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Archivi giornalieri: 7 marzo 2024
Pensioni, aumento a marzo 2024 con la nuova Irpef e gli arretrati (ma non per tutti): novità, pagamenti e calcoli
Pensioni, aumento a marzo 2024 con la nuova Irpef e gli arretrati (ma non per tutti): novità, pagamenti e calcoli
• 3giorno/i
Pensioni 2024, arrivano gli aumenti con l’applicazione della nuova Irpef e la rivalutazione dell’assegno con gli arretrati. A comunicarlo è stato l’Inps attraverso una circolare. L’aumento riguarda coloro che hanno una rata di pensione tra 1.250 e 2.333 euro (1.154 e 2.154 euro considerando la tredicesima), grazie al risparmio Irpef del 2%. Nel cedolino di pensione di marzo 2024 ci saranno anche i conguagli e arretrati relativi alle pensioni di gennaio e febbraio 2024, sempre per coloro che hanno una pensione annua imponibile fiscale tra 15.000 e 28.000 euro. Ecco i calcoli, le simulazioni e le tabelle.
Nuova Irpef
Dal rateo di pensione di marzo 2024 l’Inps procede all’applicazione delle novità introdotte dal decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 216. Le trattenute Irpef vengono quindi effettuate sulla base della riduzione da quattro a tre degli scaglioni di reddito. Sono inoltre adeguati gli importi delle detrazioni personali da lavoro dipendente sulle prestazioni sulle quali sono riconosciute in alternativa alla detrazione da pensione. Si ricorda, in proposito, che la detrazione spetta sul complesso dei trattamenti riconosciuti al medesimo soggetto. Inoltre, insieme al rateo di pensione, viene corrisposto il conguaglio relativo al ricalcolo dell’Irpef applicata sui ratei di pensione di gennaio e di febbraio 2024.
Calendario pagamenti
La prima data nel calendario dei pagamenti è per venerdì 1° marzo, con accredito su conto corrente o ritiro in contanti presso le Poste. Nel dettaglio:
A – B: Venerdì 1 marzo 2024;
C – D: Sabato 2 marzo (solo mattina);
E – K: Lunedì 4 marzo 2024;
L – O: Martedì 5 marzo 2024;
P – R: Mercoledì 6 marzo 2024;
Aumenti e arretrati
Per la fascia corrispondente tra le quattro e le cinque volte il minimo, l’importo sarà rivalutato dell’85% dell’inflazione, ovvero del 6,205%, mentre chi conta su un reddito da pensione tra le cinque e le sei volte il minimo (da 2.626,91 a 3.152,28 euro) riceverà solo il 53% dell’inflazione pari a una rivalutazione del 3,869%. Le percentuali di rivalutazione scendono all’aumentare dell’importo della pensione (insieme dei redditi pensionistici) fino ad arrivare ad appena il 32% di rivalutazione per chi ha assegni superiori a 10 volte il minimo (5.253,81 euro al mese) con il recupero rispetto all’aumento dei prezzi del 2,336%.
Fasce di reddito
Le fasce di reddito individuate nella legge di bilancio:
– 85% per le pensioni pari o inferiori a 5 volte il minimo tra 2.101,52 e 2.625 euro
– 53% per le pensioni pari o inferiori a 6 volte il minimo tra 2.626 e 3.152 euro
– 47% per le pensioni pari o inferiori a 8 volte il minimo tra 3.153 e 4.203 euro
– 37% per le pensioni pari o inferiori a 10 volte il minimo tra 4.204 e 5.253 euro
– 32% per le pensioni superiori a 10 volte il minimo oltre 5.254 euro
Calcoli e simulazioni
Il decreto interministeriale del 20 novembre 2023, spiega l’Inps, ha previsto che la percentuale di variazione per il calcolo della perequazione delle pensioni per l’anno 2023 è determinata in misura pari a +5,4 dal 1° gennaio 2024, salvo conguaglio da effettuarsi in sede di perequazione per l’anno successivo.
L’articolo 1, comma 135, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 2023, Supplemento Ordinario n. 40/L, dispone inoltre che nel 2024 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, è riconosciuta:
– per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento;
– per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi:
– nella misura dell’85 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS […];
– nella misura del 53 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. […];
– nella misura del 47 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a otto volte il trattamento minimo INPS. […];
– nella misura del 37 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a otto volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a dieci volte il trattamento minimo INPS. […];
– nella misura del 22 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a dieci volte il trattamento minimo INPS”.
