Sentenze inps

https://www.inps.it/search122/Sentenze.aspx

Contributi – Socio di s.r.l. – Gestione Commercianti – Reddito d’impresa non distribuito ai soci perché reinvestito o utilizzato a copertura di perdite di bilancio di esercizi precedenti – Imponibilità contributiva della quota di competenza del socio – Sussiste. Tribunale di Milano – 23.12.2019 n. 610 – Dr. Martello – F.D. (Avv. Righi) – INPS (Avv. Mogavero). Poiché nelle società di capitali il reddito d’impresa costituisce gli utili che i soci conseguono per effetto della partecipazione, il socio iscritto nelle gestioni previdenziali IVS è tenuto a determinare l’ammontare dei contributi dovuti in ragione della quota di reddito riferibile alla quota societaria di cui è titolare, indipendentemente dall’effettiva percezione. FATTO – La causa trae origine dal ricorso con il quale la parte ricorrente impugna l’accertamento dell’obbligo contributivo effettuato dall’INPS, cui è seguito l’avviso di addebito in oggetto che, sulla base di detto accertamento, è stato emesso per il pagamento dei connessi debiti contributivi e obbligazioni accessorie. Avverso detto avviso la parte ricorrente propone opposizione con l’odierno ricorso, chiedendo, preliminarmente, al Giudice di accertare la nullità e/o inammissibilità dell’avviso in oggetto per la carenza dei necessari requisiti di specificazione dei parametri e delle norme sui quali si fonda la pretesa contributiva. Nel merito, la parte opponente deduce l’infondatezza della pretesa azionata dall’Istituto qui opposto per l’insussistenza dell’imponibile contributivo posto a base dell’avviso di addebito in oggetto. Conclude la parte opponente chiedendo (con formulazioni non sempre congrue e coerenti fra di loro) di essere assolta dalla pretesa contributiva azionata con l’avviso di addebito in oggetto. Si è costituito l’INPS, contestando le affermazioni e le pretese avversarie e confermando il proprio convincimento circa la legittimità e la fondatezza dell’avviso di addebito in oggetto; ha chiesto, pertanto, il rigetto del ricorso. All’udienza le parti hanno, dopo l’infruttuoso tentativo di pervenire a una definizione in via amministrativa, hanno chiesto porsi la causa in discussione; all’esito della discussione il Giudice ha deciso come da dispositivo per i seguenti motivi. DIRITTO – 1. Deve essere, preliminarmente, rigettata l’eccezione svolta dalla parte opponente in ordine ai requisiti formali e di contenuto dell’avviso di addebito in oggetto. In effetti, l’atto impositivo oggi opposto contiene tutti gli elementi prescritti dall’articolo 30, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, per modo che infondata deve essere considerata la relativa eccezione svolta dalla parte opponente. Del tutto inconferente, inoltre, pare l’argomentazione svolta in ordine all’avviso bonario, posto che l’invio di questo atto costituisce mera facoltà dell’ente impositore e, comunque, non determina il sorgere di alcuna obbligazione passiva a carico del destinatario; questa, infatti, è riconducibile soltanto all’avviso di addebito. In relazione a quest’ultimo, peraltro, si osserva che l’opposizione ha per oggetto, come sopra rilevato, la regolarità formale del titolo esecutivo, per modo che si rientra nell’ipotesi di cui all’articolo 617 c.p.c., che prevede per l’impugnazione di un termine perentorio di 20 giorni, pacificamente superato nel caso di specie. Quanto alla eccezione svolta dalla opponente con riferimento alla inesistenza di un verbale di accertamento, si osserva che, nel caso di specie, la pretesa impositiva dell’Istituto oggi opposto trova fondamento adeguato e sufficiente nella dichiarazione dei redditi presentata dall’opponente nonché da quella presentata dalla società D H. srl, dalla cui conoscenza Inps ha legittimamente ricavato il dato reddituale sul quale si basa la pretesa contributiva di cui all’avviso di addebito in oggetto. 2. Nel merito, la domanda del ricorrente in opposizione è infondata e deve essere rigettata; e per più di una ragione. Preliminarmente, si osserva essere pacifico che il ricorrente è iscritto alla Gestione Commercianti, con domanda dallo stesso presentata a decorrere dal marzo 2010 (cfr. DOC. 1 INPS); di ciò, peraltro, si ha conferma dalla stessa dichiarazione dei redditi per il periodo di imposta 2013, nella quale l’odierno opponente ha compilato il quadro relativo al contributo IVS. La questione di causa, quindi, non riguarda l’eventuale sussistenza di un obbligo di iscrizione alla predetta Gestione Speciale ma, nello specifico, l’obbligo del versamento dei contributi eccedenti il cosiddetto minimale con riferimento all’anno di imposta 2013. Il ricorrente contesta la sussistenza di un siffatto obbligo per