Archivio mensile:settembre 2022

3. Arrivare in treno o nascondersi nel bosco

3. Arrivare in treno o nascondersi nel bosco

Sulla questione ucraina emergono alcune differenze nell’approccio all’emergenza in Ungheria e in Italia, soprattutto per le caratteristiche socio-economiche e culturali, oltre che per le intenzioni dei rifugiati e delle rifugiate ucraine che entrano nei rispettivi paesi. È evidente già all’ingresso nei grandi centri di accoglienza di Budapest, come il Bok, aperto a inizio marzo, dopo lo scoppio della guerra.

Lo visitiamo alla fine di luglio, in un periodo in cui i flussi di profughi sono molto inferiori rispetto all’inverno e alla primavera precedente. Si tratta di un’area all’interno di un grande centro sportivo, dove però la maggior parte dei rifugiati rimane in media non più di 24 ore.

Nel centro di accoglienza per ucraini più grande di Budapest si rimane solitamente poche ore.

C’è orgoglio negli occhi dei funzionari governativi che ci fanno visitare il centro. Si percepisce immediatamente che ci troviamo in un punto di passaggio e non di approdo. Ci sono persino sportelli informativi sui prossimi treni in partenza e una vera e propria sala di attesa, per chi passa solo qualche ora nel centro in attesa di un treno verso altri paesi europei, in primis la Germania, ma anche Polonia, Repubblica Ceca, Francia e Svizzera. Ci sono anche dei letti, per chi rimane per più di un giorno.

«Il 2 marzo abbiamo registrato 1.240 ingressi – afferma un membro della protezione civile – attualmente arrivano circa 150 persone al giorno». Tutti i presenti ci tengono a specificare che vengono accolte persone anche di nazionalità non ucraina, purché provenienti dal paese in guerra. Poco dopo, infatti, intercettiamo 4 studenti nigeriani arrivati a Budapest da Leopoli.

Da mesi il governo racconta di migliaia di ingressi, in primavera anche oltre 10mila al giorno. Ma per i dissidenti di Viktor Orbán è solo un modo di evidenziare lo spirito accogliente del paese, e tentare di riequilibrare le violenze e le criticità nella gestione dell’immigrazione.

«Ci sono due sistemi diversi», afferma Simon Ernő, portavoce della sede ungherese dell’agenzia dei rifugiati (Unhcr) dell’Onu. Le disposizioni attivate dalle istituzioni comunitarie per i profughi ucraini dovrebbero essere estese a tutti: «Invece qui in Ungheria, negli anni, abbiamo assistito a un inasprimento radicale e progressivo delle politiche migratorie». Tanto che, sotto pressione dell’Unione europea e dopo le condanne della Corte europea dei diritti umani, il governo è stato costretto a chiudere la contestata transit zone sul muro tra Serbia e Ungheria.

La legge sull’obbligo di richiesta di asilo nelle ambasciate estere e quella sui cosiddetti paesi terzi sicuri hanno fatto intendere che il governo non avrebbe fatto passi indietro sui migranti non ucraini.

Il dispositivo secondo cui non viene considerato meritevole di asilo chi prima dell’Ungheria attraversa un paese sicuro viene contestato anche dalla sezione ungherese del comitato Helsinki, tra le ong più attive nel paese, nonostante la repressione governativa nei confronti delle organizzazioni che aiutano i migranti: «Abbiamo evidenziato le contraddizioni del governo – evidenzia Zsolt Szekeres del comitato Helsinki – perché secondo questa logica anche i profughi ucraini che entrano dalla Romania dovrebbero essere respinti, perché provenienti da un paese sicuro».

Naturalmente il tema non è restringere il campo dei diritti della popolazione ucraina, legittimata a rifugiarsi e a fuggire dal conflitto, ma piuttosto estendere le disposizioni praticate per gli ucraini anche a tutti gli altri richiedenti asilo provenienti dai paesi extra-Ue, in Asia e in Africa, continenti nei quali spesso infuriano guerre, violenze e persecuzioni.

I dati che abbiamo analizzato vengono confermati sul campo da organizzazioni indipendenti e migranti.

Queste differenze emergono incontrando i migranti stessi. Inna, per esempio, è una giovane creativa ucraina che fino a fine febbraio lavorava a Kiev per un’agenzia di produzione video. Dopo l’invasione russa è stata direttamente la sua azienda a trasferire tutti i dipendenti, compresa lei, prima in Polonia e poi a Budapest: «Non so per quanto rimarrò qui», ci racconta in un bar vicino la stazione di Keleti, dove è arrivata alcuni mesi fa proveniente dalla Polonia. «Vorrei tornare un giorno nel mio Paese, ma non prima che finisca la guerra – aggiunge – sono originaria della regione di Donetsk, dove si trovano ora i miei genitori, che a differenza mia sostengono i russi».

«Con me qui in Ungheria sono stati tutti gentili, e a poche ore dalla domanda abbiamo ottenuto la protezione temporanea prevista in Europa per gli ucraini». Nei suoi occhi c’è il disagio di trovarsi in una situazione complessa, ma anche la certezza di sentirsi finalmente al sicuro.

Invece in Ungheria è transitato solo per poche ore e illegalmente Haseeb, 19enne pakistano, che 2 mesi fa ha richiesto asilo in Italia. La sua storia è molto diversa, perché ha conosciuto l’Europa dei muri e dei respingimenti. Viveva in una zona del Pakistan a forte presenza talebana, è scappato per sfuggire all’arruolamento obbligatorio. Un anno e mezzo a piedi attraverso il medio Oriente, poi la Bulgaria, la Serbia e infine in Unione europea fino all’Aquila, piccola cittadina a 100 km da Roma, dove è ospitato in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati.

Sono arrivato al confine tra Serbia e Ungheria lo scorso anno. Mi sono nascosto di notte nel bosco, poi sono riuscito a evitare i pattugliamenti e sono entrato in Ungheria, rimanendo nel paese solo un giorno. Giusto il tempo di andare in Austria.

Haseeb è stato abile e fortunato, ma gli oltre 300mila respingimenti al confine nell’ultimo anno e mezzo rappresentano un dato chiaro. 

L’eccezione dimostrata dalle istituzioni comunitarie e dai paesi membri nel caso dell’Ucraina potrebbe aprire un nuovo capitolo nelle politiche migratorie in Europa. Un capitolo contraddistinto da apertura, inclusione sociale e dalla gestione ordinaria e strutturata di un fenomeno che, con queste caratteristiche, ormai va avanti da quasi un decennio.

L’accoglienza degli ucraini potrebbe rappresentare un punto di svolta per le politiche migratorie in Ue.

Ma la direzione che si sta prendendo è opposta. Ai confini est del continente è Orbán ad aver fatto scuola, tanto che anche Polonia e Lituania hanno ultimato la costruzione di muri protettivi ai confini. Sul fronte meridionale gli sbarchi vengono visti come una perenne “emergenza”, nonostante il forte calo degli ultimi anni, tanto che il tema è argomento elettorale delle destre che potrebbero andare al governo già dal prossimo mese.

Quelle stesse destre ispirate proprio dal modello Orbán per la gestione del fenomeno migratorio. Mentre l’Europa, silente, resta a guardare.

Questo progetto è stato sostenuto dal Collaborative and Investigative Journalism Initiative (Ciji). Sono stati supportati dieci reportage in tutta Europa, nell’ambito del grant sulle “cross-border stories”, con l’obiettivo di raccontare storie transfrontaliere che vedessero la collaborazione tra team di diversi paesi europei. Hanno contribuito alla realizzazione di questo reportage i giornalisti freelance Irene Pepe e Aron Coceancig.

Foto: Inna Chubar, rifugiata ucraina, nella stazione di Budapest Keleti – Andrea Mancini / Openpolis

 

Nei primi mesi del 2022 oltre 38mila richieste di asilo in Italia

Nei primi mesi del 2022 oltre 38mila richieste di asilo in Italia

Richieste di asilo e protezione temporanea, divise tra rifiutate e accettate, ricevute nel primo trimestre dell’anno dal 2015 al 2022

GRAFICO
DESCRIZIONE

Solo nel primo trimestre del 2015 e in quello del 2022, il numero di richieste accettate supera quello delle rifiutate. Va inoltre notato il distacco notevole tra le richieste ricevute complessivamente nei primi tre mesi del 2022 (38.375) e quelle ricevute nel primo trimestre degli anni precedenti – la seconda cifra più alta è 23.145 domande registrate nel T1 2016. La ragione è probabilmente da ricercare nella crisi dei rifugiati ucraini iniziata con l’invasione russa alla fine di febbraio 2022.

DA SAPERE

I dati mostrano il numero di richieste di asilo e di protezione temporanea, ricevute all’Italia nel primo trimestre di ogni anno, dal 2015 al 2022, divise tra accettate e rifiutate in prima istanza.

