La poesia sarda satirica e giocosa. Ieri e oggi.

 

di Francesco Casula

In Sardegna è esistita anche una poesia satirica con un forte timbro sociale, con il gusto del motteggio e della battuta scherzosa, dello sberleffo, della canzonatura e dell’ironia. Una poesia satirica e, persino ridanciana, in chiave sentenziosa e più ancora di costume che affiora, per esempio, nelle gare poetiche degli improvvisatori ma che ha avuto in particolare quattro grandi poeti sardi: il cagliaritano Efisio Pintor Sirigu, che può essere considerato il primo poeta satirico isolano; l’olzaese Diego Mele, il più celebrato dei poeti satirici sardi, il macomerese Melchiorre Murenu e il gallurese don Gavino Pes.

Tale poesia continua: con i necessari aggiornamenti e attualizzazioni, ma conservando il tono di celia, il sapore di parodia, il gusto del paradosso, del giocoso e della caricatura. E’ il caso di Tramas de seda, (Casa editrice La Riflessione di Davide Zedda), la nuova deliziosa e spassosa silloge poetica di Maddalena Frau, che sarà presentata sabato 29 Ottobre a Sanluri (Sala dell’ex Montegranatico) e con cui, orazianamente, “ridendo castigat mores”. 

Esemplare, per quanto attiene all’ironia e alla satira, è nella Raccolta la poesia S’Aipoddu, (l’I-Pod) dedicata all’ultimo ritrovato tecnologico che sta spopolando soprattutto fra i giovani. Poesia che ha vinto il Primo Premio nel Concorso di Poesia satirica “Larentu Ilieschi” di Ploaghe il 26 Giugno scorso.

La poesia -il cui sardo dimostra ancora una volta la capacità di esprimere tutta la modernità, anche quella  legata alla tecnologia più spinta- con garbo, quasi amabilmente, con il gusto della caricatura e della parodia, mette in luce gli aspetti paradossali, ridicoli e comici di Efisineddu, ormai “schiavo” del nuovo dio giovanile oltre che di tutto il ciarpame modaiolo distribuito a piene mani dalla TV e dalla Pubblicità. Ecco alcuni versi:”Efisineddu andat in sa strada/cun s’origa attaccada a s’Aipoddu/e a cropus de gambas e de coddu/fueddat cun sa musica Repada/In sa busciacca de su cratzoneddu/ci ficchit su lettori musicanti;/de musica moderna delliranti/si ndi prenat su coru e su xrobeddu./A cratzoni calau a mesugonna,/a cufiedda cun su lecca-lecca/ndi bogat su macchini ‘e discoteca/cun Paf Daddi, Beionse, Madonna…/Baddendu Roch En Rollu iscadenau,/e Tecno e Fanchi sbanda-sbanda/si callincunu ddi fait domanda/non bidi e no intendit: stontonau!”

Infine l’ultimo ritrovato tecnologico: l’I-Pod, un lettore di musica digitale basato su hard disk e memoria flash, che sta spopolando soprattutto fra i giovani e a cui l’Autrice dedica una fulminante poesia, S’Aipoddu, che ha vinto, meritatamente, il Primo Premio nel Concorso di Poesia satirica “Larentu Ilieschi” di Ploaghe il 26 Giugno scorso. La poesia -il cui sardo dimostra ancora una volta la capacità di esprimere tutta la modernità, anche quella  legata alla tecnologia più spinta- con garbo, quasi amabilmente, con il gusto della caricatura e della parodia, mette  in luce gli aspetti paradossali, ridicoli e comici di Efisineddu, ormai “schiavo” del nuovo dio giovanile oltre che di tutto il ciarpame modaiolo distribuito a piene mani dalla TV e dalla Pubblicità:”Efisineddu andat in sa strada/cun s’origa attaccada a s’Aipoddu/e a cropus de gambas e de coddu/fueddat cun sa musica Repada/In sa busciacca de su cratzoneddu/ci ficchit su lettori musicanti;/de musica moderna delliranti/si ndi prenat su coru e su xrobeddu./A cratzoni calau a mesugonna,/a cufiedda cun su lecca-lecca/ndi bogat su macchini ‘e discoteca/cun Paf Daddi, Beionse, Madonna…/Baddendu Roch En Rollu iscadenau,/e Tecno e Fanchi sbanda-sbanda/si callincunu ddi fait domanda/non bidi e no intendit: stontonau!”

