Archivi giornalieri: 2 giugno 2013

INPS: circolari e messaggi

 


Gentile Cliente, 
Le inviamo gli ultimi Messaggi Hermes pubblicati sul sito www.INPS.it > Informazioni >INPS comunica > normativa INPS: circolari e messaggi

 

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8824 del 30-05-2013
  Contenuto:  Decreto 22 aprile 2013 del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro dell?Economia e delle Finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 123 del 28.05.2013. Modalità di attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi 231 e 233, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Estensione platea salvaguardati. Terzo contingente (n.10.130).
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8761 del 29-05-2013
  Contenuto:  Bustone 2013. Invio delle richieste delle dichiarazioni dei redditi e di accertamenti per il diritto alle prestazioni assistenziali.
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8831 del 30-05-2013
  Contenuto:  Fondi pensione complementare ?Perseo? e ?Sirio?. Contributo di solidarietà alle casse pensioni della gestione dipendenti pubblici dovuto sulle contribuzioni e somme a carico dei datori di lavoro e destinate alla previdenza complementare. Articolo 9 bis del decreto legge 29 marzo 1991, n.103, convertito nella legge 1° giugno 1991, n.166 e s. m. e i.
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8822 del 30-05-2013
  Contenuto:  Estensione del servizio Estratto Conto Integrato (E.C.I.) ? Casellario Centrale delle Posizioni Previdenziali Attive.
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8820 del 30-05-2013
  Contenuto:  Incentivo straordinario per la creazione di rapporti di lavoro stabili o di durata ampia, in favore di uomini under 30 e donne di qualunque età. Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 5 ottobre 2012 – Modalità di fruizione dei benefici da parte dei datori di lavoro autorizzati. Istruzioni contabili. Variazioni al piano dei conti.
Tipologia:  MESSAGGIO

>>> Titolo:  Circolare numero numero 87 del 30-05-2013
  Contenuto:  Convenzione per adesione tra l?Istituto Nazionale Previdenza Sociale e l?Ente Bilaterale OPNC (Organismo paritetico Nazionale CONFAPI) avente ad oggetto la riscossione dei contributi da destinare al finanziamento dell?Ente Bilaterale.
Tipologia:  CIRCOLARE

>>> Titolo:  Circolare numero numero 86 del 30-05-2013
  Contenuto:  Convenzione per adesione tra l?Istituto Nazionale Previdenza Sociale e l?Ente Bilaterale E.BI.AP. (Ente Bilaterale Aziende Private) avente ad oggetto la riscossione dei contributi da destinare al finanziamento dell?Ente Bilaterale.
Tipologia:  CIRCOLARE

>>> Titolo:  Messaggio numero numero 8673 del 28-05-2013
  Contenuto:  Contact Center – integrazione della gestione ex-ENPALS
Tipologia:  MESSAGGIO

Lo staff di NewsLetter HeVi rendo noto che l’INPS, con il Messaggio n. 8824 del 30 maggio 2013, ha informato che i “prosecutori volontari” che si sono rioccupati o che, essendo stati posti in mobilità, non hanno potuto effettuare i versamenti volontari entro il 4 dicembre 2011, devono presentare l’istanza all’INPS entro il 25 settembre 2013, come dispone l’articolo 8 del Decreto 22 aprile 2013, utilizzando i moduli allegati al Messaggio e reperibili dal sito www.inps.it dell’INPS.rmes

2013_Mess_INPS_n_8824-Terzo contingente.pdf

Canne al vento di Grazia Deledda – Capitolo tredicesimo –

download.jpg

Fuori lo aspettava Zuannantoni.

«Vi ho chiamato tre volte: andiamo c’è nonna che sta male e vuol parlarvi: perché non venite? Non vi si prende il pane dalla bisaccia.»

La vecchia stava ancora vestita sul letto coi polsi nudi rossicci e ardenti come tizzi accesi pareva assopita ma quando Efix si curvò su di lei gli disse con voce afona:

«Lo vedi? Essa è andata al fiume per lavare perché lavorare bisogna. E tu avevi detto che la sposava!».

«Zia Pottoi! Pazienza bisogna avere. Siamo nati per patire.»

La vecchia sollevò il braccio e lo attirò a sé tenacemente. Un odore di putrefazione e di tomba esalava dal lettuccio; ma egli non si scostò sebbene sentisse la collana di zia Pottoi calda come fosse stata sul fuoco sfiorargli il viso e l’alito di lei passargli sui capelli come un ragno.

«Ascoltami Efix siamo davanti a Dio. Io sto per partire: verrà lui stesso a prendermi don Zame come avevamo convenuto al tempo della nostra fanciullezza. Adesso è tempo d’andarcene assieme. E per la strada gli dirò che non si fermi dov’è caduto dove tu lo hai ucciso e che ti perdoni per l’amore che hai portato alle sue figlie. Ti perdonerà Efix; hai portato il carico abbastanza ma tu tu Efix a tua volta salva Grixenda mia: essa sta per perdersi; aspetta solo la mia morte per fuggire e io non posso chiuder gli occhi tranquilla. Tu va’ dal ragazzo e digli che non la perda che si ricordi che ha promesso di sposarla. E che la sposi sì così anche donna Noemi non penserà più a lui. Va’.»

Lo respinse ed egli spalancò gli occhi ma gli parve di averli bruciati coperti di cenere come tornasse dall’inferno. La vecchia non aveva riaperto i suoi: con le mani rigide le dita dure aperte muoveva ancora le labbra violette orlate di nero ma non parlava più.

Non parlò più.

Dal buco del tetto pioveva come da un imbuto capovolto un raggio dorato che illuminava sul lettuccio il suo corpo nero e le sue collane lasciando scuro il resto della stanza desolata.

Efix guardava come dal fondo di un pozzo quel punto alto lontano; ma d’improvviso gli parve che il raggio deviasse piovesse su lui illuminandolo. Tutto era chiaro così. I suoi occhi oramai distinguevano tutto gli errori scuri intorno il centro luminoso che era il castigo di Dio su lui.

E riprese la bisaccia senza più parlare e se ne andò.

Passando davanti alla casa di don Predu chiamò Stefana e le disse ch’era costretto a partire per affari suoi e che non sapeva quando sarebbe tornato.

«Di’ almeno dove vai.»

«A Nuoro.»

Per arrivare a Nuoro impiegò due giorni. Andava su piano piano a piccole tappe buttandosi sull’orlo della strada quando era stanco. Chiudeva gli occhi ma non dormiva: riaprendoli vedeva lo stradone giallognolo perdersi tra il verde e l’azzurro delle lontananze su verso i monti del Nuorese giù verso il mare della Baronia e gli pareva di esser sempre vissuto così sull’orlo d’una strada metà percorsa metà da percorrere: laggiù in fondo aveva lasciato il luogo del suo delitto lassù verso i monti era il luogo della penitenza.download.jpg

Il tempo era bello; le valli eran già coperte d’erba e le pervinche fiorivano sorridenti come occhi infantili.

Reti d’acqua scintillavano tra il verde delle chine e il fiume mormorava fra gli ontani. Qualche carro passava nello stradone e ad Efix veniva desiderio di chiedere d’essere portato; ma subito se ne affliggeva.

No doveva camminare per penitenza arrivare senza aiuto di nessuno.

Questo suo primo viaggio aveva però uno scopo; egli quindi si preoccupava ancora delle cose del mondo e di arrivare presto e di sbrigarsi: dopo gli pareva sarebbe stato libero solo col suo carico da portare con pazienza fino alla morte.

La prima notte sostò in una cantoniera della valle ma non poté dormire. La notte era limpida e dolce; sul cielo bianco sopra la valle chiusa da colonne di rocce la luna pendeva come una lampada d’oro dalla volta d’un tempio: ma un uomo malato gemeva nella cantoniera triste come una stalla e il dolore umano turbava la solitudine.

Efix ripartì prima dell’alba più stanco di prima. Ed ecco i monti d’Oliena sorgere dalle tenebre bianchi e vaporosi come una massa d’incenso di fronte al rozzo altare di granito dell’Orthobene: tutto il paesaggio ha un aspetto sacro e il Redentore ferma il volo sulla roccia più alta con la croce che sbatte le sue braccia nere sul pallore dorato del cielo.

Ed Efix s’inginocchia ma non prega non può pregare ha dimenticato le parole; ma i suoi occhi le mani tremanti tutto il suo corpo agitato dalla febbre è una preghiera.

A misura che saliva verso Nuoro sentiva come un gran cuore sospeso sopra la valle palpitare forte sempre più forte.

«È il Molino e Giacinto è là» pensò con gioia.

Era l’ultima tappa del suo viaggio mondano l’ultima salita del suo calvario quel vicolo in salita lurido oleoso con un gattino morto in mezzo alle immondezze e il cielo rosso sopra i muri alti coperti di gramigne.

Arrivato a metà si volse: l’ombra saliva dalla valle descrivendo un cerchio bruno su per le chine rosee dell’Orthobene e raggiungeva anche lui su per il vicolo. In alto era l’ansito del Molino un palpito maschio in contrasto col richiamo femineo d’una campana che suonava a vespro; e sullo sfondo della strada passavano contadini coi buoi aggiogati borghesi imponenti come don Predu donne con anfore sul capo: altre donne sedevano pallide in riposo sulle pietre dei muricciuoli che recingevano un cortiletto esterno.

