Archivi giornalieri: 28 maggio 2014

Papa Bergoglio

Bergoglio all’Olimpico con Rinnovamento
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​Salvatore Martinez (Foto Siciliani)
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Il Papa andrà allo stadio di Roma, l’Olimpico. Per la prima volta metterà piede nella più importante struttura sportiva della capitale domenica pomeriggio (1 giugno) per una festa della fede con 52mila persone del Rinnovamento nello Spirito. “Il papa quando era in Argentina, soprattutto da ragazzo, amava andare allo stadio, da solo o con la famiglia. Credo che la sua presenza domenica all’Olimpico – ha detto mons. Filippo Iannone, vicegerente della diocesi di Roma – possa essere un messaggio per i tifosi di Roma e di tutta Italia. Messaggio di cui abbiamo un grande bisogno”, ha aggiunto. 

Bergoglio arriverà allo stadio intorno alle 17, entrerà all’ingresso riservato alle autorità, passerà nel tunnel normalmente utilizzato dai giocatori; attraverserà il centro campo per arrivare sotto la tribuna Tevere dove verrà allestito un palco dal quale farà il suo discorso. “A Roma, cuore della cristianità – dice Salvatore Martinez, presidente del Rinnovamento nello Spirito – la grande arena dello stadio Olimpico si trasformerà in un Cenacolo a cielo aperto”.

Il movimento è presente in 215 Paesi nei cinque continenti. A Roma verranno delegazioni da 52 Paesi. Previsti momenti di preghiera ma anche musica e coreografie.

Imponente anche la macchina organizzativa messa in campo dal Comune di Roma. I bus destinati all’evento sono 685, dei quali 105 adibiti al trasporto dei disabili, ha riferito Guido Improta, assessore alla mobilità del Comune di Roma. “È uno sforzo importante, ma ci fa piacere farlo perché Roma è la città del Papa e noi vogliamo dare un’accoglienza adeguata a lui e a chi viene in questa città per incontrarlo”, ha aggiunto.

L’evento avrà anche un carattere ecumenico con la presenza di evangelici e pentecostali. Alla 37/ma convocazione del Rinnovamento con Papa Francesco, interverranno anche il card. Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, il card. Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, il card. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia.

A 40 anni dalla bomba di Piazza della Loggia

28 maggio 2014   Informazione   Commenta

A 40 anni dalla bomba di Piazza della Loggia, Brescia: strage, il volto del male assoluto

Il video fa parte della campagna #SemprePerLaVerità, iniziativa della Casa della memoria, del cinema Nuovo Eden e il gruppo indipendente Smk Videofactory

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di Norberto Bobbio in un inedito pubblicato da Avvenire.it

La Piazza della Loggia di Brescia è un luogo della memoria. Di una memoria dolorosa per i morti e i feriti che l’hanno insanguinata, per il modo con cui sono stati uccisi e colpiti, per la verità contestata e negata. Uno dei tanti, troppi, luoghi in cui la restaurata libertà, che avrebbe dovuto dar vita a una pacifica convivenza, non ha impedito la morte di tante vittime innocenti e invendicate. Una memoria che non può e non deve essere cancellata. I familiari e gli amici delle vittime non possono cancellarla. Gli italiani non debbono.

Vi sono due forme diverse della memoria: quella interiore e quella esterna. La memoria esterna, che si manifesta nelle cerimonie ufficiali, nei discorsi commemorativi, nelle lapidi, nei monumenti, nei libri di storia, nelle testimonianze dei protagonisti, nella riproduzione di immagini dell’evento, ha senso soltanto se serve a mantener viva la memoria interiore. La può sollecitare, ma non la sostituisce. L’una è la memoria morta, l’altra la memoria viva. In un cimitero osserviamo una madre inginocchiata di fronte alla tomba del figlio. La tomba è la memoria esterna; la madre, che ha posato su di essa un mazzo di fiori e prega, rappresenta la memoria interiore. La lapide è, di per se stessa, muta […].

Ma la morte può essere collettiva come quella di cui si parla quando si rievoca una strage? No, nella memoria interiore la morte è sempre individuale. Diciamo per convenzione: una decina, un centinaio di morti. Ma ogni morte è diversa dall’altra, come del resto ogni nascita. Ciascuno muore come singolo e solo, con gli affetti che lo hanno nutrito, con le fantasie che lo hanno aiutato a vivere, con gli incubi che lo hanno tormentato, coi suoi vizi e le sue virtù, con le sue abitudini, il suo modo di parlare, di ridere, di soffrire. La memoria esterna li accomuna, la memoria interna soltanto è capace di restituire a ciascuno la propria vita e quindi anche la propria morte. Rievocando a una a una quelle vittime, e non tutte insieme, la strage appare ancora più orrenda. Dietro ogni vita stroncata c’era un universo di affetti e di progetti che è stato irrimediabilmente distrutto […].

