Archivi giornalieri: 7 giugno 2013

La “sardità” di Antonio Gramsci:

Gramsci, la Sardegna, la lingua sarda, le tradizioni popolari

di Francesco Casula

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“Tu Nino sei stato molto più che un sardo, ma senza la Sardegna è impossibile capirti”: Lettera a Gramsci di Eric Hobsbawm pubblicata sull’Unione sarda il 24 aprile 2007. Lo storico britannico è il celebre autore di “Age of the Estremes” tradotto in Italia e pubblicato dalla Rizzoli con il titolo di “Secolo breve”.

1.. Gramsci e la Sardegna (con il colonialismo interno)
“La Sardegna –scrive Eugenio Orrù- non è per Gramsci una mera espressione geografi¬ca e neppure soltanto il luogo degli affetti, un luogo della memoria, l’infanzia della politica. La Sardegna è espressione di soggettività, di lingua, di cultura, di storia di un popolo distinto, che vive nella storia pluralistica dell’Italia e deve esistere, esserci, come il Mezzogiorno continentale, come la Sicilia, con una pre¬senza paritaria nel contesto unitario dello Stato italiano [cfr. il saggio del ’26 sul¬la “Questione meridionale” e i Quaderni 1, 14, 19, 1929, 1932-’35, ibidem].
La lingua, la cultura, la storia della Sardegna sono ricchezza e vanno studiate e vissute. Non è dunque solo tattica, ma è frutto di strategia, di convinzione politi¬ca radicata l’appello -ispirato da Gramsci- dell’Internazionale contadina, indi¬rizzato il 21 settembre 1925 al V Congresso di Macomer del Partito Sardo D’Azione, appello peraltro preceduto dalla lettera del settembre 1923 all’esecuti¬vo del P.C.d’L, dove egli parla di “Repubblica federale degli operai e dei conta¬timi”. Ecco, anche da qui un’ulteriore interlocuzione con Gramsci: da qui si può desumere un concetto di autonomia come autogoverno, come democrazia e insieme un concetto di identità non come separazione e chiusura, ma come pro¬getto e affermazione di sé, nel dialogo, nella partecipazione, nell’apertura all’Italia e al mondo.
“Dalla Sardegna –ricorderà il suo compagno di studi e di partito, Palmiro Togliatti, il leader massimo dell’allora Partito comunista italiano, commemorandolo nel 1947 nel Municipio di Cagliari in occasione del decimo anniversario della sua morte- venne ad Antonio Gramsci il primo impulso, la vocazione iniziale della Sua vita; ciò che egli aveva visto, osservato, sofferto in Sardegna, diventò elemento fondamentale per la elaborazione del Suo pensiero politico, spinta decisiva alla esplicazione della Sua attività pratica di dirigente della classe operaia e dei lavoratori italiani”.
Con la Sardegna e con le sue radici Gramsci mantenne sempre un rapporto molto stretto: certo per motivi affettivi –basta ricordare le sue Lettere dal carcere- ma non solo. I ricordi dell’infanzia e della prima giovinezza trascorsi soprattutto a Ghilarza prima e a Cagliari poi, durante il periodo del Liceo al “Dettori” (1908-1911), rimasero sempre impressi in tutta la sua esistenza e certo lo aiutarono a livello umano, fra l’altro forgiandolo nel suo carattere forte e coriaceo, unico strumento per superare le immani difficoltà che dovrà attraversare nella sua tormentata vita –si pensi in modo particolare al carcere- ma diedero corpo anche alla sua complessa elaborazione intellettuale e politica.
“Gramsci –ricorda l’ex parlamentare Battista Columbu in un appassionato intervento1 in occasione del 50° anniversario della morte- fu sardo di nascita; sardo perché amò la sua terra d’immenso amore, l’am0 così com’essa è, con la sua bellezza semplice, con le sue asperità, con i suoi contrasti, con le sue sofferenze, con le sofferenze del popolo sardo che egli conobbe, comprese, condivise”.
Di queste sofferenze egli parlerà a più riprese, fra l’altro scrivendone il 16 Aprile 1919 in un articolo per l’edizione piemontese dell’Avanti avente per titolo “I dolori della Sardegna”. In cui ricorderà quanto aveva affermato “nell’ultimo congresso sardo tenuto a Roma, un generale sardo: che cioè nel cinquantennio 1860-1910 lo Stato italiano, nel quale hanno sempre predominato la borghesia e la nobiltà piemontese, ha prelevato dai contadini e pastori sardi 500 milioni di lire che ha regalato alla classe dirigente non sarda. Perché –aggiungeva- è proibito ricordare, che nello Stato italiano, la Sardegna dei contadini e dei pastori e degli artigiani è trattata peggio della colonia eritrea in quanto lo stato <spende> per l’Eritrea, mentre sfrutta la Sardegna, prelevandovi un tributo imperiale” 2
E non si tratta di fantasie. Proprio nel Congresso cui fa cenno Gramsci –che si tenne tra il 10 e il 15 Maggio del 1914, fu il primo Congresso regionale sardo di Roma e non l’ultimo come sbagliando afferma Gramsci che per di più lo colloca nel 1911- ci fu chi come il deputato Carboni-Boy dimostrerà nella sua relazione che il gettito fiscale prelevato in Sardegna era esorbitante non solo in relazione alle risorse di cui poteva disporre l’Isola ma al reddito reale dei suoi abitanti. “Il balzello” finiva così per “paralizzare ogni forza produttiva e ogni risparmio”.
In effetti per conseguenza di quel regime fiscale l’abitante della Sardegna versava allo Stato complessivamente lire 3,53 di imposte e risultava quindi “gravato come quasi e anche di più sosteneva il Carboni-Boy- di quello di regioni ricchissime” quali il Piemonte (lire 3,78), il Lazio (lire 3,56), la Toscana (lire 2,66)3 .
Lo stesso Gramsci il 14 Aprile del 1919, in un altro articolo, titolato significativamente La Brigata Sassari e pubblicato sempre nell’edizione piemontese dell’Avanti aveva parlato di sfruttamento coloniale della Sardegna da parte della classe borghese di Torino. “Non siamo –commenta lo storico sardo Federico Francioni- di fronte all’uso di una parola ad effetto, in quanto Gramsci dimostra di essere convinto dell’esistenza di un colonialismo esercitato ai danni dell’Isola” 4.
“Colonia, colonialismo -continua Francioni- ecco due termini, potremmo dire quasi due parolacce che gli storici, gli intellettuali sardi, fatte poche, pochissime eccezioni, hanno sempre cercato di rimuovere, come dire di esorcizzare” 5.