Efix si mise a parlare con loro fermo stanco con la bisaccia che gli scivolava dalle spalle.

«Dove sta don Giacinto?»

«Chi? Quello del Molino? Qui più sopra: cosa gli porti in quella bisaccia? Sei il suo servo?»

«Sì: e che fa don Giacinto?»

«Eh lavora e si diverte. È allegro. È un ragazzo d’oro. Tutte le donne gli vanno appresso… se lo contrastano come un dolce di miele…»

Allora Efix ricordò la festa del Rimedio Natòlia e Grixenda che ballavano stringendosi in mezzo lo straniero; e un dolore cocente lo punse ma col dolore un intenso desiderio di fare qualche cosa contro il destino.

«Ma dove posso trovarlo? È al Molino adesso?»

«Ecco che viene!»

Ecco infatti Giacinto arriva frettoloso a testa nuda coi capelli e i vestiti bianchi di farina: già qualcuno era corso ad avvertirlo dell’arrivo del servo.

«Che cosa sei venuto a cercare fin quassù?» gli domandò afferrandolo e scuotendolo per gli omeri.

Efix lo guardava senza rispondere lasciandosi trascinare su per la straducola fino a un cortiletto chiuso fra due casette sopra la valle: un uomo un borghese piccolo quasi nano con gli occhi grandi melanconici e il viso bianco attingeva acqua dal pozzo e Giacinto lo presentò come il suo padrone di casa.

«Devo parlarti» disse Efix.

«E son qui parla.»

Sedettero nella cucina ma il borghese preparava la cena ed Efix non voleva parlare in sua presenza: da parte sua Giacinto scherzava e rideva e non sollecitava il colloquio.

Attraverso il finestrino si vedeva sulle rocce dell’Orthobene il Redentore piccolo come una rondine e dall’orto saliva un odore di violacciocche che ricordava il cortile laggiù delle dame.

Efix si sentiva dolere il cuore ma non poteva parlare. Solo disse:

«Giacintì sei diventato allegro mi pare!».

«Che fare? Impiccarmi?»

Ma l’ometto curvo a cuocere i maccheroni sollevò gli occhi tristi e Giacinto rise e guardò le travi del tetto.

«Sai Efix i primi giorni che venni qui a pensione da questo buon servo di Dio tentai davvero di appiccarmi. Rammentate Micheli?» l’ometto accennò di sì ma scuotendo la testa con rimprovero. «Ed egli mi salvò mi mise a letto come un bambino; mi legava quando usciva; avevo la febbre alta: ma poi passò tutto e adesso sono allegro e contento. Vero Micheli? Non sono allegro e contento? Su Efix parla. Tu certo sei venuto a turbare la mia allegria.»

«La vecchia Pottoi è morta» disse Efix finalmente e Giacinto gli accostò la sua forchetta al viso quasi volesse pungerlo.

«Va’ uccello di malaugurio! Lo sapevo che portavi la notizia di una morte! E altro?»

«E Grixenda si prepara a lasciarci. Te la vedrai capitare qui fra qualche giorno: ecco questo son venuto a dirti.»

Giacinto rifece il viso infantile di un tempo triste e spaventato.

«Ah questo no questo no! Io non voglio che venga!»

«Non vuoi? E come puoi impedirglielo? D’altronde è tua fidanzata: hai promesso di sposarla.»

«Io non posso sposarla: vero vero che non posso Micheli? Non posso e non voglio! Non sono in condizioni di sposarmi: sono un pezzente ho altri doveri tu lo sai. Ebbene posso parlare davanti a quest’uomo che sa tutto di me come lo sai tu e mi compatisce. Io devo pagare il debito delle zie. E per questo che volevo morire: perché avevo la disperazione nel cuore. Ma quest’uomo mi disse: ti terrò gratis in casa mia ti darò alloggio e anche da mangiare quando ne ho ma tu devi lavorare e pagare il tuo debito.»

Efix guardava l’ometto tra il meravigliato e il diffidente e pareva chiedergli con gli occhi «perché tanta generosità?». E l’uomo che mangiava col viso curvo sul piatto sollevò gli occhi e disse:

«Perché siamo cristiani!».

Allora Efix tornò come dentro di sé nella casa della sua anima e ricordò perché era venuto.

«Giacinto eppure bisogna che tu sposi Grixenda. Essa verrà qui a giorni; non mandarla via non perderla!»

«Ma sant’uomo! Non hai orecchie per ascoltare? Io ti dico che non posso tenerla che non posso sposarla: devo pagare il debito delle zie!»

«Tu lo pagherai sposandola.»

«Ha ereditato tanto?» disse allora Giacinto ridendo; ma Efix lo guardava serio e ripeté due volte:

«Sono venuto per parlarti di questo».

Il padrone di casa capì che la sua presenza era di troppo e se ne andò via silenzioso nonostante le proteste e i richiami di Giacinto.

«Lascialo» disse Efix. «Quello che ho da dirti nessuno deve saperlo.»

Eppure rimasti soli provarono entrambi un senso d’imbarazzo; la luce pareva un ostacolo fra di loro. Uscirono nel cortiletto sedettero sullo scalino e Giacinto tirò la porticina dietro di sé come per impedire al lume e al fuoco di ascoltare; ed Efix cercava le parole per trar fuori dal suo cuore il penoso segreto. Ah gli sembrava talmente grande e pesante da non poterlo trarre intero: a brani forse sì sanguinante. Si curvò su se stesso: scavava silenzioso tirava tirava su come un macigno da un pozzo. Finalmente si sollevò sospirando stanco e impotente.

«Giacinto così ti dico. Le cose del mondo son così. Don Predu vuole sposare donna Noemi e donna Noemi non vuole. Colpa tua!»

Giacinto non rispose ma gli afferrò forte il braccio e parve volesse stroncarglielo: poi glielo lasciò.

Efix lo sentiva ansare lievemente come colto da malessere e a sua volta mentre si stringeva il braccio che gli ardeva per la stretta respirò con angoscia.

«Sì colpa tua colpa tua» ricominciò quasi aggressivo. «Non lo sapevi? Alla buon’ora! La vecchia almeno questo non te lo ha detto. Ma adesso bisogna pensarci sul serio. Bisogna toglierle questo verme dal cervello a tua zia intendi? Intendi?»

«Che posso farci io?» disse finalmente Giacinto. E parve ricadere di nuovo nella sua antica tristezza.

Curvo su se stesso nell’ombra guardava la terra ai suoi piedi e vedeva un abisso nero.

«Che puoi farci? Lo sai te l’ho detto: comincia tu a fare il tuo dovere; poi lei farà il suo…»

«Che posso fare che posso io? Tu credi che siamo noi a fare la sorte? Ricordati quello che dicevamo laggiù al poderetto: te lo ricordi? E tu sei stato tu a fare la sorte?»

Ed anche Efix si curvò; e stettero così vicini tanto che l’uno sentiva il caldo del fianco dell’altro; stettero quasi tempia contro tempia come ascoltando una voce di sotterra.

«Vero è! Non possiamo fare la sorte» ammise Efix.

«Eppoi tu credi ch’ella sarebbe felice sposando zio Pietro? Non basta il pane per renderci felici; adesso me ne accorgo anch’io… Ci vuole altro!»

«Ma tu dimmi… tu…»

«Io?»

«Sì tu sapevi?»

«Che vuoi che ti dica? Un uomo si accorge sempre di queste cose. Ma io ti giuro sull’anima di mia madre; io l’ho sempre rispettata Noemi come una cosa sacra… Eppure sì te lo dico perché so che posso dirtelo solo una volta quando ella è svenuta ed io ho pianto sopra i suoi occhi sì posso dirtelo come potrei dirlo a mia madre con la stessa innocenza sì ci siamo guardati… attraverso le lacrime e forse allora… forse allora… Non so ecco; non ti dico altro. Ma forse per questo sono andato via più che per quanto avevo commesso di male.»

«Lascia ch’io ti domandi un’altra cosa. Quando tu sei venuto al poderetto l’ultima volta tu sapevi già?»

«Sapevo già.»download.jpg

«Ebbene» disse Efix sollevandosi «tu sei un uomo!»

«Che vuoi?» rispose Giacinto subito lusingato.

«Conosco un po’ la vita null’altro. Si fa presto a conoscere la vita quando si nasce dove sono nato io. Ma tu pure conosci la vita a modo tuo e per questo ci siamo capiti anche parlando un diverso linguaggio. Ricordati quando scendevo al poderetto… Io giocavo e misi la firma falsa perché volevo pagare il Capitano e far bella figura davanti a lui tornando. Egli avrebbe detto: quell’infelice s’è sollevato. E invece sono andato più giù più giù… Ma era come una pazzia che m’era presa: adesso ho aperto gli occhi e vedo dov’è la vera salvezza. Tu dove l’hai trovata la vera salvezza? Vivendo per gli altri: e così voglio far io Efix» aggiunse parlandogli accosto al viso; «sei tu che mi hai salvato: io voglio essere come te… Rispondi ho ragione? Io ti ho buttato per terra laggiù ad Oliena ma anche i santi son stati maltrattati e per questo non cessano d’essere santi. Rispondi ho ragione?» ripeté scuotendolo per le spalle. «Ricordi le cose che dicevamo al poderetto? Io le ricordo sempre e dico appunto a me stesso: Efix ed io siamo due disgraziati ma siamo veramente uomini tutti e due più dello zio Pietro più del Milese certo! Zio Pietro? Cos’è zio Pietro? Ha lasciato le zie soffrire sole per tanti anni esposte a tutte le miserie e alle beffe di tutto il paese: e adesso anche lui crede di far bene perché vuole sposare Noemi! Lo fa perché la donna gli piace come donna come a me piace Grixenda null’altro. È amore quello è carità? E lei fa bene a non volerlo. Fa bene! La approvo! Il vero amore è stato il tuo verso di loro; e se c’è qualcuno ch’esse dovrebbero amare e sposare sì lo dico saresti tu non lo zio Pietro… Invece ti han cacciato via come un cane vecchio adesso che non sei buono più a niente; eppure tu le ami di più per questo perché il tuo cuore è un vero cuore di uomo. Ebbene cosa fai adesso? Ohè uomo!… Vergognati! Non hai pianto abbastanza? Su coraggio uomo! Cammina.»

