Archivi giornalieri: 2 gennaio 2023

PNRR

 

PNRR, Aziende agricole: nuova Comunicazione bidirezionale

Nell’ambito delle attività relative al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), con il progetto INPS n. 111 “Nuovo fascicolo elettronico agricoltura” si è avviato un percorso di reingegnerizzazione del canale di comunicazione tra l’Istituto, le aziende agricole e i loro intermediari provvisti di delega.

La nuova Comunicazione bidirezionale delle aziende agricole è stata sviluppata all’interno del Cassetto previdenziale del contribuente, nella sezione dedicata a queste ultime, consentendo di lavorare con tutte le tipologie di posizioni contributive e di eseguire le seguenti funzioni:

  • inviare alla Struttura territorialmente competente una richiesta o una comunicazione specifica, relativa a un ambito definito tra quelli presenti nel Cassetto previdenziale ( UniEmens , posizione aziendale, versamenti F24, omesso versamento ritenute previdenziali, ecc.);
  • allegare alla richiesta la documentazione a supporto;
  • visualizzare lo stato della propria richiesta coerentemente con lo stato del rispettivo quesito di back-office;
  • visualizzare eventuali commenti inseriti dagli operatori di sede al momento della modifica dello stato del quesito e l’esito finale;
  • ricevere comunicazioni in tempo reale tramite email e SMS della protocollazione e smistamento alla Struttura territorialmente competente;
  • accedere allo storico delle proprie richieste, visualizzandone il dettaglio.

L’applicazione è raggiungibile tramite il Portale aziende, consulenti e associazioni di categoria.

L’INPS, nel messaggio 29 dicembre 2022, n. 4664, indica gli oggetti individuati per la Comunicazione bidirezionale con le aziende agricole (Allegato n. 1), precisando che l’inserimento della Comunicazione bidirezionale delle aziende agricole nel Cassetto previdenziale del contribuente non consentirà l’utilizzo delle eventuali corrispondenti funzioni presenti nel Cassetto previdenziale per aziende agricole per l’inserimento di nuove richieste.

Il messaggio specifica quali funzioni del vengono inibite dall’inserimento di nuove richieste, con le relative nuove denominazioni, e quali modelli della Comunicazione bidirezionale non potranno più essere utilizzati.

Con la completa integrazione del Cassetto previdenziale per aziende agricole nel Cassetto previdenziale del contribuente, le applicazioni, le informazioni e i servizi esistenti nell’attuale Cassetto agricolo saranno aggiunti al menu dinamico presente nel Cassetto previdenziale del contribuente.

Le successive fasi del progetto attueranno anche la migrazione del Cassetto previdenziale per agricoltori autonomi.

Simulatore per riscatto laurea

Simulatore riscatto laurea per fini pensionistici: nuove funzionalità

Sul portale INPS è disponibile un simulatore che permette di conoscere gli effetti del riscatto del corso universitario di studi sulla futura pensione. Il servizio è di libero accesso, non essendo richieste credenziali per il suo utilizzo.

Con il messaggio 30 dicembre 2022, n. 4681 l’Istituto comunica che è disponibile una nuova versione del simulatore e descrive le nuove funzionalità.

Si ricorda che i risultati della simulazione sono calcolati solo sulla base delle informazioni inserite in modo anonimo dal richiedente e devono essere considerati indicativi e orientativi. Qualora l’utente lo desideri, potrà utilizzare gli altri servizi dell’Istituto per ottenere stime più precise, basate sui dati dell’utente presenti negli archivi INPS. Nella sezione ad accesso riservato l’utente potrà anche inoltrare la domanda di riscatto all’Istituto.

Pensioni

Pensioni
Pensione con 41 anni di contributi ma senza limite d’età, misura perfetta subito

Ancora novità sul caldissimo fronte delle pensioni perché come sappiamo le pensioni sono un vero e proprio cantiere aperto per il governo Meloni.

Con la manovra del 2023 cambiano tante cose sulle pensioni ed è proprio il sottosegretario all’economia Federico Freni che ha anticipato le linee guida del governo. Innanzitutto partiamo da Opzione Donna. Opzione donna viene confermata per tutto il 2023 mentre quota 103 viene anche confermata per il 2023 ma già si sa che una misura ponte in attesa della nuova quota 41.