Dalle recenti elezioni emergono con nettezza alcuni dati incontrovertibili: il primo attiene al bipolarismo. Lungi dall’essere ormai assodato e metabolizzato -come certa pubblicistica cerca di propagandare- è stato preso a roncolate dagli elettori. Per non parlare del bipartitismo, che è stato addirittura interrato, forse definitivamente: almeno in Sardegna. Ne è testimonianza impietosa il risultato elettorale: PDL e PD insieme ottengono poco più di un terzo dei voti complessivi (36%). Eppure questi partiti vorrebbero dominare -e con quale spocchia- l’intero panorama politico. Gli è che quando dalla loro parte non vi è la legge (liberticida) con sbarramenti e premi di maggioranza, il loro consenso è ultraminoritario. Non di molto superiore a quello ottenuto dal variegato mondo sardista, indipendentista, autonomista o comunque regionalista (Psd’az, Irs, Rosso Mori, Fortza Paris, Uds, Mpa, Riformatori); o a quello dei Partiti italiani che sono loro alleati (Idv, UDC, Sinistra, Verdi, Socialisti e altri). Ma il dato più eclatante -inutile negarlo- è l’astensionismo di massa: alle Provinciali ha votato un elettore su due. L’affluenza si è infatti fermata al 56,75% con un meno 11% rispetto alle precedenti elezioni. E sarebbe stato ancora più massiccio senza il colossale effetto trascinatore delle elezioni comunali, con un intero esercito di candidati. Tanto che dove queste non si svolgevano, i seggi sono andati pressoché deserti: a Cagliari ha votato il 34,2%; ad Alghero il 36,1; a Olbia il 40%. E’ stato detto che si è trattato di un astensionismo anti province. Certo: ma non solo questo. Al fondo vi è soprattutto una crescente disaffezione del cittadino nei confronti dei Partiti, spesso anche una reazione di rifiuto della politica tout court, vista “affare per mestieranti”, da cui dunque stare alla larga. La responsabilità maggiore è da ricondurre ai partiti, la cui politica svuotandosi sempre più di contenuti e di programmi, diventa pura gestione del potere a vantaggio di pochi. Partiti che sono interessati a perpetuare un ceto politico mastodontico e sempre più autoreferenziale, ben remunerato e con immani privilegi. E non penso soltanto a quelli che “occupano” le Assemblee elettive  ma a quella pletora di “trombati” alle elezioni che vengono “sistemati” in Enti, di qualsivoglia genere: da quelli culturali e quelli bancari.

Sbaglia, a mio parere, Giacomo Sanna quando liquida, quasi con sprezzo e con sufficienza, la proposta di Maninchedda di costruire “un grande polo autonomista che abbia dimensioni tali da rompere l’attuale situazione politica e possa rappresentare una scelta elettorale diversa credibile e forte”.

Sia ben chiaro il segretario nazionale del PSD’AZ ha tutto il diritto di rivendicare con orgoglio la scelta indipendentista del suo Partito fin dal lontano 1981: scelta tendente a conquistare vieppiù quote di sovranità e che difficilmente può dunque convergere con l’Autonomia, storicamente fallita e che ha significato per la Sardegna succursalismo, subalternità e, di fatto, eteronomia.

Certo Sanna ha ragione nel rimproverare a Maninchedda l’abbandono dell’Assemblea Costituente -la madre di tutte le riforme- per sposare una stitica, burocratica e inutile “Consulta”. Ha altrettanta ragione quando ricorda ai Partiti del centro sinistra l’aver messo nel cassetto il progetto di “Sardegna libera” del 18 Luglio 2003 che si proponeva di ”dare forma e sostanza a un nuovo soggetto della politica sarda che assumesse l’Identità come valore preminente, interrompendo le trasposizioni degli schemi della politica italiana su quella sarda”; o, per usare le parole allora pronunciate, a nome dei DS, dall’attuale Assessore all’Ambiente Tonino Dessì, di “costruire un soggetto politico nuovo, riformista, federalista, sardista, una nuova espressione autonoma della soggettività di un popolo irriducibilmente peculiare ”.