Lo scosse di nuovo afferrandolo da dietro per gli omeri: ma Efix piangeva piegato in due con la testa fra le ginocchia e mentre il suo gemito riempiva il silenzio della notte egli ricordava il sangue che aveva vomitato davanti alla vecchia chiesa d’Oliena dopo l’altra scena con Giacinto; e anche adesso gli pareva che tutto il sangue gli uscisse dagli occhi: tutto il sangue cattivo il sangue del peccato. Il suo corpo ne rimaneva esausto e l’anima vi si sbatteva dentro in uno spazio vuoto e nero come la notte; ma le parole d’amore di Giacinto balenavano lucenti sullo sfondo tenebroso e le sue stesse lagrime lo illuminavano gli splendevano intorno come stelle.

Rimase una settimana a Nuoro.

Tanto lui che Giacinto aspettavano di vedere da un momento all’altro arrivare Grixenda; ma i giorni passavano ed ella non veniva.

Giacinto non aveva preso ancora una decisione in proposito ma sembrava tranquillo lavorava tornava a casa solo durante l’ora dei pasti e scherzava col suo padrone di casa domandandogli consiglio sul modo di accogliere la ragazza.

«Perderla certo non voglio povera orfana! Se la sposassimo con voi? Una donna in casa ci vuole.»

L’ometto lo guardava con rimprovero ma non parlava almeno in presenza di Efix. E questo non voleva a sua volta forzare la sorte e pensava ch’era peccato cercare di opporsi ai voleri della provvidenza. Bisognava abbandonarsi a lei come il seme al vento. Dio sa quello che si fa.

Intanto non si decideva ad andarsene aspettando Grixenda; e quando non c’era in casa Giacinto scendeva il vicolo sedeva sul ciglione della valle e spiava la strada bianca ai piedi del Monte. Il palpito del Molino gli dava un senso di commozione quasi di sgomento: gli pareva il battito d’un cuore d’un cuore nuovo che ringiovaniva la vecchia terra selvaggia. Là dentro a quel palpito batteva il sangue di Giacinto ed Efix sentiva voglia di piangere pensando a lui. Eccolo gli sembra sempre di vederlo alto sereno bianco di farina come una giovine pianta coperta di brina purificato dal lavoro e dal proposito del bene. Tutti lo amano ed egli è gentile con tutti. Le donne che portano il frumento al Molino si aggrappano intorno a lui curvo a pesare la farina e lo guardano con occhi di madre con occhi d’amore. Efix era stato una sera a trovarlo e fra il rombare della macchina e l’agitarsi delle figure pallide su uno sfondo ardente fra l’incrociarsi delle ombre e lo stridere dei pesi gli era parso di intravedere uno scorcio del Purgatorio e Giacinto che penava fra i dannati ma aspettando il termine dell’espiazione.

La domenica dopo Pasqua andò a una piccola festa campestre nella chiesetta di Valverde.

Era un pomeriggio freddo e sulla vallata dell’Isalle battuta dal vento di tramontana con Monte Albo giù in fondo fra le nuvole come una nave incagliata in un mare burrascoso pareva dominasse ancora l’inverno.

Efix seguiva una fila di paesane avvolte nelle loro tuniche grevi e col vento che gli batteva sul petto sentiva qualche cosa di nuovo di forte penetrargli nel cuore. La gente camminava triste ma tranquilla come in processione avviata non a un luogo di festa ma di preghiera: anche una fisarmonica lontana ripeteva il motivo religioso delle laudi sacre ed egli sentiva che la sua penitenza era cominciata.

Arrivato alla chiesetta sull’alto della china rocciosa sedette accanto alla porta e si mise a pregare: gli sembrava che la piccola Madonna guardasse un po’ spaurita dalla sua nicchia umida la gente che andava a turbare la sua solitudine e che il vento soffiasse sempre più forte e il sole cadesse rapido sopra la valle per costringere gl’importuni ad andarsene. Infatti le donne si avvolgevano meglio nelle loro tuniche e dopo aver recitato il rosario s’avviavano al ritorno.

Non rimasero che una venditrice di torroni e di pupazzi di farina nera ricoperti di zucchero; e due uomini seduti uno per parte davanti alla porta della chiesetta sotto l’atrio in rovina.

Efix sedeva poco distante da loro e li guardava gravemente: li riconosceva li aveva veduti laggiù alla Festa del Rimedio: erano due mendicanti vestiti decentemente da borghesi con pantaloni turchini e giacca di fustagno: uno giovane ancora alto e curvo col viso giallo scarnificato ove pareva fosse rimasta la sola pelle sulle ossa con le palpebre livide abbassate chiedeva chiedeva muovendo appena le labbra grigie sui grandi denti sporgenti come dormisse e parlasse in sogno indifferente al mondo esterno. L’altro vecchio ma forte col viso rosso cremisi congestionato tutta la persona agitata da un tremito che sembrava finto aveva messo il cappello fra le sue gambe aperte e di tanto in tanto si curvava a guardarvi dentro le piccole monete.

Ma la sera cadeva rapida grave di nuvole e la gente se ne andava. Anche la donna dei confetti chiuse le sue cassette ancora piene e si mise a parlare sdegnosa coi mendicanti.

«Non vale la pena di far tanta strada! Festa da niente fratelli miei!»

«Non si campa più» disse il vecchio e versò le monete in un fazzoletto e rimise il cappello in testa. Ma quando fu per alzarsi ricadde come se i piedi gli scivolassero sul selciato dell’ingresso e batté la testa al muro e le mani al suolo.

Al tintinnire delle monete contro la pietra l’altro mendicante sollevò il viso terreo spalancando gli occhi vitrei come sentisse un rumore minaccioso.

Il vecchio gemeva. La donna ed Efix s’erano precipitati su lui ma non riuscirono a fargli tener sollevata la testa.

«Bisogna distenderlo» disse la donna «ora gli darò un po’ di liquore. Mettilo giù aiutami.»

Fu messo giù ma le gocce d’un liquido verde ch’ella tentò di versargli in bocca sopra i denti serrati gli si sparsero sul mento.

«Pare morto. E tu non ti muovi?» ella disse all’altro mendicante. «Era malato? Non rispondi?»

L’uomo tentò di parlare ma solo un mugolìo tremulo gli uscì di bocca: poi scoppiò a piangere.

«Va’ muoviti chiama i pastori che stanno lassù nel bosco…»

«Dove lo mandi che è cieco?» disse Efix inginocchiato con una mano sul cuore del vecchio. Il cuore sussultava come tentando ogni tanto di sollevarsi e subito ricadendo.

E l’ombra si addensava rapida; ogni nuvola passando sul vicino orizzonte lasciava un velo il vento urlava dietro la chiesa tutte le macchie tremavano protendendosi in là verso la valle e pareva volessero fuggire luminose d’un verde metallico agitate da una convulsione di tristezza e di terrore.

Anche la donna ebbe paura della solitudine e di quella morte improvvisa. Si mise le cassette sul capo e disse:

«Bisogna che vada. Avvertirò il medico a Nuoro».

Così Efix rimase solo fra il moribondo ed il cieco.

«Il mio compagno soffriva di cuore» raccontava il mendicante. «Anche questi giorni scorsi è stato male: ma nessuno ci credeva. La gente non crede mai…»

«Era tuo parente?»

«No; ci siamo incontrati dieci anni fa alla Festa del Miracolo. Io allora avevo un compagno Juanne Maria che mi maltrattava. Mi maltrattava come un cane. Allora questo povero vecchio mi prese con sé: mi teneva come un figlio non mi lasciava mai la mano se non ero seduto al sicuro. Adesso è finito…»

«E adesso come farai?»

«Cosa vuoi che faccia? Starò qui aspettando la morte. Ho tutto con me sia salva l’anima mia.»

«Io posso ricondurti fino a Nuoro» disse Efix e d’improvviso cominciò a piangere.

Curvo sul moribondo tentava di rianimarlo bagnandogli le labbra col liquore lasciato dalla donna e la fronte con uno straccio inzuppato nel vino. Ma il viso tragico si tingeva di viola e di verde sempre più duro e immobile alla luce fosca del crepuscolo. Anche il cuore cessò di battere. Efix riviveva l’ora più terribile della sua vita: ricordava il ponte laggiù fra l’ondulare dei giuncheti alla luna e lui curvo a sentire il cuore del suo padrone morto…

Eppure si sentiva sollevato come uno che dopo lungo errare in luoghi impervi ritrova la via smarrita il punto donde è partito.

