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Archivi giornalieri: 5 gennaio 2016
I nuovi requisiti per la pensione dal 2016
Pensioni
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Quattro mesi in più di età pensionabile a partire dal 2016 per l’adeguamento alle speranze di vita: nuovi requisiti e calcoli per la pensione di anzianità, anticipata, e di vecchiaia.
Aumentano dal 2016 i requisiti per andare in pensione, in attuazione dell’adeguamento alle speranze di vita, con quattro mesi in più di età e un adeguamento di 0,3 punti per chi ancora si ritira con il sistema delle quote: la circolare INPS 63 del 20 marzo 2015 spiega nel dettaglio tutti i requisiti per le pensioni delle varie categorie di lavoratori (uomini o donne, dipendenti o autonomi). Il riferimento normativo è il decreto ministeriale del 16 dicembre 2014, in attuazione dell’articolo 12, comma 12 bis, del decretolegge 7/2010. Vediamo con precisione come si alza dal primo gennaio 2016 l’età pensionabile per le pensioni di vecchiaia, di anzianità, e per la pensione anticipata.
=> Pensioni 2016 senza restituzioni né aumenti
Pensione di vecchiaia
Le regole generali per l’accesso alla pensione di vecchiaia sono quelle previste dalla Riforma Fornero, articolo 24 Dl 201/2011, armonizzata con l’adeguamento alle speranze di vita. Vediamoli in tabella.
Categoria lavoratori | Requisii pensione 2016 | 2017 | 2018 | dal 2019 |
Lavoratrici dipendenti del privato | 65 anni e 7 mesi | 65 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi + nuovo adeguamento speranze di vita |
Lavoratori dipendenti del privato | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mes + nuovo adeguamento speranze di vita |
Lavoratrici autonome | 66 anni e 1 mese | 66 anni e 1 mese | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mes + nuovo adeguamento speranze di vita |
Lavoratori autonomi | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi | 66 anni e 7 mesi + nuovo adeguamento speranze di vita |
Attenzione: per chi ha il primo accredito contributivo dopo il primo gennaio gennaio 1996, l’adeguamento alla speranza di vita si applica al requisito anagrafico previsto dall’articolo 24, comma 7, della Riforma Fornero, quindi in pratica l’età pensionabile, dal primo gennaio 2016, è pari a 70 anni e 7 mesi.
Pensione anticipata
Anche qui, la norma di riferimento è la Riforma delle pensioni Fornero di fine 2011. La differenza principale con la pensione di vecchiaia è che vale il requisito contributivo. Vediamo come cambia dal 2016:
Anno | Uomini | Donne |
dal 2016 al 2018 | 42 anni e 10 mesi | 41 anni e 10 mesi |
dal 2019 al 2020 | 42 anni e 10 mesi + nuovo adeguamento | 41 anni e 10 mesi + nuovo adeguamento |
Se il primo accredito contributivo è successivo al primo gennaio 1996, si applica il requisito anagrafico previsto dall’art. 24, comma 11, della Riforma Fornero, per cui l’accesso alla pensione anticipata con almeno 20 anni di contribuzione effettiva e il rispetto delle soglie minime è pari, dal primo gennaio 2016, a 63 anni e 7 mesi.
=> INPS: come ottenere la pensione anticipata piena
Pensione di anzianità
Bisogna aggiungere tre punti decimale alle quote (formate da età anagrafica + anzianità contributiva) previste dalla legge 243/2004. Quindi, per coloro che possono ancora andare in pensione con il sistema delle quote, a partire dal primo gennaio 2016 i requisiti sono 35 anni di contributi a cui si aggiunge un’età anagrafica di 61 anni e 7 mesi per i dipendenti, con raggiungimento di quota 97,6, e un’età di 62 anni e 7 mesi per gli autonomi, con raggiungimento di quota 98,6. Le modalità di calcolo della quota non cambiano. Ecco alcuni esempi:
- verifica dell’età effettuata il 31 ottobre 2016 per un lavoratore dipendente nato il 20 marzo 1955: 61 anni e 225 giorni, quindi 61,616 anni. Anzianità contributiva (sempre al 31 ottobre 2016) pari a 1877 settimane, quindi 36,096 anni. La somma tra età e anzianità contributiva al 31 ottobre 2016 è pari a 97,712. Quindi, è superata quota 97,6 e sono rispettati i requisiti minimi di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contribuzione;
- verifica dell’età al primo dicembre 2016 per un lavoratore autonomo nato il 20 marzo 1955: l’età è di 61 anni e 256 giorni, pari a 61,701 anni. L’anzianità contributiva è di 35 anni, 10 mesi e 24 giorni, quindi di 35 anni e 324 giorni pari a 35,900. La somma delle due cifre relative a età anagrafica e anzianità contributiva è 97,601. E’ quindi raggiunto il diritto alla pensione essendo superata quota 97,6, con il possesso dei requisiti minimo di 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contribuzione.