 

2. Le contraddizioni dell’accoglienza in Italia e Ungheria

2. Le contraddizioni dell’accoglienza in Italia e Ungheria

Tutte le contraddizioni nelle politiche delle istituzioni europee e dei suoi paesi membri emergono forti su due direttrici diverse, ma che si intrecciano nell’affrontare le storie di migrazioni in questi anni. Da un lato, infatti, la differenza di approccio sull’inclusione e l’accoglienza di cittadini ucraini e non ucraini è marcata. Dall’altro, le disparità di trattamento nell’accettare migranti e richiedenti asilo provenienti dal resto del mondo sono altrettanto evidenti, oltre che drammatiche.

In questo senso è critico paragonare i dati tra Italia e Ungheria, laddove nella prima nazione sono in migliaia ogni anno a richiedere asilo politico e umanitario (come nella maggior parte dei paesi dell’Europa continentale), mentre nella seconda questo diritto non solo viene concesso a poche decine di persone l’annoma è inoltre complesso anche persino capire quante richieste vengono realmente inoltrate.

Sette anni di politiche repressive in Ungheria

Sono lontane le immagini dell’estate 2015, quando la stazione centrale e le piazze principali di Budapest erano attraversate da migliaia di profughi, soprattutto provenienti dalla Siria, che chiedevano di salire sui treni internazionali verso Vienna e Berlino. È stato quello il periodo in cui il governo Orbán ha avviato una stretta sempre più repressiva sui migranti, riformando e modificando più volte, fino a oggi, la disciplina sul diritto di asilo nel paese. Con il risultato di azzerare di fatto gli ingressi legali e ricevere sanzioni da parte dell’Unione europea e reprimende da parte della Corte europea dei diritti umani.

Proprio nell’estate 2015 il parlamento ungherese ha approvato la prima di una serie di modifiche legislative volte a complicare le vite dei richiedenti asilo. Subito dopo è iniziata la costruzione di una barriera metallica lunga oltre 500 km sui confini meridionali con la Serbia e in parte con la Croazia.

523 km è la lunghezza della barriera di filo spinato e lamette presente sul confine serbo-ungherese.

Dal 2017 è stata attivata la “procedura di frontiera”, che prevedeva la detenzione in aree definite transit zone lungo la barriera per chi richiede l’asilo, un meccanismo fortemente criticato dalle organizzazioni umanitarie dalle Nazioni unite e dalle istituzioni europee. Tanto che le transit zone sono state chiuse nel maggio 2020, in seguito ad alcune sentenze della Corte europea dei diritti umani, che hanno evidenziato la natura illegale dei respingimenti e la violazione dei diritti internazionali.

Il 2020 è un anno decisivo per la stretta repressiva del governo ungherese sui migranti.

Nonostante la chiusura di queste zone al confine, è proprio il 2020 l’anno decisivo per la repressione dei migranti. Da un lato, infatti, il governo ha riconosciuto come “paesi terzi sicuri” i paesi di transito al confine, di fatto giudicando come persone fuori pericolo tutti coloro che arrivano da zone di guerra ma passano per i paesi confinanti con l’Ungheria. Dall’altro, forte del regime di emergenza attivato a causa della pandemia da Covid-19, l’esecutivo Orbán ha incentivato il numero dei respingimenti, legiferando anche su meccanismi per la richiesta di asilo in contraddizione con le norme internazionali.

Chi chiede asilo oggi in Ungheria è costretto a farlo dall’ambasciata ungherese in Serbia.

Infatti, oggi, chiunque voglia entrare in Unione Europea dall’Ungheria deve recarsi all’ambasciata del paese a Belgrado, in Serbia, e presentare una “lettera di intenti” che certifica la volontà preliminare di chiedere asilo. Solo successivamente viene fissato, spesso dopo mesi dalla presentazione della lettera, un appuntamento con i funzionari dell’ambasciata per inoltrare la vera e propria richiesta di asilo. Il tutto, però, continuando a rimanere in Serbia, pena il respingimento al confine da parte della polizia ungherese.

È facile capire come queste procedure sfianchino i migranti, impedendo l’esercizio del diritto di asilo, così come afferma da tempo la stessa Unione europea. Che tuttavia non va molto oltre le procedure di infrazione attivate negli anni, non ridiscutendo la prima e più importante criticità del sistema europeo: il regolamento di Dublino e le quote di assegnazione dei richiedenti asilo.

Il risultato, nel caso del paese magiaro, è il numero soprendentemente esiguo di richieste di asilo accettate.

42 richieste di asilo accettate in Ungheria in tutto il 2021.

I numeri ungheresi dell’asilo sono lampanti anche se consideriamo le richieste, comparando le cifre con quelle registrate dagli altri paesi dell’Europa orientale. Nella confinante Romania, per esempio, il 2020 ha visto oltre 6mila istanze di asilo, a fronte delle 117 presentate in Ungheria.

Quanto emerge dai dati trova riscontro nelle cifre sui respingimenti alla frontiera di coloro che vengono chiamati “immigrati irregolari”. Si tratta della somma del numero di attraversamenti (anche della stessa persona) definiti illegali nelle aree della barriera metallica tra Ungheria e Serbia. Negli ultimi anni la polizia ne ha certificati in numero sempre crescente: 42mila nel 2020, quasi 120mila nel 2021 e il numero record di 132mila respingimenti nei primi 7 mesi di quest’anno.

Le debolezze del sistema italiano

In Italia la situazione è apparentemente migliore rispetto a quella ungherese, ma il sistema mostra evidenti debolezze, a svantaggio dei migranti e della loro inclusione sociale nelle comunità autoctone.

Nonostante siano attive politiche restrittive e duramente criticate perché accusate di violazioni dei diritti umani (come gli accordi con il governo libico stipulati nel 2017 e oggi ancora attivi), i migranti continuano ad arrivare e i numeri nel paese sono molto diversi rispetto a quelli registrati in Ungheria. A determinare questa differenza sono anche le caratteristiche geografiche dei confini.

Dal 2017 al 2020 Il sistema di accoglienza in Italia è cambiato 3 volte.

Respingere i migranti con la forza per l’Italia è più complesso che per l’Ungheria, perché significherebbe condannarli a morte certa, in quanto la maggioranza degli approdi è via mare. Ciò nonostante si sono verificati casi in passato in cui si è cercato di impedire lo sbarco a navi che trasportavano rifugiati. Questo è stato possibile per via dei decreti sicurezza, voluti dall’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, che prevedevano la chiusura dei porti per le imbarcazioni delle Ong che soccorrevano i migranti in mare. Il caso più eclatante è stato quello che ha coinvolto la nave Sea Watch nel 2019, quando la comandante Carola Rackete ha fatto sbarcare sulle coste italiane una nave che trasportava 53 migranti, nonostante le fosse stato negato il permesso.

L’Italia, così come altri paesi del sud Europa, ha richiesto diverse volte una revisione del trattato di Dublino, secondo il quale la responsabilità di esaminare le domande di asilo ricade nel paese europeo dove entra il richiedente. È tuttavia importante evidenziare come alcune proposte di riforma del trattato, arrivate nel parlamento europeo negli anni della “crisi dei migranti”, siano state bocciate dagli stessi partiti italiani anti-immigrazione.

Anche nel caso italiano gli anni della svolta sono quelli della “crisi europea dei migranti”. Nel 2015, infatti, arrivarono sulle coste italiane oltre 153mila persone, l’anno successivo 181mila e nel 2017 quasi 120mila.

In Italia le politiche repressive anti-migranti sono state avviate con il decreto Minniti-Orlando.

Si tratta delle cifre maggiori mai registrate, cui ha fatto seguito un calo vistoso negli anni seguenti. Anche a causa dell’approvazione del decreto Minniti-Orlando, voluto da un governo di centrosinistra, che prevede regole più severe sulle migrazioni, tra cui l’apertura di una ventina di centri di espulsione sul territorio.

Sempre nel 2017 venne firmato il memorandum Italia – Libia, a oggi in vigore perché rinnovato nel 2020 dal governo, anche in quel caso di centrosinistra. L’accordo prevede un importante finanziamento della guardia costiera libica volto ad arginare le partenze dal paese nordafricano, e la detenzione arbitraria dei migranti in carceri all’interno delle quali vengono violati sistematicamente i diritti umani, come hanno evidenziato numerose inchieste indipendenti.

Queste leggi repressive hanno ottenuto come risultato un calo degli arrivi, successivamente diminuiti anche per effetto delle restrizioni dovute alla pandemia. Nel 2021, infatti, sono sbarcate circa 67mila persone. Mentre nei primi 7 mesi del 2022 erano 41mila, il che rappresenta un aumento rispetto allo stesso periodo dei 3 anni precedenti. Comunque si tratta di un numero di molto inferiore agli anni della crisi dei rifugiati.

