Archivi giornalieri: 28 gennaio 2023

L’inflazione è cresciuta negli ultimi due anni Europa

L’inflazione è cresciuta negli ultimi due anni Europa

Questo incremento è riscontrabile in tutta l’area euro, seppur con oscillazioni differenti. L’aumento dei prezzi dei beni energetici è stato quello più consistente ma non è stato l’unico a spingere in alto i valori dell’inflazione.

 

Si continua a parlare molto dell’aumento del tasso di inflazione in Europa. Il valore medio annuale del 2021 è stato pari a 2,6 nell’area euro. Secondo la commissione europea le previsioni future non sono rosee, dal momento che la continuazione del conflitto in Ucraina ha dei risvolti economici sui paesi che già sono stati messi alla prova durante la crisi causata dalla pandemia.

Sempre secondo le previsioni della commissione europea, per il 2023 l’inflazione prevista è pari al 6,1% nell’area euro e del 7% nei paesi membri con una progressiva moderazione per il 2024, raggiungendo il 2,6% nell’area euro e il 3% in Unione europea.

A oggi il principale vettore di questo aumento dei prezzi è dovuto dai beni energetici, che hanno registrato un notevole aumento in tutto il territorio europeo.

Definire l’inflazione

Si parla di inflazione quando si ha un aumento generale del livello dei prezzi medi di beni e servizi consumati da una famiglia in un determinato periodo. Non riguarda quindi un’unica voce di spesa ma tutto il paniere di beni.

Per misurare gli andamenti dei prezzi, si cerca di capire in che modo si distribuiscono gli acquisti fatti da una famiglia media. A questo scopo, tutti i beni e i servizi consumati sono rappresentati in un cosiddetto “paniere” che viene definito sui consumi annui in una determinata area geografica. Vai a “Che cos’è l’inflazione”
L’inflazione può avere cause diverse.

Le cause dell’inflazione possono essere molteplici, sia di natura interna che di natura esterna al paese. Ci possono essere delle differenze tra la domanda di un prodotto e la sua offerta, come nel caso dei beni energetici, che fanno aumentare il prezzo dello stesso ricadendo poi in altri settori. Ma anche squilibri di natura geopolitica che possono essere significative per via delle ricadute sul commercio di determinati beni.

L’inflazione da sola non riesce a dare una spiegazione completa dello scenario economico. Il livello dei salari ad esempio incide sulla capacità di spesa: un incremento delle retribuzioni contestuale a un aumento dei prezzi mitiga infatti l’impatto sui consumi.

Per capire quanto l’aumento dei prezzi incide nel tempo si calcolano delle variazioni. Quelle su base annuale permettono di avere un’idea su un periodo più ampio. Si mette quindi a confronto il dato di un mese e quello dello stesso mese dell’anno precedente. Questa variazione si chiama tasso tendenziale. Se il valore è positivo, significa che c’è un aumento. Se è negativo invece i prezzi sono calati.

Da gennaio 2021 a dicembre 2022 il valore è quasi sempre stato crescente. Nell’area euro la differenza tra questi due mesi è pari a circa otto punti percentuali. Il valore più ampio è stato registrato nell’ottobre 2022.

10,6% il tasso d’inflazione tendenziale nell’area euro a ottobre 2022 (Eurostat).

A questo incremento nell’area euro corrisponde un incremento anche nei singoli paesi, seppur con delle oscillazioni differenti. Analizziamo quindi l’andamento del tasso di inflazione nei paesi più grandi dell’area euro.

GRAFICO
DA SAPERE

Con tasso tendenziale si intende il rapporto tra l’indice del mese corrente di riferimento e quello del mese dell’anno precedente corrispondente. I dati sono riferiti ai paesi più grandi dell’area euro (Germania, Francia e Italia) e alla media generale. L’area euro è costituita dai 19 paesi membri dell’Ue che utilizzano l’euro e il tasso è misurato con l’indice dei prezzi armonizzato (Iapc).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(consultati: mercoledì 18 Gennaio 2023)

 

Lo stato che ha riportato i tassi minori è la Francia, con valori sempre inferiori rispetto a quelli dell’area euro. Come abbiamo detto, nel mese di ottobre 2022 c’è stato un picco dell’inflazione. Tra i paesi considerati, il valore maggiore è stato registrato in Italia (12,6%) ed è rimasto poi relativamente stabile.