Pagamento sospeso per chi non ha il RED
Il 29 febbraio 2024 è scaduta la possibilità di inviare la dichiarazione della situazione reddituale, comunemente chiamata modello RED, relativa ai redditi percepiti nel 2021. Questa dichiarazione deve essere sottoscritta da una determinata fascia di soggetti, tra cui alcuni pensionati. Il mancato invio del modello RED può comportare una sospensione, temporanea o definitiva, delle prestazioni erogate all’interessate. Vediamo chi avrebbe dovuto inviare questa dichiarazione e cosa fare se non si è rispettata la scadenza del 29 febbraio.
Cosa è e chi è obbligato
Sono obbligati a inviare il modello RED i titolari di prestazioni economiche collegate al reddito. Tra questi, in particolare, figurano una serie di categorie di pensionati, come ad esempio i pensionati che negli anni precedenti non hanno avuto redditi oltre a quello da pensione (soltanto se la situazione reddituale è variata rispetto a quella dichiarata nell’anno precedente); titolari di prestazioni collegate al reddito che non comunicano integralmente all’amministrazione finanziaria tutti i redditi influenti sulle prestazioni (per esempio chi è percettore di reddito da lavoro dipendente prestato all’estero, di interessi bancari, postali, Cct, titoli di Stato o proventi di quote di investimento); chi non deve presentare la dichiarazione dei redditi all’Agenzia delle Entrate e possiede redditi ulteriori a quelli da pensione, come quello da abitazione principale; i titolari di alcune tipologie di redditi rilevanti ai fini previdenziali come quelli derivanti da collaborazione coordinata e continuativa.
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Bonus computer 2024: come si può richiedere
• 22 ora/e
A Roma, l’obiettivo di ridurre il divario digitale si concretizza con l’introduzione del “bonus computer 2024″, mirato a incrementare la disponibilità e l’uso di almeno un computer.
Bonus computer 2024: come è possibile richiederlo
Destinato alle famiglie in difficoltà, il bonus consiste in un contributo di 300 euro rivolto agli studenti iscritti a qualsiasi facoltà universitaria o della scuola superiore. L’iniziativa consente l’acquisto di pc o Mac portatili o fissi, nuovi o usati, escludendo tuttavia accessori come scanner o stampanti.
Il beneficio è soggetto a un limite Isee familiare di 20 mila euro, conforme alla prassi dei bonus statali, e può essere richiesto una sola volta. Per accedere al bonus, è necessario utilizzare l’app Io, autenticarsi e compilare la specifica domanda nella sezione dedicata, fornendo informazioni quali codice fiscale, IBAN, ISEE, e allegando copie dei documenti di identità.
Bonus computer 2024: come è possibile richiederlo
Va precisato che il “bonus computer” è distinto dal “bonus Internet”, un voucher del valore di 100 euro concesso dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy attraverso Infratel. Quest’ultimo è destinato alle famiglie prive di un servizio di connettività, e al momento, si attende la comunicazione del ministero per avviare le procedure di richiesta. Con tali iniziative, si auspica un significativo miglioramento nell’accesso alle risorse digitali per le famiglie in situazioni economiche critiche.
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La disparità di genere nei ruoli apicali della sanità Disparità di genere
La disparità di genere nei ruoli apicali della sanità Disparità di genere
Per quanto nel settore sanitario sia sempre più importante la presenza femminile la maggior parte dei ruoli chiave della politica sanitaria sono ancora ricoperti da uomini.
Continua a crescere la quota di donne che operano nel settore della sanità. Nei prossimi giorni l’ordine dei medici e degli odontoiatri dovrebbe diffondere i dati più recenti, ma il trend è ormai consolidato da molti anni.
Complessivamente nel 2023 le donne erano ancora una minoranza dei medici. Tuttavia questo dato sale al 52% se si considerano solo quelli sotto i 69 anni e continua a crescere osservando i medici più giovani.
Nonostante questo però la politica sanitaria continua a essere gestita in larga maggioranza da uomini, sia nelle aziende sanitarie locali, che al ministero.
Leggi i nostri approfondimenti.