La rimembranza è stimolo alla riflessione. Non è la prima volta del resto che quel che avvenne il 28 maggio 1974 è oggetto di riflessione storica, politica, filosofica e religiosa. Un evento così spaventoso non può non suscitare mille domande cui è difficile dare risposte. Soprattutto due, la cui mancata risposta ci ha lasciato un amaro senso di impotenza: «Perché quel delitto è stato compiuto? Perché dopo vent’anni non sappiamo ancora chi siano stati gli autori?». La prima domanda ci obbliga ad affacciarci al problema del bene e del male, la seconda a quello della verità e della menzogna. Sono domande ultime, perché ne dipende la conoscenza che noi dovremmo avere di noi stessi: sappiamo benissimo che la nostra vita è continuamente minacciata e avvilita dalla mancanza di giustizia e di verità.

Il male, sotto forma di violenza, assume diversi aspetti, ha diverse gradazioni: la situazione limite del male è il male radicale, ovvero il male per il male su cui ha scritto pagine indimenticabili Primo Levi nell’ultimo suo libro, I sommersi e i salvati. Il male compiuto con nessun altro scopo che quello di fare il male. Testualmente: «La violenza fine a se stessa, volta unicamente alla creazione del dolore; talora tesa a uno scopo, ma sempre ridondante, sempre fuori di proporzione rispetto allo scopo medesimo». Fra tutte le azioni delittuose che gli uomini possono compiere contro altri uomini, la strage è uno di quelli che più si avvicina al male radicale. Di qua la sua eccezionalità, e proprio per questa sua eccezionalità è più difficile da comprendere. Ciascuno di noi è disposto attraverso la propria esperienza quotidiana a capire il delitto passionale, il delitto di chi uccide per essere stato colto in flagrante, il delitto di chi si vendica di un suo nemico, la violenza in guerra, in cui sei costretto ad uccidere chi ritieni o sei indotto a ritenere tuo nemico. Nella normalità dei casi chi uccidi è il tuo nemico vero o presunto […].

Ebbene, la caratteristica della strage è quella di essere, fra tutte le forme di violenza, quella più vicina alla violenza assoluta: è il massimo delitto, l’omicidio, diretto consapevolmente contro degli innocenti. Colui che colloca una bomba micidiale su un treno o nella sala d’aspetto di una stazione sa con certezza che le vittime che il suo gesto produce non hanno, rispetto al fine o ai fini che egli si propone, nessuna colpa. Non colpisce il nemico, vero o presunto, ma a capriccio coloro che si trovano per puro caso su quel treno, in quella sala d’aspetto, su una piazza. Non voglio dire che lo stragista non abbia un nemico da colpire o di cui vendicarsi. Ma il suo nemico è altrove: l’eccidio degli innocenti è soltanto un mezzo per colpire indirettamente un nemico che solo lui sa o deve sapere chi sia e dove sia.

Non c’è forse modo più perverso di ridurre l’uomo a mezzo che quello di considerare puro mezzo di un disegno ignoto la sua morte violenta. Voi potreste obiettarmi che sono innocenti anche coloro che il pilota di un aereo di guerra uccide sganciando una bomba su una città. Ma sono, questi innocenti, per lui nemici, quelli che il potere gli ha imposto o fatto credere di essere suoi nemici. Può esserci un solo argomento per attribuire la qualità di nemico a coloro che si trovavano, venuti dalle più diverse parti e per motivi più diversi e coi progetti di vita più disparati, in quella mattina d’estate nella sala d’aspetto nella stazione di Bologna? […] E se al di là dei fini specifici ci fosse soltanto, o anche, un irresistibile delirio di potenza? Uccidere è un modo per affermare la propria superiorità. Quale maggiore espressione di potenza che uccidere da solo, con un solo atto, non un uomo ma molti uomini insieme? Ucciderli a tuo arbitrio, di nascosto, come un demone terribile e ignoto?

