Archivi giornalieri: 25 settembre 2022

San Cleofa

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San Cleofa


Nome: San Cleofa
Titolo: Discepolo di Gesù
Nascita: I secolo , Sconosciuto
Morte: I secolo, Emmaus
Ricorrenza: 25 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
 
San Cleofa fu un discepolo di Gesù. Durante il giorno della Resurrezione, a seguito delle celebrazioni pasquali, stava tornando insieme ad un altro discepolo, di nome Alfeo, verso le terre di Emmaus. Entrambi furono accompagnati presso il Risorto ma riuscirono a riconoscerlo solamente dopo aver offerto lui una generosa ospitalità presso la loro dimora.

“Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, uno di loro, di nome Cleofa, gli disse: < Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute>

Furono queste le parole con le quali Cleofa si rivolse allo sconosciuto parlando con tono profondamente dispiaciuto e facendo chiaramente trasparire la sua delusione e poco dopo aggiunse: “Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”.

Udite queste parole e riconosciuta l’ancora viva speranza lo sconosciuto iniziò a spiegare loro le Scritture dicendo “Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu al tavolo con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”.

Fu attraverso queste parole che compresero di chi si trattasse, ma nel momento in cui lo riconobbero lui sparì dalla loro vista.

PRATICA. Facciamo sempre che la fede, la perseveranza e la speranza colmino i nostri giorni

PREGHIERA. O Dio che hai lasciato viva la speranza e la fede nei discepoli fa che noi possiamo vivere di speranza

MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Cleofa, discepolo del Signore, al quale ardeva il cuore, quando, mentre era in viaggio con un altro discepolo, Cristo apparve la sera di Pasqua e spiegò loro lungo la via le Scritture; fu anche colui che nel villaggio di Emmaus riconobbe il Signore nell’atto di spezzare il pane.

 

Sono ancora troppe le persone disabili a rischio di povertà Europa

Sono ancora troppe le persone disabili a rischio di povertà Europa

Le persone con disabilità sono maggiormente esposte alla marginalizzazione economica e sociale. L’intervento pubblico può tutelarle e fornire loro maggiore autonomia.

 

Uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile è legato all’eradicazione della povertà in tutte le sue forme. Ci sono però categorie che possono essere più a rischio di altre. È questo il caso delle persone con disabilità, che non sempre riescono a raggiungere una piena autonomia e inclusione nel mondo del lavoro.

La politica europea per l’inclusione delle persone disabili

Nel marzo 2021 è stata adottata la strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 con lo scopo di ridurre la marginalizzazione economica e sociale delle persone con varie forme di invalidità. Uno dei pilastri su cui si fonda è la necessità di maggiore accessibilità infrastrutturale che incide direttamente sull’autonomia. L’accesso a internet, ad esempio, può essere un aiuto importante ma ad oggi non è ancora capillare tra le persone con disabilità.

64,3% persone disabili con più di 16 anni che hanno un accesso a internet (Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030).

L’autonomia è un prerequisito fondamentale per poter partecipare nella vita della società al pari degli altri. Sono però necessarie numerose politiche di tutela per evitare che questa condizione influisca sull’ottenimento di un lavoro adatto alle esigenze del singolo individuo e che permetta buoni standard di vita.

Il rischio di povertà è maggiore per le persone con disabilità.

Le persone con disabilità sono infatti una categoria particolarmente esposta al rischio di povertà. Con questo termine si intende una condizione in cui il reddito disponibile è al di sotto di una precisa soglia di povertà calcolata sull’intera popolazione, ci sono dei gravi problemi di deprivazione materiale e sociale o le persone del nucleo familiare sono disoccupate o hanno lavori discontinui. Nell’Unione europea, la percentuale di persone disabili a rischio di povertà è sempre maggiore rispetto a quella di coloro che non hanno condizioni di salute invalidanti.

Nel 2016, l’andamento di questi ultimi ha raggiunto un picco (15,9%) per poi andare a calare fino al 2019 (14,6%) e mantenersi relativamente stabile nel 2020. Al contrario, il dato per le persone con disabilità è sempre in crescita, arrivando a un 21% nel 2020. Questo cambio nell’andamento genera un aumento del divario tra le due categorie.

Tra i paesi comunitari, questo valore varia sensibilmente. Incide sicuramente anche la diversa situazione economica degli stati membri.

Tra i paesi dell’Unione europea, quello in cui la proporzione di persone disabili a rischio di povertà è maggiore è la Bulgaria con il 37,5%. Seguono le repubbliche baltiche: Estonia (35,9%), Lettonia (33,7%) e Lituania (32%). Gli stati in cui invece la percentuale è minore sono la Finlandia (15,7%), la Danimarca (13,9%) e la Slovacchia (13%). In Italia il valore si assesta al 20,5%, un dato in linea con la media europea.

Lo stato può limitare la marginalizzazione delle persone con disabilità.

L’intervento dello stato è importante per garantire la piena inclusione delle persone con disabilità e limitare la loro esposizione a condizioni di povertà e disagio sociale. A livello di contabilità pubblica, questa spesa è inserita all’interno della sezione che comprende anche gli infortuni e le malattie. Sono qui comprese le uscite per il mantenimento di un livello di reddito adeguato, le attività di supporto nella vita quotidiana e determinate forme di indennità legate alla condizione del singolo. Non sono inclusi i servizi e i prodotti sanitari, compresi nella spesa dedicata alla sanità.

La spesa maggiore in termini di proporzione di Pil impiegato in questo ambito è registrata in Lituania (4,7%), uno dei paesi in cui si registra la percentuale più alta di persone disabili a rischio di povertà. Seguono Danimarca (4,6%), Paesi Bassi (4,3%) e Slovacchia (3,9%). Gli stati che spendono di meno sono Malta (1%), Bulgaria (0,6%) e Cipro (0,5%). L’Italia riporta uscite pari al 2%, inferiori alla media dei paesi europei (3%).

Il ruolo dei comuni italiani per l’inclusione delle persone con disabilità

In Italia, le amministrazioni ricoprono una funzione importante a livello sociale. In quanto enti di prossimità, sono più vicini alle esigenze dirette della popolazione. Hanno quindi la possibilità di finanziare interventi che hanno un impatto diretto sulla tutela delle persone più fragili, destinando una parte delle uscite di bilancio. In questo ambito specifico, si parla sia di riduzione fisica delle barriere architettoniche che di incentivo all’inclusione sociale e lavorativa, attraverso azioni che mirano alla riduzione di altre barriere meno fisiche ma altrettanto dannose.

Nel 2018 i comuni italiani hanno speso in tutto circa 7,5 miliardi di euro per la gestione del welfare nelle loro aree di competenza. I costi per gli interventi legati alla disabilità comprendono il 26,8% delle uscite totali, all’incirca 2 miliardi di euro. Rappresenta la seconda voce di spesa più onerosa per le casse comunali.

Calcolando l’incidenza a livello regionale, i comuni sardi sono quelli in cui risulta più rilevante (45,7%). Seguono quelli abruzzesi (35,7%) e quelli lombardi (31,8%). È invece la più bassa per le amministrazioni dell’Emilia-Romagna (19,6%) della provincia autonoma di Bolzano (18,3%) e della Valle d’Aosta (0,4%).

Foto: Jon Tyson – licenza

 

Quanto e come può essere modificato il Pnrr

Quanto e come può essere modificato il Pnrr

I governi nazionali possono, entro certi limiti, modificare i propri piani di ripresa e resilienza. Una prospettiva che in Italia, con le elezioni del 25 settembre e il conseguente cambio di governo, è piuttosto concreta e non priva di criticità.

Definizione

L’Unione europea prevede la possibilità per gli stati membri di apportare delle modifiche ai rispettivi piani nazionali di ripresa e resilienza. Un processo che può essere avviato in qualsiasi fase di attuazione dell’agenda e che può portare anche alla stesura di un piano interamente nuovo.

