Ottocento sardo è senza dubbio la perfetta fusione, 29 novembre 1847, della Sardegna con gli Stati sabaudi di Terraferma e la fine del Regnum Sardiniae.

Il pretesto per decretare la fusione fu dato dalle manifestazio­ni pubbliche di Cagliari e Sassari per invocare che venissero estese alla Sardegna riforme liberali quali l’attenuazione della censura sulla stampa, la limitazione degli abusi polizieschi e qualche libertà commerciale. Dentro la cortina fumogena del riformismo liberale europeo, avanzavano, in posizione premi­nente, i nobili ex-feudali che, illecitamente arricchitisi con la ces­sione dei feudi in cambio d’esorbitanti compensi, ritenevano più garantite le loro rendite dalle finanze piemontesi piuttosto che da quelle sarde. In prima fila c’erano anche vescovi e preti, impiegati statali desiderosi di carriera e di migliori stipendi, un po’ d’avvocati e altri professionisti in cerca di lustrini, commer­cianti e affaristi, specialmente continentali, razzolanti sempre più numerosi nelle aie sarde, e, infine, coro vociante e allucinato, folti gruppi di studenti universitari opportunamente masturbati dai gesuiti.

Ad una delegazione di quest’accozzaglia reazionaria, espressa dagli Stamenti, ormai ridotti a stato larvale, e da alcuni consigli comunali, sua Maestà Carlo Alberto espettorò con paterna tenerez­za la sua intenzione di formare con Sardi e Piemontesi, e qualche altro, una sola famiglia.

In effetti, al Re erano state presentate, in seguito ad una perfi­da manipolazione che si abbracciava con la perfida malafede del sovrano, non tanto programmi riformatori quanto la richiesta di perfetta fusione. In altre parole, gli autori della iniziativa scellerata, dichiaravano la rinuncia dei Sardi, commenta Girolamo Sotgiu, a quella indipendenza nazionale che aragonesi e spagnoli avevano secolarmente rispettato e che il regno sabaudo non aveva osato mettere in discussione anche se l’aveva svuotata di contenuto. La Sardegna, che era stata un regno con relativa autonomia all’inter­no del grande Impero di iberica magnificenza, si ritrovò ad essere provincia di uno staterello ottuso e famelico. E finì così, in una bolla regale, il Regnum sortito da una Bolla pontificia.

I Sardi, ovviamente, erano tutt’altro che convinti della rinuncia. Da più parti furono minacciati, ai piemontesi un’altra edizione dello scommiato del 1794, e ai gesuiti espulsione e morte, mentre i contadini scalpitavano all’idea della imminente sollevazione. Da Teulada vennero a Cagliari in moltissimi credendo di dover parte­cipare

 

 

 

alla rivolta. A Selargius c’erano cinquecento uomini armati sul piede di guerra e circa ottocento ce n’erano ad Aritzo, Orgoso­lo e Fonni. La Sardegna contadina, osserva ancora Sotgiu, sembrava rivivere l’ansia e la speranza dei giorni esaltanti dell’Angioy, pronta ancora una volta a scendere in armi per la sarda rigenerazione.

Gli avvenimenti, com’è noto, presero tutt’altra piega.

Il tenente generale Alberto La Marmora, proprio quello del Voyage en Sardaigne, giunse, ai primi del 1849, come commissario regio per pacificare l’Isola scossa da continui tumulti esplosi dalle gravissime condizioni economiche e anche da rinnovati senti­menti repubblicani filofrancesi. Conservatore e militaresco, il Generale si dedicò alla pacificazione affrontando il dissenso e la protesta con la repressione più brutale e la violazione sistematica delle meschine libertà statutarie. Per lui lo stato d’assedio divenne sistema di governo inaugurando la pratica della dittatura militare che, poco più di dieci anni dopo, diventerà usuale durante la guer­ra di conquista del Mezzogiorno da parte della monarchia italiana.

Il 24 febbraio del 1852, lo stato d’assedio, con l’invio del gene­rale Durando e di 500 soldati, fu imposto su tutta la provincia di Sassari per domare le agitazioni che vi si erano accese. Ancora nel 1855, lo stato d’assedio fu proclamato ad Oschiri per l’omicidio di un ingegnere.

Nel frattempo, tanto per non dimenticare, venne ribadito il divieto della lingua sarda e, da una Corte reale che parlava france­se, fu confermato l’obbligo dell’italiano già in vigore dal 19 maggio 1726 con l’incarico al gesuita Antonio Falletti di provvedere con un suo piano. Evidentemente, non era l’amore per la lingua italia­na che spingeva la Corte, ma la preoccupazione per la lingua che alimentava una cultura politica popolare di cui conoscevano bene la verve eversiva. Perciò, la Corte soffiava sempre sulla propagan­da razzistica contro i sardi ancora più brutti, sporchi, cattivi e anche pelosi, persino le donne avevano lunghi baffoni ed erano capaci di sparare da cavallo, e già diventati pocos, locos y malunidos.