Tutto ciò premesso, come non avvedersi però che oggi è più che mai urgente la costruzione di un polo nazionalitario, che abbia dimensioni tali da competere, anche a livello elettorale, con i poli italianisti? Non si tratta a mio parere di “sciogliere” il Partito sardo in una generica “area autonomista”; né -come paventa Giorgio Melis in questo Quotidiano- di fondare un ennesimo partitino sardo, bensì di dar vita -magari attraverso una federazione- a una vasta coalizione che metta insieme partiti e movimenti sardi, sardisti e indipendentisti, in grado di costruire un progetto, una via “locale” di prosperità, di benessere e di libertà, di autogoverno e di autodeterminazione per la Sardegna e i Sardi.

Una vera e propria “casa comune” dei Sardi: nell’immediato in grado di allearsi -per condizionarli da una posizione di forza e senza alcuna subalternità- con i Partiti italiani di centro-sinistra; in prospettiva per porsi in alternativa e governare la nostra Isola, per portarla alla rottura della dipendenza.

   “O Sardi o servi, o liberi nella nostra terra o schiavi, un altro mondo è possibile a casa nostra”: così Giacomo Sanna concluse la sua relazione di presentazione del progetto “Sardegna libera” il 18 Luglio del 2003. Bene: occorrerà dotarsi, per “essere liberi in casa nostra”, certo di un Partito sardo più forte e robusto, ma nel contempo di un’area politica più vasta e unitaria. Se il progetto di Maninchedda è questo, occorrerà non solo condividerlo ma sostenerlo e incoraggiarlo da parte di tutti i sardi e non solo dei sardisti.

PREFAZIONE

di Francesco Casula

Maddalena Frau dopo le sillogi poetiche di Lugore de luna (2002) e Sas meravillas de don Bosco (2006) ci delizia con una nuova prova di sardo

e di sardità letteraria, poetica e linguistica: Tramas de seda (Filaterias/Filastrocche- Anninnias/Ninnenanna- Duru-Duru/Canti-Isorvelimbas/Scioglilingua). Si tratta di 91 poesie in lingua sardo- logudorese (66) e sardo-campidanese (25), rivolte soprattutto ai bambini, agli scolari. Sulla scia della tradizione popolare sarda.

Infatti “la società agropastorale dava ai bambini affetti, attenzioni e cure che oggi la società industriale più non dà”, ha scritto il nostro più grande poeta etnico, Cicitu Masala. Pensiamo a tutti gli antichi giocattoli della tradizione popolare sarda (Alberi di cuccagna, buoi di granoturco, lacciuoli di fieno, sa bardufula, sa boccia, sa pippia de zappu, is fosileddus, is cuaddeddus, is carrettonis) o ai giochi (su pimpiriponi, su seddatzeddu, su binghiri-binghiri, su babballotti, su barraliccu, Zacca e poni, Su pistirincu, su pincareddu, su foghilloni, Cruxis e grastus, Cavallieri in porta, Pitzu,cu o atza?).

Oppure pensiamo alla vasta produzione di letteratura infantile in lingua sarda: Anninnias (ninne-nanne); Duru-duru; Contos de foghile o de forredda (fiabe) che ad Alghero, chiamano Cantzonetas de minjonetts; Isorvelimbas o strobeddalinguas (scioglilingua);Berbos chenza cabu né coa (“non sense”); Filaterias o cantones a istroccu (filastrocche); Istivinzos (indovinelli); proverbi; Berbos contro la malattia e contro la malasorte; scongiuri apotropaici da allegare a scapolari e amuleti; Pungas e Mazinas. Tutto un incredibile materiale predisposto per la mimesi e per l’iniziazione alla vita dei grandi.

I componimenti di Tramas de seda sono modellate in strutture giocose, scherzose, musicali, onomatopeiche, iterative e hanno proprio le movenze del tipo della filastrocca, della ninna-nanna, della canzone, dell’indovinello, del nonsense di matrice popolare ma che Maddalena Frau sottopone a un trattamento e a una rielaborazione personale e originale.