«Ma tu non vai?» domandò il cieco sempre immobile al suo posto.

«Andrò quando Dio comanda. Adesso accendo il fuoco perché bisogna passare qui la notte.»

Andò in cerca di legna: il vento infuriava sempre più e le nuvole salivano e scendevano dall’Orthobene giù e su come torrenti di lava come colonne di fumo spandendosi su tutta la valle: ma sopra le alture di Nuoro una striscia di cielo rimaneva di un azzurro triste di lapislazzuli e la luna nuova tramontava rosea fra due rupi.

Ritornando verso la tettoia Efix vide il cieco che s’era mosso e stava curvo sul compagno chiamandolo a nome. Piangeva e cercava l’involto delle monete. Trovato che l’ebbe se lo cacciò in seno e continuò a piangere. Passarono la notte così. Il cieco raccontava le sue vicende alternandole a racconti della Bibbia e il suo dolore si calmava rapido come un male violento che passa presto.

«Cosa credi fratello mio? Io son nato ricco mio padre era come Giacobbe ma senza tanti figli e diceva: non importa che mio figlio sia cieco i suoi occhi son d’oro (alludeva alle sue ricchezze) e ci vedrà lo stesso. E mia madre che aveva una voce dolce come un frutto mi ricordo diceva: basta che il mio Istène si conservi innocente tutto il resto non importa. E così ti dico fratello mio mi hanno mangiato la roba morto mio padre e mia madre mi hanno piluccato come un grappolo d’uva tutti parenti e conoscenti. Dio li perdoni mi hanno costretto ad andare ad elemosinare ma l’innocenza l’ho conservata così ti dico: io non ho fatto mai male a nessuno. Ma il Signore mi ha sempre aiutato: prima Juanne Maria Dio l’abbia in gloria poi questo sono stati i miei compagni i miei fratelli come gli angeli che accompagnavano Tobia. Adesso…»

«Anche adesso la compagnia non ti mancherà» disse Efix con voce grave. «Ma cosa intendi quando dici che sei innocente?»

«Che cammino verso l’eternità» disse il cieco sottovoce.

«Vado verso una porta che mi sarà aperta a due battenti e non penso ad altro. Se ho un pane me lo mangio se non l’ho sto zitto. Non ho mai toccato la roba altrui non ho mai conosciuta la donna. Juanne Maria me ne condusse una accanto una volta. Io sentii che odorava di male e mi buttai per terra come passasse il vento. Che devo fare anima mia? Se non mi salvo l’anima che cosa ho d’altro fratello caro?»

«Ma i denari a questo morto glieli hai presi malanno!» disse Efix.

«Erano i miei. Che fanno i denari addosso a un morto? Così ti dico: no io non ho rubato né sparso mai il sangue. Neppure i fratelli di Giuseppe sparsero il sangue: Giuda disse loro: vendiamolo meglio agli Ismaeliti piuttosto che ucciderlo. E così fecero. La sai tu tutta la storia di Giuseppe Ebreo? Mi dispiace che te ne vai se no te la racconterei.»

«No non me ne andrò» disse Efix «io ti accompagnerò d’ora in avanti: ci porteremo per mano l’uno con l’altro.»

Il cieco abbassò un momento la testa palpando l’involto delle monete: non parve meravigliato della decisione dello sconosciuto. Solo gli domandò:

«Sei un mendicante anche tu?».

«Sì» disse Efix «non te ne sei accorto?»

«Allora va bene; prendi tienilo tu.»

 

E gli porse l’involto del denaro.

Canne al vento di Grazia Deledda – Capitolo tredicesimo

Capitolo tredicesimo

Fuori lo aspettava Zuannantoni.

«Vi ho chiamato tre volte: andiamo c’è nonna che sta male e vuol parlarvi: perché non venite? Non vi si prende il pane dalla bisaccia.»

La vecchia stava ancora vestita sul letto coi polsi nudi rossicci e ardenti come tizzi accesi pareva assopita ma quando Efix si curvò su di lei gli disse con voce afona:

«Lo vedi? Essa è andata al fiume per lavare perché lavorare bisogna. E tu avevi detto che la sposava!».

«Zia Pottoi! Pazienza bisogna avere. Siamo nati per patire.»

La vecchia sollevò il braccio e lo attirò a sé tenacemente. Un odore di putrefazione e di tomba esalava dal lettuccio; ma egli non si scostò sebbene sentisse la collana di zia Pottoi calda come fosse stata sul fuoco sfiorargli il viso e l’alito di lei passargli sui capelli come un ragno.

«Ascoltami Efix siamo davanti a Dio. Io sto per partire: verrà lui stesso a prendermi don Zame come avevamo convenuto al tempo della nostra fanciullezza. Adesso è tempo d’andarcene assieme. E per la strada gli dirò che non si fermi dov’è caduto dove tu lo hai ucciso e che ti perdoni per l’amore che hai portato alle sue figlie. Ti perdonerà Efix; hai portato il carico abbastanza ma tu tu Efix a tua volta salva Grixenda mia: essa sta per perdersi; aspetta solo la mia morte per fuggire e io non posso chiuder gli occhi tranquilla. Tu va’ dal ragazzo e digli che non la perda che si ricordi che ha promesso di sposarla. E che la sposi sì così anche donna Noemi non penserà più a lui. Va’.»

Lo respinse ed egli spalancò gli occhi ma gli parve di averli bruciati coperti di cenere come tornasse dall’inferno. La vecchia non aveva riaperto i suoi: con le mani rigide le dita dure aperte muoveva ancora le labbra violette orlate di nero ma non parlava più.

Non parlò più.

Dal buco del tetto pioveva come da un imbuto capovolto un raggio dorato che illuminava sul lettuccio il suo corpo nero e le sue collane lasciando scuro il resto della stanza desolata.

Efix guardava come dal fondo di un pozzo quel punto alto lontano; ma d’improvviso gli parve che il raggio deviasse piovesse su lui illuminandolo. Tutto era chiaro così. I suoi occhi oramai distinguevano tutto gli errori scuri intorno il centro luminoso che era il castigo di Dio su lui.

E riprese la bisaccia senza più parlare e se ne andò.

Passando davanti alla casa di don Predu chiamò Stefana e le disse ch’era costretto a partire per affari suoi e che non sapeva quando sarebbe tornato.

«Di’ almeno dove vai.»

«A Nuoro.»

Per arrivare a Nuoro impiegò due giorni. Andava su piano piano a piccole tappe buttandosi sull’orlo della strada quando era stanco. Chiudeva gli occhi ma non dormiva: riaprendoli vedeva lo stradone giallognolo perdersi tra il verde e l’azzurro delle lontananze su verso i monti del Nuorese giù verso il mare della Baronia e gli pareva di esser sempre vissuto così sull’orlo d’una strada metà percorsa metà da percorrere: laggiù in fondo aveva lasciato il luogo del suo delitto lassù verso i monti era il luogo della penitenza.

Il tempo era bello; le valli eran già coperte d’erba e le pervinche fiorivano sorridenti come occhi infantili.

Reti d’acqua scintillavano tra il verde delle chine e il fiume mormorava fra gli ontani. Qualche carro passava nello stradone e ad Efix veniva desiderio di chiedere d’essere portato; ma subito se ne affliggeva.

No doveva camminare per penitenza arrivare senza aiuto di nessuno.

Questo suo primo viaggio aveva però uno scopo; egli quindi si preoccupava ancora delle cose del mondo e di arrivare presto e di sbrigarsi: dopo gli pareva sarebbe stato libero solo col suo carico da portare con pazienza fino alla morte.

La prima notte sostò in una cantoniera della valle ma non poté dormire. La notte era limpida e dolce; sul cielo bianco sopra la valle chiusa da colonne di rocce la luna pendeva come una lampada d’oro dalla volta d’un tempio: ma un uomo malato gemeva nella cantoniera triste come una stalla e il dolore umano turbava la solitudine.

Efix ripartì prima dell’alba più stanco di prima. Ed ecco i monti d’Oliena sorgere dalle tenebre bianchi e vaporosi come una massa d’incenso di fronte al rozzo altare di granito dell’Orthobene: tutto il paesaggio ha un aspetto sacro e il Redentore ferma il volo sulla roccia più alta con la croce che sbatte le sue braccia nere sul pallore dorato del cielo.

Ed Efix s’inginocchia ma non prega non può pregare ha dimenticato le parole; ma i suoi occhi le mani tremanti tutto il suo corpo agitato dalla febbre è una preghiera.

A misura che saliva verso Nuoro sentiva come un gran cuore sospeso sopra la valle palpitare forte sempre più forte.

«È il Molino e Giacinto è là» pensò con gioia.

Era l’ultima tappa del suo viaggio mondano l’ultima salita del suo calvario quel vicolo in salita lurido oleoso con un gattino morto in mezzo alle immondezze e il cielo rosso sopra i muri alti coperti di gramigne.

Arrivato a metà si volse: l’ombra saliva dalla valle descrivendo un cerchio bruno su per le chine rosee dell’Orthobene e raggiungeva anche lui su per il vicolo. In alto era l’ansito del Molino un palpito maschio in contrasto col richiamo femineo d’una campana che suonava a vespro; e sullo sfondo della strada passavano contadini coi buoi aggiogati borghesi imponenti come don Predu donne con anfore sul capo: altre donne sedevano pallide in riposo sulle pietre dei muricciuoli che recingevano un cortiletto esterno.