A stabilirlo è l’articolo 21 del regolamento Ue 2021/241, specificando che le modifiche devono essere giustificate da circostanze oggettive, per le quali non è più possibile realizzare i traguardi e gli obiettivi inizialmente previsti. È la commissione europea poi a dover valutare tali giustificazioni e, in generale, i piani rivisti entro due mesi di tempo dalla richiesta. Nell’esaminare un Pnrr modificato (o nuovo) l’organo esecutivo dell’Ue considera numerosi elementi e criteri. Gli stessi che sono stati considerati nella fase di approvazione di tutti i piani nazionali e che vengono descritti in dettaglio negli articoli 18 e 19 del regolamento. Tra i principali vincoli sono inclusi i seguenti:

  • almeno il 37% della dotazione totale del piano deve essere destinato a obiettivi di transizione ecologica e nessuna misura deve danneggiare l’ambiente, in linea con il principio “non arrecare un danno significativo“.
  • allo stesso modo, almeno il 20% degli investimenti deve essere diretto alla transizione digitale;
  • il Pnrr deve essere in linea con le raccomandazioni specifiche dell’Ue per ciascun paese, compresi gli aspetti di bilancio e quelli trattati nell’ambito del semestre europeo.

Conclusa la valutazione, la commissione esprime un voto a maggioranza semplice, laddove non sia stato possibile raggiungere un consenso unanime, che rimane l’opzione preferibile. In caso di parere positivo da parte della commissione, spetta poi al consiglio europeo l’approvazione in via definitiva entro quattro settimane. Per decisioni di questo tipo, cioè di esecuzione, il consiglio, composto dai 27 capi di stato o di governo dei paesi membri, vota a maggioranza qualificata.

Se la commissione ritiene invece che le spiegazioni presentate da uno stato membro non giustifichino una modifica del Pnrr, la richiesta viene respinta. Il paese in questione avrà poi un mese di tempo per presentare osservazioni a riguardo.

Analisi

Modificare il Pnrr è quindi possibile, ma non senza criticità. Da un lato come abbiamo visto, vengono posti dei limiti da parte dell’Ue al raggio d’azione di tali revisioni. Dall’altro, processi di cambiamento radicale delle agende in corso comporterebbero inevitabilmente dei rallentamenti e dei ritardi nell’attuazione del Pnrr. Con il conseguente rischio di perdere parte dei fondi.

Il rilascio delle diverse tranche di finanziamento agli stati, infatti, è vincolato al rispetto del cronoprogramma delle scadenze fino al 2026. Ogni sei mesi la commissione controlla che i paesi abbiano conseguito nei tempi tutti gli interventi previsti. Solo se l’esito della verifica è positivo, vengono inviati i fondi. Va da sé che un processo di revisione profonda comporterebbe inevitabilmente uno stop all’attuazione del Pnrr e quindi una sospensione, almeno temporanea, dei fondi. Più sono sostanziali le modifiche proposte, più tempo sarà infatti necessario alla commissione per validare la nuova agenda e al paese per riprenderne l’attuazione e quindi per ricevere nuovi finanziamenti.

La situazione in Italia

Il prossimo 25 settembre il nostro paese andrà al voto e diversi partiti hanno dichiarato la loro intenzione di rivedere, in modo più o meno radicale, l’attuale Pnrr. In particolare Fratelli d’Italia, il partito alla guida della coalizione di destra e primo nei sondaggi, dichiara di voler avviare un processo di modifica, nei limiti indicati dall’articolo 21, “per destinare maggiori risorse all’approvvigionamento e alla sicurezza energetici”. Un proposito condiviso in larga parte dagli alleati di coalizione, Lega e Forza Italia. Dall’altro lato, il Partito democratico sostiene di voler solo potenziare alcune misure del piano e garantire il rispetto della quota mezzogiorno. Ma i partiti con cui è in coalizione, Sinistra Italiana e Verdi, hanno posizioni più critiche sull’agenda attualmente in corso.

Anche se non è possibile prevedere con certezza quello che accadrà, l’intenzione di rivedere il piano è trasversale a quasi tutte le forze politiche. Dunque a oggi possiamo affermare che la prospettiva di una revisione dell’attuale Pnrr da parte del prossimo governo italiano è piuttosto concreta. Così come sono concrete le criticità che un simile processo comporterebbe, specialmente in questa fase.

Innanzitutto, per richiedere a Bruxelles la terza tranche di finanziamento entro la fine dell’anno, come previsto, l’Italia nel prossimo trimestre (da inizio ottobre a fine dicembre 2022) dovrebbe conseguire complessivamente 51 scadenze europee, di cui solo 6 già completate. Il presidente dimissionario Draghi ha chiesto ai suoi ministri di velocizzare i tempi di attuazione per cercare di completare, tra settembre e ottobre, la metà delle scadenze previste entro l’anno. Tuttavia, è bene sottolineare che l’attuale governo è in carica solo per il disbrigo degli affari correnti e che già non è riuscito a far approvare – a un parlamento in piena campagna elettorale – alcuni decreti rilevanti come i Dl 80/2022 e 85/2022. Di conseguenza risulta difficile credere che l’obiettivo dichiarato verrà raggiunto. Considerando inoltre gli altri impegni previsti entro dicembre – in primis la legge di bilancio – e in generale i tempi necessari alla formazione di un esecutivo e alla ripresa dei lavori di ministeri e dipartimenti, sarebbe difficile già così immaginare che il nuovo governo riesca a rispettare il cronoprogramma. A maggior ragione risulta altamente improbabile, con una sospensione dell’attuazione del Pnrr e l’avvio di un processo di revisione.

Considerando che l’Italia è il paese Ue a cui è destinato l’importo più alto dal dispositivo di ripresa e resilienza (circa 191 miliardi di euro in totale), rallentamenti e sospensioni dei fondi comporterebbero il rischio di perdere un’ingente quantità di risorse. La posta in gioco quindi è alta e i tempi sono stretti. E qualsiasi sarà la coalizione alla guida del governo, nessuna proposta di revisione del Pnrr potrà prescindere da questa consapevolezza.

 

6. Un quarto dei candidati ha cambiato gruppo in parlamento

6. Un quarto dei candidati ha cambiato gruppo in parlamento

Più di un quarto dei candidati, tra i parlamentari uscenti, ha cambiato gruppo nella legislatura appena terminata. Parliamo di oltre 170 tra deputati e senatori che hanno scelto di collocarsi altrove rispetto alle liste rappresentative delle forze politiche con cui erano stati eletti nel 2018. In molti casi operando anche più di un cambio nel tempo.

Quello dei cambi di casacca in parlamento è un tema che suscita sempre grande interesse da parte dei media e dell’opinione pubblica. Sebbene sia una pratica del tutto legittima (e tutelata dall’articolo 67 della costituzione), è condannata in maniera trasversale anche dalle stesse forze politiche. Questo perché in genere viene vista come un “tradimento” della volontà degli elettori. I quali spesso si ritrovano a scegliere un rappresentante che poi abbandona il proprio schieramento dopo l’elezione. In molti casi passando anche dal centrodestra al centrosinistra e viceversa.

Anche per questo motivo è utile analizzare quanto successo nella legislatura appena conclusa. Sono molti infatti i deputati e i senatori uscenti che sono stati ricandidati dai vari partiti. Tra questi un gruppo nutrito si è reso protagonista di almeno un cambio di appartenenza tra il 2018 e il 2022.

171 su 619 i parlamentari ricandidati che hanno cambiato gruppo nel corso della XVIII legislatura, pari al 27,6%.

Nella prima parte di questo articolo approfondiremo i dati generali relativi al fenomeno. Nella seconda invece esamineremo più nel dettaglio le vicende dei deputati e dei senatori uscenti che hanno cambiato gruppo tra il 2018 e il 2022 e che sono stati ricandidati dalle forze politiche in cui sono approdati.