Quella costruita dalla poetessa Ollolaese -ma da decenni oramai trapiantata a Sanluri, di qui le due varianti, logudorese e campidanese, utilizzate nelle sue poesie- è però anche una “commedia umana”, un caleidoscopio di personaggi ora patetici ora drammatici, ora ridicoli e comici. Essi talvolta sono certamente surreali ma più spesso sono attinti dalla vita quotidiana e si confrontano con la realtà di oggi. Ed essi sono -come l’Autrice scrive nella Presentazione-:innamorati e infedeli, belli e brutti, maldestri, furbi, sciocchi, allegri e capricciosi”.

Anche in questa silloge Maddalena Frau conferma una grande cifra espressiva e poetica, grazie al suo linguaggio spassoso e carico di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnate di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi, quella scrittura e quel linguaggio che ha saputo mutuare – sia pure con grande originalità  – dalla cultura tradizionale sarda e dalla oralità: da nonna Maddalena e dai nonni materni di Mamoiada, babbai Mele e mammai Deiana, come precisa nella Presentazione.

Ma c’è di più: l’Autrice -in questa silloge più che nelle altre due che l’hanno preceduta- disegna e rappresenta i suoi personaggi, con un gusto tra l’ironico e il fiabesco, a cui bisogna aggiungere una fortissima componente ludica e spassosa, che si manifesta in parecchi testi: pensoa Baby Sitter, un personaggio paradigmatico e sempre più attuale anche nella nostra Sardegna, come la romena Fransiska, che così recita, con il suo linguaggio ibridato ma particolarmente incisivo e divertente, ovvero con quell’italiano contaminato dal vocabolario popolare e dalla lingua sarda; “ci ho dato solamente/la pappa con amore/a pitzinnu minore:/un pentolino a raso/di minestra con caso,/e frutta con nutella/e pane e mortadella/e omogeneizzato/a foco callentato/con latte e biberone,/Pitzinnu…è satzagone!..

Il gusto per il gioco, il senso ludico della scrittura e della poesia: una poesia che si fa rima, canto e canzone e si scioglie nei numeri della musica, preludendo alla danza e al ballo, guidati da “Su sonette e su pipiolu” attraversa moltissimi componimenti.

Penso -ma sono solo degli esempi- a Durulìa: “Duru-duru-duru-lìa/Chie b’at in domo mia?/B’est una cria minore/chi faghet su sonadore/cantande:-Uè! Uè!-/cun sa crapa e sa memèè./Mè! Mè! Mè! Bè-bè-bè! Bèè!”; o a Beni mannoi! Beni Mannai!: “A duru-duru, a duru-dai!/ Beni mannoi! Beni Mannai/Ben’ a cantare a su pitzinneddu/a lughe ‘e sole, a lughe ‘e isteddu./Canta a iscuru e a lugore,/A duru-duru, Ninnu minore./A duru-duru a duru-dai./Beni mannoi, beni mannai.”; o ancora a Ballalloi: “Righe, righe Ballalloi!/Cun sos corros de Bobboi/cun sos corros de Nannai/canta-ti su duru-dai,/Canta e balla in camminu/ma non rigas a caddinu/e nemancu a macconatza/Mamma tua porconatza/sorre tua manna becca./Zoga, zoga a pudda zecca./Zoga, zoga, belleddeddu,/ma ti tzumiat su cherveddu,/e ti tzumiat “Oi! Oi!”/Righe, righe, ballalloi!”

Il piacere per il gioco metrico e formale, per la rima e il vortice  linguistico, non è mai però fine a se stesso, puro “divertissement”. Pur mai urlato e insistito ma sotteso, sommesso e discreto, quasi subliminale, aleggia infatti in quasi tutti i componimenti della silloge, “l’engagement” del grande filosofo francese cristiano, Emmanuel Mounier, ovvero l’impegno sociale, etico, pedagogico, culturale e religioso dell’Autrice.

E non inganni l’apparente elementarità dei toni e della scrittura, la veste ludica del verso, a volte brevissimo, la sonorità delle rime, delle consonanze e delle assonanze, l’ilarità delle situazioni e anche certa irrazionalità e assurdità dell’immaginario: la destata impressione di uno spontaneo inserimento casuale delle parole, in un piacevole intrigante giuoco musicale, sono segni di un’incisiva introspezione nell’universo spirituale dell’uomo e non puro gioco.   