Efix si mise a parlare con loro fermo stanco con la bisaccia che gli scivolava dalle spalle.

«Dove sta don Giacinto?»

«Chi? Quello del Molino? Qui più sopra: cosa gli porti in quella bisaccia? Sei il suo servo?»

«Sì: e che fa don Giacinto?»

«Eh lavora e si diverte. È allegro. È un ragazzo d’oro. Tutte le donne gli vanno appresso… se lo contrastano come un dolce di miele…»

Allora Efix ricordò la festa del Rimedio Natòlia e Grixenda che ballavano stringendosi in mezzo lo straniero; e un dolore cocente lo punse ma col dolore un intenso desiderio di fare qualche cosa contro il destino.

«Ma dove posso trovarlo? È al Molino adesso?»

«Ecco che viene!»

Ecco infatti Giacinto arriva frettoloso a testa nuda coi capelli e i vestiti bianchi di farina: già qualcuno era corso ad avvertirlo dell’arrivo del servo.

«Che cosa sei venuto a cercare fin quassù?» gli domandò afferrandolo e scuotendolo per gli omeri.

Efix lo guardava senza rispondere lasciandosi trascinare su per la straducola fino a un cortiletto chiuso fra due casette sopra la valle: un uomo un borghese piccolo quasi nano con gli occhi grandi melanconici e il viso bianco attingeva acqua dal pozzo e Giacinto lo presentò come il suo padrone di casa.

«Devo parlarti» disse Efix.

«E son qui parla.»

Sedettero nella cucina ma il borghese preparava la cena ed Efix non voleva parlare in sua presenza: da parte sua Giacinto scherzava e rideva e non sollecitava il colloquio.

Attraverso il finestrino si vedeva sulle rocce dell’Orthobene il Redentore piccolo come una rondine e dall’orto saliva un odore di violacciocche che ricordava il cortile laggiù delle dame.

Efix si sentiva dolere il cuore ma non poteva parlare. Solo disse:

«Giacintì sei diventato allegro mi pare!».

«Che fare? Impiccarmi?»

Ma l’ometto curvo a cuocere i maccheroni sollevò gli occhi tristi e Giacinto rise e guardò le travi del tetto.

«Sai Efix i primi giorni che venni qui a pensione da questo buon servo di Dio tentai davvero di appiccarmi. Rammentate Micheli?» l’ometto accennò di sì ma scuotendo la testa con rimprovero. «Ed egli mi salvò mi mise a letto come un bambino; mi legava quando usciva; avevo la febbre alta: ma poi passò tutto e adesso sono allegro e contento. Vero Micheli? Non sono allegro e contento? Su Efix parla. Tu certo sei venuto a turbare la mia allegria.»

«La vecchia Pottoi è morta» disse Efix finalmente e Giacinto gli accostò la sua forchetta al viso quasi volesse pungerlo.

«Va’ uccello di malaugurio! Lo sapevo che portavi la notizia di una morte! E altro?»

«E Grixenda si prepara a lasciarci. Te la vedrai capitare qui fra qualche giorno: ecco questo son venuto a dirti.»

Giacinto rifece il viso infantile di un tempo triste e spaventato.

«Ah questo no questo no! Io non voglio che venga!»

«Non vuoi? E come puoi impedirglielo? D’altronde è tua fidanzata: hai promesso di sposarla.»

«Io non posso sposarla: vero vero che non posso Micheli? Non posso e non voglio! Non sono in condizioni di sposarmi: sono un pezzente ho altri doveri tu lo sai. Ebbene posso parlare davanti a quest’uomo che sa tutto di me come lo sai tu e mi compatisce. Io devo pagare il debito delle zie. E per questo che volevo morire: perché avevo la disperazione nel cuore. Ma quest’uomo mi disse: ti terrò gratis in casa mia ti darò alloggio e anche da mangiare quando ne ho ma tu devi lavorare e pagare il tuo debito.»

Efix guardava l’ometto tra il meravigliato e il diffidente e pareva chiedergli con gli occhi «perché tanta generosità?». E l’uomo che mangiava col viso curvo sul piatto sollevò gli occhi e disse:

«Perché siamo cristiani!».

Allora Efix tornò come dentro di sé nella casa della sua anima e ricordò perché era venuto.

«Giacinto eppure bisogna che tu sposi Grixenda. Essa verrà qui a giorni; non mandarla via non perderla!»

«Ma sant’uomo! Non hai orecchie per ascoltare? Io ti dico che non posso tenerla che non posso sposarla: devo pagare il debito delle zie!»

«Tu lo pagherai sposandola.»

«Ha ereditato tanto?» disse allora Giacinto ridendo; ma Efix lo guardava serio e ripeté due volte:

«Sono venuto per parlarti di questo».

Il padrone di casa capì che la sua presenza era di troppo e se ne andò via silenzioso nonostante le proteste e i richiami di Giacinto.

«Lascialo» disse Efix. «Quello che ho da dirti nessuno deve saperlo.»

Eppure rimasti soli provarono entrambi un senso d’imbarazzo; la luce pareva un ostacolo fra di loro. Uscirono nel cortiletto sedettero sullo scalino e Giacinto tirò la porticina dietro di sé come per impedire al lume e al fuoco di ascoltare; ed Efix cercava le parole per trar fuori dal suo cuore il penoso segreto. Ah gli sembrava talmente grande e pesante da non poterlo trarre intero: a brani forse sì sanguinante. Si curvò su se stesso: scavava silenzioso tirava tirava su come un macigno da un pozzo. Finalmente si sollevò sospirando stanco e impotente.

«Giacinto così ti dico. Le cose del mondo son così. Don Predu vuole sposare donna Noemi e donna Noemi non vuole. Colpa tua!»

Giacinto non rispose ma gli afferrò forte il braccio e parve volesse stroncarglielo: poi glielo lasciò.

Efix lo sentiva ansare lievemente come colto da malessere e a sua volta mentre si stringeva il braccio che gli ardeva per la stretta respirò con angoscia.

«Sì colpa tua colpa tua» ricominciò quasi aggressivo. «Non lo sapevi? Alla buon’ora! La vecchia almeno questo non te lo ha detto. Ma adesso bisogna pensarci sul serio. Bisogna toglierle questo verme dal cervello a tua zia intendi? Intendi?»

«Che posso farci io?» disse finalmente Giacinto. E parve ricadere di nuovo nella sua antica tristezza.

Curvo su se stesso nell’ombra guardava la terra ai suoi piedi e vedeva un abisso nero.

«Che puoi farci? Lo sai te l’ho detto: comincia tu a fare il tuo dovere; poi lei farà il suo…»

«Che posso fare che posso io? Tu credi che siamo noi a fare la sorte? Ricordati quello che dicevamo laggiù al poderetto: te lo ricordi? E tu sei stato tu a fare la sorte?»

Ed anche Efix si curvò; e stettero così vicini tanto che l’uno sentiva il caldo del fianco dell’altro; stettero quasi tempia contro tempia come ascoltando una voce di sotterra.

«Vero è! Non possiamo fare la sorte» ammise Efix.

«Eppoi tu credi ch’ella sarebbe felice sposando zio Pietro? Non basta il pane per renderci felici; adesso me ne accorgo anch’io… Ci vuole altro!»

«Ma tu dimmi… tu…»

«Io?»

«Sì tu sapevi?»

«Che vuoi che ti dica? Un uomo si accorge sempre di queste cose. Ma io ti giuro sull’anima di mia madre; io l’ho sempre rispettata Noemi come una cosa sacra… Eppure sì te lo dico perché so che posso dirtelo solo una volta quando ella è svenuta ed io ho pianto sopra i suoi occhi sì posso dirtelo come potrei dirlo a mia madre con la stessa innocenza sì ci siamo guardati… attraverso le lacrime e forse allora… forse allora… Non so ecco; non ti dico altro. Ma forse per questo sono andato via più che per quanto avevo commesso di male.»

«Lascia ch’io ti domandi un’altra cosa. Quando tu sei venuto al poderetto l’ultima volta tu sapevi già?»

«Sapevo già.»

«Ebbene» disse Efix sollevandosi «tu sei un uomo!»

«Che vuoi?» rispose Giacinto subito lusingato.

«Conosco un po’ la vita null’altro. Si fa presto a conoscere la vita quando si nasce dove sono nato io. Ma tu pure conosci la vita a modo tuo e per questo ci siamo capiti anche parlando un diverso linguaggio. Ricordati quando scendevo al poderetto… Io giocavo e misi la firma falsa perché volevo pagare il Capitano e far bella figura davanti a lui tornando. Egli avrebbe detto: quell’infelice s’è sollevato. E invece sono andato più giù più giù… Ma era come una pazzia che m’era presa: adesso ho aperto gli occhi e vedo dov’è la vera salvezza. Tu dove l’hai trovata la vera salvezza? Vivendo per gli altri: e così voglio far io Efix» aggiunse parlandogli accosto al viso; «sei tu che mi hai salvato: io voglio essere come te… Rispondi ho ragione? Io ti ho buttato per terra laggiù ad Oliena ma anche i santi son stati maltrattati e per questo non cessano d’essere santi. Rispondi ho ragione?» ripeté scuotendolo per le spalle. «Ricordi le cose che dicevamo al poderetto? Io le ricordo sempre e dico appunto a me stesso: Efix ed io siamo due disgraziati ma siamo veramente uomini tutti e due più dello zio Pietro più del Milese certo! Zio Pietro? Cos’è zio Pietro? Ha lasciato le zie soffrire sole per tanti anni esposte a tutte le miserie e alle beffe di tutto il paese: e adesso anche lui crede di far bene perché vuole sposare Noemi! Lo fa perché la donna gli piace come donna come a me piace Grixenda null’altro. È amore quello è carità? E lei fa bene a non volerlo. Fa bene! La approvo! Il vero amore è stato il tuo verso di loro; e se c’è qualcuno ch’esse dovrebbero amare e sposare sì lo dico saresti tu non lo zio Pietro… Invece ti han cacciato via come un cane vecchio adesso che non sei buono più a niente; eppure tu le ami di più per questo perché il tuo cuore è un vero cuore di uomo. Ebbene cosa fai adesso? Ohè uomo!… Vergognati! Non hai pianto abbastanza? Su coraggio uomo! Cammina.»