Eppure di colonialismo si trattava –o si tratta ancora oggi?-
• con la rapina delle risorse, segnatamente attraverso lo sfruttamento delle miniere e la distruzione delle foreste sarde;
• con l’esasperata e sproporzionata pressione fiscale che il parlamentare l’avvocato Enrico Carboni-Boy nella sua relazione al Congresso tenuto dai Sardi a Roma, aveva ben illustrato, quantificato e documentato;
• con la politica doganale –in seguito alla rottura dei trattati commerciali con la Francia- che aveva privato i prodotti tradizionali sardi degli sbocchi di mercato;
• con l’emigrazione dei lavoratori sardi –le forze più produttive- verso le Americhe: ben centomila lasciarono l’Isola;
• con l’allocazione di tutti i centri decisionali e di potere a Torino: ad iniziare dai Consiglio di Amministrazione delle Ferrovie sarde e di alcune società minerarie i cui membri –sottolinea Gramsci- erano lautamente retribuiti.

1. In La questione meridionale, atti del Convegno di studi, Cagliari 23-24 ottobre 1987, Pubblicazione del Consiglio regionale della Sardegna, pag. 378-379.
2. In Antonio Gramsci- Scritti 1915-1921. Nuovi contributi a cura di Sergio Capriogli :I Quaderni de “Il Corpo”-1968, pagg.103-104.
3. In Atti del Primo Congresso Regionale Sardo tenuto in Roma in Castel Sant’Angelo dal 10 al 15 Maggio 1914, promosso e organizzato dall’Associazione fra i Sardi in Roma. Coop. Tipografica Ma nunzio, Roma, 1914, pagg.143-144.
4.In La questione meridionale, atti del convegno di studi, op. cit. pag. 125.
5.Ibidem pag.125.

2. Gramsci e la Lingua sarda

Le Lettere dal carcere scritte dopo il suo arresto sono dirette per la gran parte ai familiari: alla moglie e ai figli, alla cognata, alla madre, alle sorelle e al fratello Carlo. Solo alcune sono indirizzate agli amici.
Per la prima volta furono pubblicate in un volume uscito nel 1947 che ne comprendeva 218. Nel 1965 un nuovo volume ne comprenderà 428, delle quali 119 fino ad allora inedite. Esse risultano un grandioso e insieme toccante documento autobiografico testimonianza umana culturale ed etica. Esse oltre a costituire un documento di insostituibile interesse storico e letterario rappresentano un’avvincente testimonianza psicoantropologica, una vita ricca di eventi significativi e persino drammatici. Eccone una1 diretta alla sorella Teresina in cui affronta la questione della Lingua sarda.

1) In Lettere da carcere, di Antonio Gramsci a cura di Sergio Caprifoglio ed Elisa Fubini. Introduzione e note di Sebastiano Vassalli, Giulio Einaudi editore, 1965.