Questo articolo è stato pubblicato da Avvenire.it il 26 maggio 2014

ISTAT

Istat: giovani i più colpiti dalla crisi

Dal Rapporto 2014 dell’Istat emerge che: i giovani sono il gruppo più colpito dalla crisi: i 15-34enni occupati diminuiscono, fra il 2008 e il 2013, di 1 milione 803 mila unità, mentre i disoccupati e le forze di lavoro potenziali crescono rispettivamente di 639 mila e 141 mila unità. ll tasso di occupazione 15-34 anni scende dal 50,4% del 2008 all’attuale 40,2%, mentre cresce la percentuale di disoccupati (da 6,7% a 12%), studenti (da 27,9% a 30,7%) e forze di lavoro potenziali (da 6,8% a 8,3%). Le differenze di genere sono importanti: il tasso di occupazione è al 34,7% tra le donne e raggiunge il 45,5% tra gli uomini. Anche i divari territoriali sono marcati: al Nord il tasso di occupazione è pari al 50,1% (-12,1 punti percentuali dal 2008), contro il 43,7% del Centro (-10,4 punti) e il 27,6% del Mezzogiorno (-8,4 punti). Le differenze territoriali sono importanti anche per le quote di disoccupati (15,3% nel Mezzogiorno contro 9,3% nel Nord) e di forze di lavoro potenziali (14,3% contro 4%). Sempre nel Mezzogiorno è leggermente più elevata la quota di studenti (32%, contro il 31,4% del Centro e il 29,3% del Nord).

Tra quanti vivono ancora con i genitori, la percentuale di disoccupati e forze di lavoro potenziali diminuisce al crescere del titolo di studio dei genitori (12,3% tra i figli di laureati e 37,7% tra i figli di genitori con al più la licenza elementare).

Precari – Anche se nel 2013 poco più della metà degli atipici, ovvero di chi non ha il cosiddetto posto fisso, va avanti con un contratto che dura meno di un anno, per molti la condizione di precarietà si protrae: 527 mila atipici svolgono lo stesso lavoro da almeno cinque anni (erano il 18,3% nel 2008, il 20,2% nel 2013), con incidenze piu’ elevate tra i collaboratori e tra chi lavora nei servizi generali della Pa e nell’istruzione.
 
Emigrazione-  Le difficoltà sul mercato del lavoro spingono a cercare nuove opportunità al di là dei confini dell’Italia: nel 2012 hanno lasciato il Paese oltre 26mila giovani tra i 15 e i 34 anni, 10mila in piu’ rispetto al 2008. Negli ultimi cinque anni, si è trattato di quasi 100 mila giovani (94mila).

Ritorno figli a casa – C’è un “fenomeno emergente”, quello del ricompattamento delle famiglie. Secondo l’Istat in Italia oltre 1,5 milioni di persone vivono in famiglie con più nuclei. Il fenomeno è legato al “rientro dei figli nei nuclei genitoriali – spiega l’istituto di statistica nel Rapporto annuale – dopo separazioni, divorzi, emancipazioni non riuscite o attraverso la coabitazione con parenti” Le famiglie composte di due o piu’ nuclei sono in Italia 370mila.

Diminuzione ingressi in Italia – Gli ingressi di cittadini stranieri in Italia si sono attenuati con la crisi: 321 mila nel 2012, il 27,7% in meno rispetto al 2007. È in aumento inoltre il numero di stranieri che lasciano lo stivale: circa 38 mila cancellazioni nel 2012, +17,9% rispetto all’anno precedente.

Nuovo minimo storico per le nascite da quasi vent’anni – Nel 2013 si stima che saranno iscritti all’anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno “rispetto al minimo storico registrato nel 1995″.  In cinque anni sono arrivate in Italia 64mila ”cicogne” in meno.

ISTAT

Istat: famiglie sempre più povere, under 35 e Sud sempre più a rischio

La crisi continua a piegare le famiglie italiane che sono sempre più povere, specie al Sud dove si registra un disagio cinque volte superiore al Nord. Nel nostro Paese la povertà colpisce tre volte di più le persone sotto i 35 anni e due volte di più i disoccupati e gli inattivi. Così, per tirare avanti, o per non erodere i risparmi, le famiglie italiane nel 2013 hanno ridotto la spesa per i consumi del 2,6% e quella per le cure mediche.

E’ ancora piena di ombre la situazione del Paese fotografata nel Rapporto annuale 2014 sulla situazione del Paese, diffuso oggi dall’Istat. L’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, segnala l’Istat, “sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione. La grave deprivazione, dopo l’aumento registrato fra il 2010 e il 2012 (dal 6,9% al 14,5% delle famiglie) registra un lieve miglioramento nel 2013, scendendo al 12,5%”. La foto scattata dall’Istat indica come “il rischio di persistenza in povertà, ovvero la condizione di povertà nell”anno corrente e in almeno due degli anni precedenti, è nel 2012 tra i più alti d”Europa (13,1 contro 9,7%)”.