41.170 persone sbarcate sulle coste italiane, dal 1 gennaio al 31 luglio 2022.

Per chi riesce a sopravvivere in Libia e arriva sulle coste italiane, invece, il destino è un percorso nei vari passaggi del sistema di accoglienza. È importante ribadire come la maggioranza delle persone accolte (nel 2021 quasi 7 su 10) siano da anni ospitate nei “centri di accoglienza straordinari”, che indicano già dal nome un approccio emergenziale a un fenomeno, quello migratorio, che al contrario si verifica da un decennio in modo tutto sommato ordinario.

 

Se infatti in Ungheria il problema è l’assenza di qualsiasi forma di assistenza al richiedente asilo – tanto che nel 2020 il governo ha varato leggi che puniscono severamente chi monitora i confini con scopi solidali o agisce in reti di supporto all’immigrazione o persino chi produce volantini informativi – le criticità italiane sembrano essere centrate piuttosto sul percorso di inclusione sociale dei richiedenti asilo (e anche di chi ottenendolo acquista lo status di rifugiato) nel paese. L

L’ideologia dell’emergenza di cui è segnato il sistema dell’accoglienza, infatti, non permette una pianificazione ordinataorganica e sistemica di un percorso che possa migliorare la vita di chi decide di stabilirsi in Italia, avvantaggiando talvolta chi specula economicamente sui regimi emergenziali, come hanno dimostrato negli anni alcune inchieste giudiziarie.

In questo senso dal 2018 il governo giallo-verde – nato dall’alleanza tra Movimento 5 stelle e Lega, e guidato da Giuseppe Conte – ha riformato il sistema dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati attraverso i “decreti sicurezza” voluti dal ministro dell’interno Matteo Salvini, tra i politici italiani con posizioni più nette contro l’immigrazione. Tra le novità introdotte dal decreto sicurezza la principale è l’abolizione della “protezione umanitaria”, una tutela nazionale per chi chiede l’asilo, che era stata istituita nel Paese nel 1998.

Le parole che si utilizzano quando si parla di migrazioni nascondono percorsi, lunghi anche anni, di persone che si spostano da un luogo all’altro per migliorare le proprie condizioni di vita. Vai a “Quali sono le forme di protezione per gli stranieri in Italia”

Ma questa stretta sull’accoglienza ha impattato gravemente anche sui centri di seconda accoglienza, quelli dove sono di più e migliori i servizi di integrazione, come l’inserimento lavorativo, l’insegnamento dell’italiano e l’inclusione nel tessuto sociale delle comunità. Se prima era data la possibilità di accedervi sia ai richiedenti asilo che a chi l’asilo l’aveva già ottenuto, con i decreti sicurezza l’accesso a questi centri è stato limitato solo ai secondi.

Alla fine del 2020, con il cambio del governo – sempre guidato da Conte ma con una maggioranza formata da Movimento 5 Stelle e partito democratico – il sistema è stato nuovamente riformato.

A dicembre 2020 è stato convertito in legge il decreto legge 130, voluto dal governo Conte II. Riforma il “decreto sicurezza”. Vai a “Come funziona l’accoglienza dei migranti in Italia”

Oggi ha caratteristiche più simili a quelle che aveva fino al 2018, prima dell’approvazione delle leggi volute dalla Lega. Se il prossimo 25 settembre le destre usciranno vincitrici dalle urne, lo stesso Salvini ha promesso di tornare indietro di due anni, nuovamente ai decreti sicurezza. Mentre Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, il partito nazionalista favorito dai sondaggi, non ha mai nascosto di guardare con favore proprio al modello Orbán.

Se analizziamo i dati, notiamo come i due anni in cui sono stati in vigore i decreti sicurezza abbiano inciso anche sugli esiti delle richieste di asilo, a causa dell’eliminazione della protezione umanitaria. Nel 2017 e nel 2018 le domande rifiutate su quelle esaminate erano rispettivamente il 58% e il 67% e nel biennio successivo queste percentuali sono salite all’81% nel 2019 e al 76% nel 2020, per poi tornare al 58% (circa 30mila dinieghi su 52mila domande esaminate) nel 2021, quando i decreti sicurezza erano stati superati.

Nei primi mesi del 2022, invece, la situazione è del tutto diversa a causa della guerra in Ucraina. Sono state esaminate più di 38mila richieste, molte di più rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti. Basti pensare che nel primo trimestre del 2021 le istanze prese in esame erano meno di diecimila.

Anche gli esiti sono in forte controtendenza quest’anno, considerando che da gennaio a marzo quasi 32mila istanze sono state accettate, rispetto a 6mila rifiuti. Negli anni xfprecedenti, solo nel primo trimestre del 2015 le domande accettate superavano quelle rifiutate. Sulle tendenze di quest’anno hanno influito innegabilmente le tante domande di protezione temporanea inoltrate nel mese di marzo, e arrivate a quota 148mila a inizio agosto.

Questo progetto è stato sostenuto dal Collaborative and Investigative Journalism Initiative (Ciji). Sono stati supportati dieci reportage in tutta Europa, nell’ambito del grant sulle “cross-border stories”, con l’obiettivo di raccontare storie transfrontaliere che vedessero la collaborazione tra team di diversi paesi europei. Hanno contribuito alla realizzazione di questo reportage i giornalisti freelance Irene Pepe e Aron Coceancig.

Foto: centro di accoglienza per rifugiati ucraini di Bok a Budapest – Andrea Mancini / Openpolis

 

1. In cammino verso una vita migliore

1. In cammino verso una vita migliore

In automobile attraversando il confine tra Ucraina e Ungheria, o prendendo un bus che porta in Italia. A piedi dall’Afghanistan fino in Bosnia Herzegovina, ai confini dell’Unione europea. Su una barca fino alle coste italiane, dopo aver attraversato il Mediterraneo. O tentando di scavalcare un muro in Marocco, oltre il quale si apre il sogno dell’Europa.

Sono alcune delle tratte oggi al centro del fenomeno migratorio nel vecchio continente. Migliaia di persone che incrociano i loro destini con filo spinato, muri, naufragi, dogane, impronte digitali e violenze.

L’Italia a sud e l’Ungheria a est sono tra le principali porte d’accesso in Europa.

Le migrazioni esistono da quando esiste l’umanità. Si tratta di un fenomeno mai realmente arrestato dalle azioni umane o dalle politiche dei governi. Negli ultimi anni i flussi al centro delle cronache europee sono stati principalmente due: gli spostamenti di persone provenienti dai paesi africani del nord e del golfo di Guinea verso il sud Europa, e quelli dei migranti provenienti dalle nazioni del Medio Oriente e dell’Asia centrale verso l’est Europa. E due, più di altri, sono tra i principali paesi interessati da queste due rotte: l’Italia a sud e l’Ungheria a est. Due nazioni diverse, protagoniste di culture e storie differenti, ma da anni accomunate dalle sfide poste dal fenomeno migratorio e dalle lacune dell’Unione europea nel gestirlo.

A tutto questo si è aggiunto, poi, l’imponente esodo di ucraine e ucraini in seguito all’invasione da parte della Federazione Russa, che ha visto nei primi 6 mesi di conflitto oltre 7 milioni di persone fuggire dalla guerra. Come vedremo in seguito, le autorità europee hanno gestito questo fenomeno in modo nettamente diverso, mostrando un atteggiamento di apertura e accoglienza che a oggi rappresenta però solo una virtuosa eccezione.

A quasi 10 anni dall’inizio della “crisi europea dei migranti” è chiaro che l’Unione europea sul fenomeno ha deciso di non decidere, non si è riformata in base alle esigenze dei tempi, abbandonando al proprio destino milioni di persone, lasciando il tema per lo più a politiche nazionali.

Le lacune nelle politiche europee hanno favorito i partiti anti-immigrazione.

Questo atteggiamento irresponsabile ha prodotto quasi ovunque un’ostilità generalizzata delle popolazioni nei confronti dei migranti, con il conseguente aumento del consenso per i partiti anti-immigrazione. I quali, una volta al governo, hanno potuto realizzare politiche repressive e discriminatorie, soprattutto nei paesi di frontiera, dove cittadini e istituzioni si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni comunitarie.

È accaduto in Ungheria e, in parte, anche in Italia, dove questi processi sociali e politici rischiano di essere portati a compimento a partire dalla prossima legislatura, se verranno rispettate le previsioni dei sondaggi sulle elezioni del 25 settembre. Questi ultimi, infatti, danno per favorito il partito della destra sovranista Fratelli d’Italia, la cui leader Giorgia Meloni ha mostrato più volte interesse nei riguardi del “modello Orbán” sull’immigrazione.