Lo scosse di nuovo afferrandolo da dietro per gli omeri: ma Efix piangeva piegato in due con la testa fra le ginocchia e mentre il suo gemito riempiva il silenzio della notte egli ricordava il sangue che aveva vomitato davanti alla vecchia chiesa d’Oliena dopo l’altra scena con Giacinto; e anche adesso gli pareva che tutto il sangue gli uscisse dagli occhi: tutto il sangue cattivo il sangue del peccato. Il suo corpo ne rimaneva esausto e l’anima vi si sbatteva dentro in uno spazio vuoto e nero come la notte; ma le parole d’amore di Giacinto balenavano lucenti sullo sfondo tenebroso e le sue stesse lagrime lo illuminavano gli splendevano intorno come stelle.

Rimase una settimana a Nuoro.

Tanto lui che Giacinto aspettavano di vedere da un momento all’altro arrivare Grixenda; ma i giorni passavano ed ella non veniva.

Giacinto non aveva preso ancora una decisione in proposito ma sembrava tranquillo lavorava tornava a casa solo durante l’ora dei pasti e scherzava col suo padrone di casa domandandogli consiglio sul modo di accogliere la ragazza.

«Perderla certo non voglio povera orfana! Se la sposassimo con voi? Una donna in casa ci vuole.»

L’ometto lo guardava con rimprovero ma non parlava almeno in presenza di Efix. E questo non voleva a sua volta forzare la sorte e pensava ch’era peccato cercare di opporsi ai voleri della provvidenza. Bisognava abbandonarsi a lei come il seme al vento. Dio sa quello che si fa.

Intanto non si decideva ad andarsene aspettando Grixenda; e quando non c’era in casa Giacinto scendeva il vicolo sedeva sul ciglione della valle e spiava la strada bianca ai piedi del Monte. Il palpito del Molino gli dava un senso di commozione quasi di sgomento: gli pareva il battito d’un cuore d’un cuore nuovo che ringiovaniva la vecchia terra selvaggia. Là dentro a quel palpito batteva il sangue di Giacinto ed Efix sentiva voglia di piangere pensando a lui. Eccolo gli sembra sempre di vederlo alto sereno bianco di farina come una giovine pianta coperta di brina purificato dal lavoro e dal proposito del bene. Tutti lo amano ed egli è gentile con tutti. Le donne che portano il frumento al Molino si aggrappano intorno a lui curvo a pesare la farina e lo guardano con occhi di madre con occhi d’amore. Efix era stato una sera a trovarlo e fra il rombare della macchina e l’agitarsi delle figure pallide su uno sfondo ardente fra l’incrociarsi delle ombre e lo stridere dei pesi gli era parso di intravedere uno scorcio del Purgatorio e Giacinto che penava fra i dannati ma aspettando il termine dell’espiazione.

La domenica dopo Pasqua andò a una piccola festa campestre nella chiesetta di Valverde.

Era un pomeriggio freddo e sulla vallata dell’Isalle battuta dal vento di tramontana con Monte Albo giù in fondo fra le nuvole come una nave incagliata in un mare burrascoso pareva dominasse ancora l’inverno.

Efix seguiva una fila di paesane avvolte nelle loro tuniche grevi e col vento che gli batteva sul petto sentiva qualche cosa di nuovo di forte penetrargli nel cuore. La gente camminava triste ma tranquilla come in processione avviata non a un luogo di festa ma di preghiera: anche una fisarmonica lontana ripeteva il motivo religioso delle laudi sacre ed egli sentiva che la sua penitenza era cominciata.

Arrivato alla chiesetta sull’alto della china rocciosa sedette accanto alla porta e si mise a pregare: gli sembrava che la piccola Madonna guardasse un po’ spaurita dalla sua nicchia umida la gente che andava a turbare la sua solitudine e che il vento soffiasse sempre più forte e il sole cadesse rapido sopra la valle per costringere gl’importuni ad andarsene. Infatti le donne si avvolgevano meglio nelle loro tuniche e dopo aver recitato il rosario s’avviavano al ritorno.

Non rimasero che una venditrice di torroni e di pupazzi di farina nera ricoperti di zucchero; e due uomini seduti uno per parte davanti alla porta della chiesetta sotto l’atrio in rovina.

Efix sedeva poco distante da loro e li guardava gravemente: li riconosceva li aveva veduti laggiù alla Festa del Rimedio: erano due mendicanti vestiti decentemente da borghesi con pantaloni turchini e giacca di fustagno: uno giovane ancora alto e curvo col viso giallo scarnificato ove pareva fosse rimasta la sola pelle sulle ossa con le palpebre livide abbassate chiedeva chiedeva muovendo appena le labbra grigie sui grandi denti sporgenti come dormisse e parlasse in sogno indifferente al mondo esterno. L’altro vecchio ma forte col viso rosso cremisi congestionato tutta la persona agitata da un tremito che sembrava finto aveva messo il cappello fra le sue gambe aperte e di tanto in tanto si curvava a guardarvi dentro le piccole monete.

Ma la sera cadeva rapida grave di nuvole e la gente se ne andava. Anche la donna dei confetti chiuse le sue cassette ancora piene e si mise a parlare sdegnosa coi mendicanti.

«Non vale la pena di far tanta strada! Festa da niente fratelli miei!»

«Non si campa più» disse il vecchio e versò le monete in un fazzoletto e rimise il cappello in testa. Ma quando fu per alzarsi ricadde come se i piedi gli scivolassero sul selciato dell’ingresso e batté la testa al muro e le mani al suolo.

Al tintinnire delle monete contro la pietra l’altro mendicante sollevò il viso terreo spalancando gli occhi vitrei come sentisse un rumore minaccioso.

Il vecchio gemeva. La donna ed Efix s’erano precipitati su lui ma non riuscirono a fargli tener sollevata la testa.

«Bisogna distenderlo» disse la donna «ora gli darò un po’ di liquore. Mettilo giù aiutami.»

Fu messo giù ma le gocce d’un liquido verde ch’ella tentò di versargli in bocca sopra i denti serrati gli si sparsero sul mento.

«Pare morto. E tu non ti muovi?» ella disse all’altro mendicante. «Era malato? Non rispondi?»

L’uomo tentò di parlare ma solo un mugolìo tremulo gli uscì di bocca: poi scoppiò a piangere.

«Va’ muoviti chiama i pastori che stanno lassù nel bosco…»

«Dove lo mandi che è cieco?» disse Efix inginocchiato con una mano sul cuore del vecchio. Il cuore sussultava come tentando ogni tanto di sollevarsi e subito ricadendo.

E l’ombra si addensava rapida; ogni nuvola passando sul vicino orizzonte lasciava un velo il vento urlava dietro la chiesa tutte le macchie tremavano protendendosi in là verso la valle e pareva volessero fuggire luminose d’un verde metallico agitate da una convulsione di tristezza e di terrore.

Anche la donna ebbe paura della solitudine e di quella morte improvvisa. Si mise le cassette sul capo e disse:

«Bisogna che vada. Avvertirò il medico a Nuoro».

Così Efix rimase solo fra il moribondo ed il cieco.

«Il mio compagno soffriva di cuore» raccontava il mendicante. «Anche questi giorni scorsi è stato male: ma nessuno ci credeva. La gente non crede mai…»

«Era tuo parente?»

«No; ci siamo incontrati dieci anni fa alla Festa del Miracolo. Io allora avevo un compagno Juanne Maria che mi maltrattava. Mi maltrattava come un cane. Allora questo povero vecchio mi prese con sé: mi teneva come un figlio non mi lasciava mai la mano se non ero seduto al sicuro. Adesso è finito…»

«E adesso come farai?»

«Cosa vuoi che faccia? Starò qui aspettando la morte. Ho tutto con me sia salva l’anima mia.»

«Io posso ricondurti fino a Nuoro» disse Efix e d’improvviso cominciò a piangere.

Curvo sul moribondo tentava di rianimarlo bagnandogli le labbra col liquore lasciato dalla donna e la fronte con uno straccio inzuppato nel vino. Ma il viso tragico si tingeva di viola e di verde sempre più duro e immobile alla luce fosca del crepuscolo. Anche il cuore cessò di battere. Efix riviveva l’ora più terribile della sua vita: ricordava il ponte laggiù fra l’ondulare dei giuncheti alla luna e lui curvo a sentire il cuore del suo padrone morto…

Eppure si sentiva sollevato come uno che dopo lungo errare in luoghi impervi ritrova la via smarrita il punto donde è partito.