Ma ormai Annibale è alle porte, come dicevano i sardisti quando temevano o si inventavano un pericolo, e si prepara il tempo in cui le catastrofi dei sardi da grandi si sarebbero trasformate in gran­dissime e, forse, irreparabili.

La Sardegna diventa subito terreno di conquista e di caccia per i nuovi capitali mercantili e industriali che la politica affaristica della Corte sabauda aveva mobilitato nei mercati finanziari d’oltralpe per dare sostegno al progetto cavourriano dell’Unità nazionale. Il sogno dell’indipendenza finisce nella soffitta o nascosto in qualche piega della coscienza. La dipendenza della Sardegna diventa totale, generale. Da dipendenti del Piemonte passiamo alle dipendenze di tutte le regioni del Nord-Italia e dei loro affaristi e speculatori. E, oggi, esiste al mondo qualcosa, qualche potere o volere, da cui non dipendiamo? Ma questo non è lo status di una colonia?

Lo Stato italiano, sin dai suoi primi mugolii, considerò la Sardegna come una sua appendice molto incerta, una colonia insomma e come tale barattabile. La cessione ai francesi fu ipotizzata per molto tempo. Quella a favore degli inglesi con minore convinzione. A quando la cessione piena agli Stati Uniti d’America?”

Santa Martina


Santa Martina

Nome: Santa Martina
Titolo: Martire
Ricorrenza: 30 gennaio


Questa santa Vergine romana discendeva da celebre famiglia consolare. Rimasta orfana ancora in tenera età, si dedicò con tutto l’ardore della sua anima giovanile alle opere della cristiana pietà, distribuendo con la massima liberalità le ricchezze che i suoi le avevano lasciato in grande abbondanza. Non ci fu miseria che non soccorresse: nessuno mai bussò invano alla sua porta. Nei poverelli ella vedeva Gesù stesso, il Maestro Divino che aveva detto: « Quello che avrete fatto al minimo dei vostri fratelli, l’avrete fatto a me ».

Siccome la carità cristiana era sconosciuta nel mondo pagano, ben presto si sospettò che Martina fosse seguace di quel Nazareno che veniva a predicare, per mezzo dei suoi Apostoli, una fratellanza universale anche nella stessa Roma.

I nemici del nome cristiano le tennero gli occhi addosso. e accertatisi della cosa, non esitarono ad accusarla come cristiana.

Temendo ella quanto le poteva accadere, e che difatti le accadde, d’essere arrestata ed uccisa, distribuì immediatamente tutto quello che ancora le rimaneva ai poveri ed alla Chiesa, per avere in cielo quel tesoro che «i ladri non rubano e la tignola non intacca ». Aveva appena realizzato questo suo disegno che fu accusata e condotta davanti al preside romano.

Fu tentata in mille modi, le furono fatte promesse e minacce perché sacrificasse agli dèi dell’impero. Ma la Vergine, forte della fortezza di Cristo, rispose sempre con fermezza che « era cristiana » e che come tale si sarebbe sempre comportata.

Passando il giudice dalle minacce ai fatti, fu battuta colle verghe, scarnificata con uncini di ferro, poi, intrisa di grasso bollente, fu gettata alle belve dell’anfiteatro. Ma le bestie la risparmiarono. Allora fu fatto un grandissimo rogo, e la Vergine vi venne legata sopra: quando il fumo e le fiamme furono esaurite, i carnefici e la folla immensa che assisteva al crudele spettacolo, videro la santa giovane perfettamente illesa in mezzo al braciere, in attitudine di preghiera: il suo Dio l’aveva scampata.

Molti della folla e qualcheduno dei suoi stessi carnefici, alla vista di quel prodigio, si convertirono e si dichiararono cristiani.

Ma il giudice, più che mai irritato, ordinò che fosse decapitata. La pia fanciulla chinò il capo sotto la spada del carnefice. Allo spettacolo del martirio altri pagani si convertirono alla vera fede, ed ebbero la grazia di udire distintamente una voce superna che chiamava la Vergine alle celesti dolcezze del cielo.

Ma i prodigi non erano finiti: un terremoto scosse paurosamente tutta la città, e le statue degli dèi caddero a terra.

La Vergine subì il martirio sotto l’imperatore Alessandro Severo, mentre era Sommo Pontefice Urbano I. Fu sepolta nella chiesa del carcere Mamertino assieme ai martiri Concordio, Epifanio e compagni.

PRATICA. Impariamo da questa santa giovanetta ad essere forti nella fede e a non vergognarci del nome di Cristiani.

PREGHIERA. O Dio, che fra gli altri miracoli di tua potenza, anche al sesso debole hai accordata la vittoria del martirio, per la tua bontà, concedi a noi che celebriamo la festa della beata vergine e martire Martina, di salire a te per mezzo dei suoi esempi.