Pensioni quota 41: le novità
Pensioni quota 41: le novità / I Love Trading
Quota 103 consente di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età ma nel duro mondo lavorativo attuale riuscire a collezionare 41 anni di contributi non è affatto semplice. Ma come abbiamo detto quota 103 lascerà il posto alla nuova quota 41 e questo potrebbe avvenire già nel 2024. Con la quota 41 basteranno 41 anni di contributi per andare in pensione ma non ci sarà un limite di età.

La questione del limite dell’età
Quindi nel 2024 ma forse già alla fine del 2023 teoricamente potrebbe essere introdotta questa quota 41 tanto desiderata dalla Lega per permettere a tutti gli italiani di andare in pensione con i fatidici 41 anni di contributi e senza un paletto legato all’età. Quota 41 ha il forte avallo della Lega e quindi Freni al Messaggero ha sottolineato che proprio nel 2024 la quota 41 sarà lo standard delle pensioni anticipate e molto probabilmente non ci sarà alcun limite di età.

Dunque quel limite di età ai 62 anni che sarà in vigore nel 2023 quasi sicuramente nel 2024 sarà eliminato e quindi non ci sarà più nessun requisito anagrafico. Ma intanto nella legge di bilancio del 2023 le opzioni per andare in pensione sono differenziate. Perché viene confermata opzione donna e anche ape sociale ma la quota 41 attualmente prevede sempre i 62 anni di età. Opzione donna invece rimane per il 2023 ma è troppo costosa.

Cosa cambia per Opzione Donna
Proprio per questo opzione donna viene limitata soltanto a tre categorie di lavoratrici. Infatti prima opzione donna consentiva di andare in pensione a tante categorie di donne ma oggi invece proprio visto il forte costo di questa opzione, le categorie di lavoratrici che possono andare in pensione con opzione donna sono soltanto tre.

Infatti le disoccupate potranno usufruire di opzione donna così come potranno fare le invalide e le caregiver. Ma soltanto queste tre categorie potranno accedere a questa uscita privilegiata mentre le altre categorie purtroppo no. Invece non si parla più dell’aumento delle pensioni minime a €1000.

La questione delle pensioni minime
Tanti avevano sperato effettivamente in questo aumento delle pensioni minime visto che le cifre erogate sono molto basse. Tuttavia nella riforma non c’è traccia di un forte aumento delle pensioni minime che invece vengono aumentate sostanzialmente in linea con tutte le altre.

Pensioni quota 41: le novità
Pensioni quota 41: le novità / I Love Trading
Eppure autorevoli esponenti di Forza Italia hanno ribadito che questo aumento a 1000 euro ci sarà ma entro la fine della legislatura e dunque la speranza per le pensioni minime c’è ancora.

Salvatore Dimaggio
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Pasquale Tridico
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il manifesto

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Squarci di futuri possibili

Se guardiamo il mondo con occhiali diversi, con uno sguardo tutto nostro, se «siamo lenti», come dice lo slogan della nostra campagna abbonamenti, allora proviamo a squarciare il cielo plumbeo che avvolge il Pianeta. Proviamo a illuminare le idee, le battaglie, le utopie di chi, ogni giorno, per mare e per terra, vive e lavora per il bene comune. Di chi di fronte alle ingiustizie e alle sofferenze dei popoli non si gira dall’altra parte. In questa pagina trovate tutti gli articoli dell’inserto speciale di fine anno sulle alternative possibili. A seguire diverse collezioni di articoli, prime pagine e foto che hanno segnato questo 2022. Tutto leggibile gratuitamente, come regalo a chi ci segue, ci sostiene, ci legge. Con lo sguardo sempre puntato sull’anno che verrà.

Le prime pagine più belle

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Da il manifesto

La flotta civile, resistenza e solidarietà tra le onde

Più che a una battaglia navale lo scontro tra governi italiani e organizzazioni umanitarie che da sei anni va in scena nel Mediterraneo centrale assomiglia a una partita a scacchi. Non ci sono sommergibili o incrociatori nascosti da colpire e affondare. Piuttosto ogni mossa serve a mettere all’angolo l’avversario, a impedirgli di proseguire senza rischiare di perdere un pezzo. Pure chi conduce la partita deve rispettare un sistema di regole che non può modificare fino in fondo. Più volte è stato gridato «scacco», in nessun caso era matto.