Restano fermi i diversi calcoli (previsti nella circolare INPS) relativi a personale delle Forze Armate, forze di polizia e vigili del fuoco, Comparto Sicurezza, Difesa e Pronto soccorso, ai vigili del fuoco.
Fonte: circolare INPS 63/2015
Lavoro – Fiscale 05/01/2016
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A Maria tutto il suo posto
Come a Efeso
di Lucetta Scaraffia
Papa Francesco ha fatto capire molto chiaramente, fin dall’inizio del suo pontificato, di provare una intensa e specifica devozione nei confronti di Maria. E forse questo suo evidente amore mariano, unito alla straordinaria capacità di parlare a tutti con semplicità e chiarezza, ha potuto farlo passare — agli occhi di molti — per un Pontefice che lascia le vette del pensiero teologico per privilegiare una devozione sentimentale, ingenua.
Niente di più errato: il Papa lo ha mostrato con chiarezza il giorno della festa della Madre di Dio, quando, dopo avere brevemente ma con grande efficacia evocato il ruolo di Maria — «lei ci ha portato la Misericordia, Gesù, la nostra gioia, la nostra speranza, la nostra letizia» — ha invitato tutti a ripetere tre volte, come molti secoli fa fecero i cristiani di Efeso, «santa Madre di Dio». Riallacciandosi così al concilio che ha fondato la verità teologica della doppia natura di Cristo uomo e Dio attraverso una definizione che riguarda la donna che l’ha partorito. Mettendo quindi al centro della disputa dottrinale centrale della storia del cristianesimo la figura di Maria.
Francesco ci porta a riconoscere, in questo modo, il ruolo centrale di Maria nella storia dell’alleanza fra Dio e gli esseri umani: Maria è condizione dell’Alleanza, condizione liberamente chiesta da Dio a una donna libera. Con il suo sì, pronunciato in modo pieno e totale in rappresentanza dell’intero popolo di Israele, una donna dà al Figlio di Dio la natura umana, una donna permette che siano resi all’uomo i tratti della parentela divina.
Maria diventa così l’esempio per tutti noi, uomini e donne, immagine di questa nuova umanità che consente a Dio: se Dio si è fatto seme in lei, lo deve divenire in ciascuna delle nostre vite. Maria è il modello perché è la creatura che si è prestata perfettamente all’azione di Dio in lei, senza porre ostacoli.
Così, riflettendo su questo mistero, vediamo come il primo interlocutore fra Dio e l’essere umano, che nell’Antico Testamento era Adamo, nel Nuovo diventi una donna, Maria, modello di tutti i credenti. Una rivoluzione che la Chiesa in fondo non ha ancora accettato fino alle sue conseguenze decisive per definire il ruolo delle donne al suo interno, ma che il Pontefice sta svolgendo, con tanti piccoli e grandi passi.
Perché non si tratta tanto di definire meglio quale sia il posto di Maria nel mistero della salvezza, come fa la mariologia da secoli, ma piuttosto di dare a Maria «tutto il suo posto», tutto il suo peso teologico e spirituale. Accettando le conseguenze che questo comporta.
Papa Francesco ha detto in più di una circostanza che è necessaria «una nuova teologia della donna», ma se osserviamo attentamente il modo in cui ci parla di Maria, dobbiamo riconoscere che questa nuova teologia la sta costruendo lui stesso. Partendo da un riconoscimento vero della Madre di Dio.
(© L’Osservatore Romano 2-3 gennaio 2016)
Il dovere dell’esemplarità
Nel discorso natalizio di Papa Francesco alla curia non poteva mancare il richiamo a quello fondativo di Paolo VI del 1963. Rivolto ai suoi collaboratori il 21 settembre, esattamente tre mesi dopo l’elezione e alla vigilia della ripresa del concilio sospeso alla morte di Giovanni XXIII, il calibratissimo testo di Montini sul dovere dell’esemplarità ha di certo sostenuto la riflessione del suo successore, che con ogni evidenza ha meditato a lungo per preparare il suo impegnativo intervento, esplicitamente riallacciato a quelli degli anni scorsi.
E come i discorsi precedenti, anche questo catalogo di virtù che deve proporsi ogni curiale può essere applicato, come ha detto Bergoglio, a «ogni cristiano, ogni curia, comunità, congregazione, parrocchia e movimento ecclesiale». Dodici coppie di virtù, le cui iniziali formano la parola “misericordia” e che il Pontefice ha presentato come «antibiotici» per le malattie spirituali: missionarietà e pastoralità, idoneità e sagacia, spiritualità e umanità, esemplarità e fedeltà, razionalità e amabilità, innocuità e determinazione, carità e verità, onestà e maturità, rispettosità e umiltà, doviziosità e attenzione, impavidità e prontezza, affidabilità e sobrietà.