Cambi di gruppo, un quadro generale

l fenomeno dei cambi di casacca ha caratterizzato l’attuale legislatura fin dal suo inizio. Infatti i primi riposizionamenti si sono registrati già a poche settimane dell’avvio dei lavori delle camere. Ci sono stati poi alcuni avvenimenti politici che hanno impresso una significativa accelerazione. I cambi di governo, incluse le recenti dimissioni di Mario Draghi, ad esempio hanno determinato alcuni picchi del fenomeno. Molti riposizionamenti inoltre sono avvenuti anche tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, in concomitanza con l’avvio delle operazioni che hanno portato alla conferma al Quirinale di Sergio Mattarella.

Anche a seguito di questi avvenimenti, i cambi di gruppo complessivi registrati sono stati 463 e hanno visto protagonisti rispettivamente 218 deputati e 88 senatori. Come già anticipato, tra questi ce ne sono 171 che sono stati ricandidati alle elezioni del prossimo 25 settembre.

131 i cambi di gruppo avvenuti tra maggio (inizio della crisi del governo Draghi) e settembre 2022.

Un elemento interessante da questo punto di vista riguarda il fatto che 16 cambi di gruppo sono avvenuti anche tra agosto e settembre. In questo caso, visto che di fatto la legislatura era ormai già terminata, tale scelta potrebbe essere dovuta a una polemica verso il partito per la mancata ricandidatura. Nessuno dei parlamentari che ha cambiato gruppo in questo periodo infatti risulta tra coloro che sono stati ricandidati.

Con chi si candidano i parlamentari che hanno cambiato gruppo

Il 28% circa dei parlamentari ricandidati quindi ha cambiato collocazione almeno una volta nel corso della legislatura. Ma come si posizionano questi esponenti all’interno delle varie liste? La formazione che schiera il maggior numero di “transfughi” è Impegno civico, il soggetto politico creato dal ministro degli esteri Luigi Di Maio. I candidati all’interno di questa lista che hanno cambiato gruppo sono 49 (41 deputati e 8 senatori). Ovviamente su questo dato pesa la “scissione” operata da Di Maio ai danni del Movimento 5 stelle. Nei gruppi parlamentari di Insieme per il futuro sia alla camera che al senato infatti sono confluiti quasi tutti ex 5s.

A questo proposito, occorre ricordare che tra i motivi che avevano portato alla rottura (anche se ufficialmente questa è stata attribuita alle posizioni ambigue del M5s nei confronti del sostegno all’Ucraina) vi era anche il limite dei due mandati. Una regola che avrebbe comportato la fine della carriera politica per molti degli esponenti confluiti in Insieme per il futuro (questo il nome dei gruppi alla camera e al senato a cui hanno aderito i parlamentari vicini a Di Maio e che risultano candidati nella lista Impegno civico), Inclusi alcuni esponenti di primo piano come Manlio Di StefanoLaura Castelli e Dalila Nesci, oltre allo stesso Di Maio.

Le motivazioni di un cambio gruppo possono essere molte. Per questo è auspicabile valutare i candidati caso per caso.

Un caso simile è quello della lista Azione-Italia viva, seconda per numero di parlamentari ricandidati che hanno cambiato gruppo. In questo caso si tratta di 33 deputati e 15 senatori. In questa circostanza a pesare è la scissione operata da Matteo Renzi e dai parlamentari a lui vicini all’interno del Partito democratico. A differenza di Ipf però, i gruppi di Iv sia alla camera che al senato si sono costituiti nel 2019 e da allora sono cambiati molto. Registrando diversi ingressi, sia da parte di esponenti di centrodestra che di centrosinistra, ma anche diversi abbandoni.

Anche Azione, il partito di Carlo Calenda, si è formato nel corso del 2019, a legislatura in corso. A differenza di Italia viva, in parlamento non ha raggiunto i numeri per creare dei gruppi autonomi e si è quindi costituito come componente del gruppo misto insieme ad altre formazioni. Tra i candidati più noti che sono confluiti in queste componenti vi sono Barbara MasiniMatteo RichettiEnrico Costa e Osvaldo Napoli. A questi sono da aggiungere anche Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, le 2 ex ministre fuoriuscite da Forza Italia in polemica con la scelta del partito di contribuire alla caduta del governo Draghi non votando la fiducia.

17 le liste che schierano parlamentari uscenti che hanno cambiato gruppo nel corso della XVIII legislatura.

Al terzo posto troviamo Noi moderati, l’alleanza che riunisce diverse sigle della galassia di centrodestra (Noi con l’Italia, Coraggio Italia e Cambiamo!). Questa lista schiera infatti 14 deputati e 3 senatori che nel corso della legislatura hanno cambiato appartenenza. Seguono, tra le liste che presentano almeno 10 transfughi, Partito democratico (12 candidati) e Lega (10).

Cambi di gruppo multipli

Il principio in base al quale un parlamentare può aderire ad un gruppo diverso rispetto a quello rappresentativo della lista in cui è stato eletto è quello del divieto di mandato imperativo. Una norma introdotta dal costituente al fine di assicurare ai deputati e ai senatori la massima autonomia ed evitare condizionamenti esterni. Uno degli effetti collaterali di questa scelta però è il fatto che ogni parlamentare può cambiare gruppo un numero illimitato di volte. Da questo punto vista il nuovo regolamento del senato, approvato recentemente, ha introdotto alcuni paletti per cercare di disincentivare la pratica.

I gruppi rappresentano la proiezione delle liste elettorali all’interno del parlamento. Ogni parlamentare deve aderire ad un gruppo ma può scegliere a quale senza vincoli. E può anche cambiare liberamente nel corso della legislatura assumendosene la responsabilità politica di fronte agli elettori. Vai a “Che cosa sono i gruppi parlamentari”

Tra i deputati e i senatori uscenti che sono stati ricandidati ce ne sono in particolare 55 che hanno cambiato appartenenza più di una volta. Nell’analizzare questo dato tuttavia è importante tenere presente che le motivazioni che portano un parlamentare a cambiare gruppo possono essere molteplici. Alcuni spostamenti infatti possono essere anche “obbligati”. È il caso ad esempio degli aderenti a Coraggio Italia, gruppo che è stato sciolto perché, a causa di alcuni abbandoni, non aveva più il numero minimo di aderenti previsto dal regolamento della camera.

In molti casi è ipotizzabile che il cambio di gruppo sia motivato dalla ricerca di maggiori possibilità di rielezione.

In altri casi però, gli spostamenti possono avere anche motivazioni di opportunità politica. Ad esempio molti parlamentari hanno effettuato un breve passaggio nel gruppo misto prima di aderire ad una nuova formazione. Un modo, probabilmente, per rendere meno traumatico il riposizionamento agli occhi di elettori ed ex colleghi di partito. Oppure ancora è possibile che taluni abbiano scelto di cambiare gruppo nella speranza di aumentare le proprie probabilità di candidatura e rielezione. Un caso di questo tipo può essere quello dei molti ex 5s che, avendo raggiunto il secondo mandato, non sarebbero stati inseriti nelle liste del movimento.

Fatte queste premesse, al primo posto nella classifica dei parlamentari con il maggior numero di cambi di gruppo nella XVIII legislatura troviamo l’onorevole Maria Teresa Baldini con 5 riposizionamenti. Candidata da Noi moderati, Baldini ha iniziato la legislatura con Fratelli d’Italia per poi passare al gruppo misto e successivamente in Forza Italia, Coraggio Italia, Italia viva e terminare il proprio percorso ancora nel gruppo misto.

 

5. Assenze e presenze in aula dei candidati alle elezioni

5. Assenze e presenze in aula dei candidati alle elezioni

La diciottesima legislatura si chiude con una partecipazione alle sedute in parlamento di oltre il 70% da parte di deputati e senatori. Con 139 di loro, però, che hanno partecipato a meno della metà delle sedute e 38 che registrano addirittura meno del 25% delle presenze in aula.