«SO DI FARE LA COSA GIUSTA e non ho paura di nulla», ha spiegato al manifesto Anabel Montes Mier, 35 anni, in un’intervista dello scorso novembre. Si trovava sulla Geo Barents di Medici senza frontiere e davanti aveva un divieto di sosta nelle acque territoriali firmato da tre ministri: il primo passo, falso, del governo Meloni contro le Ong. Quella forza generata dalla consapevolezza di essere nel giusto è uno degli ingredienti che hanno permesso alla «flotta civile» non solo di continuare a navigare tra scogli politici e tempeste mediatiche, ma anche di crescere nel tempo. Altri fattori sono il sostegno delle decine di migliaia di persone che finanziano le attività di soccorso e la rigidità delle convenzioni internazionali che tutelano la vita umana a prescindere dai passaporti. Sembrerà strano ma nonostante codici di condotta, campagne diffamatorie, inchieste penali, porti chiusi, sequestri, confische, detenzioni amministrative, quarantene selettive, lunghe attese in mare, divieti di ingresso o transito le imbarcazioni umanitarie continuano ad aumentare.

A oggi se ne contano undici: Geo Barents, Ocean Viking, Sea-Eye 4, Humanity 1, Life Support, Mare Jonio, Aita Mari, Open Arms, Open Arms 1, ResQ, Sea-Watch 3 (detenuta a Reggio Calabria). La dodicesima è attesa in primavera: Sea-Watch 5. Battono le bandiere di cinque paesi: Germania, Spagna, Norvegia, Italia e Panama. Alcune svolgono missioni con regolarità, come la Geo Barents che è l’ammiraglia della flotta civile: lunga 77 metri, larga 20, da maggio 2021 ha salvato 5.751 persone in 20 missioni. Altre fanno capo a realtà più piccole, con minori disponibilità economiche e maggiori ostacoli. Come la Aita Mari, a cui a fine novembre le autorità spagnole hanno imposto di rinviare la partenza perché l’eventuale fermo amministrativo avrebbe avuto conseguenze negative su tutta la flotta commerciale iberica.

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NEL VARIEGATO MONDO DELLE NAVI ci sono Ong che si concentrano sugli standard operativi e interpretano il soccorso come una questione «tecnica», per esempio Sos Mediterranée che utilizza la Ocean Viking. Altre sono convinte che nel Mediterraneo non si possa distinguere tra umanitario e politico, che salvare i migranti sia di per sé un atto di resistenza alle politiche di frontiera italiane ed europee. Politiche che producono razzismo, violenza, detenzione, morte. Su questa linea troviamo Sea-Watch e Mediterranea, che ha fondi sufficienti per poche missioni ma ogni volta finisce a scontrarsi con le autorità.

Celebre l’ultimatum di giugno scorso al Viminale guidato da Luciana Lamorgese. Era il periodo delle lunghe attese al largo, accettate passivamente dalle altre Ong, e dal ponte della Mare Jonio mandarono al ministero questo messaggio: «Avete dieci ore per organizzarvi, poi entriamo in porto». Dopo nove ore e venti minuti ottennero l’indicazione del luogo di sbarco.

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LA FLOTTA CIVILE È COMPOSTA anche da unità più piccole: imbarcazioni veloci e velieri. Nella prima categoria rientrano: Louise Michel, Rise Above e Aurora Sar. A cui si dovrebbe aggiungere nei prossimi mesi la Sea Punks 1. Misurano tra 15 e 27 metri e viaggiano intorno ai 20 nodi (più del doppio delle navi grandi, quasi come delle motovedette). Il loro obiettivo è raggiungere le barche in difficoltà prima delle milizie libiche che danno la caccia ai migranti in fuga dal paese nordafricano. Le nuove misure del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi prendono di mira queste imbarcazioni vietando indirettamente i trasbordi delle persone soccorse, una pratica diffusissima ai tempi di Mare Nostrum e realizzata di continuo dalla guardia costiera.

A completare gli assetti marini ci sono tre velieri: Astral, Imara e Nadir. Questi tendono a rimanere più a nord, lungo la rotta che collega la Tunisia a Lampedusa. Il tratto di mare è più breve ma non meno letale. Ad aumentare i rischi i nuovi barchini utilizzati negli ultimi mesi dai trafficanti, soprattutto per i sub-sahariani: hanno lo scafo di ferro e si capovolgono facilmente. I velieri prendono a bordo le persone solo in casi estremi. In genere cercano di «stabilizzare la situazione», cioè distribuire i giubbotti di salvataggio, chiedere l’intervento delle autorità italiane e attendere che arrivino. A volte seguono i migranti a breve distanza, tenendosi pronti se le cose si complicano.