Nuovo ministero stessa disparità
Una novità importante del 2024 riguarda la riforma del ministero della salute che ha cambiato la propria struttura organizzativa (Dl 173/2022). Fino allo scorso anno al vertice del ministero si trovava un segretario generale a cui facevano capo 12 direzioni generali. Da ora invece la struttura si compone di 4 dipartimenti composti a loro volta da 3 direzioni generali ciascuno.
Leggi.
Un primo effetto della riorganizzazione (non ancora ultimata) riguarda la sostituzione degli incarichi di vertice. Lo scorso 15 febbraio infatti il consiglio dei ministri, su proposta del ministro della salute Schillaci, ha nominato i nuovi capi dipartimento.
La guida del dipartimento dell’amministrazione generale, delle risorse umane e del bilancio è stata attribuita a Giuseppe Celotto, già direttore generale del personale, dell’organizzazione e del bilancio.
A capo del dipartimento della salute umana, della salute animale e dell’ecosistema (One Health) e dei rapporti internazionali invece è stato posto Giovanni Leonardi che in precedenza ricopriva il ruolo di segretario generale del ministero. A quest’ultimo inoltre è stato conferito anche l’incarico ad interim di capo del dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie. È rimandata a un secondo momento, quindi, la scelta del capo dipartimento vero e proprio.
Infine a Francesco Saverio Mennini è stato attribuito il ruolo di capo dipartimento della programmazione, dei dispositivi medici, del farmaco e delle politiche in favore del servizio sanitario nazionale. Quest’ultimo è l’unico tra i nuovi capi dipartimento che non ricopriva in precedenza un incarico nell’amministrazione, svolgendo piuttosto il ruolo di consigliere del ministro esperto in economia sanitaria.
Tra i nuovi vertici del ministero non è stata scelta neanche una donna. Uno squilibrio piuttosto evidente che potrà essere ribilanciato solo in parte in futuro, quando si procederà alla nomina del capo dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie oltre che dei vari direttori generali.
I vertici delle aziende sanitarie e ospedaliere
Le aziende sanitarie (Asl) e ospedaliere (Ao) sono le strutture amministrative del sistema sanitario più prossime al cittadino. Oltre ad essere le realtà che offrono nella pratica quotidiana le prestazioni.
Leggi i nostri approfondimenti.
In tutti i vertici aziendali di queste strutture devono essere presenti un direttore generale (Dg), un direttore sanitario e un direttore amministrativo. In alcuni casi possono essere previste anche altre figure, come i direttori scientifici o sociosanitari, ma non sempre. Per questo l’analisi si limiterà agli incarichi che devono essere sempre presenti, almeno in via ordinaria. Talvolta infatti al posto del direttore generale può essere temporaneamente nominato un commissario, secondo quanto previsto da norme nazionali e regionali
Rispetto allo scorso anno la quota di donne che ricopre questi incarichi è in leggera crescita (era il 31,5%), ma si tratta ancora comunque di un dato molto basso. Eppure ci sarebbe stato ampio margine di miglioramento. Solo nei primi mesi del 2024 infatti sono stati rinnovati ben 115 incarichi, ma solo il 29% di questi sono stati attribuiti a delle donne. Un dato persino più basso, anche se sostanzialmente in linea, con quello complessivo.
La situazione comunque è tutt’altro che omogenea tra le diverse regioni. In Toscana ad esempio le donne arrivano a ricoprire quasi il 60% degli incarichi di vertice (57,1%). Nelle Marche invece sono esattamente la metà (50%), mentre in altre 4 regioni il dato si pone sopra il 40% (Lazio, Liguria, Emilia-Romagna e Piemonte).
In fondo alla classifica invece troviamo l’Abruzzo (9,1%) e la Valle d’Aosta (0%). In quest’ultimo caso bisogna precisare che esiste un’unica azienda sanitaria nella regione. Resta il fatto che nessuno dei 3 incarichi apicali esistenti nella struttura è ricoperto da una donna.
I diversi equilibri negli incarichi di vertice
Come anticipato, l’analisi si concentra sui ruoli più importanti. Ovvero quello di direttore generale (o alternativamente di commissario straordinario), di direttore amministrativo e di direttore sanitario.
La distribuzione di genere tra questi incarichi non è uniforme e non stupisce, purtroppo, che siano proprio gli incarichi più importanti quelli in cui il contributo femminile è meno valorizzato.