il fatto che nel periodo di imposta considerato la società della quale egli è socio e amministratore non ha dichiarato “ai fini fiscali” alcun reddito di impresa per il fatto che il reddito, effettivamente conseguito, è stato totalmente azzerato dalle perdite e, quindi, sarebbe “dal punto di vista strictu (recte:stricto NdR) sensu fiscale” del tutto inesistente (cfr. pagina 6 del ricorso). In proposito, occorre considerare che, essendo in presenza di una società di capitale, i redditi da capitale costituiscono gli utili che il socio consegue per effetto della partecipazione e, quindi, correttamente Inps ha riferito all’opponente la quota di reddito riferibile alla quota societaria della quale egli era titolare. In tal senso, va rilevato che il reddito della società deve essere considerato ai fini contributivi indipendentemente dall’effettiva percezione, e, quindi, non si può tener conto dell’effettivo conseguimento di reddito, considerabile soltanto ai fini fiscali (cfr. art. 5 Tuir). Consegue a ciò che i soci iscritti nelle gestioni previdenziali IVS sono tenuti a determinare l’ammontare dei contributi su un reddito che convenzionalmente viene considerato come “figurativo”, con tale termine intendendosi indicare, appunto, la circostanza che il reddito venga considerato indipendentemente dalla effettiva percezione di esso. In tal senso depone anche il chiaro disposto dell’articolo 3bis del decreto-legge numero 384/92, (la cui legittimità costituzionale è stata affermata dal Giudice delle leggi con la sentenza numero 354/01(1)) laddove, al fine della determinazione dell’ammontare del contributo annuo, si fa riferimento “alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini Irpef”. Da tale disposizione scaturisce l’obbligo per il contribuente di denunciare i redditi d’impresa; il che non è stato fatto nel caso specifico dall’opponente, il quale ha esposto una dichiarazione limitata al livello minimale. Sul punto, osserva il Giudice che, con riferimento all’anno di reddito in questione, per la società (e quindi, per il socio) vi è stato un effettivo conseguimento di reddito; mentre non rileva, ai fini contributivi, la destinazione che a tale reddito abbia dato i l titolare. Nel caso di specie la destinazione è stata quella di coprire i debiti derivanti dagli anni fiscali precedenti; decisione probabilmente legittima e rientrante nei poteri del titolare, ma che non può valere certo ad escludere il fatto oggettivo del conseguimento di un reddito. In effetti, l’opponente sembra sovrapporre due piani diversi, e cioè quello del reddito di impresa, risultante dai bilanci; e quello dell’utile d’impresa che, in ipotesi, potrebbe essere ridotto o azzerato da altre decisioni gestionali dell’azienda quale, ad esempio, quella di destinare parte del reddito ad investimenti o a copertura dei debiti, anche pregressi. La decisione del titolare del reddito di destinare questo a fini, pur consentiti dalla legge, che non comportino l’effettiva percezione dello stesso reddito, non può valere ad esonerare il predetto titolare dalle obbligazioni contributive previdenziali. La lettura del rigo RN1 della dichiarazione dei redditi di D H. srl mostra con tutta evidenza che nell’anno di imposta considerato la società ha conseguito un reddito di euro 102.837 che, poi, ha compensato integralmente deducendo al rigo RN4 un pari importo a titolo di “perdite scomputabili”. La legittimità di tale compensazione, a i fini delle obbligazioni fiscali, costituisce oggetto di valutazione da parte dell’Autorità tributaria, ma essa non assume alcuna rilevanza in relazione alle obbligazioni contributive. Una conferma di quanto sopra si trova anche nella circolare INPS n. 102, richiamata dalla stessa parte ricorrente, nella quale si fa riferimento soltanto al reddito e mai si considerano, a nessun fine, le eventuali perdite connessa alla partecipazione in società di capitali. Le considerazioni che precedono portano a concludere che correttamente Inps ha calcolato i contributi dovuti dall’opponente sulla quota di partecipazione da esso detenuta, anche alla luce del fatto che il correlato reddito supera il livello minimo imponibile e, quindi, la quota di contribuzione minimale. Deve essere, quindi, respinta la domanda proposta dall’opponente. Non vi è luogo per una pronuncia sulla domanda subordinata, inerente la limitazione della sanzione pecuniaria, in quanto formulata soltanto in conclusioni e senza alcuna motivazione. Consegue a quanto fin qui considerato, l’integrale rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo. (Omissis) _______ (1) V. in q. Riv., 2002, p. 396

Sentenze inpsultima modifica: 2020-10-19T18:54:07+02:00da vitegabry
Reposta per primo quest’articolo