Archivi giornalieri: 18 gennaio 2023

Che cos’è un ministro senza portafoglio

Che cos’è un ministro senza portafoglio

È un membro del governo che non ha un dicastero di riferimento, ma svolge funzioni delegate dal presidente del consiglio. In qualità di ministro, a differenza di viceministri e sottosegretari, partecipa al consiglio dei ministri.

Definizione

In Italia il numero dei ministeri e le loro funzioni sono stabiliti per legge, come previsto dalla costituzione (art. 95, comma 3).

Nello specifico, la norma che disciplina questi aspetti è il decreto legislativo 300 del 1999 (art. 2), dove sono indicati il numero e il nome dei ministeri. Ad esempio quelli dell’interno, della giustizia, degli affari esteri, della salute, etc. Attualmente sono 15, ma dal 1999, il numero e l’organizzazione dei ministeri è cambiata molte volte. Basti pensare all’istituzione del nuovo ministero del turismo avvenuta a marzo 2021 per volontà del governo Draghi (decreto legge 22/2021).

Chi guida questi dicasteri sono i ministri con portafoglio. Il ministro che ne è al vertice guida un’intera e complessa amministrazione, con un proprio bilancio, con uffici strutturati a livello centrale e spesso anche sul territorio (si pensi al ministro dell’interno e il suo ruolo nella nomina dei prefetti). 

I ministri senza portafoglio invece non hanno un ministero autonomo. Sono insediati presso la presidenza del consiglio dei ministri e svolgono solo le funzioni che vengono loro delegate dal presidente del consiglio.

All’atto della costituzione del Governo, il Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, può nominare, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal Presidente del Consiglio dei ministri sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale.

Rispetto ai ministri con portafoglio quindi detengono molto meno potere di gestione amministrativa. Non sono al vertice di un ministero, generalmente gli è affidato un dipartimento interno alla presidenza del consiglio. Ad esempio il ministro per gli affari regionali è un ministro senza portafoglio che guida l’omonimo dipartimento della presidenza del consiglio. Ma questa titolarità non è diretta, come per i ministri con portafoglioè la conseguenza di una delega di funzioni del premier.

Nonostante questa differenza sostanziale, però, giuridicamente sono a tutti gli effetti dei ministri. A differenza di sottosegretari e viceministri, siedono in consiglio dei ministri. In questa sede – allo stesso modo dei loro colleghi con portafoglio – concorrono alle deliberazioni dell’organo collegiale.

Senza distinzioni di sorta, ciascuno dei Ministri compone in quanto tale il Consiglio dei Ministri, nell’ambito del quale tutti “hanno identica posizione giuridica (…) onde il voto di ciascuno di essi ha la stessa rilevanza”

Dati

Rispetto alla prima repubblica, nell’ambito di una complessiva razionalizzazione della macchina amministrativa, il numero di ministeri con portafoglio è stato progressivamente ridotto. Paradigmatico è il caso dell’attuale ministero dell’economia e delle finanze, oggi un dicastero unico, mentre fino agli anni ’90 quelle funzioni erano svolte 3 strutture autonome: il ministero del bilancio, quello delle finanze e quello del tesoro. Quest’ultimo nel 1993 (a seguito di un referendum abrogrativo) aveva peraltro già accorpato un quarto dicastero, quello delle partecipazioni statali.

A fronte di questa riduzione, il numero di ministri senza portafoglio è aumentato, in particolare negli anni 2000. Il governo Berlusconi II (2001-05) ne aveva 9, il Berlusconi III (2005-06) 11, il Prodi II (2006-08) 8. Il successivo Berlusconi IV, pur riducendo ulteriormente il numero di ministeri con portafogli (solo 12, rispetto ai 18 del precedente esecutivo) era composto da 9 ministri senza portafogli.

Negli ultimi anni il numero di ministeri con portafoglio è tornato a crescere. Tra i casi più recenti ricordiamo la divisione del Miur (preposto ad istruzione, università e ricerca) in due ministeri: quello dell’istruzione e quello dell’università e della ricerca. Una divisione che, nel corso del governo Conte II (gennaio 2020) ha portato il numero di dicasteri da 13 a 14, ed è stata mantenuta dall’esecutivo guidato da Mario Draghi. In questo governo un nuovo spacchettamento, quello tra cultura e turismo, ha portato a 15 il numero di ministeri con portafogli.

15 i ministeri con portafoglio in seguito alla divisione tra cultura e turismo.