Antidoti, dunque; dei quali c’è palese bisogno, al punto che nel successivo incontro con i dipendenti vaticani il Papa ha chiesto perdono per gli scandali provocati dalle vicende, davvero penose, degli ultimi tempi. Assicurando al tempo stesso che quanto è accaduto ha costituito e costituirà «oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti. La riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché ecclesia semper reformanda».
Non a caso nell’ora del concilio, Paolo VI rivolse ai curiali parole che vale la pena rammentare anche oggi: «Da tutte le parti si guarda a Roma cattolica, al pontificato romano, alla Curia romana. Il dovere d’essere autenticamente cristiani è qui sommamente impegnativo. Non ricorderemmo a voi questo dovere, se a noi stessi non lo ricordassimo ogni giorno. Tutto a Roma fa scuola: la lettera e lo spirito. Come si pensa, come si studia, come si parla, come si sente, come si agisce, come si soffre, come si prega, come si serve, come si ama; ogni momento, ogni aspetto della nostra vita ha intorno a noi un’irradiazione, che può essere benefica, se fedele a ciò che Cristo vuole da noi; malefica, se infedele».
È infatti in questa stessa luce che va letto il discorso del Pontefice: così Francesco ha ripetuto, con il suo predecessore, la gratitudine e l’apprezzamento per «l’efficienza dei servizi, che la Curia Romana con fatica, con responsabilità, con impegno e dedizione rende al Papa e a tutta la Chiesa», aggiungendo nel solco della spiritualità ignaziana che questa è una «vera consolazione» a sostegno della volontà di «andare avanti nella via del bene». Nella consapevolezza cristiana della limitatezza di ogni sforzo personale, che il Pontefice ha espresso citando una preghiera che ripeteva una grande figura del cattolicesimo statunitense, il cardinale John Francis Dearden.
g.m.v.
rassegna sindacale
del 05/01/2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
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la Repubblica
San Giovanni Nepomuceno Neumann
Giovanni nacque in Boemia e frequentò le scuole a České Budějovice prima di entrare nel seminario della stessa città nel 1831. Due anni dopo si trasferì all’Università di Praga per studiare teologia. Voleva ricevere l’ordinazione presbiterale, ma il suo vescovo, nel 1835, decise che non ci sarebbero state altre ordinazioni, perché la Boemia aveva già un elevato numero di sacerdoti.
Negata la sua candidatura di vescovo ad ogni comunità europea, Neumann scrisse ai vescovi americani, chiedendo di essere ordinato negli Stati Uniti. Nel 1836, arrivò negli Stati Uniti provvisto di scarsissimo denaro e fu ordinato sacerdote.
Dal vescovo di New York fu assegnato alla cura pastorale della popolazione di origine tedesca recentemente immigrata nelle chiese missionarie della regione delle Cascate del Niagara. Qui si distinse per la particolare attenzione prestata agli infermi; inoltre si impegnò nell’insegnamento del catechismo formando anche altri insegnanti che poterono continuare la sua opera. Dopo quattro anni di questo instancabile servizio, comprese l’importanza di ricevere sostegno vicendevole e della positività del lavoro comune nell’attività pastorale. Si rivolse quindi alla Congregazione del Santissimo Redentore che lo accolse nel noviziato di Pittsburgh, in Pennsylvania. Nel gennaio del 1842, pronunciò i voti ed entrò nell’ordine a Baltimora, nel Maryland, divenendo il primo redentorista del Nuovo Mondo. Dopo sei anni di lavoro faticoso ma fruttifero all’interno dell’ordine, fu nominato superiore provinciale dei redentoristi negli Stati Uniti. Neumann fu naturalizzato cittadino americano a Baltimora il 10 febbraio 1848.
Nel 1852 venne nominato vescovo di Philadelphia, dando un notevole contributo alla riorganizzazione della diocesi. Fu il primo ad organizzare un sistema scolastico diocesano e accrebbe il numero delle scuole cattoliche della diocesi da uno a duecento. Accolse nel Nuovo Mondo le Suore Scolastiche di Nostra Signora per i compiti di assistenza nell’istruzione religiosa e negli orfanotrofi.
Neumann non fu un vescovo popolare e ricevette delle critiche. Dovette affrontare il Know Nothing, un gruppo politico xenofobo e anticattolico che incendiò conventi e scuole. Scoraggiato, Neumann scrisse alla Santa Sede per chiedere di essere sostituito alla guida della diocesi.
Scrisse molti articoli su giornali cattolici. Pubblicò anche due catechismi e una storia della Bibbia in tedesco.
Nel 1860, Neumann morì in seguito ad un infarto all’età di 48 anni, mentre camminava per una strada di Filadelfia.
fonte:wikipedia.org