Carissima Teresina,
mi è stata consegnata sola pochi giorni fa la lettera che mi avevi inviato a Ustica e che conteneva la foto¬grafia di Franco1. Ho così potuto vedere finalmente il tuo bimbetto e te ne faccio tutte le mie congratula¬zioni; mi manderai, è vero? anche la fotografia della Mimì e così sarò proprio contento. Mi ha colpito mol¬to che Franco, almeno dalla fotografia, rassomigli po-chissimo alla nostra famiglia: deve rassomigliare a Paolo2 e alla sua stirpe campidanese e forse addirit¬tura maurreddina3: e Mimì a chi somiglia? Devi scri¬vermi a lungo intorno ai tuoi bambini, se hai tempo, o almeno farmi scrivere da Carlo o da Grazietta. Fran¬co mi pare molto vispo e intelligente: penso che parli già correttamente. In che lingua parla? Spero che lo lascerete parlare in sardo e non gli darete dei dispia¬ceri a questo proposito. È stato un errore, per me, non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse libe-ramente il sardo. Ciò ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia. Non devi fare questo errore coi tuoi bambi¬ni. Intanto il sardo non è un dialetto, ma una lingua a sé4, quantunque non abbia una grande letteratura, ed è bene che i bambini imparino piú lingue, se è pos¬sibile. Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca5, fatta solo di quelle poche fra¬si e parole delle vostre conversazioni con lui, pura¬mente infantile; egli non avrà contatto con l’ambien¬te generale e finirà con l’apprendere due gerghi6 e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi e un gergo sardo, appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con la gente che incontra per la strada o in piazza.
Ti racco¬mando, proprio di cuore, di non commettere un tale errore e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontanea¬mente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire, tutt’altro. Delio e Giuliano sono stati male in questi ultimi tempi: hanno avuto la febbre spagnola7; mi scrivono che ora si sono rimessi e stanno bene. Vedi, per esem¬pio, Delio: ha cominciato col parlare la lingua della madre8, come era naturale e necessario, ma rapida-mente è andato apprendendo anche l’italiano e can¬tava ancora delle canzoncine in francese, senza perciò confondersi o confondere le parole dell’una e dell’al¬tra lingua. Io volevo insegnarli anche a cantare: «Lassa sa figu, puzone»9, ma specialmente le zie si sono opposte energicamente[…].
Abbraccio Paolo affettuosamente; tanti baci a te e ai tuoi bambini
Nino

Note presenti nel testo
1. Teresina Gramsci Paulesu ebbe quattro figli: Franco, Mim¬ma (« Mimí »), Diddi e Marco,
2. Paolo Paulesu, marito di Teresina Gramsci.
3. Maureddu si chiama chi abita il Campidano, cioè la pianura tra i golfi di Oristano e di Cagliari e, in generale, le regioni meri¬dionali della Sardegna.
4. Effettivamente l’idioma sardo viene considerato dagli stu¬diosi come una lingua a sé stante, con vicende storiche sue pro¬prie che ne fanno un caso singolare e autonomo nell’ambito delle lingue romanze
5. Cioè limitata nel lessico («povera») e perciò incompleta (« monca »).
6. Si dice « gergo » un linguaggio convenzionale, quale può for¬marsi all’interno di gruppi sociali isolati.
7. Forma influenzale a carattere epidemico, comparsa per la prima volta in Europa nel 1918.
8. Cioè il russo.9. « Lascia il fico, o uccello » (in sardo).