“Si tratta di una condizione strutturale” sottolinea l’Istituto, e “le famiglie maggiormente esposte continuano a essere quelle residenti nel Mezzogiorno, quelle che vivono in affitto, con figli minori, con disoccupati o in cui il principale percettore di reddito ha un basso livello professionale e di istruzione”. Il rischio di persistenza nella povertà “raggiunge il 33,5% fra le famiglie monogenitori con figli minori” e “nel Mezzogiorno è cinque volte più elevato che nel Nord, tre volte più elevato tra gli adulti sotto i 35 anni, due volte più elevato tra i disoccupati e gli inattivi” è il dato che arriva dall’Istat.

Sempre a causa della crisi economica, evidenzia il Rapporto Annuale 2014 dell’Istat, peggiorano anche i divari territoriali, facendo registrare una perdita di occupazione nel Mezzogiorno superiore al resto del Paese. “Il tasso di occupazione maschile del Mezzogiorno, già inferiore di quasi dieci punti alla media nazionale nel 2008, -si legge nel Rapporto- continua a diminuire con un ritmo più accentuato, attestandosi al 53,7% nel 2013”.

E per la prima volta dall’inizio della crisi, nel 2013 la riduzione dei consumi è stata maggiore di quella del reddito. “Dopo qualche anno di contrazione dei redditi reali e probabilmente in seguito al diffondersi della percezione che la crisi non era conclusa, sembra che le famiglie abbiano smesso di finanziare la spesa contraendo il risparmio” dice l’Istat.      Nel 2013, inoltre, “è tornata ad aumentare la propensione al risparmio (ovvero il risparmio lordo sul reddito disponibile), risalita al 9,8% dopo il minimo storico dell’8,4% toccato nel 2012” prosegue l’Istituto rilevando che “per la prima volta dall’inizio della crisi, nel 2013 la riduzione dei consumi è stata maggiore di quella del reddito”.

Sul fronte delle imprese, nel 2013 i livelli dell’attività produttiva “sono rimasti inferiori a quelli del 2008, in particolare nelle costruzioni (-28% di valore aggiunto) e nella manifattura (-17,5%), meno nell’agricoltura e nei servizi (rispettivamente -6,4 e -3,9%)”. Rispetto ai paesi Ue, però, “l’Italia mostra una quota elevata di export afferente alle piccole e medie imprese (circa il 54%), molto superiore a quella delle altre grandi economie europee”. Le imprese estere controllate dalle multinazionali italiane occupano 1,7 milioni di addetti.

La loro presenza è in aumento tra il 2007 e il 2011: +1.600 unità (pari a +8,1%) e +250 mila addetti esteri (+18,4%). Il nostro Paese, inoltre, stenta ad attrarre investimenti diretti esteri (Ide). Nel 2011 sono circa 13 mila 500 le imprese a controllo estero; esse occupano quasi 1,2 milioni di addetti e spiegano il 13,4% del valore aggiunto del sistema produttivo (meno che in Francia, Germania e Spagna). Riguardo l’innovazione, l’Italia continua ad investire in Ricerca e Sviluppo (R&S) una quota di Pil distante dall’obiettivo definito da Europa 2020 (1,25% a fronte dell’1,53%). “Il ritardo -afferma l’Istat- è vistoso anche nella spesa delle imprese (0,7% del Pil contro 1,3% della media Ue27). Quasi un quarto di questa spesa si deve a multinazionali estere”.

Ma nel Rapporto dell’Istat sembra intravedersi anche un pò di luce. Secondo le stime dell’Istituto di statistica, infatti, nel 2014 si prevede un aumento del prodotto interno lordo (Pil) italiano “pari allo 0,6% in termini reali”. E la prospettiva apre all’ottimismo anche per per i prossimi due anni, periodo in cui, “la crescita dell’economia italiana si attesterebbe all’1% nel 2015 e all’1,4% nel 2016”. Queste previsioni, avverte però l’Istat, “sono tuttavia soggette a rischi e incertezza derivanti dall’andamento della domanda globale, dalle condizioni di accesso al credito e dagli effetti delle politiche economiche”.

Welfare

Welfare: donne assistono malati famiglia, senza indennità

Sono soprattutto le donne a occuparsi di persone delle famiglie malate e non autosufficienti. La percentuale è pari al 70% del totale. La maggior parte delle donne (chiamate caregivers) ha tra i 41 ed i 60 anni (51%) e il 78% tra i 40 e i 70 anni. Emerge da una ricerca realizzata dallo Spi-Cgil Piemonte in collaborazione con l’Ires-Cgil, con 500 questionari distribuiti a famiglie nelle quali è presente un individuo non autosufficiente.