A ottobre 2022 i tassi più alti si sono registrati nelle repubbliche baltiche.

Se però si considerano tutti gli altri paesi dell’area euro, nel mese di ottobre 2022 i valori maggiori sono stati raggiunti da Estonia (22,5%), Lituania (22,1%) e Lettonia (21,7%). Per questi tre stati il valore del mese considerato non rappresenta un picco e l’incremento era già iniziato nei mesi precedenti.

È possibile osservare le singole componenti presenti all’interno del paniere dei beni, raggruppandole per settori. Tutti quelli considerati hanno subito dei rincari tra 2021 e 2022.

GRAFICO
DA SAPERE

Con “tasso tendenziale” si intende il rapporto tra l’indice del mese corrente di riferimento e quello del mese dell’anno precedente corrispondente. I dati sono riferiti ai paesi più grandi dell’area euro (Germania, Francia e Italia) e alla media generale. L’area euro è costituita dai 19 paesi membri dell’Ue che utilizzano l’euro e il tasso è misurato con l’indice dei prezzi armonizzato (Iapc).

Si considerano le diverse componenti dell’inflazione: cibo (inclusi alcol e tabacco), beni industriali non energetici, beni energetici e servizi.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(consultati: mercoledì 18 Gennaio 2023)

 

Quello più stabile è il segmento dei servizi, con un tasso di inflazione che va dal 0,5% al 4,4%. I beni energetici hanno subito delle variazioni importanti a livello di prezzi, registrando un picco nel marzo 2022 (44,1%) contestualmente allo scoppio della guerra in Ucraina. Si tratta però di valori già in crescita dall’anno precedente.

Anche gli alimentari e i beni industriali non energetici sono in aumento ma con variazioni inferiori rispetto a quelle del settore energetico. Il primo settore riporta incrementi sempre maggiori da maggio 2021 fino a raggiungere il 13,8% a dicembre 2022. Il secondo registra due aumenti considerevoli: quello del marzo 2022 (14,3%) e quello di ottobre 2022 (16,2%).

Foto: Sergi Ferrete – licenza

 

A chi sono andati i fondi per l’avvio delle opere indifferibili #OpenPNRR

A chi sono andati i fondi per l’avvio delle opere indifferibili #OpenPNRR

Un decreto della ragioneria generale dello stato ha assegnato oltre 8 miliardi di fondi per sostenere l’avvio di opere finanziate con il Pnrr e per questo non prorogabili. Vediamo a chi sono andate queste risorse.

 

Alla fine di novembre la ragioneria generale dello stato (Rgs) ha emanato un decreto che assegna le risorse stanziate nell’ambito del fondo per l’avvio delle opere indifferibili. Si tratta di un fondo istituito dal decreto legge 50/2022, il primo dei cosiddetti “decreti aiuti” varati dal governo Draghi.

Tali risorse dovrebbero servire a compensare gli aumenti del costo dell’energia e delle materie prime scatenato dall’impennata dell’inflazione anche in relazione all’esplosione della guerra in Ucraina. L’auspicio è quello di velocizzare le procedure legate all’avvio dei cantieri delle opere finanziate nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Opere che, come noto, dovrebbero concludersi entro il 2026.

L’introduzione di questo fondo rientra in un quadro più ampio di interventi volti a potenziare le capacità delle pubbliche amministrazioni, sia a livello nazionale che locale. Soggetti che ricoprono un ruolo decisivo nella realizzazione pratica dei progetti del piano ma che in questi mesi hanno accumulato gravi ritardi.

8,8 miliardi € le risorse stanziate nell’ambito del fondo per l’avvio delle opere indifferibili. 

Come vedremo, purtroppo non è semplicissimo riuscire a capire chi sono i soggetti che beneficeranno di queste risorse aggiuntive. Questo perché dal decreto della ragioneria generale dello stato è possibile conoscere nel dettaglio solo la destinazione di circa 4 miliardi su 8.