In questa lettera del 26 Marzo del 1927,scritta alla sorella Teresina dal carcere, giustamente notissima e super citata, Gramsci rivela una serie di intuizioni formidabili sull’importanza, sull’utilità, sul ruolo e la funzione della lingua sarda, specie per quanto attiene allo sviluppo del bambino e allo stesso apprendimento dell’italiano.
Per intanto ammette che “è stato un errore non aver lasciato che Edmea, da bambinetta, parlasse liberamente in sardo”. Si tratta di un errore oltremodo diffuso nella cultura e nell’intera scuola italiana, ancora oggi ma soprattutto nel passato.
Un errore e un pregiudizio che deriva da lontano: basti pensare ai primi Programmi della Scuola italiana ,impostati a partire dall’Unità e dalla Legge Coppino del 1867 secondo una logica statoiatrica e italocentrica, finalizzata a creare una supposta coscienza “ unitaria “ un cosiddetto spirito “ nazionale “, capace di superare i limiti – così erroneamente si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente divisa, differenziata e composita sul piano storico, linguistico e culturale.
Così, tutto ciò che anche lontanamente sapeva di locale – segnatamente la storia e la lingua– fu rigidamente espunto ed espulso dalla scuola, represso e censurato, messo a tacere e bandito o comunque marginalizzato nella vita sociale.
Questo processo continuerà e anzi si accentuerà enormemente nel periodo fascista, in cui si tentò addirittura di cancellarla e decapitarla la lingua sarda come pure la storia e in genere quanto atteneva al locale, allo specifico, al particolare: elementi tutti che avrebbero –secondo l’ideologia fascista– attentato all’unità nazionale dello Stato, concepito in modo rigidamente monolingue e monoculturale.
Ebbene Gramsci, proprio in questo periodo storico e in questa temperie culturale ed ideologica ha il coraggio di andare controcorrente, anche su questo versante: “ non imparare il sardo da parte di Edmea – sostiene – ha nociuto alla sua formazione intellettuale e ha messo una camicia di forza alla sua fantasia….è bene che i bambini imparino più lingue…. ti raccomando di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire : tutt’altro”.
Il grande intellettuale sardo esprime in questa lettera una serie di posizioni sulla lingua materna, che i linguisti e i glottologi nonchè gli studiosi delle scienze sociali: psicologi come pedagogisti, antropologi come psicanalisti e persino psichiatri avrebbero in seguito articolato, argomentato e rigorosamente dimostrato come valide, in modo inoppugnabile.
Ovvero che il Bilinguismo, praticato fin da bambini, sviluppa l’intelligenza e costituisce un vantaggio intellettuale non sostituibile con l’insegnamento in età scolare di una seconda lingua, ad esempio l’inglese.
Nell’apprendimento bilingue entrano in gioco fattori di carattere psico- linguistico di grande portata formativa, messi in evidenza da appropriati e rigorosi studi e ricerche.
Tutto ciò, soprattutto con il Bilinguismo a base etnica – proprio il nostro caso di sardi – che, come sostiene uno dei massimi studiosi e sostenitori, J. A. Fisman1 non è da considerarsi un fatto increscioso da correggere e da controllare ma una condizione che agisce positivamente nelle psicodinamiche dello sviluppo cognitivo e relazionale, base di potenzialità linguistiche-coscienziali straordinariamente estese, tanto che l’educazione bilingue ha delle funzioni che vanno al di là dell’insegnamento della lingua. Ovvero che la lingua materna, la cultura e la storia locale hanno un ruolo fondamentale e decisivo nello sviluppo degli individui, soprattutto dei giovani, partendo “dall’ambiente naturale in cui sono nati “:
• per allargare le loro competenze, soprattutto comunicative, di riflessione e di confronto con altri sistemi;
• per accrescere il possesso di una strumentalità cognitiva che faciliti l’accesso ad altre lingue;
• per prendere coscienza della propria identità etno – linguistica ed etno – storica, come giovane e studente prima e come persona adulta e matura poi;
• per personalizzare l’esperienza scolastica, umana e civile, attraverso il recupero delle proprie radici;
• per combattere l’insicurezza ambientale, ancorando i giovani a un humus di valori alti della civiltà sarda: la solidarietà e il comunitarismo in primis;
• per superare e liquidare l’idea del “sardo“ e di tutto ciò che è locale come limite, come colpa, come disvalore, di cui disfarsi e, addirittura, “vergognarsi”;
• per migliorare e favorire, soprattutto a fronte del nuovo “ analfabetismo di ritorno “, vieppiù trionfante, soprattutto a livello comunicativo e lessicale, lo status linguistico. Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero, banale, improprio, “ gergale “: esattamente come aveva profeticamente previsto e denunciato Gramsci.
Lo studio e la conoscenza della lingua sarda, può essere uno strumento formidabile per l’apprendimento e l’arricchimento della stessa lingua italiana e di altre lingue, lungi infatti dall’essere “un impaccio“ , “ una sottrazione” , sarà invece un elemento di “addizione”, che favorisce e non disturba l’apprendimento dell’intero universo culturale e lo sviluppo intellettuale e umano complessivo. Ciò grazie anche alla fertilizzazione e contaminazione reciproca che deriva dal confronto sistemico fra codici comunicativi delle lingue e delle culture diverse, perchè il vero bilinguismo è insieme biculturalità, e cioè immersione e partecipazione attiva ai contesti culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di appartenenza, sarda e italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente e necessariamente, in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture.
Anche da questo punto di vista il pensiero gramsciano è di una straordinaria attualità. A più riprese infatti nelle sue opere sottolinea l’importanza del Sardo in quanto concrezione storica complessa e autentica, simbolo di una identità etno- antropologica e sociale, espressione diretta di una comunità e di un radicamento nella propria tradizione e nella propria cultura.
Una lingua che non resta però immobile –come del resto l’identità di un popolo– come fosse un fossile o un bronzetto nuragico, ma si “costruisce“ dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando nel circuito della innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre lingue. Per questo concresce all’agglutinarsi della vita culturale e sociale. In tal modo la lingua, per Gramsci, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e di vivere di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la storia, le tradizioni.
Dal punto di vista formale in questa “Lettera” –ma anche nelle altre- Gramsci rivela una scrittura semplice e insieme intensa, talvolta persino scherzosa e ironica, mai “letteraria”, di una naturale altezza e forza morale. La sua capacità di interessarsi profondamente e amabilmente delle vicende dei suoi familiari, dell’educazione dei bambini, cui racconterà favole e storielle, rivelano un uomo dall’alta statura umana ed etica, affettuosamente e profondamente legato alla sua terra, alla sua lingua, alle sue tradizioni. Pur infatti nel carcere² e nelle privazioni riesce sempre a mantenere un eccezionale equilibrio tra raziocinio e fantasia e un dominio tranquillo sulla realtà, tanto che raramente il carcere nelle <Lettere> “si sente”. Eppure, come scriverà in <Passato e Presente>:”la prigione è una lima così sottile, che distrugge completamente il pensiero, oppure fa come quel mastro artigiano, al quale era stato consegnato un bel tronco di legno d’olivo stagionato per fare una statua di San Pietro, e taglia di qua, taglia di là, correggi, abbozza, finì col ricavarne un manico di lesina” .