Uno dei temi legati all’attività del parlamento che gode sempre di grande attenzione presso media e opinione pubblica è quello della partecipazione ai lavori delle camere da parte di deputati e senatori. In base ai regolamenti di camera e senato infatti, i parlamentari sarebbero tenuti a partecipare ai lavori delle rispettive aule. Tuttavia non sempre questo precetto viene rispettato.

In alcuni casi l’assenza può essere valutata come legittima. Oltre ai lavori in assemblea infatti i parlamentari svolgono anche altre attività durante il loro mandato (incontri sul territorio, riunioni di partito, convegni etc.). In altri casi però la mancata partecipazione appare meno giustificabile.

72,7% la percentuale media di partecipazione ai lavori di camera e senato durante la XVIII legislatura.

Al di là dell’obbligo formale, oltre che morale, il livello di partecipazione ai lavori delle camere assumerà un peso ancora maggiore a partire dalla prossima legislatura, in cui il numero complessivo di deputati e senatori sarà ridotto. Senza un alto livello di partecipazione ai lavori infatti gli organi di camera e senato potrebbero andare in difficoltà. Ciò potrebbe comportare degli ulteriori rallentamenti nel già farraginoso iter legislativo italiano.

A ciò si deve aggiungere il fatto che un parlamentare che non si presenta in aula non può rappresentare in quella sede il territorio che lo ha eletto, “tradendo” di fatto il mandato ricevuto dai cittadini. Anche per questo motivo, per arrivare preparati al momento del voto, è utile analizzare le performance nella legislatura appena conclusa dei 619 deputati e senatori che sono stati ricandidati (il 65,5% dei parlamentari uscenti, senza considerare i senatori a vita) dalle diverse forze politiche.

Presenze, assenze e missioni: un quadro d’insieme

Il metodo più efficace per valutare l’effettiva presenza in aula di deputati e senatori è quello di conteggiare la partecipazione ad ogni singola sessione di voto. Ciò perché all’interno di una seduta si possono svolgere anche più votazioni e non è detto che un parlamentare partecipi dall’inizio alla fine.

Nella stragrande maggioranza dei casi, il voto avviene in forma elettronica. I dati relativi all’andamento di questi scrutini sono quindi uno strumento fondamentale per monitorare l’attività del parlamento e dei suoi membri. Dall’inizio della legislatura e fino allo scorso 6 settembre si sono tenute 11.707 votazioni elettroniche alla camera e 8.452 al senato.

È possibile ricavare i dati sulle presenze dei parlamentari dai risultati delle votazioni elettroniche. Vi sono però problemi di trasparenza e completezza. Vai a “Come si contano assenze, presenze e missioni parlamentari”

Per valutare compiutamente questi dati tuttavia è importante tenere presente due elementi. Il primo riguarda il fatto che i regolamenti non prevedono la registrazione del motivo dell’assenza al voto. Non è quindi possibile distinguere l’assenza ingiustificata da quella, ad esempio, per ragioni di salute.

La disciplina delle missioni ha molte zone d’ombra che possono portare ad abusi.

Inoltre è importante fare una distinzione tra assenze tout court e missioni. Rientrano in questa seconda tipologia tutte le mancate partecipazioni attribuibili ad impegni istituzionali (come ad esempio le assenze dovute a incarichi di governo). In questo caso l’assenza è giustificata e al parlamentare non viene nemmeno decurtata la diaria (cioè il rimborso per le spese di soggiorno a Roma). Questa disciplina però presenta diversi aspetti che ancora oggi risultano poco trasparenti. Per tutti questi motivi, nei prossimi paragrafi ci concentreremo sulla percentuale di presenze piuttosto che su quella di assenze e missioni. Pur con i limiti che abbiamo appena visto.

La percentuale media di presenze, considerando complessivamente sia camera che senato, si attesta al 72,7%. Analizzando le due aule singolarmente però si nota che la percentuale di presenze del senato è molto più alta (80,3%) rispetto a quella della camera (70%). Questa discrepanza può essere dovuta al fatto che all’epoca del governo Conte II la maggioranza a palazzo Madama aveva un margine estremamente ridotto. Di conseguenza i senatori erano “costretti” ad andare a votare per garantire i numeri all’esecutivo. Questa differenza ovviamente determina anche una percentuale di assenze più bassa, mentre il dato medio sulle missioni è simile per entrambi i rami del parlamento (11,2% circa).

Scendendo più nel dettaglio, alla data del 6 settembre erano 139 i parlamentari con una percentuale di presenza ai lavori delle rispettive aule inferiore al 50%. In 38 casi addirittura il livello di partecipazione alle votazioni elettroniche è stato inferiore al 25%.

Sono 234 i parlamentari che invece fanno registrare un tasso di presenza compreso tra il 50% e il 75%. Mentre la maggioranza dei deputati e dei senatori (576) rientra nella fascia di presenze compresa tra il 75% e il 100%.

Le performance dei parlamentari ricandidati

Ma qual è il livello di partecipazione ai lavori di deputati e senatori che si ricandidano alle elezioni del 25 settembre? Abbiamo cercato, dove possibile, di associare ogni candidato al partito di appartenenza anche nel caso delle coalizioni.

Chi ha militato nel M5s ha un alto tasso di partecipazione ai lavori parlamentari.

In base a quanto emerge dai dati, la formazione politica che schiera candidati uscenti con il più alto livello di partecipazione è Italia sovrana e popolare (92,2%). In questo caso però i parlamentari ricandidati sono soltanto 2: Emanuele Dessì e Bianca Laura Granato, entrambi ex esponenti del Movimento 5 stelle. Al secondo posto troviamo invece i parlamentari ricandidati proprio dal M5s, che sono in numero ben più consistente (90), con un dato medio di partecipazione pari all’84,4%. Terzi sono i candidati di Italexit (5) con un dato medio dell’81,7%. Anche in questo caso 3 candidati su 5 (Gianluigi ParagoneMario Michele Giarrusso e Cataldo Mininno) avevano iniziato la legislatura nel Movimento 5 stelle. D’altronde la lotta agli assenteisti era uno dei cavalli di battaglia di questa forza politica.

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DA SAPERE

Nei collegi uninominali alcune forze politiche si sono presentate in coalizione, per cui in alcuni casi non è possibile attribuire l’appartenenza al singolo partito dei candidati. A coloro che sono candidati sia per un seggio plurinominale che per un seggio uninominale è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Coloro che invece sono candidati esclusivamente in un collegio uninominale sono compresi in un’apposita categoria. Dove possibile, l’appartenenza politica è stata attribuita in base all’ultimo gruppo parlamentare in cui il candidato ha militato nella legislatura appena conclusa.

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: lunedì 19 Settembre 2022)

 

Tra le altre formazioni principali (almeno in base alla loro consistenza numerica nell’attuale parlamento) che presentano parlamentari uscenti, quella che può vantare il tasso di partecipazione più alto è Fratelli d’Italia con un valore medio del 77,2%. Seguono Lega (72,7%), Partito democratico (72,3%), Azione-Italia viva (70,7%) e Forza Italia (68,5%).

Considerando le liste singole, agli ultimi posti di questa graduatoria troviamo due formazioni che schierano un solo parlamentare uscente. Il Movimento associativo italiani all’estero (Maie) con Mario Alejandro Borghese (24,03%) e Vita con Sara Cunial (58,7%). In quest’ultimo caso, il dato è influenzato dalle posizioni dell’ex deputata, fermamente contraria a vaccino anti-Covid e green pass. Motivo per cui le è stato impedito per molto tempo di accedere a Montecitorio.

I candidati con il più basso tasso di presenza

Ma quali sono in generale i candidati con i più bassi livelli di partecipazione ai lavori del parlamento? Alla camera il dato più basso in assoluto è quello di Michela Vittoria Brambilla (ricandidata da Forza Italia) che non raggiunge l’1% di presenze. Il secondo dato più basso è invece quello di Manlio Di Stefano (ex 5s, candidato con Impegno civico) che si ferma al 2,95%. In questo caso occorre tenere presente che Di Stefano ha ricoperto l’incarico di sottosegretario agli affari esteri per tutto l’arco della legislatura. Infatti la sua percentuale di missioni è molto elevata (93,5%).