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IL SOCCORSO CIVILE HA ANCHE OCCHI E ORECCHIE. Gli occhi sono quelli dei tre aerei: Colibrì 2 (di Pilots Volontaires), Seabird 1 e 2 (di Sea-Watch). Pattugliano il mare dall’alto, riescono a vedere lontano. Svolgono un ruolo importante perché l’area attraversata dai migranti è vastissima, le autorità non comunicano e la sorveglianza aerea dei droni di Frontex non condivide informazioni con le Ong. Secondo alcuni studi, al contrario, i mezzi dell’agenzia europea indicano la posizione dei barconi soltanto ai libici. Anche i velivoli civili subiscono problemi e ostacoli da parte delle autorità. L’ultimo è toccato a quelli di Sea-Watch: divieto di sorvolare l’area di ricerca e soccorso libica, che ricalca la Flight Information region (Fir) di Tripoli.

Ad ascoltare le voci dei migranti, a rendere pubbliche e amplificare le loro richieste d’aiuto, c’è poi il centralino Alarm Phone. Grazie a una rete transnazionale di attivisti, il progetto garantisce dall’11 ottobre 2014 una presenza fissa dietro la cornetta. 24 ore al giorno, sette giorni a settimana. Le telefonate arrivano dalle diverse rotte migratorie: mar Egeo, Mediterraneo centrale e occidentale (tra Marocco e Spagna). A volte persino dall’Oceano Atlantico o dalle frontiere terrestri. Ap ha assistito in totale circa 5mila barche in difficoltà.

IL 24 AGOSTO 2014 nessuno poteva prevedere che una flotta nata dalla società civile europea, quasi per caso e senza un piano prestabilito, avrebbe riempito per mare e per aria il vuoto lasciato dalle istituzioni. Dall’Italia in primis, che il 31 ottobre di quell’anno mise fine a Mare Nostrum: in 12 mesi l’operazione di marina e aeronautica aveva salvato oltre 150mila persone. E poi dall’Ue, con le sue missioni militari e di Frontex dal baricentro spostato sempre più a nord, proprio per evitare di dover salvare delle vite.

In quel giorno d’estate di otto anni e mezzo fa mollò gli ormeggi la prima nave privata che aveva l’obiettivo di soccorrere i migranti, la Phoenix di Migrant offshore aid station (Moas), un’Ong maltese fondata da due ricchi filantropi. Da allora le organizzazioni umanitarie hanno salvato decine di migliaia di persone. Due esempi: 31mila Open Arms, 35 mila Sea-Watch. Quest’anno tutte insieme hanno portato al sicuro quasi 12mila donne, uomini e bambini.

<img class="c008" src="data:;base64,” alt=”” />Festa sulla Ocean Viking alla notizia dell’assegnazione del porto – foto di Vincenzo Circosta/Ap
Festa sulla Ocean Viking alla notizia dell’assegnazione del porto – foto di Vincenzo Circosta/Ap

NEGLI ANNI, PERÒ, neanche il soccorso civile è riuscito a fermare le stragi che continuano a macchiare di rosso il Mediterraneo. Da gennaio a dicembre 2022 nel Mare Nostrum sono state accertate 1.998 vittime, di cui 1.396 lungo la rotta centrale. Non devono sembrare abbastanza al governo italiano che proprio in questi giorni ha messo a punto una nuova strategia. Lontana dai toni roboanti di Salvini e dalle prove muscolari dei «porti chiusi», ma non per questo meno spietata, si basa su due mosse: dare il porto subito dopo il primo soccorso, assegnarlo lontanissimo. Fino a Ravenna, a 900 miglia nautiche e quattro giorni di distanza.

Le accompagna un decreto che prevede multe, sequestri e confische per chi disobbedisce. In pratica con l’assegnazione istantanea del Place of safety (Pos) il Viminale applica alla lettera le convenzioni internazionali per tradirne lo spirito. L’obiettivo non è salvare vite ma ostacolare i soccorsi, renderli economicamente insostenibili, limitare la presenza delle navi.