1. In Istruzione bilingue, Minerva Italia, 1979, Bergamo)
3. Antonio Gramsci e le tradizioni popolari

L’interesse di Antonio Gramsci per le tradizioni e la cultura popolare è enorme. Esso significa anche curiosità per “…le canzoni sarde che cantano per le strade i discendenti di Pirisi Pirione di Bolotana … le gare poetiche…. le feste di San Costantino di Sedilo e di San Palmerio …. la festa di Sant’Isidoro riesce ancora grande?Lasciano portare in giro la bandiera dei quattro mori”….
“Sai – scrive in una lettera alla mamma il 3 Ottobre 1927 – che queste cose mi hanno sempre interessato molto, perciò scrivimele e non pensare che sono sciocchezze senza cabu nè coa”.
In altre opere ribadirà che il folclore non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco ma come una cosa che è molto seria e da prendere sul serio. Solo così – fra l’altro– l’insegnamento sarà più efficiente e determinerà realmente una nuova cultura nelle grandi masse popolari, cioè sparirà il distacco fra la cultura moderna e la cultura popolare o folclore. In altre occasioni sottolinea che folclore è ciò che è e “occorrerebbe studiarlo come una concezione del mondo e della vita“, “riflesso della condizione di vita culturale di un popolo in contrasto con la società ufficiale“.
Anche –se non soprattutto- “per la riappropriazione della propria individualità storica”.
Quello che invece Gramsci critica è il “folclorismo“ ovvero l’idoleggiamento della tradizione, il rimpianto e la nostalgia arcadica e sentimentale per il passato, l’abbandono all’isolamento storico e a una cultura arbitrariamente privata di ogni residua mobilità, che definisce, malattia mortale di una cultura disattenta ai significati progressivi della esperienza popolare e invece esaurita nel rispecchiamento della vita passata, nella celebrazione di quei “valori” che disturbano meno la morale degli strati dirigenti e rendono in questo senso più facili tutte le “operazioni conservatrici e reazionarie” legando vieppiù il folclore “alla cultura della classe dominante“.
In altre lettere –per esempio in quelle del Novembre del 1912 e 26 Marzo del 1913 alla sorella Teresina– chiede notizie su parole in sardo logudorese e campidanese e alla madre – nella lettera del 26 Febbraio del 1927– si figura di rinnovare una volta libero e tornato al paese il “grandissimo pranzo con culurzones e pardulas e zippulas e pippias de zuccuru e figu siccada” . In un’altra lettera del 27 Giugno 1927 le chiede di mandargli “la predica di fra Antiogu a su populu de Masullas”.
E al figlio Delio che parlava russo e italiano e cantava canzoncine in francese avrebbe voluto insegnare a cantare in sardo: “lassa su figu, puzzone“ .
Ma il Sardo di Gramsci non si ferma qui: alle pardulas e ai bimborimbò delle feste paesane, pure importanti. Il suo rientrare insistente nella lingua materna non è solo un fatto sentimentale. Va ben oltre. Voglio ricordare per inciso che nei primi mesi di vita studentesca nella Facoltà di Lettere a Torino i suoi interessi si rivolgono in modo particolare agli studi di glottologia di qui le sue ricerche sulla lingua sarda e il suo proposito di laurearsi, con il suo grande maestro Matteo Bartoli, proprio in glottologia. O basti pensare che si fa scrivere da due bolscevichi della “Sassari“ lo slogan della futura rivoluzione in Sardegna: ”Viva sa comune sarda de sos massajos, de sos minadores, de sos pastores, de sos omines de traballu”1 Non è da escludere inoltre che sia stato proprio su suo suggerimento che il Consiglio italiano dei contadini prometta di fare una traduzione in lingua sarda dell’appello rivolto dal Krestintern (Consiglio internazionale dei contadini di Mosca) al Partito sardo d’Azione in occasione del suo 5° Congresso in Macomer il 27 Settembre del 1925. A dimostrazione che il Sardo è una Lingua che può – e deve, aggiungo io – essere utilizzata per esprimere l’universo culturale, compreso il messaggio politico, e non solo dunque –come purtroppo oggi ancora pensano e sostengono– contos de foghile!
A questo proposito –e con questa citazione ho terminato– mi piace ricordare quanto sostiene il già citato J. A. Fishman: ”Ogni e qualsiasi lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce anche la lingua. In un periodo relativamente breve, qualsiasi lingua precedentemente usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso nella tecnologia, nella Pubblica Amministrazione, nell’Istruzione”.