Ricoprire più incarichi comporta una bassa percentuale di presenze in parlamento.

Casi simili riguardano altri nomi noti che hanno ricoperto incarichi di governo nel corso della legislatura. Tra questi Luigi Di Maio (Impegno civico: 4,23% di presenze, 93,2% di missioni), Laura Castelli (Impegno civico: 4,03% di presenze, 90% di missioni), Lorenzo Guerini (Pd: 10,26% – 84,6%), Mara Carfagna (Azone-Iv: 18,62% – 78,4%), Giancarlo Giorgetti (Lega: 20,21% – 70,6%) e Massimo Garavaglia (Lega: 20,4% – 65,3%). Per quanto queste assenze siano giustificate, il tema dell’opportunità del doppio ruolo di parlamentare e componente del governo si riproporrà in maniera molto significativa nella prossima legislatura. Dati i numeri ridotti del nuovo parlamento infatti sarebbe forse opportuno il più ampio coinvolgimento possibile da parte degli eletti. In modo da garantire la massima efficienza di tutti gli organi che compongono le camere.

Una dinamica simile, anche se in misura più limitata, si registra in senato. In questo caso ai primi posti troviamo tre esponenti di rilievo ricandidati nelle liste della Lega. L’esponente con il più basso tasso di partecipazione infatti è Gian Marco Centinaio con il 17,2% ma con l’80,9% di missioni, seguito da Giulia Bongiorno (20,6% – 68,5%). Troviamo poi Umberto Bossi (21,22% – 68,8%). Il caso dell’ex leader del Carroccio è condizionato almeno in parte dai problemi di salute che lo hanno colpito negli ultimi anni. Tuttavia lo strumento delle missioni non dovrebbe essere utilizzato come mezzo per giustificare le assenze dovute a malattia (un’eccezione è stata fatta per i parlamentari affetti da covid la cui assenza in aula aveva comportato problemi con il raggiungimento del numero legale). Ma la scarsa trasparenza dello strumento, che denunciamo da tempo, permette al parlamento un ampio margine di manovra in questo senso.

Tra i senatori con un basso livello di partecipazione ai lavori troviamo anche due leader di partito: Matteo Salvini (23,25%) e Matteo Renzi (34,83%). Ma sono molti tra gli esponenti più in vista delle diverse forze politiche a presentare, sia alla camera che al senato, una bassa percentuale di presenze. Tra questi troviamo:

Come risulta evidente, solitamente chi ricopre incarichi dirigenziali all’interno di un partito – così come chi viene chiamato a far parte del governo – registra solitamente un basso livello di partecipazione ai lavori del parlamento. Non a caso tutti i leader di partito registrano tassi di partecipazione modesti. Se da un lato essere dentro camera o senato è importante per i leader per avere sotto controllo ciò che avviene nei gruppi, dall’altro emergono ancora una volta le criticità rispetto all’opportunità di un doppio ruolo che non consente una partecipazione assidua ai lavori.

Foto: Facebook – Matteo Salvini

 

4. L’esperienza politica dei candidati alle elezioni

4. L’esperienza politica dei candidati alle elezioni

Tra i candidati alle prossime elezioni in diversi hanno maturato precedenti esperienze politiche. E questo è vero, in misura ovviamente molto diversa, per tutte le liste che si sono presentate alle elezioni.

Alcuni partiti hanno candidato più esponenti con esperienza nella politica nazionale o locale, altri meno. Dati che aiutano a inquadrare il percorso storico di ciascuna forza politica, oltre che le scelte attuali della sua dirigenza.

L’esperienza di governo

A livello di coalizioni è il centro-destra a presentare più candidati con esperienza di governo (62 contro i 45 del centrosinistra). Guardando però alle liste è il Partito democratico (Pd) ad avere in lista il maggior numero di ex ministri (12), sottosegretari (11) oltre che di un ex presidente del consiglio, il segretario Enrico Letta.

gli ex presidenti del consiglio candidati alle prossime elezioni parlamentari.

Oltre al Pd, altre 3 liste candidano un ex presidenti del consiglio: Forza Italia (Silvio Berlusconi), Movimento 5 stelle (Giuseppe Conte) e Azione – Italia viva (Matteo Renzi).

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DA SAPERE

I candidati che hanno ricoperto l’incarico di presidenti del consiglio sono contati solo in questa categoria e non anche nel numero di ministri o sottosegretari. Allo stesso modo se un ministro in precedenza ha ricoperto anche l’incarico di sottosegretario viene contato solo come ministro.

A coloro che sono candidati sia per un seggio plurinominale che per un seggio uninominale è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Coloro che invece sono candidati esclusivamente in un collegio uninominale sono compresi nelle categorie ‘Cdx candidati solo all’uninominale’, per la coalizione di centro-destra, e ‘Csx candidati solo all’uninominale’ per quella di centro-sinistra.

FONTE: elaborazione openpolis su dati openpolis e ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: martedì 20 Settembre 2022)

 

Dopo il Pd è la Lega la lista con più ex ministri (7) e sottosegretari (11). Nel centrodestra però vari ex ministri (5) e sottosegretari (10) sono stati candidati esclusivamente per i seggi uninominali, ragion per cui non gli è stata attribuita una lista di elezione specifica. In vari casi tuttavia si tratta di figure di spicco, come ad esempio Gian Marco Centinaio e Giancarlo Giorgetti entrambi noti dirigenti della Lega, o di Stefano Caldoro di Forza Italia.

A seguire Azione – Italia viva (con 1 ex presidente del consiglio, 7 ministri e 8 sottosegretari) e Forza Italia (1 presidente del consiglio, 4 ministri e 8 sottosegretari). Sia il Movimento 5 stelle (M5s) che Impegno civico, formazione nata proprio da una scissione del M5s, invece contano 12 ex componenti di governo. Per il movimento, oltre che di Conte, si tratta di 2 ministri (Sergio Costa e Stefano Patuanelli) e 9 sottosegretari. Per Impegno civico di 3 ministri (Luigi Di Maio, Vincenzo Spadafora e Lucia Azzolina) e 9 sottosegretari.

Undici invece i candidati con esperienza di governo di Fratelli d’Italia, tra cui 6 ex ministri (inclusa la stessa leader Giorgia Meloni) e 5 sottosegretari. Quanto alle formazioni che presentano meno candidati con questo tipo di profilo si trovano +Europa con l’ex ministra degli esteri Emma Bonino e 2 sottosegretari (tra cui Benedetto della Vedova), e Unione popolare che ha candidato l’ex ministro Paolo Ferrero oltre che altri due esponenti che hanno ricoperto il ruolo di sottosegretario nel secondo governo Prodi. Infine l’Alleanza Verdi e Sinistra conta solo un ex sottosegretario del secondo governo Conte (Giuseppe De Cristofaro).

L’esperienza parlamentare

Se guardiamo agli ex parlamentari che si ricandidano, invece, i numeri ovviamente crescono. Anche in questo caso è il centro-destra, a livello di coalizioni, a presentare più candidati che hanno già ricoperto incarichi parlamentari (358 contro i 206 del centro-sinistra). Sempre appartenente al centro-destra è anche la lista che ha candidato più ex parlamentari, ovvero la Lega che si presenta con 122 candidati con esperienza parlamentare, 116 solo nel parlamento italiano, 3 solo nel parlamento europeo e 3 in entrambi.

i candidati con esperienza come presidenti d’aula, 2 sono candidati con Forza Italia.

