Archivi giornalieri: 26 ottobre 2020

Quirinale

 

Intervento del Presidente Mattarella in occasione della cerimonia di celebrazione de “I Giorni della Ricerca “

Palazzo del Quirinale, 26/10/2020

Rivolgo un cordiale saluto al Presidente della Corte Costituzionale,ai rappresentanti del Senato e della Camera, al Ministro della Salute e al Presidente dell’Airc, che ringrazio per i loro interventi.

I Giorni della Ricerca quest’anno si celebrano mentre in tutto il mondo le società sono impegnate in una battaglia difficile contro un virus temibile, e in parte ancora scarsamente conosciuto, che continua a provocare sofferenza e tanti morti, che frena le nostre attività sociali ed economiche, che ci impone di limitare le stesse relazioni interpersonali per sfuggire alla sua minaccia.

Abbiamo voluto ugualmente confermare questo appuntamento, pur in forma ridotta, più essenziale, perché la condizione di oggi ci mostra ancor meglio quanto grande sia il valore della ricerca, quanto sia importante per la nostra vita, per il futuro del nostro e degli altri Paesi, per la nostra civiltà. E, accanto ad esso, questa giornata ci ricorda quanto importante sia la consapevolezza che nessuno di noi è estraneo al dovere di sostenere e di incoraggiare la ricerca, per poterne poi condividere i risultati. 

Questo appuntamento annuale è nato anzitutto per dare impulso alla ricerca in campo oncologico, sviluppata per sfidare quella che a lungo è stata definita la “malattia del secolo” e che, anni addietro, sembrava un male invincibile. Proprio la scienza medica e la ricerca – diagnostica, terapeutica, farmacologica, genetica – unita alla crescita della cultura della prevenzione, ha capovolto i rapporti di forza e oggi sappiamo che il cancro è sempre più curabile, e che la maggior parte dei malati può guarire.

I pionieri dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro hanno avuto una preziosa lungimiranza. Si tratta di scienziati e di personalità che, poco più di cinquant’anni addietro, sono stati capaci di iniziative comuni e di chiamare a raccolta tutte le forze disponibili per combattere il cancro. 

Sapevano che l’umanità, alleata con la scienza, avrebbe vinto, come certamente avverrà definitivamente – speriamo – in un futuro non lontano. Hanno lanciato la sfida consapevoli che il cammino non sarebbe stato facile, né breve. Ma puntando sulla ricerca, raccogliendo fondi per investirveli, nutrivano fiducia sui risultati.

Questa lezione vale anche per l’oggi. Il Covid, comparso da non molti mesi, sarà sconfitto dalla ricerca. Ricerca di terapie sempre più efficaci, ricerca del vaccino. Ovviamente dovremo aiutarla e aiutarci con l’efficienza dell’organizzazione sanitaria, con la precauzione e la prevenzione, con comportamenti sociali responsabili, con la solidarietà verso chi ha bisogno di maggiori cure e attenzioni. 

Per la ricerca sono al lavoro équipes e laboratori in tutto il mondo. La ricerca è un gioco di squadra. Anche questo va tenuto a mente. E, in questa emergenza mondiale, è bene che le squadre non competano tra loro, ma si propongano di dialogare, scambiandosi intuizioni, informazioni, studi, come la scienza tende sempre a fare. E’ tempo di collaborazione e di alleanze globali, non di barriere e di egoismi. Si devono condividere impegni e conoscenze come si condivide la sofferenza e la responsabilità. 

I ricercatori italiani stanno facendo valere le loro qualità, e questo è motivo di orgoglio per il nostro Paese. Per la ricerca scontiamo ritardi, e le carenze favoriscono il trasferimento all’estero di tanti giovani di talento. 

Ma disponiamo di forze, di intelligenze, di risorse umane. Nel campo della ricerca oncologica, in particolare, l’Italia rappresenta un’eccellenza mondiale ed è avanguardia in Europa. Dobbiamo investire ancor di più in ricerca per rafforzare e ampliare le strutture di alto valore, che hanno già mostrato le capacità dei nostri scienziati e la eccellente levatura di tanti giovani.

L’Airc può sentirsi orgogliosa per quanto si è raggiunto come risultati. Per aver contribuito, con creatività e capacità organizzative, a far crescere la ricerca italiana, fornendo un importante supporto di risorse private a un obiettivo sociale di primaria grandezza. La ricerca italiana nel suo insieme ha raggiunto i traguardi che ben conosciamo, anche grazie al sostegno che voi siete stati capaci di fornire.