«Ma tu non vai?» domandò il cieco sempre immobile al suo posto.

«Andrò quando Dio comanda. Adesso accendo il fuoco perché bisogna passare qui la notte.»

Andò in cerca di legna: il vento infuriava sempre più e le nuvole salivano e scendevano dall’Orthobene giù e su come torrenti di lava come colonne di fumo spandendosi su tutta la valle: ma sopra le alture di Nuoro una striscia di cielo rimaneva di un azzurro triste di lapislazzuli e la luna nuova tramontava rosea fra due rupi.

Ritornando verso la tettoia Efix vide il cieco che s’era mosso e stava curvo sul compagno chiamandolo a nome. Piangeva e cercava l’involto delle monete. Trovato che l’ebbe se lo cacciò in seno e continuò a piangere. Passarono la notte così. Il cieco raccontava le sue vicende alternandole a racconti della Bibbia e il suo dolore si calmava rapido come un male violento che passa presto.

«Cosa credi fratello mio? Io son nato ricco mio padre era come Giacobbe ma senza tanti figli e diceva: non importa che mio figlio sia cieco i suoi occhi son d’oro (alludeva alle sue ricchezze) e ci vedrà lo stesso. E mia madre che aveva una voce dolce come un frutto mi ricordo diceva: basta che il mio Istène si conservi innocente tutto il resto non importa. E così ti dico fratello mio mi hanno mangiato la roba morto mio padre e mia madre mi hanno piluccato come un grappolo d’uva tutti parenti e conoscenti. Dio li perdoni mi hanno costretto ad andare ad elemosinare ma l’innocenza l’ho conservata così ti dico: io non ho fatto mai male a nessuno. Ma il Signore mi ha sempre aiutato: prima Juanne Maria Dio l’abbia in gloria poi questo sono stati i miei compagni i miei fratelli come gli angeli che accompagnavano Tobia. Adesso…»

«Anche adesso la compagnia non ti mancherà» disse Efix con voce grave. «Ma cosa intendi quando dici che sei innocente?»

«Che cammino verso l’eternità» disse il cieco sottovoce.

«Vado verso una porta che mi sarà aperta a due battenti e non penso ad altro. Se ho un pane me lo mangio se non l’ho sto zitto. Non ho mai toccato la roba altrui non ho mai conosciuta la donna. Juanne Maria me ne condusse una accanto una volta. Io sentii che odorava di male e mi buttai per terra come passasse il vento. Che devo fare anima mia? Se non mi salvo l’anima che cosa ho d’altro fratello caro?»

«Ma i denari a questo morto glieli hai presi malanno!» disse Efix.

«Erano i miei. Che fanno i denari addosso a un morto? Così ti dico: no io non ho rubato né sparso mai il sangue. Neppure i fratelli di Giuseppe sparsero il sangue: Giuda disse loro: vendiamolo meglio agli Ismaeliti piuttosto che ucciderlo. E così fecero. La sai tu tutta la storia di Giuseppe Ebreo? Mi dispiace che te ne vai se no te la racconterei.»

«No non me ne andrò» disse Efix «io ti accompagnerò d’ora in avanti: ci porteremo per mano l’uno con l’altro.»

Il cieco abbassò un momento la testa palpando l’involto delle monete: non parve meravigliato della decisione dello sconosciuto. Solo gli domandò:

«Sei un mendicante anche tu?».

«Sì» disse Efix «non te ne sei accorto?»

«Allora va bene; prendi tienilo tu.»

 

E gli porse l’involto del denaro.

Circolari INPDAP

Ultimi inserimenti:
31.05.2013 – Ipotesi CCNQ rappresentatività sindacale 2013-2015
14.02.2013 – Parere FP su valenza congedo assistenza ai fini progressione economica
14.02.2013 – DM ministero lavoro per congedo obb.rio padre
08.02.2013 – Circ. n. 1/2013 FP su legge 190/2012 anticorruzione
17.12.2012 – Corte Conti-Sez-. Lombardia – Deliberazione n. 508/2012in tema di ass personale ex art. 110 T.U. 267/2000
31.08.2012 – Corte Conti Liguria – Delib. 84/2010 in tema di Incarichi agg. Dirig.liu ex art. 9 DL 78/2010
31.08.2012 – Corte Conti – Sez. Autonomie – 12.06.12 – in tema di assunzioni dirig.li a TD
23.07.2012 – CCNQ di modifica del CCNQ 9.10.2009 sulle libertà sindacali
23.07.2012 – D.L. 95/2012 spending review
23.07.2012 – Legge 92/2012 Fornero – Riforma del lavoro
26.03.2012 – Circ n. 37/Inps in tema di trattamento pensionistico e di fine rapporto personale iscritto ex INPDAP
23.03.2012 – Circolare n. 2/2012 del Dipartimento F.P. in tema di previdenza
23.03.2012 – Circolare n. 1/2012 del Dipartimento F.P.  sulla applicazone della Legge 104

10.01.2012 – Circolare n. 22 Inpdap. Chiarimenti su congedo straordinario a favore di familiari portatori di handicap
04.01.2012 – Decreto Ministero Lavoro su cliclavoro (new obbligo di comunicazione on  line per la P.A)
03.01.2012 – Circolare ARAN n. 4 di chiarimento sul rinnovo delle RSU dal 5 al 7 marzo 2012
23.12.2011 – Direttiva n. 14/2011 del Ministro della P.A. e della semplificazione
19.12.2011 – Protocollo ARAN sulla Elezione delle RSU 2012
19.12.2011 – Circolare n. 3/ARAN su rilevazione deleghe per rappresentatività sindacale
10.12.2011 – Circolare n. 13 del Dipartimento Funzione Pubblica su contrattazione integrativa
03.11.2011 – Circolare n. 12 della F.P. su permessi studio
21.08.2011 – Corte Conti Riunite – Assunzioni e spese personale
30.06.2011 – Circolare n. 12 Ragioneria dello Stato in tema di applicazione art. 9 del D.L. 78/2010
28.02.2011 – P.A. Sentenza Cassazione – No peculato telefonate e internet se danno lieve
11.02.2011 – Sentenza Tar Bari su accesso concorso Dirigenza
26.09.2010 – Sentenza Consiglio Stato su art. 30 del 165/2001 – Assunzioni e mobilità
25.09.2010 – Circolare N. 12/2010 F.P. – Procedure concorsuali e informatizzazione
31.10.2009 – D.lgs. 150/2009. Attuazione Legge 15/2009 (Brunetta)
31.10.2009 – Legge 15/2009 (Legge Brunetta)
21.10.2009 – Testo CCNL EE.LL. 2° biennio 2008-09 – 31.7.2009
15.11.2008 – Circolare n. 10 FP sull’art. 72 della Legge 133/2008
15.11.2008 – Circolare n. 8 FP  sull’art. 71 della Legge 133/2008
15.11.2008 – Circolare n. 7 FP  sull’art. 71 della Legge 133/2008
09.06.2008 – Circolare n. 6 del 30 aprile 2008 in tema di partecipazioni societarie, ecc.
09.06.2008 – Circolare FP n. 5 su stabilizzazioni
09.06.2008 – Circolare FP n. 4/20008 su Mobilità
11.04.2008 – CCNL EE.LL. – Quadriennio 2006-2009

11.04.2008 – CCNL Sanità – Quadriennio 2006-2009
25.03.2008 – Circolare 3/2008 Funzione Pubblica su tempo determinato
25.03.2008 – Circolare 2/08 Funzione Pubblica su incarichi e collaborazioni
18.03.2008 – Ipotesi CCNL EE.LL. 2006-2009 – con note a cura di Mario Rampazzo
22.01.2007 – Cassazione su infortunio sul lavoro
22.01.2007 – Consiglio Stato su termini procedimento disciplinare
11.07.2006 – D.L. 223 Bersani
18.03.2006 – Parere D.F.P. su mobilità ai sensi finanziaria 2006
08.02.2006 – Preintesa CCNL AA.LL. biennio 2004-2005
19.12.2005 – Maxi emendamento Finanziaria 2006 (appr. Senato)
30.11.2005 – Accordo conferenza unificata assunzioni 2005-2007
04.08.1005 – Ipotesi accordo Governo conferenza unificata su assunzioni 2005
29.07.2005 – Circolare Ministero Lavoro su “distacco” e Cassa Integrazione”
15.06.2005 – Ipotesi CCNL Dirigenza 2002-2005
05.05.2005 – Circolare n. 7/2005 MInistero Welfare su lavoro a somministrazione
10.03.2005 – Parere Funzione Pubblica n. 204/05 su mobilità e part-time
06.02.2005 – Finanziaria 2005
06.02.2005 – 
Circolare Aran – Rilevazione Deleghe al 31 dicembre 2004
06.02.2005 – Decreto Ministero Lavoro su lavoro intermittente
06.02.2005 – Ci
rcolare Ministero Lavoro sulle  misure di incentivazione del raccordo pubblico e   privato  di  cui  all’articolo  13 del decreto legislativo n. 276 del 2003
06.02.2005 – Decreto Ministero lavoro sulla “Borsa Naz.le continua del Lavoro”