All’atto di giuramento, Massimo Garavaglia (Lega) è stato nominato ministro senza portafoglio al “coordinamento di iniziative nel settore del turismo”. Un passaggio intermedio prima della modifica della legge sui ministeri e dell’attribuzione di un dicastero con portafoglio, come dichiarato al Quirinale dal presidente del consiglio, una volta accettato formalmente l’incarico.

la composizione del governo: (…) l’onorevole Massimo Garavaglia al quale sarà conferito l’incarico per il coordinamento di iniziative nel settore del turismo e che sarà preposto al nuovo ministero del turismo con portafoglio.

Analisi

Negli anni, al diminuire del numero di ministeri con portafoglio è spesso corrisposto un aumento di quelli senza portafoglio, con poche eccezioni.

L’aumento del numero di ministri senza portafoglio può nascere da diverse esigenze. In primo luogo, dalla necessità di garantire rappresentanza in consiglio dei ministri anche ai partiti minori di una coalizione di governo. Esempi in questo senso sono i governi del bipolarismo nella seconda repubblica, spesso formati da alleanze ampie e frammentate al loro interno. Le forze più piccole della coalizione, non potendo di solito ambire ad un ministero più pesante, con un ministro senza portafoglio vedono comunque garantito un ruolo nelle decisioni collegiali dell’esecutivo.

Inoltre, le deleghe dei ministri senza portafoglio possono essere utili per dare segnali all’opinione pubblica sul programma del governo che entra in carica. La creazione del ministro per la disabilità, voluto dalla Lega nel governo Conte I, nel governo Draghi e nel governo Meloni è un esempio in questo senso. Al contrario all’atto di nascita del governo Meloni le deleghe alla transizione digitale non sono state attribuite a un ministro, come era accaduto con i due precedenti esecutivi, ma solo a un sottosegretario.

Un terzo motivo per la nomina di un ministro senza portafoglio è che questo è l’atto propedeutico alla creazione di un ministero con portafoglio di nuova istituzione. Quando giura, un esecutivo deve attenersi al numero e all’organizzazione dei ministeri così come è prevista dalla legge; solo una volta in carica potrà creare nuovi dicasteri. È il caso già citato di Garavaglia: nominato formalmente ministro senza portafoglio con delega al turismo, con la specifica che sarà preposto al ministero di nuova formazione.

Un altro caso analogo si è avuto alla formazione del governo Prodi II (17 maggio 2006): Paolo Ferrero (Prc), Emma Bonino (radicali) e Alessandro Bianchi (indipendente di area Pdci) furono inizialmente nominati ministri senza portafoglio. Il giorno dopo (18 maggio) divennero ministri con portafoglio di 3 ministeri di nuova costituzione. Rispettivamente: solidarietà sociale (nato dallo scorporo del ministero del lavoro e delle politiche sociali), commercio internazionale (da una divisione del dicastero delle attività produttive) e trasporti (dalla scissione del ministero delle infrastrutture e dei trasporti).

 

Quanti anni servono per la pensione 2023?

Quanti anni servono per la pensione 2023?

Quanti anni servono per la pensione 2023?

Il 2023 si è aperto all’insegna della pensione con quota 103. La novità della legge di Bilancio è questa. Ma non basta parlare di questa misura che parte dai 62 anni di età come partiva quota 100 fino al 2021, per capire quanti anni di età servono per le pensioni. La moltitudine di misure e le variabili interne di ogni misura rendono le pensioni degli italiani assai varie. E le età cambiano da caso a caso.

In pensione a 62 anni? ecco i primi a riuscirci

I primi a poter sfruttare la nuova quota 103 all’età minima prevista sono i nati a gennaio 1961. Infatti sono quelli che hanno completato i 62 anni di età in questi primi giorni del 2023. Potranno quindi andare in pensione dal 1°aprile se lavoratori del settore privato. Infatti anche per la quota 103 c’è il vincolo della finestra mobile di 3 mesi. Ma sempre con la quota 103 sono sufficienti anche 63, 64, 65 o 66 anni. E così che possono sfruttare la novità anche i nati nel 1957, 1958, 1959 e 1960. Per tutti l’importante è anche aver completato i 41 anni di contributi versati.