Ed è di grande valore – anche sul piano culturale – l’idea che il pubblico sia integrato dalla partecipazione attiva dei cittadini, insieme alla professionalità delle donne e degli uomini della comunità scientifica.

La ricerca vincerà sulla pandemia da Covid. Quella che oggi si è imposta come una priorità, non soltanto nel nostro Paese ma nel mondo intero, non deve però farci arretrare né rallentare sul fronte della lotta contro i tumori. Ecco, celebrare al Quirinale questa volta i Giorni della Ricerca serve anche a questo: a ricordarci che le altre impegnative patologie non sono finite in lockdown, che il cancro continua a manifestarsi con i ritmi di prima (come ci ha ricordato l’avvocato Torranipoc’anzi) e che troppi screening e troppe cure vengono rinviate a causa della pandemia, rischiando ritardi irrecuperabili nelle diagnosi di tumore e pericolose interruzioni nelle terapie che non consentono pause o sospensioni.

Peraltroè stato ricordato anche questo – i medici e i ricercatori impegnati quotidianamente nella lotta contro i tumori hanno recato e recano il loro contributo di conoscenza e di studio a chi si trova in prima linea per contrastare l’epidemia da Covid.

Sono le generazioni più anziane a pagare il prezzo più alto alla diffusione del nuovo virus. E rischiano quegli stessi anziani di essere penalizzati dal rallentamento delle cure per altre patologie.

 È un vanto per il nostro Paese essere in cima alle classifiche mondiali per la durata media della vita, ma è un impegno inderogabile fare in modo che la vita sia sempre onorata e che ad essa venga riconosciuta la dignità che merita, evitando lacune e ritardi nell’assistenza. Sempre, in qualunque condizione. 

Dobbiamo proseguire nella ricerca oncologica. Anche perché gli ultimi anni ci hanno permesso di compiere formidabili passi in avanti, grazie agli avanzamenti negli studi del sistema immunitario, della medicina cellulare e della genetica. Nonostante il rallentamento imposto dalla pandemia, altri importanti traguardi sono stati conseguiti di recente da studi finanziati dall’AIRC. Tra questi si possono menzionare la terapia innovativa per la leucemia linfoblastica acuta, elaborata dalla Sapienza di Roma, lo sviluppo di nanoparticelle di origine biologica, messe a punto alla Bicocca di Milano, e ancora le nuove ricerche che possono generare più efficaci cure del tumore dell’ovaio e del tumore del fegato, di cui sono stati artefici équipes dell’Istituto Mario Negri e dello IEO di Milano. Insieme al riconoscimento che oggi è stato consegnato ai professori Alberto Bardelli e Salvatore Siena – cui rinnovo le mie congratulazioni –, i cui lavori consentiranno ulteriori progressi nel trattamento del tumore al colon, prevenendo possibili recidive. Questi straordinari successi scientifici valgono anche come sprone e come impegno a non rallentare questa staffetta per la vita, che è del resto la ragione costitutiva dell’Airc.

Non dobbiamo mai smettere di pensare al futuro, anche in un momento difficile come questo, in cui l’attualità dei problemi è così impegnativa e coinvolgente. 

“Privi di memoria e di speranza, tutto per loro diventava presente”, scriveva Albert Camus per descrivere proprio quell’abisso che la società deve scongiurare. 

Mentre si combatte il virus con rigore e unità, occorre essere capaci di procedere e di progredire, di compiere anche le scelte per un servizio sanitario sempre migliore, ancor più vicino alle esigenze dei malati, ancor più attento alla persona, alla prevenzione, ancora più accessibile e capace di cura anche per chi è affetto da forme di cronicità e non può completamente debellare la propria malattia.

 Il Ministro Speranza poc’anzi ha parlato di un grande impegno riformatore, che riesca ad avvicinare la medicina al territorio e a predisporre l’assistenza in prossimità dei luoghi di vita di chi ha bisogno e delle loro famiglie: non posso che augurarmi che questa progettualità coinvolga tutte le forze, le professionalità sul campo e, ovviamente, tutti i livelli istituzionali in un impegno concorde.     

La ricerca è uno snodo decisivo, un bene comune che sollecita responsabilità comuni. Le donazioni, e l’attività di raccolta a opera di associazioni di volontariato, hanno grande significato. Sono una testimonianza etica e civile, in un tempo in cui le reti di connessione tra le persone rischiano di allentarsi a causa del necessario distanziamento. La paura, comprensibile, può spingere a chiudersi in se stessi. Ma sappiamo che, al contrario, soltanto rafforzando il comune impegno la sicurezza di ciascuno sarà più garantita. 