Non è chiara la quantità di risorse nazionali utilizzate per la realizzazione dei progetti Pnrr.

Un’ennesima lacuna in termini di trasparenza dovuta al fatto che i dati sui progetti finanziati dal Pnrr, contenuti nella piattaforma informatica Regis, non sono ancora accessibili alla cittadinanza. In un contesto così complicato, diventa sempre più difficile riuscire a capire quanti fondi aggiuntivi sono stati o saranno impiegati per la realizzazione dei progetti previsti dal piano. Risorse che, incluse quelle del fondo complementare, arrivano dalle casse statali. Motivo per cui sarebbe necessaria maggiore chiarezza.

Il quadro normativo

Come abbiamo già raccontato in un precedente articolo, molti cantieri che avrebbero già dovuto essere avviati non sono ancora operativi. Ciò perché l’aumento dei costi ha reso poco conveniente per le ditte partecipare ai bandi. Bandi che in molte occasioni sono andati deserti o comunque hanno richiesto proroghe. Ciò ha provocato gravi ritardi che, salvo rinvii delle scadenze del Pnrr, dovranno essere recuperati nei prossimi anni.

Per compensare l’aumento dei costi e cercare di limitare i ritardi, l’esecutivo Draghi aveva messo in campo una serie di misure incrementando alcune voci di spesa o creandone di nuove. Tra queste, il fondo per l’avvio delle opere indifferibili. In questo articolo ci focalizziamo su questa misura non solo perché è tra le più recenti ma anche perché è una delle poche le cui risorse vanno quasi esclusivamente a sostenere interventi da realizzare nell’ambito del Pnrr o del fondo complementare (Pnc).

Il fondo per le opere indifferibili serve per velocizzare l’avvio dei progetti finanziati con il Pnrr.

Ma come funziona questo fondo? L’articolo 26, comma 2 del già citato Dl 50/2022 ha disposto che entro la fine del luglio scorso avrebbero dovuto essere aggiornati i prezzari in base ai quali le stazioni appaltanti indicono i bandi. Prezzari che dovranno essere fatti ex novo nel 2023. Quelli definiti a luglio potranno continuare ad essere utilizzati, in via transitoria, per i bandi indetti fino al 31 marzo di quest’anno. Il fondo in esame serve a compensare la revisione al rialzo di tali prezzari.

Il comma richiama tra l’altro l’articolo 29 del decreto legge 4/2022. Questo prevede che eventuali variazioni dei prezzi siano valutate dalle stazioni appaltanti solo nel caso in cui queste eccedano del 5% il costo rispetto all’anno di presentazione dell’offerta. La compensazione comunque va a coprire fino all’80% di detta eccedenza. Non tutto l’incremento quindi, anche se si tratta di una quota consistente.

Le modalità di accesso al fondo

Come richiesto dal decreto aiuti, le modalità di assegnazione delle risorse del fondo per le opere indifferibili sono state dettagliate da un decreto del presidente del consiglio dei ministri, entrato in vigore lo scorso settembre.

Questo atto dispone l’accesso al fondo solo per le amministrazioni che necessitano di ulteriori risorse per far fronte all’aggiornamento dei prezzari. Spettava alla ragioneria generale dello stato individuare le istanze da ammettere al finanziamento.

Ai fini dell’accesso al Fondo, le amministrazioni statali istanti devono verificare […] che il cronoprogramma degli interventi indichi la pubblicazione del bando o dell’avviso per l’indizione della procedura di gara, ovvero la trasmissione della lettera d’invito, entro il 31 dicembre 2022, e che per gli stessi risulti prevista la conclusione entro il 31 dicembre 2026 o entro la data prevista nel caso di interventi del PNRR.

Sembrerebbe quindi che possano avere accesso al fondo solo i soggetti attuatori che non abbiano già avviato le procedure. Per quei bandi per cui gli appalti siano già stati assegnati invece non cambia niente. Almeno per quanto riguarda questo specifico sostegno.

25% l’incremento del fabbisogno finanziario degli interventi per i quali è stata presentata istanza di accesso al fondo.