IL GOVERNO PIÙ A DESTRA della storia repubblicana rinuncia così a bloccare le odiate Ong ma può gridare, per l’ennesima volta, «scacco». C’è da scommettere che neanche questa volta sarà matto. Che la flotta civile saprà riorganizzarsi nel nuovo scenario. Che ci sarà ancora chi – come l’anonimo protagonista del romanzo Q – potrà dire: «Sono stato tra questi. Dalla parte di chi ha sfidato l’ordine del mondo. […] Passo in rassegna i volti a uno a uno, la piazza universale delle donne e degli uomini che porto con me verso un altro mondo. Un singulto squassa il petto, sputo fuori il groviglio. Fratelli miei, non ci hanno vinti. Siamo ancora liberi di solcare il mare».

 

Il Pnrr e il recupero delle periferie urbane #OpenPNRR

Il Pnrr e il recupero delle periferie urbane #OpenPNRR

Il piano italiano stanzia quasi 3 miliardi di euro per riqualificare le aree periferiche delle città metropolitane al fine di ridurre situazioni di degrado e marginalizzazione. Vediamo quali sono i progetti finanziati e come si distribuiscono sul territorio.

Uno degli obiettivi che il nostro paese punta a raggiungere con il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è la riduzione del divario di cittadinanza. Chiunque viva in Italia infatti dovrebbe poter avere accesso agli stessi servizi e allo stesso livello di qualità nella loro erogazione. Oggi però sappiamo che purtroppo non è così. Le differenze sono notevoli tra i diversi territori.

Squilibri nella qualità della vita e nell’erogazione dei servizi però non caratterizzano soltanto la dicotomia nord-sud o tra aree interne e centri maggiori. Anche all’interno delle città stesse infatti il divario può essere notevole. Ad esempio tra chi vive in centro e chi invece risiede in periferia.

È per questo motivo che nel Pnrr è prevista una specifica misura che punta a riqualificare le periferie delle principali aree metropolitane del nostro paese con l’obiettivo primario di ridurre l’emarginazione e le situazioni di degrado. Lo scorso maggio un decreto del ministero dell’interno di concerto con quello dell’economia ha assegnato le risorse per questo tipo di interventi. In questo articolo vedremo più nel dettaglio come si distribuiscono le risorse sul territorio e quali sono i progetti finanziati.

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Cosa prevede il Pnrr per le aree urbane

La misura del Pnrr di riferimento è denominata Piani urbani integrati e, come già anticipato nell’introduzione, punta a finanziare progetti volti alla riduzione di situazioni di degrado, in particolare nelle periferie delle aree metropolitane.

Ciò potrà avvenire anche attraverso interventi di rigenerazione urbana, con il recupero, la ristrutturazione e la rifunzionalizzazione ecosostenibile delle strutture edilizie e delle aree pubbliche. Saranno finanziati con questo investimento anche interventi per l’efficientamento energetico e idrico degli edifici e la riduzione del consumo di suolo, anche attraverso operazioni di demolizione e ricostruzione. Saranno sostenuti anche progetti legati alle smart cities, con particolare riferimento ai trasporti e al consumo energetico.

L’obiettivo del Pnrr per le periferie è anche offrire occasioni sociali e culturali.

L’intervento in particolare è dedicato a quei territori che rientrano nelle aree delle città metropolitane. Obiettivo primario è recuperare spazi urbani e aree già esistenti allo scopo di migliorare la qualità della vita, anche promuovendo processi di partecipazione sociale e imprenditoriale. I progetti inoltre non dovranno semplicemente riqualificare immobili. Con questo investimento infatti ci si pone anche l’ambizioso obiettivo di favorire occasioni di incontro per la comunità. Ciò potrà avvenire attraverso la promozione di attività sociali, culturali ed economiche, con particolare attenzione agli aspetti ambientali.

Per quanto riguarda il cronoprogramma del Pnrr, entro la fine dell’anno era prevista l’entrata in vigore del piano di investimenti per progetti di rigenerazione urbana nelle aree metropolitane. Milestone che è stata conseguita, in anticipo, lo scorso maggio con la pubblicazione in gazzetta ufficiale del decreto che assegna le risorse ai soggetti attuatori (in via principale i comuni). Entro il 30 luglio 2023 invece questi ultimi dovranno aggiudicare tutti gli appalti per la realizzazione dei progetti selezionati.