 

1) sul quotidiano “Avanti” edizione piemontese del 13 Luglio 1919.

Esodati

Al via le domande per il terzo contingente di esodati

Via libera alle domande per i nuovi esodati. Con la Circolare n. 19/2013, infatti, il ministero del lavoro ha fornito il modello e le istruzioni per richiedere l’ammissione al beneficio del pensionamento in base ai requisiti previgenti alla riforma Fornero, da parte dei soggetti rientranti nel terzo decreto esodati (10,130 lavoratori in tutto).

Le domande, anche via posta elettronica certificata (Pec), si possono presentare fino al 25 settembre prossimo. I lavoratori interessati sono i prosecutori volontari della contribuzione, in mobilità e quelli cessati con incentivi all’esodo, autorizzati dalla legge n. 228/2012 (legge di stabilità) e individuati dal decreto ministeriale del 22 aprile scorso, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 123/2013.

Cig in deroga

Lavoro: Cgil, serve sbloccare il miliardo di euro per Cig in deroga

Mentre i ministri del lavoro e dell’economia firmano il decreto che sblocca 780 milioni di euro per la Cassa integrazione in deroga, la Cgil avverte che “quelle sbloccate sono risorse già stanziate nella legge di stabilità. Ora occorre sbloccare in tempi celeri le risorse previste dal decreto legge 54, ovvero il “famoso miliardo” che comunque non scongiurerà l’emergenza”. E’ quanto afferma il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, che aggiunge: “I 780 milioni assegnati oggi sono in realtà risorse già impegnate. E’ di certo un bene averle liberate, ma adesso occorre dare certezze per l’intero 2013”.

Il decreto interministeriale è destinato a regioni e province autonome per il sostegno al reddito dei lavoratori di aziende in crisi. Nel dettaglio, la ripartizione dei 780 milioni di euro premierà la Lombardia che riceverà circa 129,700 milioni di euro, seguta da Puglia con 85,222 e Veneto con 63,358. 

Nel mezzogiorno, inoltre, 49,727 vanno alla Campania, 42,375 alla Sardegna e 42,216 alla Calabria. Per ultimi nell’elenco la provincia auotnoma di Trento (2,843 milioni), quella di Bolzano (1,228 mln) e la Valle d’Aosta (con 721.858 euro). 

Nel comunicato stampa interministeriale si assicura che anche le risorse stanziate con il dl 54/2013 verranno erogate con la massima tempestività, appena definita la ripartizione in accordo con le Regioni.  

07/06/2013 09.44

Sanità

Sanità: Esami e visite costano agli italiani 2,2 miliardi di ticket all’anno

Per analisi di laboratorio, esami, terapie e visite specialistiche gli italiani in un anno hanno sborsato la bellezza di oltre 2,2 miliardi di euro. E’ quanto emerge da un’analisi elaborata da fonti regionali, in possesso dell’Adnkronos Salute, che misura l’impatto della crisi economica sull’assistenza specialistica.

Dal 1 luglio 2011 al 30 giugno 2012 nelle 11 Regioni che hanno reso disponibili i dati (pari a 46,5 milioni di abitanti) per le prestazioni specialistiche sono stati riscossi 1,7 miliardi di euro di compartecipazione, sommando sia i ticket che il cosiddetto super-ticket da 10 euro su visite specialistiche e analisi mediche.

Ciò significa che per ogni abitante in media sono stati incassati 37 euro, cosa che porterebbe ad una stima nazionale di 2,2 miliardi di euro. 

Secondo l’analisi l’impatto del ticket sui cittadini che lo pagano è però ben più pesante. “Utilizzando i dati disponibili – spiegano gli esperti nel documento – si può orientativamente ritenere che gli utenti di prestazioni specialistiche si aggirino sul 50% degli abitanti e che probabilmente di questi solo metà rappresenta i non esenti.

Se queste stime fossero corrette i soggetti che hanno pagano i ticket della specialistica sarebbero il 25% della popolazione, cioè 15 milioni, e quindi a testa mediamente avrebbero versato circa 150 euro”.

Lo studio mostra anche il rapporto tra i ticket riscossi nei primi semestri del 2011 e del 2012. In tutte le Regioni il gettito dei ticket è aumentato, soprattutto in Lombardia (+30%), Piemonte (+22%), Toscana (+15%), Umbria (+15%), Lazio (15%). L’unica regione dove il gettito del ticket è invece diminuito è il Veneto (-13%).

Diverso è quanto risulta dai dati del ministero della salute che lamenta un alta percentuale delle esenzioni per reddito. In un anno, dal 2011 al 2012, le prescrizioni con questo codice di esenzione sono passate da poco più di 64 milioni a poco meno di 67 mln. Per la precisione: 2,7 milioni in più. 