Infatti mentre nel caso delle direzioni amministrative le donne sono il 42,1%, e in quello delle direzioni sanitarie il 36,1%, attualmente solo il 25% dei direttori generali è una donna. Ancora meno quelle con il ruolo di commissario (21,9%), un incarico che a seconda dei casi può essere anche molto delicato.
Considerando unitariamente il ruolo di direttore generale e quello di commissario, solo in Trentino-Alto Adige la quota di donne in posizione apicale raggiunge il 50%. In questo caso però si tratta di soli 2 incarichi, uno di direttore generale presso l’azienda provinciale di Bolzano (ricoperto da un uomo), e uno di commissario nell’azienda di Trento ( ricoperto da una donna).
Al secondo posto l’Emilia-Romagna con il 46,1% e a seguire il Lazio con il 43,7%. In questo caso è interessante osservare che, se si escludono i 5 commissari (tra cui si trova solo una donna) la regione passa al primo posto per quota di direttrici generali, superando la metà (54,5%). Ancora più evidente il caso della Calabria, dove molte delle aziende sanitarie sono ancora commissariate (e 5 commissari su 6 sono donne), ma nelle uniche due in cui è presente un direttore generale il ruolo è ricoperto in un caso da un uomo e nell’altro da una donna.
Sono solo uomini invece i direttori generali (o commissari) in Abruzzo, Basilicata (in entrambi i casi 4 su 4), Umbria (3 su 3) Molise e Valle d’Aosta (in cui è presente solo un’Asl per regione).
Foto: Marek Levak
Recupero dei contributi sospesi per calamità naturali: indicazioni
Pubblicazione: 7 marzo 2024
L’Istituto, con la circolare INPS 6 marzo 2024, n. 43, fornisce le istruzioni per la ripresa dei versamenti contributivi, a seguito della sospensione dei termini per il pagamento dovuta a calamità naturali. Le indicazioni riguardano, in particolare, gli effetti del mancato o parziale pagamento dell’importo oggetto di rateizzazione.
Entro il termine disposto dalla legge, infatti, i versamenti dei contributi possono essere effettuati in un’unica soluzione oppure mediante rateizzazione, senza applicazione di sanzioni e interessi e con l’indicazione di un numero massimo di rate mensili.
La giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro
di Valeria Casula*
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Il 28 aprile ricorre la giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro, istituita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro per promuovere la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali a livello globale.
Spesso le dimensioni del fenomeno infortunistico in Italia sono note solo agli addetti ai lavori, vale a dire a chi come me si occupa nelle organizzazioni di Ambiente, Salute e Sicurezza, eppure il fenomeno è assolutamente rilevante e investe tutte le aziende.
Dal 1951 al 2015 le vittime sul lavoro in Italia sono state superiori alle vittime civili italiane della seconda guerra mondiale (oltre 160.000 a fronte di 153.147 vittime civili del secondo conflitto mondiale) e gli infortuni oltre 70 milioni.
Ora, è pur vero che la seconda guerra mondiale è durata 6 anni a non 64, tuttavia il rapporto di 1 a 10 risulta comunque abnorme.
L’andamento infortunistico mostra una forte contrazione passando da oltre 4000 incidenti mortali l’anno negli anni ’60 a circa 1000 attuali (compresi quelli in itinere), grazie non solo all’evoluzione delle misure tecniche (macchinari e attrezzature intrinsecamente più sicuri), ma anche alle misure gestionali (modalità operative e processi, formazione, informazione e addestramento su corretto utilizzo di materiali e attrezzature e processi, sorveglianza sanitaria, …).
Occorre tuttavia uno sforzo continuo e maggiore per abbattere lo zoccolo duro degli infortuni, perché non è accettabile che si continui a morire, ammalarsi o farsi male di lavoro.
Tralascio il lavoro nero, ignominia di un paese civile, la cui incidenza infortuni e malattie professionali, benché sfugga in parte alle statistiche, è estremamente elevata, non solo perché coinvolge i settori a più elevato rischio “intrinseco” (es. edilizia, agricoltura) ma soprattutto perché tale rischio non è mitigato attraverso le misure tecniche e gestionali sopra citate.