Per le donne l’assistenza è quotidiana nell’81% dei casi (rispetto al 65% negli uomini). Il 34,4% delle donne (rispetto
al 18,8% uomini) se ne occupa più di 70 ore a settimana mentre nella fascia di meno di 20 ore si colloca il 54,6% degli uomini e il 34,4% delle donne. In comune tutti e tutte le caregivers hanno un problema finanziario: molte donne assistite (il 25%) ha una pensione inferiore a 600 euro (rispetto all’8,8% degli uomini) ed il 37% (rispetto al 35,1%) tra 600 e 1.000 euro.

“La richiesta di sostegno con servizi a domicilio – commenta la Cgil – è pressante e lo diventerà sempre di più. E’ importante anche che si creino dei momenti di socialità soprattutto per le caregivers, spesso più giovani, utilizzando anche mezzi informatici e gruppi di auto-aiuto”. Nell’Ue sono diverse le soluzioni per i caregivers familiari, dai credit retribuiti del Belgio a paesi come Bulgaria o Repubblica Ceca che pagano il costo del lavoro per gli occupati/e, o la Germania che paga i contributi. In Danimarca lo Stato paga le caregivers 2.566 euro al mese dalla fiscalità generale, per un massimo di sei mesi. Ci sono poi paesi come la Spagna o l’Italia dove i permessi sono pochi e poco retribuiti, o la Finlandia, dove l’indennità è l’equivalente di un sussidio di disoccupazione.

Previdenza complementare

Covip, 6,2 milioni di iscritti ai fondi nel 2013, +6,1%

Crescono gli iscritti ai fondi di previdenza complementare (+6,1% nel 2013 a quota 6,2 milioni) ma il passo avanti è dovuto al boom dei piani individuali pensionistici (i cosiddetti pip) mentre arretrano i fondi negoziali (-1%). E’ quanto si legge nella Relazione della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione. I pip con un +18,9% raggiungono quota 2,3 milioni e sorpassano gli iscritti ai fondi negoziali (1.950.552, -1%). Al 31 marzo 2014 le adesioni ai fondi hanno raggiunto quota 6,3 milioni.

Gli iscritti ai fondi aperti nel 2013 erano 984.584 con un aumento del 7,7% sull’anno precedente. Sono andati bene i rendimenti in generale ma soprattutto  per i pip (+12,2%) mentre i fondi aperti hanno segnato un +8,1%  e i fondi negoziali un +5,4% (appena l’1,7% la rivalutazione del Tfr lasciato in azienda per l’anno).

Alla fine del 2013 i fondi registrati alla Covip erano 510 con 116,4 miliardi di risparmio previdenziale gestito. Nel 2013 sono stati raccolti 12,5 miliardi di euro, di cui  5,2 miliardi provenienti da flussi di Tfr indirizzati alla previdenza complementare. Si contano 330 fondi pensione preesistenti al 1992, che totalizzano 50 miliardi di risparmio, il 40% del totale, 39 fondi pensione negoziali (per un totale di di 34,5 miliardi) 59 fondi pensione aperti (12 miliardi) e 81 pip (19,5 miliardi).

L’aumento a 1,4 milioni degli iscritti “silenti” ai fondi pensione “è un evidente segno di crisi, problema che abbiamo davanti è di continuare a tenere alta l’attenzione sulla previdenza complementare”. Lo ha affermato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a margine della relazione annuale della Covip, in cui si evidenzia questo dato. “La crisi c’è e pesa – ha continuato il ministro – ma se accorciamo la vista nel medio periodo poi la situazione diventa drammatica”. Quanto ad un meccanismo di maggiore automaticità per l’adesione ai fondi pensione, il ministro ha detto che “il tema è sempre presente ed è all’ordine del giorno” ma al riguardo il governo “non ha iniziative al momento”. “Dobbiamo guardare questo contesto che è – aggiunge – un dato oggettivo legato alla crisi e dall’altra parte abbiamo l’esigenza di fare informazione per lo sviluppo della previdenza integrativa e per lavorare sull’attrattività”. Inoltre, il ministro ha spiegato che le risorse che provengono dai fondi pensione potrebbero essere impegnate “per lo sviluppo del paese ma attraverso logiche di garanzia, risorse che potrebbero essere utilizzate anche per lo sviluppo delle infrastrutture utili alla collettività