Le altre età utili alla pensione

Un nato nel 1956 è il soggetto ideale per poter andare in pensione nel 2023 con le misure ordinarie e pure con alcune deroghe. Bastano 20 anni di contributi e 67 anni di età (il nato nel 1956), per la pensione di vecchiaia. Ma il nato nel 1956 senza contributi o con contributi insufficienti per una sua pensione propria, può sfruttare nel 2023 anche l’assegno sociale. Ma a 67 anni c’è anche la pensione con una delle, difficilmente centrabili, tre deroghe Amato. Qualche mese prima e pensione a 66 anni e 7 mesi di età per la pensione di vecchiaia con 30 anni di contributi per chi svolge lavori gravosi o usuranti.

Le deroghe alle misure ordinarie

A 63 anni di età e quindi per i nati tra il 1957 ed il 1960, c’è l’Ape sociale. Bastano 30 anni di contributi ad invalidi, con invalidi a carico e disoccupati. Servono 36 anni di contributi per i lavori gravosi o 32 per gli edili ed i ceramisti. Per le donne nate nel 1962 c’è la proroga di opzione donna. Infatti per chi ha compiuto 60 anni di età e 35 anni di contributi entro il 2022, il 2023 sarà l’anno della possibile pensione contributiva. Ma bisogna essere invalide, con invalidi da assitere, disoccupate o a rischio licenziamento per via delle crisi aziendali. Per la pensione con 35 anni di contributi e opzione donna nel 2023, vi rientrano le nate nel 1963 se hanno avuto un figlio o le nate nel 1964 se hanno avuto due o più figli.

Altre variabili sul tema pensioni

Per i nati nel 1959 ci sarebbe anche la pensione anticipata contributiva. Ma servono almeno 20 anni di contributi, l’assenza di versamenti al 31 dicembre 1995 e un assegno previdenziale da 2,8 volte l’assegno sociale almeno. Ma anche una donna nata nel 1966 può andare in pensione nel 2023. Infatti chi compie 56 anni di età nel 2022 può uscire con 12 mesi di finestra nel 2023 grazie alla pensione di vecchiaia con invalidità pensionabile. Serve una invalidità specifica dell’80% almeno. Per gli uomini questa facoltà parte dai 61 anni di età.

Infortuni sul lavoro in Italia

Gli infortuni sul lavoro in Italia e in EuropaEuropa

Nonostante la situazione sia migliorata negli anni, restano frequenti gli infortuni sul lavoro in Italia come nel resto d’Europa. Spesso si assiste a un fenomeno di sottodichiarazione, evidente anche a livello regionale nel nostro paese.

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Nonostante la situazione sia progressivamente migliorata negli anni, gli infortuni sul lavoro sono ancora una realtà in Italia come nel resto d’Europa. Si tratta di incidenti avvenuti “in occasione di lavoro” o “in itinere” (durante il tragitto tra casa e lavoro), secondo la definizione offerta dal ministero del lavoro.

Per infortunio sul lavoro si intende ogni lesione originata, in occasione di lavoro, da causa violenta che determini la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità lavorativa.

Secondo la normativa vigente in Italia, il lavoratore che subisce un infortunio deve comunicare tempestivamente il fatto e, in seguito ai dovuti accertamenti, ha diritto a ricevere un indennizzo e un eventuale risarcimento.

L’incidenza degli infortuni, una panoramica europea

Eurostat misura il tasso di incidenza infortunistica (con cui si intende il numero di infortuni in rapporto alla popolazione occupata) e ne redige anche una versione “standardizzata”, che tiene in considerazione la prevalenza relativa dei vari settori.

Diversi settori infatti, che possono essere più o meno rappresentati nei singoli stati membri, hanno diversi tassi di infortunio. Il tasso standardizzato permette quindi di restituire un’immagine più equilibrata, che rende più agevole la comparazione a livello europeo.

1.446 gli infortuni non fatali ogni 100mila lavoratori in Ue nel 2020.

In tutti gli stati membri con l’eccezione di Lettonia, Lituania, Ungheria e Romania, la situazione è migliorata nel corso dell’ultimo decennio. In Francia e Spagna si può notare anche un marcato calo nel passaggio tra 2019 e 2020. Questo si spiega in parte con il fatto che il 2020 è stato l’anno della pandemia, in cui varie attività sono state sospese e moltissime persone hanno smesso di recarsi sul posto di lavoro. Tuttavia il trend era già discendente da vari anni.

Mentre per quanto riguarda gli incidenti fatali, che mediamente in Ue sono stati 2,1 ogni 100mila lavoratori nel 2020, soltanto Cipro e Malta hanno registrato un peggioramento rispetto al 2011. In tutti gli altri paesi membri, le cifre si sono ridotte nel corso del decennio.

