Immigrati

Ocse: la crisi colpisce pesantemente gli immigrati

L’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, basata a Parigi, ha pubblicato, nei giorni scorsi, il rapporto “Prospettive sulle migrazioni internazionali 2013” (International Migration Outlook 2013). Secondo il rapporto, le principali tendenze riscontrate sono:

i flussi d’immigrazione aumentano nei Paesi dell’OCSE, ma registrano livelli ben inferiori rispetto ai flussi che hanno preceduto la crisi. Nel 2011, per quanto riguarda l’immigrazione permanente, i flussi sono aumentati rispetto al 2010 nell’insieme dei Paesi OCSE, ma non superano i quattro milioni. I dati preliminari disponibili per il 2012 indicano un ulteriore aumento. La migrazione temporanea per motivi di lavoro, ha registrato in sostanza gli stessi livelli rispetto al 2010, con un po’ meno di due milioni d’immigrati nei Paesi di accoglienza. 
India e Cina continuano a essere due importanti Paesi di origine dell’immigrazione verso i Paesi dell’OCSE. Quest’anno, tuttavia, Polonia e Romania compaiono tra i primi tre Paesi (dopo la Cina) d’immigrazione. Un trend ascrivibile all’aumento della mobilità all’interno dell’UE. I flussi migratori in uscita dai Paesi più colpiti dalla crisi, e in modo particolare dai Paesi dell’Europa del Sud, hanno altresì segnato un’accelerazione del 45%, dal 2009 al 2011.
Nel 2011, i richiedenti asilo nei Paesi dell’OCSE sono aumentati di più di un quinto, superando per la prima volta un totale di 400.000 richieste dal 2003. Questo trend è confermato dai dati preliminari del 2012. In cima alla classifica dei Paesi ospitanti, si trovano gli Stati Uniti, la Francia e la Germania. Tra i Paesi di accoglienza, l’Italia occupa la quarta posizione nel 2011, situazione in gran parte riconducibile alla “Primavera araba”.
Molti Governi hanno adottato politiche più restrittive nelle politiche di assunzione di persone provenienti dall’estero poiché mirano a proteggere la propria forza lavoro in una fase di disoccupazione al rialzo. In alcuni Paesi, tuttavia, sono state introdotte misure per alleviare la situazione dei lavoratori stranieri che hanno perso il posto di lavoro. In generale, si tratta di disposizioni che li autorizzano a rimanere nel Paese di accoglienza e a cercare un nuovo lavoro. Un maggior numero di Paesi sta adottando sistemi a punti, che, secondo loro, offrirebbero una più ampia flessibilità nel processo di selezione dei candidati altamente qualificati. Alcuni Governi sono altresì interessati da programmi volti ad attrarre gli investitori e gli imprenditori.
La disoccupazione di lungo termine degli immigrati è diventata una notevole sfida in molti Paesi dell’OCSE. Nel 2012, quasi un disoccupato immigrato su due ha cercato lavoro per più di un anno.
Gli immigrati giovani e i meno qualificati sono stati particolarmente colpiti dalla crisi, mentre le donne immigrate e gli immigrati molto qualificati hanno subito le conseguenze della crisi in misura più contenuta. L’impatto più forte della crisi ha colpito gli immigrati provenienti dall’America Latina e dall’Africa del Nord. Per esempio, in Europa, gli immigrati che provengono dall’Africa del Nord hanno dovuto affrontare livelli record di disoccupazione e nel 2012 hanno registrato un tasso di disoccupazione del 26,6 %.

C’è un’ampia discussione per chiarire se gli immigrati sono contribuenti netti per la finanza pubblica o se invece ricevono più di quanto contribuiscano. Le stime indicano che l’impatto degli immigrati sull’equilibrio fiscale è lieve. Generalmente, non supera lo 0,5% del PIL, sia in termini positivi sia in termini negativi. Tuttavia, abitualmente gli immigrati hanno un’incidenza meno positiva sul bilancio pubblico rispetto ai nativi.

Il profilo di età degli immigrati è un fattore importante che consente di comprendere le differenze nella situazione contributiva netta degli immigrati riscontrate nei diversi Paesi esaminati. L’età compiuta al momento dell’entrata nel Paese ospitante è un elemento decisivo per definire il valore attuale netto degli immigrati depurato dai loro futuri contributi finanziari diretti. Ciononostante, in molti sistemi d’immigrazione il fattore età svolge, per la selezione dei lavoratori immigrati, un ruolo di secondo piano rispetto ad altri fattori, tra cui l’esperienza lavorativa, la lingua parlata e l’istruzione.

La discriminazione nei confronti degli immigrati e dei loro figli nel mercato del lavoro e nella società può essere dannosa per la coesione sociale e ridurre gli incentivi per investire nell’istruzione. Inoltre, la discriminazione può anche tradursi in una perdita economica per il Paese ospite. Non è facile misurare la discriminazione, ma alcuni studi indicano che per ottenere un colloquio di lavoro non è raro che gli immigrati e i loro figli, siano costretti a inviare più del doppio di candidature rispetto ai nativi che hanno lo stesso curriculum vitae. .

La maggior parte dei Paesi dell’OCSE ha adottato misure per contrastare la discriminazione, benché si riscontri un’ampia variazione nell’intensità e nella portata di tali misure tra i diversi Paesi. I rimedi più diffusi sono di natura giuridica. Un certo numero di Paesi ha altresì applicato politiche di “discriminazione positiva” basate su target e quote nonché su strumenti come curriculum vitae anonimi.

da Dipartimento Politiche globali Cgil

Immigratiultima modifica: 2013-06-24T17:04:20+02:00da vitegabry
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