Le istanze pervenute ammontano in totale a 8,07 miliardi. Meno della quota stanziata. Di conseguenza sono state tutte finanziate. Le risorse residue sono state messe nuovamente a bando a seguito della pubblicazione di un decreto del ministero dell’economia lo scorso 12 gennaio.

Come si distribuiscono i fondi

Grazie agli allegati contenuti nel decreto della Rgs, è possibile tracciare un quadro di come si distribuiscono le risorse del fondo per le opere indifferibili. Prima di passare all’analisi dei dati però è necessaria una premessa. Il decreto infatti suddivide l’assegnazione delle risorse in due sottocategorie. Il livello di informazioni disponibili per questi due ambiti non è lo stesso.

Il decreto della Rgs fornisce informazioni sulla territorializzazione solo per la metà circa delle risorse assegnate.

La maggiore quantità di dati è disponibile per le “domande ammesse a finanziamento“. Parliamo di circa 5,7 miliardi di euro di fondi assegnati. Altra sottocategoria riguarda invece i prefinanziamenti, assegnati a quei soggetti attuatori che nella domanda hanno dichiarato di aver già avviato o di voler avviare le procedure per l’affidamento di opere pubbliche tra il 18 maggio e il 31 dicembre 2022. In questo caso le informazioni disponibili – contenute nell’allegato al Dpcm del 28 luglio – riguardano solamente le amministrazioni titolari e la misura di riferimento. Non c’è nessun riferimento alla territorializzazione delle risorse.

Fatta questa premessa, è possibile avere un quadro completo della situazione limitatamente alla distribuzione delle risorse tra le amministrazioni titolari delle misure (i soggetti cioè che hanno la responsabilità di assicurare la corretta realizzazione degli investimenti). Come ci si poteva aspettare, è il ministero delle infrastrutture a ricevere la quantità di risorse più cospicua. Al dicastero attualmente guidato da Matteo Salvini infatti sono stati assegnati in totale 6 miliardi di euro circa. Di cui circa 5,3 miliardi per le domande ammesse e il resto (pari a circa 600 milioni) per i prefinanziamenti.

Passando invece all’analisi delle domande ammesse a finanziamento – di cui si conoscono più dettagli – possiamo osservare che sono 34 le misure di Pnrr e fondo complementare a cui sono state attribuite risorse provenienti dal fondo.

Le distanze che restano da colmare nell’offerta di asili nido #conibambini

Le distanze che restano da colmare nell’offerta di asili nido #conibambini

Sono essenzialmente due i divari che incidono sull’attuale offerta del servizio nido: il gap tra nord e sud e quello tra città e aree interne. Aumentano i territori sopra la soglia del 33%, ma quasi 6 province su 10 non raggiungono quella del 75% di comuni con il servizio.

 
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Alla fine dello scorso anno, a vent’anni dall’introduzione degli obiettivi europei di Barcellona, una raccomandazione del consiglio dell’Unione europea ha aggiornato i target che gli stati membri devono porsi sull’offerta di asili nido e servizi per l’infanzia.

La principale novità è l’innalzamento dal 33% al 45% di bambini fino a 3 anni che dovrebbero poter accedere a sistemi di educazione e cura per la prima infanzia.

Anche se si tratta di una raccomandazione, commisurata alla situazione di partenza di ciascuno stato, fissa un nuovo orizzonte con cui confrontarsi. Non solo in termini quantitativi. Come osservato dall’Alleanza per l’infanzia e dalla rete dei soggetti che si occupano del tema, l’approccio della nuova raccomandazione è molto più articolato rispetto al precedente obiettivo, che era funzionale solo a incentivare l’occupazione femminile. Oggi la priorità è anche migliorare qualità e inclusività del servizio, per sviluppare le potenzialità di tutti i bambini e contrastare le disuguaglianze di accesso.

Allo stesso tempo, anche in termini quantitativi i nuovi obiettivi sono molto sfidanti. Specialmente per un paese che – pur in un percorso di crescita negli ultimi anni – resta ancora a quasi 6 punti dall’obiettivo precedente (33%), originariamente stabilito per il 2010.