 
DA SAPERE

I dati illustrano l’incidenza degli infortuni sul totale della popolazione occupata (ogni 100mila persone), per tutti i settori Nace. Sono indicati sia gli incidenti seri (ovvero che hanno causato un’assenza di 4 o più giorni) che quelli fatali. Si considera il tasso standardizzato, ovvero la prevalenza di infortuni nei diversi settori di attività. Ci sono infatti lavori con un rischio più elevato di altri ma pure settori con maggiore occupazione. Come evidenzia Eurostat, laddove sono riportate cifre molto basse potrebbe esserci un problema di under-reporting. Un discorso che invece non vale per gli incidenti con esito fatale.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: lunedì 21 Novembre 2022)

 

Il Portogallo è il primo paese Ue per numero di incidenti in rapporto alla popolazione (2.814 ogni 100mila occupati). Seguono Francia (2.597) e Spagna (2.304). Con 1.037 infortuni, l’Italia si attesta leggermente al di sotto della media Ue. Ultime Bulgaria e Romania che ne riportano meno di 100.

L’under-reporting si verifica principalmente nel caso degli incidenti non fatali.

Tuttavia Eurostat evidenzia che in caso di cifre molto basse potrebbe esserci un problema di under-reporting, causato per esempio da un sistema di denuncia poco sviluppato, da una scarsità di incentivi finanziari per le vittime oppure da leggi meno rigide nei confronti dei datori di lavoro. Una dinamica che invece funziona diversamente nel caso degli incidenti mortali, meno facili da nascondere alle autorità competenti.

In questo caso il record lo detiene Cipro (5,1 ogni 100mila occupati), seguito dalla Bulgaria (4,5). Mentre gli ultimi sono Paesi Bassi, Svezia e Germania, con cifre inferiori a 1. L’Italia, da questo punto di vista, è undicesima in Ue: nel 2020 è stata teatro di 3 infortuni fatali ogni 100mila occupati, più della media europea di 2,1.

Non tutti denunciano gli infortuni: la situazione nelle regioni italiane

Così come i paesi dell’Ue, anche le regioni del nostro paese si differenziano notevolmente tra loro per il numero di incidenti sul lavoro e la loro incidenza rispetto alla popolazione occupata. Cifre molto diverse che possono indicare anche un approccio diverso al problema. Guardiamo in questo caso le denunce, ovvero le segnalazioni fatte dai lavoratori stessi, prima degli accertamenti.

 
DA SAPERE

I dati si riferiscono al numero di denunce (prima degli accertamenti) per infortunio (fatale e non), in termini assoluti e in rapporto al numero di occupati, sempre stando ai dati Istat relativi al 2021. Laddove le cifre sono molto basse, nel caso degli incidenti non fatali, potrebbe esserci un problema di under-reporting.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Inail
(consultati: giovedì 12 Gennaio 2023)

 

Nella provincia autonoma di Bolzano sono state 5.634 le denunce per infortunio ogni 100mila lavoratori: il dato più alto d’Italia. Seguono Emilia-Romagna (3.798) e Veneto (3.389). Sotto le 2mila denunce ogni 100mila occupati Calabria, Campania, Lazio, Molise e Sicilia.

Come accennato però le cifre molto basse spesso denotano un problema di under-reporting. Per questo, per realizzare un confronto più equilibrato tra le varie regioni, è importante considerare anche l’incidenza degli infortuni fatali.

Da questo punto di vista la prima regione è il Molise, che nel 2021 ha registrato 17 denunce per infortunio ogni 100mila lavoratori. Oltre quota 10 anche la Basilicata (13), seguita dalla Valle d’Aosta (9). Mentre i dati più bassi li registrano Calabria, Lombardia e Toscana, tutte con meno di 5 infortuni ogni 100mila occupati

Braccianti agricoli: adempimenti per gli elenchi nominativi 2022

Braccianti agricoli: adempimenti per gli elenchi nominativi 2022

Con la circolare INPS 17 gennaio 2023, n. 5 l’Istituto fornisce le indicazioni per la compilazione degli elenchi nominativi, per il 2022, dei braccianti agricoli destinatari del beneficio del “trascinamento delle giornate”.

Questo beneficio prevede che i braccianti agricoli iscritti negli elenchi dei comuni colpiti da calamità eccezionali o avversità atmosferiche possono ottenere il riconoscimento, ai fini previdenziali e assistenziali, di un numero di giornate lavorative aggiuntive a quelle prestate presso gli stessi datori di lavoro, necessarie a raggiungere il numero di giornate effettivamente svolte nell’anno precedente a quello di fruizione dei benefici.