   Ma il significato recondito del mondo di Tramas de seda, le sue sostanziose midolla occorre coglierle sotto la crosta della finzione poetica, del procedimento allegorico e dell’invenzione verbale: al di là del tono di celia, del sapore di parodia e satira, del gusto del paradosso, della caricatura, della canzonatura e dello sberleffo.

E tale significato e ideale sta in un atteggiamento tollerante, equilibrato e disincantato verso la vita che non esclude però, che anzi richiede con forza, una critica, sotto forma di parodia e di satira  -mai però arcigna né insistita- nei confronti delle manie, dei limiti, dei vizi, degli errori, delle debolezze umane: così -per dirla con Orazio, “ridendo castigat mores”. E’ il caso di Tzia Brusiera, pettegola e maldicente che Ponet su fogu/in cada logu,/a cada manera/Zirat de palas/est brusiande…/E cosas malas est imbentande/Tzia Brusiera/no at setzidorzu/Zughet sa limba/ che unu puntorzu”; o di Nonna Catzedda, boriosa, saccente e sapientona che “Tott’ischit issa” a tal punto che “In sa cappella de su cumbentu/nde faghet lege de testamentu…Donat a totus amonitzione:/-Prega, cunfessa, comunione,/si no arribbat s’Apocalissa…”; o ancora di Donna Mafalda, così piena di sé e presuntuosa che, volendo come marito “Marchesos e contes/e cun terrinos e mares e montes/Cun dominarios e serbidores/e cun zardinos de milli colores” si ritrova con “Nudda”: “Solu s’amore de Bore Chibudda”!

Ma le roncolate e gli strali -sia pure giocosi- della parodia e della satira di Frau si scagliano soprattutto nei confronti della “modernizzazione” della società sarda, tutta giocata all’insegna del consumismo (in sos bancones de sennor Oscian ormai si può acquistare tutto!), l’urbanesimo, lo squasso e lo sconvolgimento antropologico ed etnico causato dall’acculturazione esterna e da modelli (di alimentazione, di vita, di sviluppo, di civiltà) “altri” ed estranei all’identità dei sardi. Modelli di vita e di sviluppo che alienano e deprimono l’individuo (In tottuve tottus tenent s’istresse!) e la comunità. E persino i “paesi” sardi, che vieppiù rischiano di essere invasi dalla colata lavica omologante delle metropoli, smarrendo così codici,valori e specificità.

Di qui le manie modaiole – spesso di cattivo gusto- nel modo di vestire e di abbigliarsi con calzoni che scoprono il sedere e la pancia, piercing nell’ombelico, cinte torchiate e scarpe a punta lunga: è il caso di Sa netta de comare Leonorache “Zai si la bragat ca tenet dinare,/fintzas su culu cheret ammostrare,/a camisedda curtza e brent’ in fora./Cun sabbatas a punta illonghiada/nde faghet tricchi-tracca in s’istradone/e si sonat sa tzinta bullonada/e s’imbilighe a pendulintzone”.

Ma anche di Sabbata punti longa: “Comare s’est irrutta a costalonga/andande tetteredda in s’imperdau:/ca su taccu a ispillu l’est bortau/pro curpa de sa sabbata puntilonga./Pro neghe de sa moda de ocannu/ca cheret sa femmina piperuda/comare s’est irrutta a culinuda/Tott’a cartzas a susu ite dannu/”.

Altro vezzo modaiolo -e spesso pericoloso- sbeffeggiato e messo alla berlina da Frau in Chicca Nieddu è quello -tipico di molte donne ma, sempre più, anche di uomini- di restaurarsi e ristrutturarsi attraverso il silicone, guance, labbra, seni e persino sedere, caviglie e talloni: “Chicca Nieddu/at silicone:/in su cherveddu/unu buruthone/e in sa fatzada/de sos tutturros/est uffreddada/puru in sos murros/E in sas tittas,/mannu disizzu,/tenet banittas/de batto’ pizu./Nde tenet peri/initzione/in su paneri/de chimmisone/In cambutzeddu/e in carrone/Chicca Nieddu/ at silicone”.