Gli ultimi dati indicano che nel 2020, seguendo una tendenza in corso da alcuni anni, è proseguito il lento e graduale avvicinamento dell’Italia all’originario obiettivo europeo sugli asili nido.

Gli obiettivi europei di Barcellona riguardano la diffusione di asili nido, servizi e scuole per l’infanzia. Questi devono essere offerti almeno al 33% dei bimbi sotto i 3 anni e al 90% dei bambini tra 3 e 5 anni. Dopo l’emergenza Covid i target sono stati aggiornati rispettivamente al 45% e al 96%. Vai a “Che cosa prevedono gli obiettivi di Barcellona sugli asili nido”

Nel 2013, primo anno per cui sono disponibili i dati, erano 22,5 i posti ogni 100 bambini con meno di 3 anni. A distanza di 7 anni il rapporto è salito al 27,2%. Una crescita di quasi 5 punti, in parte attribuibile anche al calo del numero di nascite nel nostro paese. Se nel 2013 i bambini tra 0 e 2 anni erano oltre 1,6 milioni, oggi sono meno di 1,3.

Nell’ultimo decennio l’offerta di asili nido e servizi prima infanzia in relazione alla presenza di bambini è aumentata in modo generalizzato. Tuttavia permangono le 2 fratture storiche: quella tra centro-nord e mezzogiorno e quella tra città e aree interne.

Per colmarle, nel corso degli ultimi vent’anni sono stati formulati una serie di obiettivi, entrati a far parte anche della normativa nazionale. Approfondiamo la misura del divario attuale e il progressivo rispetto dei target nei diversi territori del nostro paese.

Le due fratture che restano nell’offerta del servizio

Bastano pochi dati per tratteggiare la prima spaccatura, lungo la faglia nord-sud. Sono 6 le regioni superano la soglia del 33%, e si trovano tutte nell’Italia centro-settentrionale: Umbria, con 44 posti ogni 100 bambini 0-2 anni, Emilia-Romagna e Valle d’Aosta con una quota superiore al 40%, e poi Toscana, Lazio e Friuli-Venezia Giulia.

Ciò non significa che anche territori del mezzogiorno non abbiano visto un miglioramento negli ultimi anni, come abbiamo avuto modo di ricostruire nel recente rapporto sul Pnrr e la povertà educativa. Su tutti, si può segnalare la crescita della Campania, che in termini assoluti è passata da circa 10mila posti offerti nel 2013 a oltre 15.500 nel 2020. Cioè da appena 6,2 a 11 posti ogni 100 bambini residenti. Basilicata e Puglia, pur con incrementi in termini assoluti meno consistenti, sono passate rispettivamente da 12,9 a 21,5 e da 12,1 a 19,6 posti ogni 100 bambini.

le regioni in cui è presente poco più di un posto ogni 10 bambini: Sicilia, Calabria e Campania.

Tuttavia, con l’eccezione della Sardegna, nessuna regione del mezzogiorno ha superato la media nazionale, ancora nel 2020. E nonostante la crescita significativa appena rilevata per la Campania, l’offerta in 3 regioni (Campania, Calabria e Sicilia) si attesta poco sopra la soglia dei 10 posti ogni 100 bambini. Per le ultime 2 citate l’incremento rispetto al 2013 è stato poco superiore al punto percentuale.

Rispetto alla classificazione per aree internei comuni polo – le città baricentriche in termini di servizi – raggiungono la soglia del 33%, in media. Quelli di cintura (le aree urbane hinterland dei poli) si attestano attorno al 25%. I comuni periferici e ultraperiferici non raggiungono il 20%. Nei primi, il rapporto è di 19,8 posti ogni 100 bambini. Nei secondi, di 14,7.

19 posti ogni 100 bambini in media nei comuni periferici e ultraperiferci.

Come stanno andando gli obiettivi del 33% e del 75%

Per estendere l’offerta di asili nido, come anticipato, sono stati stabiliti una serie di obiettivi, successivamente entrati anche a far parte anche della normativa nazionale.

Parliamo di quello, più noto, di raggiungere un’offerta di almeno 33 posti nei servizi prima infanzia ogni 100 bambini con meno di 3 anni. Questo target, recentemente aggiornato dal consiglio dell’Ue, era stato formulato nel 2002 per poi essere fissato nell’ordinamento interno con il decreto legislativo 65/2017.