Anche in questo caso, come si legge nel decreto, ci sono state alcune difficoltà. Infatti il compito di individuare i progetti ammissibili al finanziamento era demandato alle città metropolitane. Operazione che si è conclusa nel marzo scorso. Tuttavia diversi soggetti (si fa esplicito riferimento ai territori di Catania e Messina) hanno commesso degli errori nella compilazione delle domande. Ciò ha reso necessario l’invio da parte del ministero di una nota alle amministrazioni interessate al fine di apportare le correzioni e integrazioni necessarie. Queste difficoltà, come vedremo tra poco, hanno determinato alcune lacune per quanto riguarda le informazioni sulla territorializzazione degli investimenti.

Come sono state distribuite le risorse

I criteri utilizzati per la selezione delle proposte da ammettere al finanziamento sono numerosi. Tra questi c’era la necessità di presentare delle proposte che fossero ad un livello progettuale avanzato. Come già evidenziato spesso infatti, la necessità di completare gli interventi entro il 2026 ha spinto in molte occasioni i soggetti coinvolti a ripresentare progetti vecchi che non avevano ricevuto risorse piuttosto che produrne appositamente di nuovi. I progetti finanziabili inoltre non potevano avere un valore complessivo inferiore a 50 milioni di euro.

Ma l’elemento forse più interessante riguarda il fatto che anche in questo caso si è fatto ricorso all’indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm). Un indicatore prodotto da Istat che è stato recentemente al centro di polemiche poiché giudicato obsoleto.

L’Ivsm misura la vulnerabilità di un territorio in base alle condizioni sociali e abitative dei suoi abitanti. Vai a “Che cos’è la vulnerabilità sociale”

Per questo bando nello specifico, erano ammissibili al finanziamento quei progetti che sarebbero andati a intervenire su aree urbane il cui Ivsm è superiore a 99 o alla mediana dell’area territoriale. In questo caso però non si sono registrate particolari polemiche, sebbene la cifra messa a bando fosse consistente, perché tutte le aree metropolitane del nostro paese hanno avuto accesso ai fondi.

2,7 miliardi € le risorse del Pnrr per i piani urbani integrati delle città metropolitane.

A questo ammontare inoltre si aggiungono altri 272 milioni di euro di risorse nazionali provenienti dal fondo ripresa resilienza Italia istituito dall’articolo 8 del decreto legge 152/2021. Tale fondo può coprire fino a massimo il 25% del costo dei progetti. Complessivamente i piani urbani finanziati sono 31. Questo perché, ovviamente, le città metropolitane potevano presentarne anche più di uno. Nel napoletano ad esempio ne saranno finanziati 6. Nell’area metropolitana di Roma 5, nel milanese 4 mentre nelle aree metropolitane di Torino, Bari, Firenze, Catania e Messina 2.

A livello di finanziamenti per progetto, quello che riceverà la quota più consistente di fondi interessa la città metropolitana di Palermo (circa 196 milioni di euro). Seguono Catania (185,5 milioni) e Bologna (157 milioni). Queste tre realtà hanno presentato un singolo progetto ciascuna.

Se però analizziamo la quantità di risorse assegnate a ogni città metropolitana, al primo posto troviamo Napoli (351 milioni circa). Seguono Roma (330 milioni) e Milano (277 milioni). Da notare che le risorse assegnate a territori del mezzogiorno ammontano al 46,9%. In questo caso quindi la clausola sulla riserva del 40% dei fondi del Pnrr al meridione è stata rispettata.

Le città metropolitane erano il soggetto istituzionale a cui spettava il compito di individuare i progetti da finanziare. Ma tutti i comuni il cui territorio insiste in queste aree potevano potenzialmente essere eletti come soggetti attuatori. Grazie alle informazioni fornite dagli allegati al già citato decreto, possiamo osservare che i territori interessati da questo punto di vista sono oltre 300. Se si esclude Roma (a cui vanno circa 330 milioni di euro) che ha una struttura istituzionale particolare (Roma capitale), il singolo comune a cui vanno più fondi è Milano (166 milioni). Troviamo poi Messina (132 milioni).