Ungheria e Italia porte d’Europa a est e sud

Quella che a livello giornalistico viene conosciuta come “crisi europea dei migranti” ha avuto inizio nel 2013. Sembra passato molto tempo da quando un numero sempre crescente di persone ha iniziato a muoversi, a piedi o con mezzi di fortuna, in cerca di asilo in Europa. L’anno che segna la svolta è il 2015.

In quei mesi, secondo l’Ue quasi due milioni di persone si sono trovate ai confini del continente, provenienti da zone di guerra come la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan, ma anche la Libia, il Mali o il Burkina Faso. Parliamo di viaggi molto pericolosi.

1,8 milioni di persone sono migrate verso l’Europa nel 2015, secondo l’Ue.

Si stima che in quel periodo siano morte almeno 1.200 persone in sole cinque imbarcazioni affondate nel mar Mediterraneo. Viaggi che spesso portano con sé sofferenza e violazioni di diritti fondamentali. È in questo contesto che, come vedremo in avanti, sempre nel 2015 inizia la costruzione del “muro di Orbán” sul confine serbo-ungherese.

Oggi i dati raccontano di cifre più modeste in relazione agli arrivi. Non perché si parta di meno, si muoia di meno o perché siano state avviate politiche pubbliche di riequilibrio socio-economico nei paesi di provenienza, ma perché si sono aggravate negli anni politiche repressive e contenitive del fenomeno migratorio, fino a farle passare come consuete in diversi paesi Ue.

Inoltre si tenta, a livello comunitario, di limitare gli arrivi esternalizzando le frontiere al di fuori dell’Unione, attraverso accordi onerosi come quello siglato tra Ue e Turchia nel 2016. Intese che hanno l’obiettivo di tenere il problema lontano dagli occhi e dal cuore dei popoli europei. Come il memorandum con la Libia firmato nel 2017, le recinzioni che separano il territorio marocchino dalle exclave spagnole Ceuta e Melilla, o i campi di detenzione sulle isole greche.

Le politiche migratorie in Ue
In Europa è ancora in vigore il trattato di Dublino, firmato nel 1990 nella capitale irlandese. Si tratta di un regolamento secondo il quale le responsabilità di esaminare le domande di asilo ricadono, salvo alcune eccezioni, sullo stato membro in cui il migrante che richiede asilo è entrato, varcando le frontiere in modo irregolare. Senza quindi prevedere alcuna responsabilità per gli altri paesi Ue. Questo meccanismo crea inevitabilmente una situazione iniqua in Europa, perché l’ospitalità e le richieste di asilo ricadono principalmente sui primi paesi d’approdo, come l’Italia (nel caso della rotta mediterranea) e l’Ungheria (nel caso della rotta balcanica), che si vedono inoltre ritornare i migranti che si spostano in altri paesi europei dopo essere passati dai loro territori. Nonostante sia stato modificato prima nel 2003 e poi nel 2013, l’impianto sostanziale del trattato è ancora oggi vigente. E si affianca alle politiche di respingimento alle frontiere esterne dell’Ue, che contraddicono nei fatti i valori su cui è fondata l’Unione, primo fra tutti la difesa della dignità e dei diritti umani. In questo senso Bruxelles negli anni ha stretto accordi con i regimi nordafricani per la rotta mediterranea e con quello turco per la rotta balcanica, affinché trattengano nei loro territori i migranti che cercano di raggiungere l’Europa. L’obiettivo è ridurre gli arrivi, marginalizzando il problema dal punto di vista dell’impatto pubblico. Con la conseguenza di condannare migliaia di esseri umani alla detenzione nelle carceri libiche o alle violenze nei rimpatri al confine turco, come denunciato da numerose inchieste giornalistiche e da diverse organizzazioni per i diritti umani. Un’ulteriore forte contraddizione delle istituzioni comunitarie è emersa di recente, a fronte della crisi dei rifugiati ucraini. È risultata infatti evidente la disparità di trattamento dei profughi di guerra ucraini rispetto a quelli provenienti da altri paesi in conflitto. Per i primi, infatti, è stata attivata una direttiva che permette agli ucraini di circolare in Europa e di richiedere con facilità una forma di protezione, al contrario negata a centinaia di migliaia di persone provenienti da altri paesi in guerra.

«Non vogliamo diventare popoli di razza mista»

Le rispettive posizioni geografiche di Italia e Ungheria acquistano rilevanza quando si parla di migrazioni. Nell’ultimo decennio questo ha certamente contribuito a una percezione diversa delle persone straniere da parte delle comunità autoctone, complici anche le polarizzazioni politiche sul tema e le narrazioni mediatiche a riguardo.

Quanto si stanno realmente «mescolando» i popoli italiano e ungherese con le comunità straniere?

Se in Italia gli sbarchi di migranti sulle coste meridionali sono calati dopo la cosiddetta “crisi dei rifugiati”, l’argomento continua a segnare l’agenda setting anche in vista delle elezioni politiche del 25 settembre, dove sono favoriti i partiti delle destre anti-immigrazione. Diversa la situazione per l’Ungheria, dove il governo guidato da Viktor Orbán da anni ha fatto della difesa dei confini un cardine fondamentale della sua azione politica.

Nel paese magiaro l’atteggiamento è tra i più radicali in Europa, tanto che lo scorso luglio lo stesso Orbán ha fatto discutere con alcune sue dichiarazioni.

Siamo disposti a mescolarci gli uni con gli altri, ma non vogliamo diventare popoli di razza mista.

Una frase che ha causato le dimissioni della sua consigliera personale Zsuzsa Hegedüs, che ha accostato il premier al ministro nazista Joseph Goebbels, nonostante abbia ritirato queste affermazioni pochi giorni dopo.

Nel solo 2011 in Italia sono entrati oltre 385mila nuovi immigrati. Nell’anno 2020, invece, 247mila. Il trend è inverso in Ungheria, dove nel 2011 erano meno di 28mila i nuovi ingressi, a fronte di più di 75mila nel 2020. Per capire la portata della presenza di migranti nei due paesi, è necessario relazionare questi dati alla popolazione residente. Gli stranieri entrati in Italia nel 2020 erano 42 ogni 10mila abitanti, una cifra diminuita di 23 unità rispetto al 2011. In Ungheria invece, sempre nel 2020, risultavano 77 gli immigrati ogni 10mila residenti. In questo caso, la cifra è aumentata nel corso del decennio (+49).

Non esiste alcuna “emergenza migranti” né in Italia né in Ungheria.

Al di là delle variazioni che si sono susseguite negli anni, sicuramente un aspetto da sottolineare è la sproporzione che c’è tra questi numeri e la comunicazione emergenziale che viene diffusa in entrambi i paesi. Piuttosto si è di fronte a un fenomeno strutturato che va sistematizzato e organizzato, non stigmatizzato in nome di fantomatici «teoremi dell’invasione» indubbiamente smentiti dai dati.

Una questione a parte invece merita la questione ucraina. A inizio marzo è stata attivata una direttiva europea risalente a oltre vent’anni fa (la 55/2001), allora pensata per l’esodo proveniente dai Balcani meridionali in guerra. Secondo questa disposizione, le persone che fuggono dal conflitto possono godere di una protezione temporanea in Ue, uno status simile a quello del rifugiato, in qualsiasi paese membro e per un anno dall’ingresso, rinnovabile per altri due.

Le differenze tra Italia e Ungheria non riguardano infatti l’accoglienza degli ucraini, tutto sommato omogenea tra i due paesi e in linea con le indicazioni comunitarie, ma soprattutto la collocazione geografica e quindi la composizione socio-economica dei profughi che decidono di rimanere nell’uno o nell’altro paese.

L’Ungheria infatti confina con l’Ucraina, il che la rende uno dei principali punti di passaggio della popolazione ucraina verso ovest. Da marzo a luglio circa un milione di ucraini sono entrati in Ungheria, anche se poco meno di 30mila hanno fatto domanda di protezione temporanea nel paese. Questo suggerisce come la nazione magiara sia essenzialmente un luogo di passaggio verso altri stati dell’Unione.

In Italia la situazione è diametralmente opposta: delle 157mila persone entrate dal 24 febbraio in poi, 148mila (il 94%) ha chiesto di accedere alla protezione temporanea. In questo caso, i dati ci raccontano di un’immigrazione più stanziale.

Come emerge dal grafico, il periodo di maggior flusso di profughi ucraini sia in Italia che in Ungheria è stato nel mese di marzonelle prime settimane che hanno seguito l’invasione russa. Dopo un calo e un assestamento in primavera e all’inizio dell’estate, nel mese di luglio le cifre degli ingressi nei due paesi sono tornate leggermente a salire, tuttavia rimanendo lontane dai picchi dell’inverno.

Per gli ucraini l’Ungheria è un luogo di passaggio, l’Italia di approdo.