Mi riferisco ad aziende degne di questo nome, aziende che utilizzano attrezzature a norma, che formano, informano, addestrano e sottopongono a sorveglianza sanitaria i propri lavoratori, insomma aziende che ottemperano alla normativa vigente in materia antinfortunistica; ebbene, anche tali aziende hanno difficoltà a contrarre ulteriormente il fenomeno infortunistico.
Tali difficoltà sono dovute ad un orientamento culturale sia manageriale che diffuso a vari livelli delle organizzazioni che vede la sicurezza confliggere con gli obiettivi economici e operativi d’impresa e individuali, unita ad un certo “fatalismo” secondo cui l’infortunio è inevitabile.
Da un lato infatti ci sono le aziende (per fortuna non tutte!) che considerano la sicurezza come un mero costo, che non hanno ancora capito nel 21esimo secolo che non è solo un dovere etico e morale salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma è anche un dovere economico verso l’azienda stessa e verso la collettività, visto che l’INAIL stima che il costo complessivo di infortuni e malattie professionali nel nostro paese ammonta a quasi 50 miliardi di euro (oltre il 2% del PIL, a carico sia delle aziende che della collettività) e che le spese in sicurezza hanno un ritorno economico per le aziende pari al doppio del capitale investito.
Dall’altro c’è la cultura diffusa che “se tanto ti deve capitare ti capita e non puoi farci niente”, che “si sa che nel nostro lavoro ogni tanto ci si fa male”, che “sì, lo so che dovrei agganciare l’imbragatura ma sono di fretta, tanto scendo subito e sto attento”, che “noi dobbiamo pensare a far andare avanti il business, e non abbiamo tempo da perdere con queste cose”, che “lascia stare, non stare a segnalare che quel dispositivo fa uno strano rumore, tanto non sarà niente di ché”.
Inutile dire che davanti a comportamenti e affermazioni di questo tipo tutti noi, a prescindere dal ruolo che ricopriamo in un’organizzazione, abbiamo non solo il diritto, ma anche e soprattutto il dovere di intervenire e/o segnalare.
Questa cultura è il principale nemico da sconfiggere per abbattere gli infortuni, non solo sul lavoro ma in tutti gli ambiti della nostra esistenza. Basti pensare a tutti i comportamenti insicuri frutto di questa cultura che spesso o talvolta adottiamo in auto, quando per fretta o per “assuefazione” al pericolo superiamo i limiti di velocità, usiamo il telefonino alla guida o pur di non sentire le lamentele del pargolo diciamo “e va bene puoi slacciarti la cintura, tanto siamo quasi arrivati!”, ma anche quando non indossiamo il casco sulle piste di sci, in bicicletta o addirittura in moto.
Qualsiasi infortunio produce effetti non solo sulla persona che lo subisce ma su tantissime persone che lo circondano, la compagna/il compagno, i figli, i genitori, gli amici, i colleghi. Se poi si tratta di un infortunio grave l’effetto è devastante e compromette l’esistenza stessa oltreché dell’infortunato anche dei propri cari che dovranno prestare assistenza e comunque modificare abitudini e consuetudini.
In questa giornata vorrei ribadire con rinnovata determinazione che LA SFORTUNA NON ESISTE, che tutte le aziende che si sono impegnate seriamente su questo fronte hanno drasticamente ridotto il fenomeno infortunistico finanche a dimezzarlo in pochi anni, a dimostrazione che attraverso una cultura della sicurezza che sui traduce in comportamenti e ambienti sicuri GLI INCIDENTI SUL LAVORO POSSONO ESSERE EVITATI!
*Ingegnere ambientale
CHINADAILY
THE JERUSALEM POST
Recupero dei contributi sospesi per calamità naturali: indicazioni
Pubblicazione: 7 marzo 2024
L’Istituto, con la circolare INPS 6 marzo 2024, n. 43, fornisce le istruzioni per la ripresa dei versamenti contributivi, a seguito della sospensione dei termini per il pagamento dovuta a calamità naturali. Le indicazioni riguardano, in particolare, gli effetti del mancato o parziale pagamento dell’importo oggetto di rateizzazione.
Entro il termine disposto dalla legge, infatti, i versamenti dei contributi possono essere effettuati in un’unica soluzione oppure mediante rateizzazione, senza applicazione di sanzioni e interessi e con l’indicazione di un numero massimo di rate mensili.