(…) l’obiettivo tendenziale di raggiungere almeno il 33 per cento di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale;

Il secondo target stabilito dalla normativa interna è arrivare a un’offerta del servizio che sia presente in almeno il 75% di comuni. In modo da estendere la diffusione anche territoriale degli asili nido, affinché non si concentrino solo nei capoluoghi o nelle città maggiori.

Lo Stato promuove (…) la graduale diffusione territoriale dei servizi educativi per l’infanzia con l’obiettivo tendenziale di raggiungere il 75 per cento di copertura dei comuni, singoli o in forma associata

Al sud offerta in aumento, ma il 33% è lontano

L’obiettivo di raggiungere i 33 posti nei nidi e nei servizi per l’infanzia è stato raggiunto da 30 su 107 tra province e città metropolitane. In termini assoluti sono quindi raddoppiati i territori al di sopra della vecchia soglia di Barcellona rispetto al 2013, quando erano 15 sulle 110 province allora esistenti.

La nuova soglia del 45% oggi sarebbe superata solo in 3 province emiliano-romagnole.

Se invece si considera la nuova soglia del 45% fissata in sede Ue, sono 3 su 107 le province che la raggiungono, tutte in Emilia-Romagna: Ravenna (48,6% nel 2020), Bologna (46,5%) e Ferrara (45,5%). L’ha sostanzialmente raggiunta anche Perugia (44,8%), e vi si avvicinano altre province, tutte dell’Italia centro-settentrionale.

Come appartengono a quest’area del paese quasi tutti i territori che hanno raggiunto la soglia del 33% fissata dal Dlgs 65/2017. Nell’arco dei sette anni si possono citare ad esempio le province di Trieste, passata da 31,9 a 44,1 posti ogni 100 minori (+12,2 punti percentuali), Rovigo (+11,2 punti), Livorno (+11,1). Nel centro-nord, progressivamente, quasi tutti i territori, con poche eccezioni, hanno raggiunto una copertura pari ad almeno il 25% (1 posto ogni 4 bambini residenti).

In parallelo, sono diminuiti i territori in cui i posti offerti sono meno di 10 ogni 100 utenti potenziali. Questi si sono ridotti da 12 province su 110 a 4 su 107. Si tratta sempre di aree del mezzogiorno. All’inizio della rilevazione erano Caserta, Napoli, Avellino, Cosenza, Barletta-Andria-Trani, Vibo Valentia, Palermo, Crotone, Salerno, Catania, Foggia e Caltanissetta. Nel 2020 si trovano in questa situazione Caserta, Cosenza, Caltanissetta e Ragusa.

Le regioni al voto nel 2023 Mappe del potere

Le regioni al voto nel 2023 Mappe del potere

Nel 2023 si voterà in 4 regioni per eleggere il presidente e rinnovare il consiglio. Lazio e Lombardia andranno alle urne già il prossimo mese, mentre in Friuli-Venezia Giulia e Molise in primavera.

 

Nel corso del 2023 sono 4 le regioni in cui i cittadini si recheranno alle urne per il rinnovo della giunta e del consiglio regionale. In 3 di queste la data è già stata fissata. Il 12 e 13 febbraio infatti si voterà in Lombardia e Lazio, mentre il 2 e 3 aprile in Friuli-Venezia Giulia. Il giorno delle elezioni in Molise invece deve ancora essere stabilito ma sarà comunque entro metà giugno.

La disciplina nazionale per le elezioni regionali

Fino all’approvazione della legge costituzionale numero 1 del 1999 era il parlamento a stabilire il sistema elettorale da adottare nelle regioni. A partire da quella data invece la materia è stata delegata a specifiche leggi regionali.

Il sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.

La normativa regionale tuttavia deve muoversi nel solco di una serie di principi stabiliti con legge della repubblica. Questi principi sono ricavabili in primo luogo dall’articolo 4 della legge 165/2004 che, tra le altre cose, prevede:

  • la definizione di un sistema elettorale che incentivi maggioranze stabili;
  • il divieto di mandato imperativo;
  • la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive.