Infine la moda -e, talvolta, la schiavitù- delle nuove diavolerie elettroniche come Su gioghittu cellulari, su telefoninu, preteso anche dai bambini: “Duru-duru duru-dai/su pipiu de gomai/est prangendu notti e dì,/no arrennescit a dromì/ca no dd’ant arregalau/su gioghittu de mercau,/cussa bella scatuledda/chi scuillat e fueddat:/su gioghittu singulari/chi si tzerriat cellulari”, avente magari incorporato Su videogiocu che “Fadendi mistura/in sa tancadura…/sa musica macca/sonendi in busciacca/in su pantaloni/de Peppi Meloni,/Sonendu-sonendu,/sa genti arriendu./Su preide inchiettu…/Macchini cumpletu!”.

Infine l’ultimo ritrovato tecnologico: l’I-Pod, un lettore di musica digitale basato su hard disk e memoria flash, che sta spopolando soprattutto fra i giovani e a cui l’Autrice dedica una fulminante poesia, S’Aipoddu, che ha vinto, meritatamente, il Primo Premio nel Concorso di Poesia satirica “Larentu Ilieschi” di Ploaghe il 26 Giugno scorso. La poesia -il cui sardo dimostra ancora una volta la capacità di esprimere tutta la modernità, anche quella  legata alla tecnologia più spinta- con garbo, quasi amabilmente, con il gusto della caricatura e della parodia, mette  in luce gli aspetti paradossali, ridicoli e comici di Efisineddu, ormai “schiavo” del nuovo dio giovanile oltre che di tutto il ciarpame modaiolo distribuito a piene mani dalla TV e dalla Pubblicità:”Efisineddu andat in sa strada/cun s’origa attaccada a s’Aipoddu/e a cropus de gambas e de coddu/fueddat cun sa musica Repada/In sa busciacca de su cratzoneddu/ci ficchit su lettori musicanti;/de musica moderna delliranti/si ndi prenat su coru e su xrobeddu./A cratzoni calau a mesugonna,/a cufiedda cun su lecca-lecca/ndi bogat su macchini ‘e discoteca/cun Paf Daddi, Beionse, Madonna…/Baddendu Roch En Rollu iscadenau,/e Tecno e Fanchi sbanda-sbanda/si callincunu ddi fait domanda/non bidi e no intendit: stontonau!”

In questo componimento viene usata la lingua sarda nella variante campidanese: ebbene, a me pare che essa, per la poesia comica e giocosa, risulti più congeniale e più adatta delle altre varianti: forse perché lo stesso dizionario di immagini, lo stesso lessico dei modi di dire e di schemi figurativi possiede già al suo interno idee e impressioni atteggiate dall’anima popolare nella formadella satira, del paradosso e della parodia.

Ma nella poesia di Frau non ci sono solo uomini e donne, personaggi, abbiamo visto, ora comici e ora tragici: ci sono anche gli animali, che appartengono a un certo ambiente, ne costituiscono un tratto preciso: ma significano anche altro, essendo figure da apologo come: Su catheddu:“chisolu-solu poverittu/in s’affogu e in su frittu/S’intendet su appeddare/in su monte e in su mare”; Cane e gattu: “Sa Cane macca e sa Gattu morta/ischint a bendere e a comporare/però zogande a su batti-porta/nachi si sunt istumbadas a pare”; Sa gattulina de Tzifarosa: “Sa gattulina de Tzifarosa/s’atera die s’est fatta a isposa/cun su Pisitu de campidanu/in d’unu campu de taffaranu”; Su mulu e su mobenti:”Su mulu e su mobenti/corruxinant in pari/Si murigat sa brenti/bruxiat su vari-vari”; Su pisitu:”Su pisitu pei piattu/mi ndi furat fattu-fattu/petza e pisci de su prattu/Su pisitu pei piattu”.

La silloge è scritta in Lingua sarda e a fianco vi è sempre la traduzione in Italiano. Occorre riconoscere che la versione in limba risulta più efficace ed intensa: il linguaggio infatti, turgidamente espressivo, onomatopeico e musicale, irrompe sempre carico di deflagrazioni umoristiche, con grandi capacità allusive, allegoriche, ironiche ed inventive. Un linguaggio che, nei momenti più felici, risulta un impasto ardito di neologismi, immagini, proverbi, tratti dalla tradizione popolare, producendo un fragoroso gioco pirotecnico e un carnevale lessicale e musicale.