La ricerca si associa anche a un altro termine: “responsabilità”, di cui oggi apprezziamo molto il valore. La società della comunicazione immediata e globale ci mette a disposizione conoscenze fino a ieri inaccessibili. Ma talvolta ciò può anche disorientare, e taluno finisce nel tunnel delle false notizie, delle dicerie, della perversa volontà di ingannare con la disinformazione.

 Accade persino nel pieno di questa tragica pandemia. Si sentono voci che spingono a comportamenti irresponsabili e sospingono quanti vogliono sottrarsi alle responsabilità collettive. La voce della ricerca, i dati che ci fornisce, le verifiche che conduce, il rigore e la trasparenza delle sue procedure costituiscono un antidoto a queste derive, e ci riportano a una visione razionale dei problemi, senza la quale saremmo più deboli e insicuri.

Ci rammentano anche che ciascuno – quale che sia il suo ruolo – deve avvertire il dovere non soltanto di non disperdere lo sforzo collettivo ma di contribuirvi; di non sottrarsi al proprio compito.

Senza dimenticare che il vero nemico, di tutti e di ciascuno, è il virus; che il responsabile di lutti, di sofferenze, di sacrifici, di rinunce, di restrizioni alla vita normale è il virus.

La ricerca è anche un metodo. Un modello di corresponsabilità. Ha come beneficiaria la comunità nel suo insieme, e tutti i cittadini senza eccezioni. La solidarietà è punto di partenza e punto di arrivo. Il vaccino e le terapie contro il Covid – che saranno i frutti delle ricerche – dovranno essere posti, da subito, a disposizione di tutti. Senza discriminazione alcuna. Questa è la nostra convinzione, che proviene dalla cultura espressa dalla nostra civiltà. È importante che la Commissione europea abbia deciso di sostenere l’ “Alleanza per il vaccino”, promossa dall’Italia e da altri Paesi dell’Unione, assumendo l’impegno a non abbandonare nessuno e mettendo da subito in atto le politiche necessarie per raggiungere l’obiettivo di un vaccino globalmente accessibile.

Abbiamo davanti passaggi difficili. Ma abbiamo fiducia, perché pensiamo di dovere e potere contare sulla condivisione di obiettivi e sull’impegno comune. 

I Giorni della Ricerca rilanciano questo messaggio e ispirano fiducia.

Pensioni

 Pensioni 2021 nati 1958/1959 a 62 anni, dal 2022 doppia penalità

Pensioni 2021 nati 1958/1959 a 62 anni, dal 2022 doppia penalità

 
 
 

Con il passaggio da quota 100 a quota 102, ecco cosa rischiano i nati nel biennio 1958/1959.

 

Per il post quota 100 si parla insistentemente di quota 102. Questa è l’ipotesi che con più fattibilità, sembra prevedere piede. La quota 100 finirà nel 2021, il 31 dicembre, come previsto dal decreto che la istituì. La sperimentazione triennale di quota 100 cesserà per lasciare spazio ad una ipotetica riforma che dovrebbe prevedere quota 102 e quota 41 più allargata. Ipotesi dicevamo, ma sulle quali si può azzardare una prima analisi, soprattutto sulla quota 102, misura simile a quota 100 ma più difficile da centrare e più penalizzante. E chi è nato nel 1958 o nel 1959 potrebbe subire di colpo una doppia penalizzazione.

Pensioni 2022, doppia penalizzazione

Perché i nati nel 1958/1959 rischiano una doppia penalità con il passaggio da quota 100 a quota 102? A dire il vero la penalità di cui parliamo non è esclusiva dei nati nel biennio, ma questi rischiano di essere i primi a subire queste spiacevoli conseguenze della riforma di cui oggi si parla.

Niente a che vedere con lo scalone di 5 anni che si materializzerebbe senza interventi in riforma e lasciando al post quota 100, il ritorno in pieno alla legge Fornero. Ma si tratta comunque di penalizzazioni, come età pensionabile di uscita e come importo delle pensioni.

Pensioni nati 1958/1959, ecco cosa accade

La riforma che dovrebbe avere quota 102 come surroga a quota 100, sembra verrà prodotta con una legge delega ad anno 2021 in corso. Niente da fare per la prossima legge di Bilancio, che avrà probabilmente solo le proroghe di Ape Sociale e Opzione donna.