Il beneficio è destinato ai lavoratori occupati, per almeno cinque giornate nel 2022, presso un’impresa agricola che abbia fruito di almeno uno degli interventi di cui all’articolo 1, comma 3, decreto legislativo 102/2004 e che ricada in un’area dichiarata calamitata ai sensi dell’articolo 1, comma 1079, legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Le aziende dovranno trasmettere la dichiarazione di calamità, direttamente o tramite gli intermediari, tramite il servizio online “Dichiarazione calamità (Aziende agricole)”entro il 24 febbraio 2023.

Per la concessione del beneficio ai piccoli coloni e compartecipanti familiari, i concedenti devono inviare alle strutture dell’Istituto il modulo SC95.

Santa Margherita d’Ungheria

 
  • Santa Margherita d’Ungheria

  • Nome: Santa Margherita d’Ungheria
    Titolo: Principessa e religiosa
    Nascita: 27 gennaio 1242, Dalmazia
    Morte: 18 gennaio 1270, Domonkos kolostor
    Ricorrenza: 18 gennaio
    Martirologio: edizione 2004
    Tipologia: Commemorazione
    Beatificazione:
    1789, Roma, papa Pio VI
    Canonizzazione:
    1943, Roma, papa Pio XII
  • Figlia del re d’Ungheria Béla IV Margherita nacque nel 1242 in Dalmazia. Sul suo Paese prolificava da alcuni mesi l’invasione mongola comandata da Bathu, nipote di Gengis Khan e i genitori trovarono scampo nel Paese vicino.La madre è in attesa di un erede e allora i genitori fanno un voto: “Se nascerà una bambina la affideranno a un convento per la liberazione del loro Paese”.

    La condizione si verificò, così la piccola a circa 3 anni venne accompagnata al convento domenicano di santa Caterina a Veszprém. Contemporaneamente venne costruito presso Buda, appositamente per lei, un nuovo convento su un’isoletta del Danubio che più tardi verrà chiamata Isola di Santa Margherita.

    A dodici anni si consacrò totalmente a una vita religiosa ascetica, fatta di letture della Bibbia, di preghiere e di divisioni, dividendo una delle grandi mistiche medievali.

    Passano gli anni, cambiano le esigenze politiche e il padre, dimenticò del voto desiderandola in sposa al re Ottocaro di Boemia. Ma succede l’imprevisto. Margherita non solo rifiuta il matrimonio concordato ma prende molto sul serio la vocazione religiosa nell’ordine domenicano.

    Si scelse come confessore il superiore provinciale dei domenicani e ne seguì fedelmente le direttive. La fama della sua virtù le conferisce autorità anche in campo politico. Il padre Béla associò così al trono il figlio maggiore Stefano il quale, che non esitò a mettersi contro il re, Béla si vide così messo in pericolo il suo diritto di successione. Una disastrosa guerra familiare è in vista ma con le sue penitenze e le sue preghiere Margherita riesce a mettere pace tra il padre e il fratello.

    Come religiosa Margherita non si fa sconti. Rispetta la Regola in modo scrupoloso, cerca di imitare ininterrottamente Gesù nella sofferenza fisica e nell’umiliazione. Sente avvicinarsi la morte. Vi si prepara facendosi leggere spesso il racconto della passione del Signore e si priva di cibo e riposo.

    Muore il 18 gennaio 1270 a 28 anni e la sua tomba fu subito meta di pellegrinaggi. Con la santità della vita ella fu di sostegno per la monarchia ma soprattutto di aiuto per i cristiani d’Ungheria. Il processo canonico per dichiararla Santa è durato più di seicento anni.

    MARTIROLOGIO ROMANO. A Budapest, in Ungheria, santa Margherita, Vergine, della stirpe regia degli Arpadi, Monaca dell’Ordine di san Doménico, insigne per la virtù della castità e per la rigorosissima penitenza, da Pio dodicesimo. Pontefice Massimo, iscritta nel catalogo delle sante Vergini.

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  • Domande Frequenti
  • Quando si festeggia Santa Margherita d’Ungheria?

     

  • Quando nacque Santa Margherita d’Ungheria?

     

  • Dove nacque Santa Margherita d’Ungheria?

     

  • Quando morì Santa Margherita d’Ungheria?

     

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Oggi 18 gennaio si venera:

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