        Nella versione italiana si perdono molti ritmi, rime, suoni, assonanze e allitterazioni: a dimostrazione della “intraducibilità” della lingua, pena il dimezzamento delle capacità espressive e comunicative. Per non parlare delle frasi idiomatiche, di cui la lingua sarda è ricchissima, e che sono assolutamente intraducibili. La scelta della Lingua sarda dimostra, anche a chi non ci credesse, le possibilità artistiche e semantiche di una lingua tagliata che molti hanno ricucito e usano sempre più spesso, contrariamente a quanto dicono statistiche improponibili.

      Quando il sardo fra non molto -c’è da augurarsi- entrerà nelle scuole, libri come questo consentirebbero ai ragazzi di rivisitare un mondo e di apprezzare una lingua dal fascino innegabile. Dunque Tramas de seda è da leggere e da gustare soprattutto nella versione sarda, in cui l’immaginario popolare, ricchissimo e depositato nel bagaglio musicale di una lingua, il sardo, sia logudorese che campi- danese, si mostra in tutta la sua potenza poetica. Dove per potenza poetica s’intende la capacità della parola di innescare, mettere in moto, il processo poetico. Si percepisce, cioè, in questo libro, il potere autopoietico della lingua sarda, un potere che da una parte deriva dal suo carattere culturale squisitamente popolare (come inconscio collettivo), e dall’altra parte dal fatto che il sardo è una lingua minoritaria, disprezzata (molto spesso dagli stessi sardi) e dimenticata nel vorticoso guazzabuglio linguistico dei media.       

Maddalena Frau fa comunque bene a offrirci poesie bilingui. Ciò infatti può servire come strumento perché si avvicini al sardo anche chi nutre pregiudizi e ostilità. E soprattutto la versione bilingue può essere oggi più facilmente circuitata anche all’interno delle scuole, fondamentale se non si vuole confinare la lingua sarda nell’angusto recinto delle feste paesane o del folclore.

La poetessa ollolaese -come già aveva fatto nelle due precedenti sillogi Lugore de luna e Sas meravillas de don Bosco- riscrive all’infinito la poesia che gli proviene da quel mondo innocente della sua infanzia, fatto di immagini della memoria, di colori, di odori, di sapori e soprattutto di suoni. Certo essa scrive e canta per i bambini. Ma perché sa di scrivere e cantare per tutti gli uomini. Occorre infatti evitare di assegnare a Tramas de seda una semplice funzione di divertimento o la generica collocazione in una convenzionale “lettura per l’infanzia”.

   Per valorizzare in pieno la poesia di Maddalena Frau bisognerebbe restituirla all’oralità. L’intera tessitura sonora, le rime, le allitterazioni si potrebbero gustare meglio se “recitate” da un autore: o meglio ancora, se cantate.  Questa raccolta, in altri termini, si configura anche come uno spettacolo da proporre in piazza, nelle scuole, alla radio.

Tramas de seda infatti è come un manifesto politico-culturale: insegnate ai vostri bambini insieme alla lingua sarda, l’immaginario linguistico e culturale sardo. Per questo il libro di Frau ha anche un valore didascalico, oltre che estetico e di pretto piacere letterario.

Il testo si propone infatti per la particolare efficacia comunicativa, per la “presa diretta” con i bambini e i preadolescenti. Le diverse poesie infatti coinvolgono nell’ascolto la tensione comunicativa e cognitiva, l’immaginazione e il gusto della scoperta lessicale e semantica e, cosa tutt’altro che secondaria, evocano e attivano una serie di contesti extralinguistici, di caratterizzazione ambientale, psicosociali, etnoantropologica, adeguata a percorsi di ricerca per la formazione storica e lo sviluppo della personalità di base. Sono dunque tante le ragioni per dire che Tramas de seda non è un libro da leggere e conservare, ma un libro per apprendere, ricordare, comunicare.

La poesia sarda satirica e giocosa. Ieri e oggi.ultima modifica: 2011-10-18T10:20:00+02:00da vitegabry
Reposta per primo quest’articolo