Tra l’altro intervenire subito avrebbe poco senso dal momento che la quota 100 avrà ancora un anno di sperimentazione, scadendo come detto il 31 dicembre 2021. Tornando ai nostri nati tra gennaio e dicembre del 1958 o nel 1959, se nel 2021 non avranno i 38 anni di contribuzione versata utile alla quota 100, il problema doppia penalizzazione è marcato.

In primo luogo c’è da fare i conti con una evidenza piuttosto netta. Se il 38imo anno di contribuzione non arriverà entro il 31 dicembre 2021, il nato nel 1958 (o nel 1959), pur completando l’età minima per la quota 100, cioè i 62 anni (nel 2021 i nati nel 1958 avranno 63 anni), non potrà rientrare nella misura.

E se dal 2022 ci sarà quota 102, i nati nel 1958 dovranno aspettare il 2023 per anticipare la pensione a 64 anni, mentre i nati nel 1959, dovranno attendere l’anno successivo. Ma c’è di più. Infatti sulla misura si pensa a una penalizzazione per anno di anticipo.

In pratica, tanti anni si lascia il lavoro prima dei 67 anni della pensione di vecchiaia, tanto più alta è la penalizzazione. Al momento si parla di
una sforbiciata compresa tra il 2,8% e il 3% del montante contributivo per ciascun anno di anticipo.

| PENSIONE

AUTORE: B.A

 

 PENSIONE

26
OTT 2020

Pensioni 2021 nati 1958/1959 a 62 anni, dal 2022 doppia penalità

 
 
 

Con il passaggio da quota 100 a quota 102, ecco cosa rischiano i nati nel biennio 1958/1959.

 

Per il post quota 100 si parla insistentemente di quota 102. Questa è l’ipotesi che con più fattibilità, sembra prevedere piede. La quota 100 finirà nel 2021, il 31 dicembre, come previsto dal decreto che la istituì. La sperimentazione triennale di quota 100 cesserà per lasciare spazio ad una ipotetica riforma che dovrebbe prevedere quota 102 e quota 41 più allargata. Ipotesi dicevamo, ma sulle quali si può azzardare una prima analisi, soprattutto sulla quota 102, misura simile a quota 100 ma più difficile da centrare e più penalizzante. E chi è nato nel 1958 o nel 1959 potrebbe subire di colpo una doppia penalizzazione.

Pensioni 2022, doppia penalizzazione

Perché i nati nel 1958/1959 rischiano una doppia penalità con il passaggio da quota 100 a quota 102? A dire il vero la penalità di cui parliamo non è esclusiva dei nati nel biennio, ma questi rischiano di essere i primi a subire queste spiacevoli conseguenze della riforma di cui oggi si parla.

Niente a che vedere con lo scalone di 5 anni che si materializzerebbe senza interventi in riforma e lasciando al post quota 100, il ritorno in pieno alla legge Fornero. Ma si tratta comunque di penalizzazioni, come età pensionabile di uscita e come importo delle pensioni.

Pensioni nati 1958/1959, ecco cosa accade

La riforma che dovrebbe avere quota 102 come surroga a quota 100, sembra verrà prodotta con una legge delega ad anno 2021 in corso. Niente da fare per la prossima legge di Bilancio, che avrà probabilmente solo le proroghe di Ape Sociale e Opzione donna.

Tra l’altro intervenire subito avrebbe poco senso dal momento che la quota 100 avrà ancora un anno di sperimentazione, scadendo come detto il 31 dicembre 2021. Tornando ai nostri nati tra gennaio e dicembre del 1958 o nel 1959, se nel 2021 non avranno i 38 anni di contribuzione versata utile alla quota 100, il problema doppia penalizzazione è marcato.

In primo luogo c’è da fare i conti con una evidenza piuttosto netta. Se il 38imo anno di contribuzione non arriverà entro il 31 dicembre 2021, il nato nel 1958 (o nel 1959), pur completando l’età minima per la quota 100, cioè i 62 anni (nel 2021 i nati nel 1958 avranno 63 anni), non potrà rientrare nella misura.

E se dal 2022 ci sarà quota 102, i nati nel 1958 dovranno aspettare il 2023 per anticipare la pensione a 64 anni, mentre i nati nel 1959, dovranno attendere l’anno successivo. Ma c’è di più. Infatti sulla misura si pensa a una penalizzazione per anno di anticipo.