Non sono disponibili dati ufficiali sulla durata della permanenza dei profughi nelle due nazioni, ma la nostra indagine sul campo conferma quanto suggeriscono i dati sulle domande di protezione temporanea nei due paesi: l’Ungheria è un luogo per molti di passaggio, dove le persone stazionano pochi giorni e a volte addirittura poche ore, prima di dirigersi a ovest. L’Italia, invece, è un luogo di approdo, dove molti rifugiati arrivano attraverso una rete di relazioni personali o familiari con la folta comunità ucraina (circa 235mila persone) che vive nel paese da diversi anni.

Questo progetto è stato sostenuto dal Collaborative and Investigative Journalism Initiative (Ciji). Sono stati supportati dieci reportage in tutta Europa, nell’ambito del grant sulle “cross-border stories”, con l’obiettivo di raccontare storie transfrontaliere che vedessero la collaborazione tra team di diversi paesi europei. Hanno contribuito alla realizzazione di questo reportage i giornalisti freelance Irene Pepe e Aron Coceancig.

Foto: un richiedente asilo pakistano nel centro di accoglienza “Fraterna Tau” dell’Aquila, in Italia – Andrea Mancini / Openpolis

 

Riforma Pensioni 2022-2023

Riforma Pensioni 2022-2023

L’obiettivo è arrivare ad una Riforma Pensioni condivisa, dopo le proroghe inserite nella Legge di Bilancio 2022 per quanto concerne APe Social ed Opzione Donna. Garantire la flessibilità di uscita dal mondo del lavoro, mantenendo attiva l’opzione agevolata riservata alle donne e alle categorie svantaggiate con una uscita graduale da Quota 100 grazie a Quota 102: è l’obiettivo chiave per la Riforma Pensioni, avviata con la Legge di Bilancio 2022 ma da completarsi nel corso dell’anno.

In cima alla lista delle priorità ci sono anche i giovani: l’esigenza è di assicurare un inserimento nel mondo del lavoro stabile, così da evitare carriere discontinue e stipendi bassi, con effetti sulle future pensioni. Da ripensare anche temi legati al reddito dei pensionati (14esima, rivalutazione assegni ecc.) e alla pensione complementare.

Ipotesi di Riforma Pensioni dal 2023

Tante le ipotesi in vista per la riforma del sistema previdenziale dal 1º gennaio 2023. Sul tavolo ci sono le proposte dei sindacati e quelle di governo.

Pensione con la Quota 41

Avanzata dai sindacati, prevede la pensione anticipata con 41 anni di contributi, senza calcolo dell’assegno (che resta con sistema misto o retributivo). Per la Pensione Precoci, attualmente ci vogliono 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne.

I Sindacati vorrebbero una Quota 41 per tutti senza limiti di età e di categoria, mentre il Governo potrebbe “cedere” soltanto per un eventuale compromesso, aprendosi ad esempio alle categorie di lavoratori addetti alle mansioni gravose.

Pensione a 64 anni con ricalcolo contributivo

Si tratta della proposta principale tra quelle avanzate dal Governo, simile all’Opzione Donna: prevede la pensione anticipata rinunciando alla quota maturata con sistema retributivo, con un intero ricalcolo contributivo della pensione. Ci sono anche sotto proposte:

  • pensione a 64 anni di età con assegno previdenziale maturato pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale;
  • pensione a 64 anni di età e 36 anni di contributi, senza limiti sul valore dell’assegno.

Il compromesso potrebbe essere: pensione a 64 con penalizzazione dell’assegno ma deroghe per soggetti e categorie più deboli..

Pensione con anticipo quota contributiva

Si tratta di un meccanismo proposto dall’INPS per accedere prima alla sola quota contributiva della pensione, ad esempio a 63 anni di età con almeno 20 anni di contributi ed un importo minimo di 1,2 volte l’assegno sociale. Al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia si prenderebbe anche la quota retributiva della pensione maturata.

Riforma Pensioni 2023: DEF e Legge di Bilancio

In base alle intenzioni di Governo per la riforma pensioni 2023, il ministro dell’Economia, Daniele Franco, presentando gli obiettivi previdenziali inseriti nel DEF (Documento di Economia e Finanza), ha spiegato:

nel pieno rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, della sostenibilità del debito e dell’impianto contributivo del sistema, occorrerà trovare soluzioni che consentano forme di flessibilità in uscita ed un rafforzamento della previdenza complementare.

Su PMI.it tutte le novità, le regole e le proposte di riforma pensioni 2023: guide ed esempi di calcolo, quali i requisiti minimi per l’accesso alle agevolazioni previdenziali, le controversie sulla legge sulle pensioni, le ultime notizie sulle pensioni, rivalutazione e potere d’acquisto.

 

Santi Michele, Gabriele e Raffaele

 

Santi Michele, Gabriele e Raffaele


Santi Michele, Gabriele e Raffaele

autore: Marco d’Oggiono anno: 1516 circa titolo: Pala dei tre Arcangeli luogo: Pinacoteca di Brera, Milano
Nome: Santi Michele, Gabriele e Raffaele
Titolo: Arcangeli
Ricorrenza: 29 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Festa

Gli Arcangeli, per Dionigi l’Areopagita, sono altissime gerarchie angeliche con specifici compiti, tra i quali: servire Dio, contemplare il suo volto, cantarne incessantemente le lodi, lottare contro Satana sino alla sua sconfitta finale e aiutare l’uomo portandogli i messaggi di Dio e sconfiggere le suggestioni del male, per ricondurlo dopo la morte terrena a Dio.

San Michele

San Michele

Un tempo, al termine di ogni messa, il sacerdote pregava così: «San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; sii il nostro aiuto contro la malvagità e l’insidia del diavolo… continua

San Gabriele

San Gabriele

Gabriele, forza di Dio (questo significa il suo nome), è l’angelo messaggero per eccellenza. L’ambasciata più clamorosa l’ha fatta a Maria, la giovane fidanzata del falegname di Nazaret… continua

San Raffaele

San Raffaele

Raffaele, che in ebraico significa «Dio guarisce», è l’arcangelo che, sotto forma di giovane bellissimo, accompagna Tobiolo, incaricato dal padre… continua

PRATICA: Affidiamo oggi alla Corte Celeste il nostro passato per essere perdonati; il nostro presente perché Dio conceda a tutti il dono della Pace, del lavoro, della dignità; il nostro futuro per accettarlo sotto la vostra guida col sorriso nel cuore e sulle labbra.

PREGHIERA: O gloriosi Arcangeli, proteggeteci da ogni attacco del maligno, preservateci da tutto ciò che ci distoglie dal bene, ed otteneteci da Dio le grazie che ci sono necessarie per vivere in terra senza mai allontanarci da Lui e in cielo per contemplarlo nella Sua gloria.

MARTIROLOGIO ROMANO. Festa dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, arcangeli. Nel giorno della dedicazione della basilica intitolata a San Michele anticamente edificata a Roma al sesto miglio della via Salaria, si celebrano insieme i tre arcangeli, di cui la Sacra Scrittura rivela le particolari missioni: giorno e notte essi servono Dio e, contemplando il suo volto, lo glorificano incessantemente.

PROVERBIO. Se l’Arcangelo si bagna l’ale, piove fino a Natale

Invocazione ai Santi Arcangeli

Invocazione ai Santi Arcangeli

ICONOGRAFIA

Nell’iconografia i tre arcangeli sono raffigurati insieme come lo vengono solitamente rappresentati singolarmente: San Michele con la spada, San Gabriele con il giglio e San Raffaele con Tobiolo.

Tre Arcangeli con Tobia

titolo Tre Arcangeli con Tobia
autore Francesco Botticini anno 1470

San Michele


San Michele

autore: Luca Giordano anno: 1666 ca. titolo: San Michele sconfigge gli angeli ribelli luogo: Museo della storia dell’arte, Vienna
Nome: San Michele
Titolo: Arcangelo
Ricorrenza: 29 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Un tempo, al termine di ogni messa, il sacerdote pregava così: «San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; sii il nostro aiuto contro la malvagità e l’insidia del diavolo. Comandi sopra di lui il Signore, e tu, principe delle milizie celesti, sprofonda nell’inferno, con la tua divina potenza, Satana e tutti gli altri spiriti maligni che si aggirano per il mondo per la perdizione delle anime». Quella preghiera, collocata in un momento strategico della liturgia, quando cioè il fedele sta per passare dalla solennità del rito alla sua concreta traduzione nel trambusto della vita quotidiana, testimoniava l’antichissima tradizione del culto dell’arcangelo san Michele, viva tra i cristiani, ma ancor prima nel popolo ebraico, che lo aveva eletto a proprio protettore. Una devozione diffusa e antica, che ha almeno tre centri di riferimento importanti e suggestivi, come la chiesa di San Michele del Gargano, in Puglia, il famosissimo santuario del Mont Saint Michel, in Francia, e la Sacra di San Michele, in Piemonte, all’imboccatura della Vai di Susa.