Nel 2011, sul 66% delle ricette per esami, visite specialistiche, analisi di laboratorio, lastre, risonanze, ecografie e altre prestazioni di diagnostica strumentale non è stato pagato ticket: 140 mln su 212 mln di prescrizioni complessive. 

Nel dettaglio: 64 mln esenti per reddito; 40 mln per patologia; 34 mln per condizione; 1 mln per malattia rara; 178 mila per invalidità di guerra. Nel 2012, a fronte di un calo del numero complesso delle ricette (207 mln vs 212 mln dell’anno precedente) si è registrato un aumento delle prescrizioni sulle quali non è stato pagato il ticket (144 mln vs 140 mln). 

Ad aumentare maggiormente sono state proprio le esenzioni per reddito, passate da 64 mln nel 2011 a 67 mln nel 2012. L’analisi del ministero prende in esame anche le altre tipologie di esenzione: patologia, malattia rara, invalidi di guerra e condizione. 

“Gli esenti per condizione – spiegano dal dicastero di Lungotevere Ripa – sono gli invalidi (ad eccezione degli invalidi di guerra per i quali è previsto un codice di esenzione specifico), i ciechi assoluti, i sordomuti, gli infortunati sul lavoro o affetti da malattie professionali, le donne in stato di gravidanza (dalla 1° alla 41° settimana), le donne incinte a rischio, i detenuti e gli internati, gli obiettori di coscienza in servizio civile, i soggetti ai quali vengono effettuate prestazioni diagnostiche per screening, e i cittadini extracomunitari non in regola privi di risorse economiche ai quali vengono effettuate prestazioni ambulatoriali urgenti”.

Lo scorso anno l’ammontare complessivo delle ricette esenti con questo codice è stato pari a 32,6 mln. Oltre 1,2 mln sono invece le prescrizioni con il codice di esenzione per malattia rara e poco più di 162 mila è il totale delle ricette emesse a favore degli invalidi di guerra. 

Le prescrizioni con il codice di esenzione per patologia ammontano invece a circa 41,7 milioni. Nel dettaglio: 6 mln Piemonte; 67 mila Valle d’Aosta; 8,2 mln Lombardia; 377 mila provincia autonoma Bolzano; 321 mila provincia autonoma Trento; 3,8 mln Veneto; 1 mln Friuli Venezia Giulia; 781 mila Liguria; 3,6 mln Emilia Romagna; 2,2 mln Toscana; 672 mila Umbria; 723 mila Marche; 3,6 mln Lazio; 758 mila Abruzzo; 256 mila Molise; 2 mln Campania; 2,5 mln Puglia; 312 mila Basilicata; 903 mila Calabria; 2 mln Sicilia; 1,1 mln Sardegna.

Queste invece, da Nord a Sud, le percentuali delle ricette “no ticket”, rispetto al totale complessivo, considerando tutti i codici di esenzione: Piemonte (66%); Valle d”Aosta (53%); Lombardia (67%); Provincia autonoma di Bolzano (67%); provincia autonoma di Trento (53%); Veneto (61%); Friuli Venezia Giulia (64%); Liguria (64%); Emilia Romagna (62%); Toscana (63%); Umbria (65%); Marche (68%); Lazio (72%); Abruzzo (73%); Molise (79%); Campania (86%); Puglia (82%); Basilicata (72%); Calabria (84%); Sicilia (80%); Sardegna (75%).

Esodati

Pensioni: Dell’Aringa, caso esodati si sta chiudendo

“La vicenda degli esodati fortunatamente si sta chiudendo: 130-140 mila esodati sono stati oramai messi a posto e possono andare in pensione con le vecchie regole; non credo che c’è ne siano molti di più, quindi, questa vicenda si sta chiudendo, fortunatamente”. Lo ha affermato il sottosegretario al Lavoro Carlo Dell’Aringa a Radio1 Rai.

Per Dell’Aringa “ora si aprirà invece, la vicenda di quelli che non potranno andare in pensione con le vecchie regole perché non saranno salvaguardati; non fanno parte della categoria degli esodati, quindi, si apre una stagione in cui molti lavoratori anziani dovranno posticipare per forza la pensione di 3-4 anni. 

Si tratta di vedere se alcuni o molti di loro avranno qualche problema”. “Si porrà, quindi, la questione di trovare qualche forma di anticipo della pensione, ma non sarà una cosa semplice, sia per i conti pubblici, sia per il fatto che questi lavoratori dovranno rinunciare ad un po’ della loro pensione. E’comunque una strada che vogliamo esplorare soprattutto se le condizioni economiche e sociali non dovessero migliorare dal punto di vista della ripresa e della creazione di ulteriori posti di lavoro”, ha concluso Dell”Aringa.