Seguono il Partito democratico con 3 ex parlamentari europei e 97 ex deputati o senatori (anche in questo caso di cui 3 con esperienza nel parlamento europeo) e il Movimento 5 stelle con 93 ex parlamentari, nessuno dei quali con esperienza europea. Forza Italia invece di candidati con esperienza in parlamento ne conta 75 (3 solo al parlamento europeo, 69 solo in quello italiano e 3 in entrambi) ma è la lista a presentare più ex presidenti d’aulaMaria Elisabetta Alberti Casellati, tecnicamente a tutt’oggi presidente del senato, e di Antonio Tajani, già presidente del parlamento europeo. Oltre a questi sono candidati anche l’ex presidente del senato Marcello Pera, stavolta con Fratelli d’Italia, e gli ex presidenti della camera Pier Ferdinando Casini (nell’uninominale per il centro-sinistra) e Laura Boldrini (Partito democratico).

Tra le liste presenti all’interno delle coalizioni è +Europa quella che conta meno ex parlamentari (8) mentre l’Alleanza Verdi e Sinistra ne ha candidati 16.

Ma diversi sono anche gli ex parlamentari candidati da liste non coalizzate. Oltre a quelli del Movimento 5 stelle, che abbiamo già visto, la lista Azione – Italia viva ne conta ad esempio 64, tra cui Carlo Calenda che ha ricoperto questo tipo di incarico solo in sede europea.

Un numero non indifferente di ex parlamentari sono poi candidati da Unione popolare (12) e Italexit (8) mentre altre 11 liste presentano un numero di ex parlamentari compreso tra 1 e 5.

La politica sul territorio

Per quanto riguarda la politica locale è invece la lista Azione – Italia viva a presentare più candidati che hanno ricoperto incarichi nelle giunte e nei consigli di comuni e regioni (210)Seguono il Pd (188) e la Lega (182).

Entrando però nel dettaglio della politica regionale è il Pd a presentare più candidati (50 tra politici con esperienza in giunta o consiglio) oltre ad essere la lista in cui si candidano più ex presidenti di regione (4), ovvero: Debora Serracchiani (Friuli-Venezia Giulia), Nicola Zingaretti (Lazio), Luciano D’Alfonso (Abruzzo) e Vito De Filippo (Basilicata). A questi poi si può aggiungere anche Enrico Rossi (Toscana), che però è candidato solo all’uninominale per la coalizione di centro-sinistra e quindi non è esplicitamente collegato a una lista.

Forza Italia invece di ex presidenti ne presenta 2: Roberto Cota (Piemonte) e Ugo Cappellacci (Sardegna). Non risultano poi altri ex presidenti candidati nelle liste plurinominali del centrodestra, mentre all’uninominale sono candidati Nicoletta Spelgatti (Valle d’Aosta – Lega), Sandro Biasotti (Liguria – Noi moderati) e Stefano Caldoro (Campania – Forza Italia).

Infine un ex presidente di regione è espresso da Azione – Italia viva (Maurizio Pittella – Basilicata), Impegno civico (Bruno Tabacci – Lombardia) e Pour l’autonomie, lista regionale della Valle d’Aosta (Augusto Rollandin).

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DA SAPERE

I candidati che hanno ricoperto l’incarico di presidente di regione sono contati solo in questa categoria e non anche nel numero assessori o consiglieri regionali. Allo stesso modo se un assessore in precedenza ha ricoperto anche l’incarico di consigliere viene contato solo come assessore. La categoria assessore inoltre include anche i vicepresidenti di regione.

A coloro che sono candidati sia per un seggio plurinominale che per un seggio uninominale è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Coloro che invece sono candidati esclusivamente in un collegio uninominale sono compresi nelle categorie ‘Cdx candidati solo all’uninominale’, per la coalizione di centro-destra, e ‘Csx candidati solo all’uninominale’ per quella di centro-sinistra.

FONTE: elaborazione openpolis su dati openpolis e ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: martedì 20 Settembre 2022)

 

Quanto ai politici con esperienza nelle giunte e nei consigli comunali, è Azione ad averne candidati di più (198) contando tra questi anche 48 sindaci. Al secondo posto il Partito democratico (173) con 46 sindaci. Segue la Lega con 168 candidati, superata però da Forza Italia per numero di sindaci (46 contro i 33 della Lega).

Da questo punto di vista tuttavia impatta molto la presenza di candidati che si presentano solo all’uninominale per le due coalizioni. Per il centro-destra infatti sono 76 quelli con esperienza politica nei comuni, mentre nel centro-sinistra 97.

Quanto alle liste non coalizzate, a parte Azione – Italia Viva di cui si è già detto, è il Movimento 5 stelle a candidare più amministratori locali (103). Tra questi anche 12 sindaci, come l’ex prima cittadina di Torino Chiara Appendino. Seguono Unione Popolare (86 amministratori locali tra cui 8 sindaci) e Italexit (55 amministratori locali tra cui 4 sindaci).

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DA SAPERE

I candidati che hanno ricoperto l’incarico di sindaco sono contati solo in questa categoria e non anche nel numero assessori o consiglieri comunali. Allo stesso modo se un assessore in precedenza ha ricoperto anche l’incarico di consigliere viene contato solo come assessore. La categoria assessore inoltre include anche i vicesindaci.

A coloro che sono candidati sia per un seggio plurinominale che per un seggio uninominale è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Coloro che invece sono candidati esclusivamente in un collegio uninominale sono compresi nelle categorie ‘Cdx candidati solo all’uninominale’, per la coalizione di centro-destra, e ‘Csx candidati solo all’uninominale’ per quella di centro-sinistra.

FONTE: elaborazione openpolis su dati openpolis e ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: martedì 20 Settembre 2022)

 

Nei prossimi giorni continueremo a raccontare attraverso i dati le elezioni del 25 settembre. Venerdì 23 ci occuperemo degli attuali parlamentari ricandidati, tra cambi di gruppo e assenze.

 

3. Tutti parlano di giovani, in pochi li candidano

3. Tutti parlano di giovani, in pochi li candidano

Sui quasi 5mila candidati e candidate alle prossime elezioni politiche, solo il 15% ha meno di 40 anni. Addirittura meno del 3% è under 30. Tra le liste e coalizioni che hanno presentato più candidature, sono Movimento 5 stelle e Unione popolare ad annoverare tra le loro fila il numero maggiore di giovani candidati e candidate.

In Italia sono ancora pochi i giovani in politica. In parte il problema è strutturale, visto che è la costituzione stessa a imporre dei limiti di accesso in questo senso. Tuttavia l’età degli esponenti è un importante indicatore del tasso di cambiamento della politica.

Come si configura la situazione dei candidati alle prossime elezioni politiche del 25 settembre? Analizzando i dati, vediamo che delle 4.746 persone che hanno presentato la propria candidatura, 695 hanno un’età inferiore ai 40 anni, il 14,6% del totale.

1 su 7 i candidati alle elezioni di età inferiore ai 40 anni.

Una cifra che si abbassa poi considerevolmente se contiamo soltanto i giovanissimi, di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Parliamo in questo caso di appena 134 candidati, meno del 3% del totale. Questi numeri bassi sono diretta conseguenza degli articoli 56 e 58 della costituzione, che stabiliscono come età minima per accedere alla camera e al senato rispettivamente i 25 e i 40 anni.

A essere maggiormente rappresentate sono invece le fasce intermedie e in particolare quella tra i 40 e i 60 anni. Come abbiamo già evidenziato precedentemente, sono questi i veri protagonisti della politica italiana, a tutti i livelli istituzionali.

Alla camera, dove l’età minima di accesso è più bassa, sono candidate 134 persone di età inferiore ai 30 anni – una persona sola, Elia Francesca Martinico di Forza Italia, ha 24 anni, ma ne compierà 25 a ottobre. Mentre 561 hanno tra i 30 e i 40 anni, 558 alla camera e 3 al senato – analogamente, persone che raggiungeranno a breve la soglia d’età minima per accedere all’istituzione.

Mentre come accennato la fascia più consistente è quella di età compresa tra i 40 e i 60 anni, in cui rientra il 61,2% di tutti i candidati. Sono 1.359 i candidati di età tra i 40 e i 50 anni, e ancora più rappresentata è la categoria 50-60, in totale 1.548 persone.