Michele è il protettore dei protettori, l’arcangelo guerriero, principe delle milizie celesti, avversario di Satana e degli angeli che si erano ribellati a Dio, e che lui aveva vinto al grido di guerra: «Chi è come Dio?», che è anche il significato del suo nome in lingua ebraica. Ed è così, nell’atto di trafiggere il demonio sconfitto, che viene spesso raffigurato nelle immagini più belle.

La Genesi (il primo libro della Bibbia) non fa il nome dell’angelo posto da Dio a custodire il paradiso terrestre, dopo la cacciata di Adamo ed Eva, rei di aver mangiato la fatidica mela proibita. Qualcuno ha voluto vedere, nell’arcigno custode che brandisce una spada fiammeggiante, l’arcangelo Michele, impegnato in un ennesimo episodio di quell’interminabile lotta contro le forze del male, che avrà il suo epilogo, come ha previsto l’evangelista Giovanni, nei giorni dell’apocalisse, quando Michele e i suoi angeli faranno precipitare definitivamente negli abissi il gran drago rosso con sette teste e dieci corna, cioè il diavolo o Satana, segnando così la sconfitta senza appello del male.

Linea di San Michele

Linea di San Michele

Si narra che una linea retta immaginaria unisca sette santuari dedicati a San Michele e rappresenti il solco che lasciò la spada del Santo quando inflisse il famoso colpo al Diavolo per rimandarlo all’inferno. Inoltre la Linea Sacra è in perfetto allineamento con il tramonto del sole nel giorno del Solstizio di Estate. I sette santuari della Linea di San Michele sono: Skellig Michael (Irlanda), St Michael’s Mount (Gran Bretagna), Mont Saint Michel (Francia), la Sacra di San Michele (Piemonte, Italia), Santuario di San Michele a Monte San’Angelo (Puglia, Italia) Monastero di San Michele (Grecia), Monastero di Monte Carmelo (Israele).

Nella nostra vita san Michele è l’angelo che ci è vicino nelle piccole e grandi battaglie quotidiane contro le suggestioni del male, contro quelle forze che vogliono farci scivolare nel vortice della perversione e del peccato e che, alla fine della vita, ci guiderà (anche questo è un compito che la tradizione gli attribuisce) nel momento del trapasso per essere poi al nostro fianco, avvocato, nel giorno del giudizio definitivo. Grazie alla sua tenacia nel combattere il maligno, Michele è considerato il protettore dal male.

ICONOGRAFIA

Nell’iconografia San Michele arcangelo è comunemente rappresentato alato in armatura con la spada o lancia con cui sconfigge il demonio, spesso nelle sembianze di drago. È il comandante dell’esercito celeste contro gli angeli ribelli del diavolo, che vengono precipitati a terra come nella tela di Giuseppe Cesari pittore romano dell’epoca barocca.

San Michele sconfigge il diavolo

titolo San Michele sconfigge il diavolo
autore Acislo Antonio Palomino de Castro y Velasco anno 1714

Raffaele rovescia satana

titolo Raffaele rovescia satana
autore Francesco Maffei anno 1656 circa

San Michele scaccia gli angeli ribelli

titolo San Michele scaccia gli angeli ribelli
autore Giuseppe Cesari anno 1592-93

Bellissima anche la tela di Sebastián López de Arteaga dove viene riprodotto il santo durante una delle sue apparizioni sul Gargano.

Apparizione di San Michele sul Gargano

titolo Apparizione di San Michele sul Gargano
autore Sebastián López de Arteaga anno 1650

San Miche è spesso riprodotto durante la sua apparizione a Diego Lázaro. Il 25 aprile del 1631 a Tlaxcala in Messico, un indio chiamato Diego Lázaro, tra i primi convertiti, mentre partecipava ad una processione il giorno di san Marco, ebbe una visione di san Michele che gli disse: Io sono san Michele arcangelo e sono venuto a dirti che è volontà di Dio e mia che tu dica agli abitanti di questa città e dei suoi dintorni che nell’avvallamento formato da due montagne e di fronte a questo luogo, troveranno una fonte miracolosa d’acqua che guarirà tutte le malattie. Non dubitare di quello che ti ho detto e non dimenticare di fare come ti ho spiegato.

Diego Lázaro ebbe paura che la gente non gli credesse e non disse nulla. Dopo tre giorni si ammalò gravemente. Gli apparve di nuovo l’arcangelo per rimproverarlo della sua codardia ed insistette affinché egli obbedisse, dopo averlo guarito.

L’indio comunicò a tutti il messaggio ricevuto, ma non gli credettero. Solo la sua famiglia lo ascoltò. Andò con alcuni familiari a scavare una fonte nel luogo indicato, ma non riuscirono a smuovere le rocce. All’improvviso un giovane, con una forza fuori dal comune, si presentò davanti a loro e spostò i massi, facendo sgorgare la sorgente di acqua miracolosa. Così incominciò ad essere costruito il santuario di San Miguel del Milagro, nel comune di Nativitas a Tlaxcala.

Anonimo

titolo Anonimo
autore Apparizione a Diego Lázaro di S. Michele, che fa sgorgare l’acqua miracolosa

Le sfide del Pnrr per il governo che verrà #OpenPNRR

Le sfide del Pnrr per il governo che verrà #OpenPNRR

A due giorni dalla fine del terzo trimestre e dall’inizio del quarto, vediamo quante e quali scadenze Pnrr andrebbero completate entro dicembre. E quali prospettive e opzioni presenta uno scenario in cui il nuovo governo, una volta operativo, scelga di modificare l’agenda.

 

Sono passati tre giorni dalle elezioni politiche che hanno sancito la vittoria della coalizione di centro-destra composta da Fratelli d’Italia (26,2%), Lega (8,9%) Forza Italia (8,3%) e Noi Moderati (0,9%). La prima convocazione delle nuove camere sarà il 13 ottobre, dopodiché si avvierà il processo di formazione del nuovo governo.

Una serie di passaggi delicati, che iniziano con la definizione dei ministeri e la nomina di ministri e sottosegretari. A cui seguono la richiesta di fiducia in parlamento e la riorganizzazione dei dicasteri. Dalla scelta delle deleghe da dare a viceministri e sottosegretari all’eventuale riorganizzazione dei ministeri al loro interno, a partire dalle direzioni generali.

Anche volendo ipotizzare uno svolgimento insolitamente rapido di tutti questi passaggi, i tempi richiesti per la ripresa effettiva dei lavori di un nuovo esecutivo sono inevitabilmente lunghi.

Il Pnrr segue un rigido cronoprogramma.

L’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, al contrario, prevede tempi estremamente ristretti. L’agenda si articola infatti nel conseguimento trimestrale di un determinato numero di scadenze. Il quarto e ultimo trimestre del 2022 si svolge dal 1 ottobre al 31 dicembre e prevede il raggiungimento di 51 scadenze (di cui attualmente 7 già completate), a cui dovrebbe seguire la richiesta da parte dell’Italia all’Unione europea, della terza tranche di finanziamento del piano.

€ 21 mld la seconda tranche di fondi Pnrr per l’Italia, il cui rilascio è stato approvato dalla commissione europea ieri, 26 settembre 2022.

Ma quali conseguenze avrà la formazione di un nuovo governo sull’attuazione del Pnrr? Anche se a oggi possiamo solo avanzare delle ipotesi, è comunque utile ripercorrere i possibili scenari di modifica dell’agenda. E soprattutto, ricostruire un quadro di quanti e quali interventi sarebbe necessario completare entro la fine dell’anno per richiedere nuovi finanziamenti a Bruxelles.

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La prospettiva di una modifica del Pnrr

Considerando i risultati elettorali, è presumibile ritenere che sarà la coalizione di centro-destra a formare un esecutivo in grado di ricevere la fiducia parlamentare. E sul Pnrr l’intenzione di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati è quella di rivedere l’attuale agenda. O almeno così hanno dichiarato nel loro programma comune.

Apportare modifiche al piano è un’opzione percorribile, ma che deve necessariamente ricevere l’approvazione della commissione europea per concretizzarsi. In caso di parere negativo, si rischia invece di andare incontro a una sospensione – o nei peggiori casi a una riduzione – dei fondi.

Le proposte di modifica devono essere giustificate da circostanze oggettive che abbiano reso impossibile realizzare gli interventi previsti. Vai a “Quanto e come può essere modificato il Pnrr”

Una circostanza oggettiva, sostiene la Lega, sarebbe l’aumento dei costi delle materie prime. Infatti, se l’ammontare di risorse già destinato a determinate opere risulta insufficiente perché i materiali sono diventati più costosi, è chiaro che tali progetti necessitano delle modifiche per essere comunque realizzati.