Diverso invece è il caso delle regioni a statuto speciale, tra cui il Friuli-Venezia Giulia. Qui infatti le leggi elettorali devono rispondere, oltre che dei principi costituzionali, della disciplina prevista nei rispettivi statuti regionali.

Altre norme concorrono poi a definire un quadro nazionale di riferimento. Tra queste da ultimo si è inserito il decreto legge 190/2022 con il quale è stato stabilito che, per il solo 2023, le elezioni dovranno tenersi anche di lunedì mattina oltre che di domenica. Una norma che deroga, per un tempo limitato, quanto previsto dalla legge di stabilità 2014 (l. 147/2013, articolo 1 comma 399) che, per ragioni di spesa, aveva previsto di limitare il turno elettorale alla sola giornata di domenica.

Il sistema istituzionale e i seggi in consiglio

In ciascuna delle 4 regioni che andranno al voto il sistema istituzionale prevede l’elezione diretta del presidente, cui è riservato un posto anche in consiglio. Non è invece previsto un eventuale turno di ballottaggio, come avviene ad esempio in Toscana. Per l’elezione dei consiglieri invece, pur presentando alcune importanti differenze, questi sistemi elettorali hanno tutti una struttura simile. Si tratta in sostanza di un sistema proporzionale su base circoscrizionale che include, in forme diverse, metodi per garantire la stabilità della maggioranza ma anche un’adeguata rappresentanza delle opposizioni.

D’altronde pur trattandosi dello stesso tipo di organo, i consigli di queste regioni hanno dimensioni molto diverse e sono eletti in un diverso numero di circoscrizioni. Un aspetto che incide su elementi quali le soglie di sbarramento o l’attribuzione di premi di maggioranza.

Premi di maggioranza e tutela delle minoranze

L’attribuzione del premio di maggioranza avviene in modo diverso in queste 4 regioni.

In Lazio ad esempio 40 seggi sono attribuiti proporzionalmente, mentre i rimanenti 10 servono ad assicurare stabilità alla maggioranza. Infatti se il gruppo di liste collegate al presidente eletto non ha raggiunto il 60% gli vengono attribuiti i seggi necessari a raggiungere tale soglia, ovviamente per un massimo di 10 consiglieri. Nel caso venga raggiunta questa quota i seggi rimanenti sono attribuiti all’opposizione. Da questi calcoli inoltre è escluso il seggio attribuito per legge al candidato eletto presidente.

La conseguenza dunque è che per essere sicuri di ottenere una maggioranza assoluta, le liste collegate al presidente eletto dovrebbero almeno avvicinarsi al 40% dei voti validi.

Il sistema previsto in Lombardia invece attribuisce in maniera più certa una maggioranza alle liste vincitrici. Qui 2 seggi sono attribuiti al presidente eletto e a quello non eletto che ha ottenuto più voti. I rimanenti 78 invece sono ripartiti in questo modo:

  • almeno 44 seggi (55%) se il presidente ha ottenuto meno del 40% dei voti validi;
  • almeno 48 seggi (60%) se il presidente ha ottenuto il il 40% o più dei voti validi.

In ogni caso alle liste vincitrici non può essere attribuito un numero di seggi che superi il 70%.

Simile è poi il sistema adottato in Friuli- Venezia Giulia. Qui infatti le liste collegate al presidente eletto ricevono:

  • almeno il 60% dei seggi se il presidente è eletto con più del 45% dei voti;
  • almeno il 55% dei seggi se il presidente è eletto con il 45% dei voti o meno.

I calcoli in questo caso includono il seggio attribuito al presidente. In aggiunta sono previsti dei sistemi a tutela dell’opposizione e delle liste espressione della minoranza slovena.

Infatti le liste non collegate al presidente eletto devono ottenere almeno il 40% dei seggi, incluso il seggio riservato al candidato presidente non eletto che ha ottenuto più voti. Inoltre, nel caso in cui le liste espressione della minoranza slovena non abbiano attenuto neanche un seggio, è previsto uno specifico meccanismo volto ad attribuirgliene almeno uno. A patto che siano raggiunte determinate condizioni.