Sante Perpetua e Felicita
Sante Perpetua e Felicita
Questi due nomi ci presentano due gloriose eroine cristiane che per professare la fede, sostennero un prolungato ed atroce martirio.
Perpetua nacque in Cartagine da nobile casato sulla fine del secondo secolo. Nel 203, giovane sposa di ventidue anni e madre di un bambino ancora lattante, fu arrestata con altri quattro compagni dal proconsole Minucio Firminiano, perché cristiana. Rinchiusa in una orrida prigione ebbe a sostenere le più dure lotte contro il padre prima, contro le bestie feroci poi, fino a che la spada le troncò il capo.
Il padre, uomo attaccato alla religione dell’impero, l’amava di un tenero amore; venuto a trovarla in prigione, mise in opera tutto il suo amore per indurre la figlia a rinnegare la fede ed esser così liberata.
Ecco come Perpetua racconta queste lotte con il genitore: « …Se è vero ch’io t’abbia educata fino a questa età e che tu abbia avuto il primo luogo nell’amor mio innanzi ai tuoi fratelli, deh, non fare che per te io sia svergognato. Getta uno sguardo sui tuoi fratelli, sulla madre, sul tuo figlioletto che non potrà vivere senza di te. Deponi ormai questa tua durezza che sarebbe l’eccidio di tutti noi, perchè nessuno di noi oserà mostrarsi in pubblico se tu sarai condannata come donna rea. Dicendo queste cose egli mi baciava le mani; poi mi si gettava ai piedi e mi chiamava non più figlia, ma signora… ».
Qual sia stato il dolore che trafisse la coraggiosa martire in questi colloqui, ce lo dice ancora ella stessa: « Confesso ch’io, provava un’estrema pena, quando mi faceva a considerare mio padre ».
Ma fu forte. Superò il sentimento della natura, e ascoltò impavida, lieta di offrire la sua vita per l’amore di Gesù Cristo, la condanna alle bestie feroci. Il Signore in premio di questa sua fortezza la consolò con sublimi visioni.
Con S. Perpetua, si trovava pure nel carcere S. Felicita. giovane sposa anch’essa, prossima a divenire madre.
Essendo legge romana che le donne gravide non venissero condannate avanti il parto, Felicita con insistenti orazioni ottenne da Dio di poter partorire avanti la data prefissa per il martirio. Fu nell’anfiteatro accanto a Perpetua, lieta di potere raccogliere insieme ad essa e altri tre uomini di nome Saturnino, Revocato e Secondulo la palma del martirio.
Al giorno stabilito l’anfiteatro è gremito di popolo avido di truci spettacoli. Le due eroine. esultanti, lasciano la prigione in cui avevano già tanto sofferto e si portano nel circo. Un toro furioso le attende. Non appena sono poste in balia della belva, sono assalite e straziate dalle acute corna dell’animale. Le candide carni delle intrepidi martiri si squarciano e stillano copioso sangue. Il popolo però riconoscendo le giovani madri ha un senso di compassione per esse e domanda che la spada ponga termine a quella scena selvaggia.
Così fu fatto. Rinchiusa la fiera scesero i carnefici e le colpirono col ferro. Il loro martirio si scolpì profondo nelle menti dei Cristiani, i quali ogni anno ne celebrarono con grande solennità la fausta data. I nomi delle due sante sono stati inseriti nel canone della S. Messa.
PRATICA. Nelle prove della vita, il Crocifisso e l’orazione siano il nostro conforto.
PREGHIERA. Deh! Signore Dio nostro, fa’ che veneriamo con incessabile devozione il martirio delle tue sante Perpetua e Felicita e presentiamo loro sovente nostri umili omaggi.
MARTIROLOGIO ROMANO. A Cartagine il natale delle sante Perpètua e Felicita Martiri: di esse, Felicita, essendo gravida (come racconta sant’Agostino) e aspettandosi, secondo le leggi, che partorisse, nei dolori del parto si lamentava, ma gettata alle fiere era lieta. Con esse patirono il martirio anche Sàtiro, Saturnino, Revocato e Secóndolo, l’ultimo dei quali morì in carcere, e tutti gli altri furono maltrattati da varie fiere, ed infine uccisi a colpi di spada sotto il Principe Sevèro. Ma la festa delle sante Perpètua e Felicita si celebra nel giorno precedente.