51,4 anni l’età media dei candidati e delle candidate alle elezioni politiche del 2022.

Una cifra più elevata rispetto alla media della popolazione italiana, che secondo l’ultimo aggiornamento Istat è, nel 2022, di 46,2 anni.

In generale come prevedibile l’età dei candidati al senato è mediamente più elevata rispetto a quella dei candidati alla camera. Ma questo non è l’unico livello di differenziazione.

I giovani nelle coalizioni

Per quanto l’età media all’interno delle liste principali si attesti piuttosto omogeneamente su valori compresi tra i 49 e i 52 anni, le singole liste e coalizioni hanno avuto approcci diversi nella scelta di candidare persone giovani. Alcune hanno candidato quote più elevate di under 40.

Sono in particolare Unione popolare e il Movimento 5 Stelle a proporre la quota più elevata di candidati di età inferiore ai 40 anni, rispettivamente il 21,1% (per un totale di 93 persone) e il 19,9% (78).

Italexit ha la quota più bassa di candidati giovani.

Tra le due coalizioni, è il centro-sinistra a presentare più candidati giovani, per un totale di 169 persone (il 17% del totale). Il centro-destra raggiunge invece quota 12,3% (136 candidati). Cifre leggermente più elevate le registra Azione – Italia viva (13,9% per un totale di 57 giovani), mentre all’ultimo posto da questo punto di vista troviamo Italexit, con 41 candidati di meno di 40 anni, pari all’11,7% del totale.

Per quanto riguarda poi i giovanissimi, tra i 20 e i 30 anni, oltre il 64% si trova tra la coalizione del centrosinistra (38 persone) e le liste di Unione popolare (33). Il Movimento 5 Stelle invece si distingue per l’elevata quota di candidati di età compresa tra i 30 e i 40 anni (72 su 391).

Quanti giovani sono candidati come capilista?

Un aspetto centrale della questione dell’accesso giovanile alle istituzioni è anche la posizione in cui la candidatura è posta nel listino plurinominale, al di là del dato quantitativo sulle candidature giovani. Andiamo quindi a vedere quanti sono i giovani capilista – considerando quindi soltanto i seggi plurinominali, che secondo la legge elettorale rosatellum costituiscono i 5/8 del totale.

12% dei capilista ha meno di 40 anni.

Ovvero 90 persone su 750. Mentre 228 hanno tra i 40 e 9 50 anni, 255 tra i 50 e i 60, e 139 tra i 60 e i 70. Nella fascia 70-80 rientrano 36 candidati capilista e 2 hanno più di 80 anni.

Tale ragionamento sui capilista può essere fatto anche sui candidati ai seggi uninominali, eletti con metodo maggioritario. Analizzando i dati non emergono però differenze significative rispetto alla situazione dei capilista al plurinominale. Inoltre, bisogna evidenziare che la posizione del candidato all’uninominale è più complessa, e strategicamente molto vincolata alle singole liste e coalizioni.

È il Movimento 5 Stelle a riportare la quota più alta di giovani rispetto al totale, con 14 capilista sotto i 40 anni rispetto ai 67 totali (il 20,9%). Segue Unione popolare con 10 candidati under 40 (il 14,5%) e lo stesso centro-sinistra (12,4%).

Ancora una volta, è Italexit a registrare il record negativo, con appena 5 capilista under 40 su 54 (9,3%). Praticamente pari Azione – Italia viva, con 5 su 62 (9,6% del totale) e la coalizione del centro-destra, con 25 (9,7%).

Per quanto riguarda invece gli over 60, il dato più elevato lo registra Unione popolare con il 33,3% (23 capilista), seguita dal centro-destra (27,5%). Infine la fascia intermedia, tra i 40 e i 60 anni, che come abbiamo detto è la più rappresentata, ha la maggiore incidenza in Azione – Italia viva (il 76,9% dei capilista candidati ha un’età compresa tra i 40 e i 60 anni) e in Italexit (75,9%).

 

Foto: camera dei deputati

 

1. I candidati e le pluricandidature per il nuovo parlamento

1. I candidati e le pluricandidature per il nuovo parlamento

Il prossimo fine settimana gli italiani saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo parlamento. Aule in cui per la prima volta saranno elette 600 persone, 400 alla camera e 200 al senato, in virtù della riforma con cui è stato ridotto il numero dei parlamentari.

La legge elettorale che sarà utilizzata non è nuova. Pur avendo subito alcune modifiche necessarie ad adattarla al ridotto numero di parlamentari, è già stata usata per eleggere lo scorso parlamento. In ogni caso si tratta di una legge abbastanza complessa nei suoi meccanismi, sia generali che specifici.

La legge elettorale prevede che siano assegnati con sistema uninominale 3/8 dei seggi mentre i restanti sono attribuiti con sistema proporzionale. Vai a “Come funziona la legge elettorale nota come rosatellum”

Anche per questo approfondire come i diversi partiti e le diverse coalizioni hanno selezionato i propri candidati può essere utile per esprimere un voto consapevole.

Candidati e pluricandidati

Come accennato dunque i seggi presenti in parlamento sono 400 alla camera e 200 al senato. Questo però non vuol dire che ciascuna lista debba presentare 600 candidature, anzi. I partiti che si sono presentati da soli, senza apparentamenti per le candidature uninominali, hanno indicato complessivamente sulle schede circa 500 candidature.

Considerando invece le coalizioni, il numero di candidature è ovviamente più alto perché a quelle uninominali in comune si sommano quelle plurinominali di ciascuna lista.

Ma candidature e candidati non sono la stessa cosa. Infatti se complessivamente le candidature sono 6.347 (di cui 4.195 alla camera e 2.152 al senato) il numero dei candidati è inferiore, visto che 1.059 di questi si presentano in più collegi.

4.746 è il numero di candidati e candidate alle elezioni politiche del 25 settembre 2022.

Un fenomeno, quello delle pluricandidature, presente in tutte le liste e tutte le coalizioni, se pur in misura diversa.

D’altronde la legge prevede espressamente questa possibilità. Infatti, si può arrivare fino a un massimo di 6 candidature, 5 al proporzionale più una all’uninominale.

Considerando oltre alle coalizioni le 4 liste che hanno presentato più candidature, quella che mantiene il rapporto più alto tra candidati e candidature è Unione popolare con l’87,8%, mentre quella in cui questo rapporto è più basso è Italexit con il 71,3%.

Certo per le liste minori, in cui la sfida principale consiste nel raggiungere la soglia di sbarramento per entrare in parlamento, le pluricandidature hanno un significato molto diverso rispetto a formazioni maggiori come il Movimento 5 stelle (74,5% con un totale di 125 pluricandidati), Azione-Italia Viva (79,4% con un totale di 70 pluricandidati) o a maggior ragione le due principali coalizioni.

Le pluricandidature nelle coalizioni

Considerando invece le coalizioni si può notare come il centro-sinistra abbia un rapporto candidati/candidature più basso (71,7% con un totale di 193 pluricandidati) rispetto al centro-destra (80,5% con un totale di 149 pluricandidati). Guardando poi alle diverse lise che compongono le coalizioni emergono però molte differenze.

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DA SAPERE

Sono considerate il numero di candidature e il numero di candidati del centro-destra divisi per lista elettorale. A coloro che sono candidati sia per un seggio plurinominale che per un seggio uninominale è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Coloro che invece sono candidati esclusivamente in un collegio uninominale sono compresi nell’apposita categoria ‘Cdx candidati solo all’uninominale’. Nella circoscrizione estero infine Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega si sono presentati uniti e i candidati sono indicati nella categoria ‘Cdx lista estero’.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: venerdì 16 Settembre 2022)

 
Nel centro-destra è in particolare Fratelli d’Italia ad esprimere molte pluricandidature.