GRAFICO
DA SAPERE

La tabella mostra i dettagli dei progetti finanziati nell’ambito della misura del Pnrr Piani urbani integrati, così come disposto dal decreto interministeriale dei ministeri dell’interno e dell’economia del 22 aprile 2022. Nella tabella sono indicati i soggetti attuatori dei progetti che in alcuni casi possono non coincidere con il territorio di effettiva realizzazione degli interventi. Per una descrizione più dettagliata e l’importo di ogni opera è possibile scaricare questo file. Per la localizzazione di ogni progetto è possibile scaricare questo file.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(consultati: martedì 8 Novembre 2022)

Anche quello della città siciliana però è un caso un po’ particolare. Infatti nel proprio piano non ha indicato la ripartizione territoriale tra i comuni che ne fanno parte. Escludendo quindi anche questo caso un po’ complesso, sul podio insieme a Milano troviamo Genova (127 milioni) e Bologna (125). Mentre il comune non capoluogo che riceverà l’importo più rilevante è Cardito (Na) a cui andranno oltre 52 milioni di euro. Seguono Bagheria (Pa, 20 milioni), Imola (Bo, 17 milioni circa) e Sant’Olcese (Ge, 14,5 milioni).

Alcune lacune nei dati

Come abbiamo rilevato in molte occasioni a proposito dei fondi Pnrr, le informazioni riguardanti i progetti finanziati presentano anche in questo caso diverse criticità. In primo luogo, dalle tabelle presenti negli allegati al decreto, non è possibile desumere alcuna informazione di dettaglio relativamente agli interventi realizzati. Si trova solo il titolo del piano. Per ottenere informazioni aggiuntive è necessario analizzare le proposte presentate dalle singole città metropolitane.

Inoltre, per ricostruire un database puntuale con il dettaglio delle opere finanziate e la territorializzazione delle risorse, l’unica alternativa è quella di ricollegare ogni singolo codice univoco di progetto (Cup), che si trova negli allegati del decreto citato, ai dati presenti sul portale Open cup. Anche così però si incontrano delle difficoltà. In questo database infatti non si trovano le informazioni legate a tutti i progetti riguardanti i piani urbani integrati. E anche dove presenti, non sempre tali informazioni sono state verificate.

Con i dati disponibili non è possibile una territorializzazione precisa delle risorse Pnrr. Una criticità non nuova.

Inoltre nei dati di Open cup in molti casi come soggetto attuatore è indicata la città metropolitana mentre nel decreto è indicato uno specifico comune. A ciò si deve aggiungere che un singolo progetto può riguardare più territori ma l’importo fornito è quello complessivo. Per tutti questi motivi quindi risulta attualmente impossibile spingere la territorializzazione delle risorse e degli interventi più in profondità.

A queste criticità avrebbe dovuto rispondere il portale Regis di cui abbiamo parlato anche in questo articolo. Tale portale avrebbe dovuto rappresentare la banca dati centralizzata contenente tutte le informazioni riguardanti le opere finanziate con i fondi del Pnrr. Dalla seconda relazione presentata al parlamento dal governo Draghi si apprende tuttavia che la pubblicazione in formato aperto e riutilizzabile di queste informazioni dipenderà dalla velocità con cui i vari soggetti coinvolti le invieranno all’amministrazione centrale. L’operazione sarebbe in corso in base al documento. Al momento però tali dati non risultano ancora accessibili.

Il nostro osservatorio sul Pnrr

Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori (vedi tutti gli articoli). Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.

Foto: Flickr – Leonardo Barbareschi

Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno

 

Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno


Nome: Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno
Titolo: Vescovi e dottori della Chiesa
Ricorrenza: 2 gennaio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Memoria liturgica
 
Paolo VI con la riforma del calendario decise di ricordare Basilio e Gregorio insieme per la loro grande amicizia. Santi nel cielo e amici sulla terra, entrambi proclamati dottori della Chiesa nel 1568 da san Pio V. Per questa comunione di vita in Cristo la Chiesa ricorda nello stesso giorno san Basilio Magno e san Gregorio Nazianzeno appartenenti al gruppo dei “Padri cappadoci”, di cui fa parte anche il fratello di Basilio, san Gregorio di Nissa. I Padri cappadoci, oltre a essere accomunati dalla provenienza geografica, si distinsero per la capacità di parlare della loro fede agli intellettuali di lingua greca, ai quali dimostrarono la perfetta armonia tra il cristianesimo e una retta filosofia.

San Basilio
S. Basilio, ornamento e decoro della Chiesa greca, è un anello prezioso nella catena di santi che illustrano la sua famiglia. Nacque infatti da genitori santi… continua

San Gregorio
S. Gregorio, detto il Teologo per la sua profonda scienza delle Sacre Scritture, nacque da nobili genitori l’anno 310 nella piccola città di Nazianzo in Cappadocia… continua

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.