In pratica, tanti anni si lascia il lavoro prima dei 67 anni della pensione di vecchiaia, tanto più alta è la penalizzazione. Al momento si parla di
una sforbiciata compresa tra il 2,8% e il 3% del montante contributivo per ciascun anno di anticipo.

San Folco Scotti

 

San Folco Scotti


San Folco Scotti

Nome: San Folco Scotti
Titolo: Vescovo
Nascita: 1165, Piacenza
Morte: 16 dicembre 1229, Pavia
Ricorrenza: 26 ottobre
Tipologia: Commemorazione

Tre giorni fa, siamo entrati con la fantasia nella chiesa di San Pietro in Ciel d’Oro, a Pavia, per vedere la tomba di San Boezio, sepolto nella cripta proprio sotto l’arca del grande convertito Sant’Agostino.

L’11 di questo mese, abbiamo parlato di Sant’Alessandro Sauli, barnabita, Vescovo prima in Corsica e poi a Pavia, dove morì più di mill’anni dopo Severino Boezio, e dove è sepolto. Oggi, per la terza volta in pochi giorni, il calendario, nel suo itinerario di millenni, ci conduce di nuovo a Pavia, a questa antica signora della pianura padana, dove la potenza si è sposata nel corso dei secoli alla bellezza, e la sapienza ha dato frutti di santità.

A Pavia è sepolto San Folco, o Fulco, Vescovo come Alessandro Sauli, ma di lui più giovane di trecentocinquant’anni. Ed è sepolto non in una delle chiese del primo periodo romanico, gloria e caratteristica della capitale dei Longobardi, ma nel Duomo rinascimentale, ideato dal Bramante, architetto della Chiesa delle Grazie, a Milano, e dall’Amadeo, architetto della Certosa di Pavia.

Al confronto con gli altri tre Santi che abbiamo ricordato, Agostino, Boezio ed Alessandro Sauli, la vita e la figura di San Folco o Fulco non è molto conosciuta, e può sembrare poco interessante. Era di Piacenza, ed un particolare significativo sul suo conto è dato dal suo cognome, quello di Scotti.

Gli Scotti, che proprio da Piacenza si diffusero in tutta Italia, erano una famiglia di scori, cioè di scozzesi. Scozzesi si dicevano allora non gli abitanti della Scozia, ma quelli dell’Irlanda. Dalla verde isola cristiana, evangelizzata, come si ricorderà, nel V secolo da San Patrizio, erano poi scesi in Europa, in secoli di difficoltà politiche e di miserie morali, decine di Santi e di religiosi, come per una trasfusione di sangue fresco e vivo. E dietro ai Santi, specialmente quando le isole del Nord furono invase dai Danesi, vennero mercanti, soldati, intere famiglie, come quella piacentina degli Scotti, dalla quale, verso il 1165, nacque San Folco.

A vent’anni entrò presso i canonici regolari di Sant’Eufemia, e poiché era un giovane d’ingegno vivace, fu mandato a completare i suoi studi di teologia a Parigi, capitale intellettuale dell’Europa cristiana. Tornato a Piacenza, a 30 anni è priore di Sant’Eufemia, poi canonico, poi arciprete della cattedrale. Infine viene eletto Vescovo di Piacenza. Sei anni dopo, resta vacante la sede di Pavia. E San Folco Scotti vien consacrato Vescovo anche di questa città.

Piacenza e Pavia non erano divise soltanto dal fiume, ma anche da una ,terribile ostilità. Sono note, e ancora pittorescamente vive nella tradizione italiana, le rivalità tra città vicine. Basterebbe ricordare, sempre nella pianura padana, quella proverbiale tra Modena e Bologna. Ma la rivalità tra Piacenza e Pavia, prima di essere pittoresca e tradizionale, fu a lungo atroce e cruenta.

San Folco, piacentino e Vescovo di Pavia, fu il grande pacificatore delle due città. Pace prima di tutto interna, tra i cittadini divisi dalle fazioni politiche. Pace poi tra le due città, non più cristiane soltanto di nome.

Nel corso della sua opera pacificatrice, San Folco morì, nel 1229. Altro non si sa sul suo episcopato. Ma quello che si sa, e soprattutto la sua opera di padre affettuoso, basta a giustificare la fama e il culto che il discendente degli Irlandesi ha guadagnato in terra lombarda, ricca di sapienza e di santità.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Pavia, san Folco Scotti, vescovo, uomo di pace, colmo di zelo e di carità.