02.12.2004 – Inserito file excel per calcolo fondo aziendale
18.11.2004 – Nota operativa INPDAP n. 23/2004 su contratti Formazione&Lavoro
15.11.2004 – Integrativo Provincia Roma anno 2004
15.11.2004 – Integrativo Comune Forlì anno 2004
15.11.2004 – Interpretazione autentica CCNQ art. 18 – Libertà sindacali 
15.11.2004 – Circolare Ministero Lavoro su apprendistato
15.11.2004 – Parere F.P. su assunzione nella P.A. di extracomunitari
03.11.2004 – Nomina senatore a vita
17.10.2004 – Legge 243/2004 – Delega in materia previdenziale
17.10.2004 – 
DPCM N. 350/2004 – Assunzioni EE.LL. 2004
01.10.2004 – CCNQ sulla ripartizione aspettative sindacali biennio 2004-2005
01.10.2004 – 
CCNQ sui comparti della Dirigenza nel quadriennio 2002-2005
22.09.2004 – 
Circolare n. 103 del 6 luglio 2004 sul lavoro autonomo
06.09.2004 – Contratto Integrativo 2003-2005 Regione Emilia Romagna
19.07.2004 – Varie circolari INPDAP
19.07.2004 – Parere Funzione Pubblica su Contratti Formazione Lavoro
30.06.2004 – Decreto Legge 66/2004 convertito 126/04 in tema disciplinare
26.05.2004 – Direttiva della Funzione Pubblica sulla qualità percepita dai cittadini
26.05.2004 – Direttiva della Funzione Pubblica sul benessere organizzativo nelle P.A.
26.05.2004 – Interpretazione autentica sul regolamento della RSU 
26.05.2004 – Accordo ARAN-OO.SS. su indizione elezione RSU
24.05.2004 – Circolare n. 9 Ministero Lavoro sul Part time dopo la Biagi
24.05.2004 – Decreto legge n. 80/2004 – Disposizioni urgenti EE.LL.
24.05.2005 – Dopo una pausa … riprendo ad aggiornare il sito
18.03.2004 – Circolare n. 1/2004 Ministero Interno su assunzioni AA.LL. 2004
12.03.2004 – 
Parere 191/2004 – Contratti formazione lavoro e finanziaria 2004
12.03.2004 – 
Parere 190/2004 – Obbligo di comunicazione in casi di assunzioni obbligatorie
12.03.2004 – Parere 189/2004 – Collaborazioni coordinate e continuative
03.03.2004 – Circolare INPDAP su nuovo CCNL Autonomie Locali
05.02.2004 – Circolare n. 4 Ministero Welfare (Legge Biagi)
05.02.2004 – Circolare n. 3 Ministero Welfare (Legge Biagi)
04.02.2004 – Direttiva sull’utilizzo della posta elettronica nella P.A.
24.01.2004 – CCNL AA.LL. 2002-2005
12.01.2004 – Circolare Ministero Welfare su co.co.co e lavoro a progetto
12.01.2004 – Sentenza Consiglio Stato su procedimento disciplinare
12.01.2004 – Informativa INPDAP  n. 53/2003 – 
Benefici attribuiti al personale riconosciuto invalido o mutilato per causa di servizio
18.12.2003 – Circolare Funzione Pubblica su assunzioni vittime terrorismo
18.12.2003 – Decreto Finanze su rivalutazione pensioni 2002
18.12.2003 – Decreto Interno medie dipendenti/popolazione Enti Locali
10.12.2003 – Circolare INPS su Orario Lavoro (D.Lgs. 66/2003)
10.12.2003 – Parere Funzione Pubblica su CO.CO.CO.
10.12.2003 – Parere Funzione Pubblica su assunzioni
22.10.2003 – Preintesa nuovo CCNL Comparto Regioni e AA.LL.
22.10.2003 – DPCM Assunzioni in Comuni e Province
22.10.2003 – DPCM assunzioni Regioni e SSN
06.10.2003 – Progetto Legge finanziaria 2004
06.10.2003 – Decreto Legge 269/2003. Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la      correzione dell’andamento dei conti pubblici
06.10.2003 – CCNQ su conciliazione e arbitrato
06.10.2003 – Legge 229/2003 – Semplificazione 2001
24.09.2003 – D. L.gsl. 165/2001 aggiornato alla normativa uscita al 30 aprile 2003
29.08.2003 – Decreto Ministero interno sulla rilevazione dei parametri deficitari per gli Enti
07.08.2003 – Direttiva Governo-ANCI ecc, per il rinnovo contrattuale
04.08.2003 – Accordo Governo-Anci-Regioni su art. 34 finanziaria (assunzioni)
18.07.2003 – DPEF 2004-2007
15.07.2003 – Varie Informative INPDAP
14.07.2003 – Circolare INPS assegno per il nucleo familiare 2003-2004
02.07.2003 – Decreto Ministero Interno su medie per classi demografiche
30.06.2003 – Circolare Ministero Interno su bilanci e personale Enti Locali
30.06.2003 – Legge Cost. n. 1/2003
30.06.2003 – 
LEGGE 5 giugno 2003, n.131. Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
30.06.2003 – Decreto assunzioni 2003 per CCIAA
30.06.2003 – Circolare Funzione Pubblica sul <personale in disponibilità
17.06.2003 – Testo coordinato normativa maternità
03.06.2003 – Testo coordinato D.L. 50/03 e L. 116/2003(bilanci-personale-Segretari Com.li)
03.06.2003 – D.Lgsl. 115/2003 – Modifiche al D.L.vo 151/2001
20.05.2003 – Legge conversione D.L. 50/2003
06.05.2003 – Informativa Inpdap n. 23/2003 (CCNL dirigenza)
30.04.2003 – Circolare Min. Interno su assunzione AA.LL. (art 34 Legge 289/2002)
22.04.2003 – CIRCOLARE 28 marzo 2003, n.1 Rilevazione  dei  dati  riguardanti permessi, aspettative e distacchi sindacali – aspettative e permessi per funzioni pubbliche, per l’anno 2002 
22.04.2003 – Legge n. 80/2003 – Delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale
22.04.2003 – Decreto L.vo n. 66/2003-
Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro
14.04.2003 – Circolare Min.Interno su elezioni amministrative 25 maggio 2003
12.04.2003 – Sent. Cassazione sul potere discrezionale degli Enti di assumere da graduatoria
08.04.2003 – Schema di 
decreto legislativo in materia di orario di lavoro
01.04.2003 – Disposizioni urgenti in materia di bilanci degli enti locali
31.03.2003 – Legge Reg.le E.R. – Riforma della assistenza
05.03.2003 – P.d.L. delega previdenza (testo approvato alla Camera e trasmesso al Senato)
14.02.2003 – Direttiva di Settore per il Rinnovo Contrattuale 2002-2005
06.02.2003 – Circ. Ministero Finanze su Patto di Stabilità anni 2003-2005
06.02.2003 – Circ. Ministero Lavoro su incentivazione di l.s.u. con contratti co.co.
06.02.2003 – Informativa INPDAP – Aggiornamento indici calcolo di quiescenza 
28.01.2003 – Decreto Ministero Interno – Corsi Ufficiali stato civile e anagrafe
23.01.2003 – Legge n. 3/2003 –
Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione 
                   – Aperta una sezione specialistica sulla normativa “Disabili”
16.01.2003 – Circolare Agenzia entrate su nuovo calcolo IRPEF
09.01.2003 – 
Circolare ARAN rilevazione deleghe sindacali anno 2002 e schede Autonomie Locali
05.01.2003 – Legge Cost. n. 1/2003 (Legge Savoia)
28.12.2002 – Finanziaria 2003
27.12.2002 – Definizione Comparti contrattuali tornata 2002-2005
18.12.2002 – Sentenza sulle ferie
 

10.12.2002 – 
Delibera G.R. Emilia R. n. 1980/2002MODALITA’ PER IL RICONOSCIMENTO DI EQUIPOLLENZA DELLA DOPPIA QUALIFICA OTA-ADB CON LA QUALIFICA DI OPERATORE SOCIO SANITARIO…..
10.12.2002 – 
Delibera G.R. Emilia R. n. 1979/2002CRITERI E MODALITA’ PER LA  RIQUALIFICAZIONE SUL LAVORO PER OPERATORE SOCIO SANITARIO … 
10.12.2002 – Aggiornata sez. Leggi Reg. Emilia Romagna al n. 30 del 2002
05.12.2002 – Parere Funzione Pubblica su tempo determinato
05.12.2002 – 
Circolare INAIL n. 55 del 7 agosto 2002
05.12.2002 – Informativa INPDAP CCNL Dirigenza 2° biennio
04.12.2002 – Inserite alcune nuove sentenze

14.11.2002 – Reg. Reg.le n. 24/2002 su infermità e equo indennizzo personale regionale 

12.11.2002 – Progetto di Legge 848-bis – Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro
10.11.2002 
– Sent. Corte Conti – Sez. Lombardia – No assicurazioni danno erariale per amministratori e dipendenti
04.11.2002 – Accordo Servizi Minimi AA.LL. approvato da Commissione Garanzia
17.10.2002 – Circolare MInistero Interno su Dirigenza (applicabilità L. 145/02 agli EE.LL.)
15.10.2002 – Calcolo Parametri Art. 5 CCNL 5.10.2001
30.09.2002 – Accordo Servizi Minimi AA.LL. 19.9.2002
30.09.2002 – Regolamento trasferte Regione Emilia Romagna