Diverso è il caso delle riforme previste dal Pnrr, in particolare quelle su due temi centrali per la coalizione di centro-destra: la giustizia e la legge annuale della concorrenza. Il loro iter è stato avviato e alcune leggi delega sono già state approvate dal parlamento uscente. Chiaramente il nuovo governo, alla guida di uno stato sovrano, potrà decidere di modificare queste normative. Ma per farlo, rimettendo in discussione scadenze che erano già state completate negli scorsi trimestri, dovrebbe prima dimostrare alla commissione europea l’impossibilità di completare tali riforme nel modo in cui erano state originariamente definite. Sperando che l’organo esecutivo dell’Unione sia flessibile nel valutare tali proposte.

Modificare radicalmente il Pnrr è un rischio per la ricezione dei fondi.

Ammettendo che le eventuali richieste di revisione vengano approvate dalla commissione, va sottolineato che un processo di modifica dell’agenda bloccherebbe in ogni caso l’avanzamento delle scadenze e il rispetto del cronoprogramma. Con il rischio di perdere ingenti risorse. Ogni sei mesi infatti, la commissione controlla che i paesi abbiano completato, nei tempi stabiliti, le scadenze definite nei rispettivi Pnrr. In caso di mancanze o irregolarità, l’istituzione può decidere di erogare solo una parte delle risorse o di ridurle complessivamente, qualora le carenze evidenziate non vengano colmate.

Le scadenze e il loro avanzamento

A inizio settembre, il presidente dimissionario Draghi ha chiesto ai suoi ministri di velocizzare i tempi di realizzazione delle rispettive scadenze. L’obiettivo: cercare di completare, per la fine di ottobre, almeno la metà degli interventi da raggiungere entro l’anno. Per salvaguardare gli impegni previsti dall’attuale Pnrr e provare a mettere il paese nelle condizioni di poter richiedere a fine dicembre, la terza tranche di finanziamento a Bruxelles. Tuttavia – in base al nostro ultimo monitoraggio delle scadenze effettuato lo scorso 20 settembre – il governo uscente sembra essere molto lontano dal conseguire il suo intento.

Al 20 settembre – a dieci giorni dalla fine del terzo trimestre – risulta completata solo 1 delle 4 milestone europee previste tra luglio e settembre. Si tratta dell’approvazione della strategia di investimento del fondo per la rigenerazione urbana. Delle altre invece, 2 sono a buon punto e 1 ancora in corso. Ma la situazione più critica riguarda e riguarderà il quarto e ultimo trimestre del 2022, che prevede il conseguimento di 51 milestone e target europei tra ottobre e dicembre.

7 su 51 le scadenze completate, sul totale di quelle di rilevanza europea previste per il quarto trimestre 2022.

Le restanti 44 si dividono tra 8 interventi che consideriamo a buon punto, 34 in corso e 2 ancora da avviare.

Inoltre, va sottolineato che risultano ancora in ritardo 3 milestone che andavano raggiunte nel secondo trimestre (aprile-giugno 2022). Prevedono rispettivamente l’entrata in vigore dei decreti per: la strategia nazionale per l’economia circolare, il programma nazionale di gestione dei rifiuti e la semplificazione e la mobilità nel settore della ricerca e sviluppo. In tutti e tre i casi, i decreti ministeriali sono stati firmati ma non ancora pubblicati in gazzetta ufficiale. Di conseguenza non si possono considerare in vigore, condizione necessaria per il completamento. Nonostante ciò, la commissione le ha valutate come conseguite e ha approvato giusto ieri il rilascio della seconda tranche di finanziamento all’Italia. Dimostrando una flessibilità che non sappiamo se verrà applicata anche all’operato del prossimo esecutivo.

I temi centrali degli interventi

Su OpenPNRR abbiamo suddiviso per temi tutti gli interventi del piano, per riflettere a pieno la trasversalità che li caratterizza e che non trova pieno riscontro nella divisione in missioni. È interessante ora utilizzare questo indicatore originale per vedere il quadro attuale degli ambiti su cui il Pnrr dovrebbe intervenire entro dicembre.

50 scadenze europee del 2022 che al 20 settembre risultano ancora da conseguire, tra quelle incomplete del T3, del T4 e quelle in ritardo dal T2.

È con questi interventi che il nuovo esecutivo dovrà in ogni caso avere a che fare. Sia per decidere di portarli a termine, sia per sospendere l’intera agenda e saltare la richiesta della terza tranche, prevista per la fine dell’anno.

I due temi più toccati dagli interventi del Pnrr da completare entro il 2022 sono transizione ecologica e digitalizzazione. Con un totale di 10 scadenze per il primo – di cui 2 in ritardo, 3 del terzo trimestre 5 del quarto – e 9 per il secondo – tutte previste per il quarto trimestre. Una situazione che ci si poteva aspettare considerando che, al di là del lasso di tempo specifico che stiamo analizzando, la centralità di questi due ambiti di intervento vale per l’intero piano. L’attuale agenda infatti destina il 37,46% dei fondi alla transizione ecologica e il 25,12% alla digitalizzazione. Anche su questo sarà interessante capire se e come il nuovo governo rimodulerà tali quote.

Gli stati membri sono tenuti a investire almeno il 37% delle risorse del Pnrr in transizione ecologica e almeno il 20% in digitalizzazione. Vai a “Come l’Europa valuta il Pnrr degli stati membri”

Un vincolo che chiaramente deve essere rispettato anche da eventuali revisioni del piano.

Tornando al grafico, seguono altre tematiche cruciali: lavoro (8 scadenze), scuola (1 in ritardo e 4 da conseguire nel quarto trimestre), infrastrutture (5 non completate), salute (2). Da notare, infine, che proprio entro la fine dell’anno è previsto il conseguimento di alcuni interventi sia sul fronte del fisco e della revisione della spesa (4), sia sulla giustizia (2). Entrambi temi di grande importanza che potrebbero incidere sulla scelta di un nuovo governo di optare per una revisione del piano. Per poter rivedere l’iter normativo e ridefinire la direzione di queste cruciali riforme. Una prospettiva ancora più concreta, considerando che l’esecutivo sarà con tutta probabilità guidato dal centro-destra.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Instagram Giorgia Meloni

 

Le sfide del Pnrr per il governo che verrà #OpenPNRR

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A due giorni dalla fine del terzo trimestre e dall’inizio del quarto, vediamo quante e quali scadenze Pnrr andrebbero completate entro dicembre. E quali prospettive e opzioni presenta uno scenario in cui il nuovo governo, una volta operativo, scelga di modificare l’agenda.

 

Sono passati tre giorni dalle elezioni politiche che hanno sancito la vittoria della coalizione di centro-destra composta da Fratelli d’Italia (26,2%), Lega (8,9%) Forza Italia (8,3%) e Noi Moderati (0,9%). La prima convocazione delle nuove camere sarà il 13 ottobre, dopodiché si avvierà il processo di formazione del nuovo governo.

Una serie di passaggi delicati, che iniziano con la definizione dei ministeri e la nomina di ministri e sottosegretari. A cui seguono la richiesta di fiducia in parlamento e la riorganizzazione dei dicasteri. Dalla scelta delle deleghe da dare a viceministri e sottosegretari all’eventuale riorganizzazione dei ministeri al loro interno, a partire dalle direzioni generali.

Anche volendo ipotizzare uno svolgimento insolitamente rapido di tutti questi passaggi, i tempi richiesti per la ripresa effettiva dei lavori di un nuovo esecutivo sono inevitabilmente lunghi.

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L’attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza, al contrario, prevede tempi estremamente ristretti. L’agenda si articola infatti nel conseguimento trimestrale di un determinato numero di scadenze. Il quarto e ultimo trimestre del 2022 si svolge dal 1 ottobre al 31 dicembre e prevede il raggiungimento di 51 scadenze (di cui attualmente 7 già completate), a cui dovrebbe seguire la richiesta da parte dell’Italia all’Unione europea, della terza tranche di finanziamento del piano.

€ 21 mld la seconda tranche di fondi Pnrr per l’Italia, il cui rilascio è stato approvato dalla commissione europea ieri, 26 settembre 2022.

Ma quali conseguenze avrà la formazione di un nuovo governo sull’attuazione del Pnrr? Anche se a oggi possiamo solo avanzare delle ipotesi, è comunque utile ripercorrere i possibili scenari di modifica dell’agenda. E soprattutto, ricostruire un quadro di quanti e quali interventi sarebbe necessario completare entro la fine dell’anno per richiedere nuovi finanziamenti a Bruxelles.

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Considerando i risultati elettorali, è presumibile ritenere che sarà la coalizione di centro-destra a formare un esecutivo in grado di ricevere la fiducia parlamentare. E sul Pnrr l’intenzione di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati è quella di rivedere l’attuale agenda. O almeno così hanno dichiarato nel loro programma comune.