Nel centro-destra Fratelli d’Italia (FdI) esprime un numero di pluricandidature nettamente più alto rispetto ai suoi alleati (55 pluricandidati) raggiungendo un rapporto candidati/candidature di appena il 68,63%. Decisamente più basso rispetto alla media della coalizione. Valori simili invece si rilevano per Forza Italia e LegaLa prima infatti propone 34 pluricandidati con un rapporto pari al 78,33%La seconda invece propone 39 pluricandidati con un rapporto pari al 77,24%Meno candidati multipli presenta invece la lista Noi moderati (21 con un rapporto pari all’89,7%).

Guardando al centro-sinistra invece si rileva come sia il Partito democratico (Pd) che l’alleanza Verdi – Sinistra italiana hanno un numero piuttosto contenuto di pluricandidature. Il Pd infatti conta 40 pluricandidati con un rapporto candidati/candidature dell’87,7%. Sinistra Italiana e Verdi invece contano appena 25 pluricandidati con un rapporto dell’84,7%.

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DA SAPERE

Sono considerate il numero di candidature e il numero di candidati del centro-sinistra divisi per lista elettorale. A coloro che sono candidati sia per un seggio plurinominale che per un seggio uninominale è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Coloro che invece sono candidati esclusivamente in un collegio uninominale sono compresi nell’apposita categoria ‘Csx candidati solo all’uninominale’. Non si è tenuto conto della candidatura, nella provincia autonoma di Trento, di Donatella Conzatti la quale è candidata all’uninominale in un collegio in coalizione con il centro-sinistra e al proporzionale con la lista Azione – Italia viva.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: lunedì 19 Settembre 2022)

 

A sbilanciare la coalizione sul numero di candidature multiple sono invece +Europa e Impegno civico. Il partito di Emma Bonino infatti esprime 57 pluricandidati e un rapporto candidati/candidature del 58,6%La lista guidata da Luigi Di Maio invece di pluricandidati ne conta 71 con un rapporto pari al 37,5%.

Non tutte le pluricandidature sono uguali

Ma essere pluricandidati può assumere un valore molto diverso da vari punti di vista, primo tra tutti il numero di candidature. Come accennato all’inizio ciascun esponente può essere candidato al massimo 6 volte, una all’uninominale e fino a 5 nel plurinominale.

Un caso specifico ad esempio riguarda quegli esponenti che sono candidati una sola volta in entrambi i tipi di collegio, uninominale e proporzionale. Tecnicamente anche queste sono pluricandidature. Tuttavia essere candidati in un collegio uninominale in cui difficilmente si può sperare di ottenere il maggior numero di voti significa la quasi certezza di non essere eletti.

Replicando quella candidatura anche in un collegio plurinominale dunque si fornisce al candidato qualche possibilità in più. Il raggiungimento dell’obiettivo dipende poi anche dalla posizione in cui si è inseriti nel listino proporzionale, oltre che ovviamente dal numero dei voti ricevuti dalla lista.

Non a caso questo tipo di pluricandidatura coinvolge in particolare quelle forze che non sono riunite all’interno di una coalizione. Tra queste in particolare è il Movimento 5 stelle ad aver adottato questo tipo di strategia più di frequente.

Molto diverso invece è il caso in cui una persona sia inserita in 2 listini proporzionali, piuttosto che 3, 4 o addirittura 5 aggiungendoci poi magari anche una candidatura uninominale. Anche in questi casi non si può generalizzare assumendo che siano tutte candidature blindate.

candidature, una all’uninominale e 5 al proporzionale. È il numero massimo di pluricandidature ammesse.

Inoltre il senso delle pluricandidature può variare in modo significativo. In alcuni casi infatti si tratta del tentativo, da pare delle segreterie di partito, di rendere il più sicura possibile l’elezione di alcuni esponentiIn altri invece la volontà è quella di presentare nel maggior numero di collegi possibile un nome forte, in grado di attrarre un maggior numero di preferenze.

Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi sono candidati in 6 collegi, il massimo possibile.

Per quanto riguarda il centro-destra, come abbiamo già visto, è Fratelli d’Italia a presentare la maggior parte delle pluricandidature. E questo sia per coloro che sono candidati in 2 o 3 collegi, sia per coloro che si presentano in ancora più collegi. Sono ad esempio in 7 gli esponenti di Fdi con 4 candidature, 2 quelli con 5 candidature e 3 quelli con 6 candidatureTra questi ultimi ovviamente anche la leader del partito Giorgia Meloni.

Ma anche nelle altre formazioni di centro-destra non mancano esponenti candidati 6 voltePer Forza Italia si tratta di Sivio Berlusconi e di Marta FascinaPer la Lega e Noi moderati invece non si tratta dei leader di partito. Salvini infatti è candidato 4 volte tutte come capolista in collegi plurinominali. Maurizio Lupi invece è candidato solo in un seggio uninominale e in uno plurinominale.

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DA SAPERE

Sono considerate le liste appartenenti alle due coalizioni elettorali oltre che delle prime 4 liste per numero di candidature tra quelle non coalizzate. A coloro che sono candidati per un seggio uninominale all’interno di una coalizione ma che al contempo si candidano anche in uno o più collegi plurinominali è stata attribuita la lista elettorale corrispondente alla candidatura plurinominale. Per ciascuna lista è indicato il numero di esponenti candidati in 2 collegi plurinominali, oppure in 3, 4, 5 o 6 collegi plurinominale e/o uninominali. Sono considerate coalizzate nel centro-destra le liste: Fratelli d’Italia, Lega, Noi Moderati, ‘Forza Italia e Lega – Forza Italia – Fratelli d’Italia’ solo per la circoscrizione estero. Sono considerate coalizzate nel centro-sinistra le liste: Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa, Impegno civico, Campobase (solo nella provincia autonoma di Trento), ‘Vallée D’Aoste – Autonomie progrès fédéralisme’ (solo in Valle d’Aosta).

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(ultimo aggiornamento: venerdì 16 Settembre 2022)

 

Per il centro-sinistra invece, come abbiamo visto, sono soprattutto Impegno civico e +Europa ad esprimere molte pluricandidature. Nel primo caso, ad essere candidati 6 volte sono i due leader della formazione, ovvero Luigi Di Maio e Bruno Tabacci. Ma oltre a questi sono poi in diverse ad aver avuto 4 o 5 candidature. Quanto a +Europa invece gli esponenti candidati 6 volte sono addirittura 7 e tra questi si trovano Emma Bonino, Benedetto della Vedova e Riccardo Magi.

Verdi e Sinistra Italiana invece non hanno esponenti candidati 6 volte. In 2 hanno ricevuto 5 candidature, ma non si tratta dei leader di partito quanto piuttosto di Aboubakar Soumahoro e Ilaria Cucchi entrambi candidati in un collegio uninominale e in 4 proporzionali. I leader Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni invece sono candidati rispettivamente in 3 e 4 collegi.

Quanto al Partito democratico si tratta dell’unica formazione tra quelle analizzate a non aver candidato più di 3 volte nessun esponente politico. Lo stesso segretario Enrico Letta in effetti è candidato come capolista solo in 2 collegi proporzionali.

Tutti i leader di partito sono candidati in più di un collegio.

Nelle liste del Movimento 5 stelle, come abbiamo visto, sono frequenti i casi in cui una stessa persona è candidata a un unionominale e a un proporzionale. Allo stesso tempo però non sono molti gli altri casi di pluricandidature. Non risultano ad esempio esponenti candidati 6 volte. Cinque candidature invece sono state attribuite sia al capo politico Giuseppe Conte, sia all’ex sindaca di Torino Chiara Appendino.

Quanto alla lista Azione – Italia Viva invece solo Mara Carfagna è stata candidata 6 volte. Mariastella Gelmini e Carlo calenda invece hanno 5 candidature ciascuno, mentre Matteo Renzi 4.

In Unione popolare 6 candidature sono state attribuite solo al leader Luigi De Magistris. Infine Italexit presenta in 6 collegi Nunzia Alessandra Schilirò, nota esponente no green pass, e in 5 il leader del partito Gianluigi Paragone.