Vertice UE

Lavoro: Cgil, Governo convochi i sindacati prima del vertice Ue del 14 giugno

“E’ di certo una buona notizia il fatto che il 14 giugno, in preparazione dei prossimi importanti appuntamenti europei, si incontreranno a Roma i ministri del Lavoro  e delle Finanze di quattro Paesi importanti dell’Unione europea come Germania, Francia, Spagna e Italia. Ma la notizia sarebbe migliore se il Paese ospitante di questo incontro, ossia l’Italia, si facesse promotore di una riunione preliminare tra i ministri e le organizzazioni sindacali italiane”. Ad affermarlo in una nota è Fausto Durante, responsabile del segretariato Europa della Cgil.

Secondo Durante, infatti, un incontro preliminare a quello del 14 giugno “sarebbe molto utile perché si potrebbero indicare le priorità del movimento sindacale come indicate nei vari documenti che la confederazione europea dei sindacati ha discusso e approvato negli ultimi mesi, dal “social compact” per l’Europa alla proposta di un piano europeo di investimenti e di ripresa, sulla scorta di iniziative come il Piano del Lavoro 2013 della Cgil o il Piano Marshall per l’Europa proposto dal sindacato tedesco Dgb”.

Una decisione di tale natura, sottolinea il sindacalista, “rappresenterebbe un chiaro segnale di disponibilità al confronto, di valorizzazione del dialogo sociale, di inversione di tendenza sull’importanza del coinvolgimento delle parti sociali, scarsamente considerata nei tempi recenti da molti governi nazionali e dalla Commissione Ue. Essendo l’Italia il Paese ospitante di un così importante evento di dimensione europea -conclude- confidiamo nel fatto che i ministri Giovannini e Saccomanni vogliano dimostrare la sensibilità adeguata al coinvolgimento e al confronto con gli attori sociali, regolarmente praticati nei più avanzati Stati membri dell’Unione”.

“Donne in migrazione”

Cgil: Convegno su “Donne in migrazione”

Il 18 giugno, la Cgil promuove un convegno su “Donne in migrazione” che si svolgerà presso la sede nazionale della confederazione, in corso d’Italia, 25 (Sala Santi).

I lavori, previsti per l’intera giornata, saranno aperti da Mercedes Landolfi, rete Donne in migrazione Cgil e moderati da Piero Soldini, responsabile ufficio immigrazione Cgil.

La mattinata sarà dedicata a due focus su Welfare e salute, a cura di Mara Tognetti, dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e su “Fare rete e costruire nuove alleanze”, con Samia Oursana, della Fondazione Nilde Iotti.

Conclude i lavori della mattina Rosanna Rosi, responsabile Politiche di genere Cgil nazionale.

Nel pomeriggio gli approfondimenti riguarderanno due temi: il primo “La violenza sulle donne migranti”, a cura di Chiara Scipioni, responsabile tratta centro anti-violenza Differenza donna e il secondo “Il lavoro delle donne migranti, con Emanuele Galossi, dell’Ires Cgil.

I lavori saranno conclusi da Vera Lamonica, segretaria confederale della Cgil.    

“Bustone 2013” dell’Inps

Pensioni: in arrivo il “Bustone 2013” dell’Inps

Con molto ritardo rispetto alla consueta scadenza, l’Inps sta inviando in questi giorni il “bustone” con le richieste di dichiarazione reddituale per i titolari di trattamenti pensionistici legati al reddito e i modelli relativi ai titolari di prestazioni assistenziali.

Secondo le diverse situazioni, il plico contiene i seguenti documenti: modello RED italiano o estero, modello 503 AUT italiano, integrazione RED 2010 (campagna 2011), i modelli di dichiarazione per i titolari di prestazioni assistenziali, il modello per l’indennità di frequenza. 

Le scadenze fissate dall’Inps sono: entro il 30 giugno devono essere restituiti i modelli di accertamento dei requisiti per le prestazioni assistenziali; entro il 31 luglio i modelli RED; la richiesta d’integrazione reddituale relativa al 2010 deve essere restituita entro sessanta giorni dalla data di ricezione della lettera. 

Le date riportate nelle lettere sono rivolte esclusivamente al pensionato con l’obiettivo di sollecitare l’adempimento alla dichiarazione. Diversi saranno, come gli scorsi anni, i tempi previsti per la trasmissione all’Istituto da parte dei CAAF. 

Sono interessati i titolari di trattamenti corrisposti da Inps, ex Enpals ed ex Ipost. Per i pensionati pubblici l’ex Inpdap continua ad avvalersi esclusivamente del collegamento con l’Agenzia delle Entrate.

Come già annunciato, il “bustone” non contiene né il CUD né l’ObisM. A tale proposito, oltre a illustrare i servizi messi a disposizione attraverso il sito internet, l’Inps comunica i primi otto numeri del PIN e le istruzioni per completarlo.

Il ritardo dell’Inps causa disagi ai pensionati, che si devono recare nelle sedi dei CAAF una seconda volta, e sovraccarica le nostre strutture di nuovi adempimenti, quando ancora è in corso la campagna fiscale. Per queste ragioni  il sistema servizi della Cgil  chiederà di unificare le scadenze e di spostarle al prossimo 30 settembre.