Apportare modifiche al piano è un’opzione percorribile, ma che deve necessariamente ricevere l’approvazione della commissione europea per concretizzarsi. In caso di parere negativo, si rischia invece di andare incontro a una sospensione – o nei peggiori casi a una riduzione – dei fondi.

Le proposte di modifica devono essere giustificate da circostanze oggettive che abbiano reso impossibile realizzare gli interventi previsti. Vai a “Quanto e come può essere modificato il Pnrr”

Una circostanza oggettiva, sostiene la Lega, sarebbe l’aumento dei costi delle materie prime. Infatti, se l’ammontare di risorse già destinato a determinate opere risulta insufficiente perché i materiali sono diventati più costosi, è chiaro che tali progetti necessitano delle modifiche per essere comunque realizzati.

Diverso è il caso delle riforme previste dal Pnrr, in particolare quelle su due temi centrali per la coalizione di centro-destra: la giustizia e la legge annuale della concorrenza. Il loro iter è stato avviato e alcune leggi delega sono già state approvate dal parlamento uscente. Chiaramente il nuovo governo, alla guida di uno stato sovrano, potrà decidere di modificare queste normative. Ma per farlo, rimettendo in discussione scadenze che erano già state completate negli scorsi trimestri, dovrebbe prima dimostrare alla commissione europea l’impossibilità di completare tali riforme nel modo in cui erano state originariamente definite. Sperando che l’organo esecutivo dell’Unione sia flessibile nel valutare tali proposte.

Modificare radicalmente il Pnrr è un rischio per la ricezione dei fondi.

Ammettendo che le eventuali richieste di revisione vengano approvate dalla commissione, va sottolineato che un processo di modifica dell’agenda bloccherebbe in ogni caso l’avanzamento delle scadenze e il rispetto del cronoprogramma. Con il rischio di perdere ingenti risorse. Ogni sei mesi infatti, la commissione controlla che i paesi abbiano completato, nei tempi stabiliti, le scadenze definite nei rispettivi Pnrr. In caso di mancanze o irregolarità, l’istituzione può decidere di erogare solo una parte delle risorse o di ridurle complessivamente, qualora le carenze evidenziate non vengano colmate.

Le scadenze e il loro avanzamento

A inizio settembre, il presidente dimissionario Draghi ha chiesto ai suoi ministri di velocizzare i tempi di realizzazione delle rispettive scadenze. L’obiettivo: cercare di completare, per la fine di ottobre, almeno la metà degli interventi da raggiungere entro l’anno. Per salvaguardare gli impegni previsti dall’attuale Pnrr e provare a mettere il paese nelle condizioni di poter richiedere a fine dicembre, la terza tranche di finanziamento a Bruxelles. Tuttavia – in base al nostro ultimo monitoraggio delle scadenze effettuato lo scorso 20 settembre – il governo uscente sembra essere molto lontano dal conseguire il suo intento.

Al 20 settembre – a dieci giorni dalla fine del terzo trimestre – risulta completata solo 1 delle 4 milestone europee previste tra luglio e settembre. Si tratta dell’approvazione della strategia di investimento del fondo per la rigenerazione urbana. Delle altre invece, 2 sono a buon punto e 1 ancora in corso. Ma la situazione più critica riguarda e riguarderà il quarto e ultimo trimestre del 2022, che prevede il conseguimento di 51 milestone e target europei tra ottobre e dicembre.

7 su 51 le scadenze completate, sul totale di quelle di rilevanza europea previste per il quarto trimestre 2022.

Le restanti 44 si dividono tra 8 interventi che consideriamo a buon punto, 34 in corso e 2 ancora da avviare.

Inoltre, va sottolineato che risultano ancora in ritardo 3 milestone che andavano raggiunte nel secondo trimestre (aprile-giugno 2022). Prevedono rispettivamente l’entrata in vigore dei decreti per: la strategia nazionale per l’economia circolare, il programma nazionale di gestione dei rifiuti e la semplificazione e la mobilità nel settore della ricerca e sviluppo. In tutti e tre i casi, i decreti ministeriali sono stati firmati ma non ancora pubblicati in gazzetta ufficiale. Di conseguenza non si possono considerare in vigore, condizione necessaria per il completamento. Nonostante ciò, la commissione le ha valutate come conseguite e ha approvato giusto ieri il rilascio della seconda tranche di finanziamento all’Italia. Dimostrando una flessibilità che non sappiamo se verrà applicata anche all’operato del prossimo esecutivo.

I temi centrali degli interventi

Su OpenPNRR abbiamo suddiviso per temi tutti gli interventi del piano, per riflettere a pieno la trasversalità che li caratterizza e che non trova pieno riscontro nella divisione in missioni. È interessante ora utilizzare questo indicatore originale per vedere il quadro attuale degli ambiti su cui il Pnrr dovrebbe intervenire entro dicembre.

50 scadenze europee del 2022 che al 20 settembre risultano ancora da conseguire, tra quelle incomplete del T3, del T4 e quelle in ritardo dal T2.

È con questi interventi che il nuovo esecutivo dovrà in ogni caso avere a che fare. Sia per decidere di portarli a termine, sia per sospendere l’intera agenda e saltare la richiesta della terza tranche, prevista per la fine dell’anno.

I due temi più toccati dagli interventi del Pnrr da completare entro il 2022 sono transizione ecologica e digitalizzazione. Con un totale di 10 scadenze per il primo – di cui 2 in ritardo, 3 del terzo trimestre 5 del quarto – e 9 per il secondo – tutte previste per il quarto trimestre. Una situazione che ci si poteva aspettare considerando che, al di là del lasso di tempo specifico che stiamo analizzando, la centralità di questi due ambiti di intervento vale per l’intero piano. L’attuale agenda infatti destina il 37,46% dei fondi alla transizione ecologica e il 25,12% alla digitalizzazione. Anche su questo sarà interessante capire se e come il nuovo governo rimodulerà tali quote.

Gli stati membri sono tenuti a investire almeno il 37% delle risorse del Pnrr in transizione ecologica e almeno il 20% in digitalizzazione. Vai a “Come l’Europa valuta il Pnrr degli stati membri”

Un vincolo che chiaramente deve essere rispettato anche da eventuali revisioni del piano.

Tornando al grafico, seguono altre tematiche cruciali: lavoro (8 scadenze), scuola (1 in ritardo e 4 da conseguire nel quarto trimestre), infrastrutture (5 non completate), salute (2). Da notare, infine, che proprio entro la fine dell’anno è previsto il conseguimento di alcuni interventi sia sul fronte del fisco e della revisione della spesa (4), sia sulla giustizia (2). Entrambi temi di grande importanza che potrebbero incidere sulla scelta di un nuovo governo di optare per una revisione del piano. Per poter rivedere l’iter normativo e ridefinire la direzione di queste cruciali riforme. Una prospettiva ancora più concreta, considerando che l’esecutivo sarà con tutta probabilità guidato dal centro-destra.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Instagram Giorgia Meloni

 

Notifica atti di accertamento e emissione dell’ordinanza: disposizioni

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La circolare INPS 25 febbraio 2022, n. 32 ha fornito le disposizioni operative per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione prevista in caso del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali.

La fase di prima applicazione della normativa ha prodotto una serie di contestazioni, anche in sede giudiziaria, che ha reso necessario approfondire i profili di criticità emersi con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

L’INPS, con il messaggio 27 settembre 2022, n. 3516, illustra i contenuti delle determinazioni ministeriali che incidono sia sul procedimento sanzionatorio fino a oggi adottato sia sulla misura delle sanzioni amministrative da irrogare ai trasgressori con l’ordinanza-ingiunzione e detta le nuove indicazioni operative alle proprie strutture.

Assegno unico: aumentano gli importi per i figli disabili maggiorenni

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Aumentano gli importi dell’Assegno unico per i nuclei familiari con figli disabili maggiorenni. Il decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73 (decreto Semplificazioni) ha infatti modificato gli importi, aumentandoli limitatamente al 2022, al fine di assicurare un adeguato sostegno ai nuclei familiari con figli con disabilità a prescindere dall’età.

Lo stesso decreto-legge, inoltre, prevede nuove disposizioni per potere beneficiare dell’Assegno unico in presenza di nuclei familiari orfanili, composti da soggetti disabili gravi e titolari di pensione ai superstiti del genitore deceduto.

Lo rende noto l’INPS con il messaggio 27 settembre 2022, n. 3518, illustrando nel dettaglio le novità introdotte dal decreto Semplificazioni e i nuovi importi, riportando anche una tabella riepilogativa.

Notizie inps

Corso di lingue in Italia 2022: pubblicate le graduatorie