Infine in Molise la legge elettorale stabilisce che alle liste collegate al presidente eletto siano assegnati tra 12 e 14 seggi. I rimanenti (tra 8 e 6) spettano all’opposizione.

È da notare tuttavia che, stando a quanto affermato da un dossier del senato, non avendo previsto una soglia minima affinché le liste vincitrici ottengano il premio di maggioranza questa legge elettorale è esposta al rischio di essere dichiarata incostituzionale. Su questo stesso punto infatti si è concentrata la sentenza (1/2014) con cui la corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità della legge Calderoli (il cosiddetto porcellum).

le norme impugnate […] prevedono un meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza che, in quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per competere all’assegnazione del premio, è tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto.

L’equilibrio di genere nelle leggi regionali

Come anticipato la legge 165/2004 stabilisce alcuni principi a cui le leggi elettorali delle regioni a statuto ordinario devono conformarsi. Tra questi la promozione delle pari opportunità tra generi. Oltre a stabilire il principio però la disposizione elenca anche alcuni criteri cui le regioni devono attenersi a seconda del sistema elettorale scelto: proporzionale con espressione di preferenze, proporzionale senza espressione di preferenze o uninominale.

Le 3 regioni a statuto ordinario che andranno al voto nel 2023 prevedono tutte un sistema proporzionale con preferenza ed è dunque al primo criterio che devono attenersi.

qualora la legge elettorale preveda l’espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze successive alla prima;

Come è ovvio dunque le leggi regionali del Lazio, della Lombardia e del Molise si sono conformate a questo principio, con una differenza. La regione Lazio infatti ha previsto che le liste debbano necessariamente essere composte in modo che ciascun genere sia espresso per il 50%. In caso di numero dispari è ammessa una sola unità di scarto.

Per il Friuli-Venezia Giulia invece il discorso è differente. La regione infatti non deve conformarsi a una norma nazionale, ma solo al suo statuto, le cui modifiche sono state approvate con legge costituzionale (2/2001). Proprio questa modifica ha introdotto nello statuto il principio di “equilibrio della rappresentanza dei sessi”, ma in modo del tutto generico.

La legge regionale invece ricalca in buona parte la disciplina prevista per le regioni a statuto ordinario, ma non completamente. Anche qui infatti le liste devono essere composte in modo che il genere più rappresentato non superi il 60% delle candidature. In questo caso però non è richiesta la doppia preferenza di genere (legge regionale 17/2007). E in effetti in questa regione la legge elettorale prevede un’unica preferenza che l’elettore può attribuire indifferentemente a una candidata o a un candidato (l.r. 28/2007).

Foto: ministero dell’interno

 

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San Tommaso d’Aquino


Nome: San Tommaso d’Aquino
Titolo: Sacerdote e dottore della Chiesa
Nascita: 1227, Aquino
Morte: 7 marzo 1274, Fossanova
Ricorrenza: 28 gennaio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
18 luglio 1323, Roma , papa Giovanni XXII
Luogo reliquie:Chiesa dei Giacobini

Un astro di luce particolare e inestinguibile brilla nel cielo del secolo XIII; luce che attraversa i secoli, che illumina le menti: l’Angelico Dottore S. Tommaso.

Nacque ad Aquino nell’anno 1227 dal conte Landolfo e dalla contessa Teodora, parente di Federico Barbarossa, signori fra i più illustri di quei tempi.

Educato cristianamente fin dalla più tenera età, diede molti segni della sua futura scienza e grandezza.

A cinque anni fu affidato per l’educazione ai monaci benedettini di Montecassino. Vi rimase fino ai quattordici anni, fino a quando cioè i torbidi politici non decisero i genitori a riprenderlo entro le mura del proprio castello. Più tardi fu mandato all’Università di Napoli, ove, sebbene assai giovane, manifestò il suo potente ingegno, acquistandosi fama presso i condiscepoli e stima presso i maestri. Già si concepivano su di lui le più lusinghiere speranze, già i conti d’Aquino ed altri vedevano in lui il futuro campione del foro napoletano o romano, quando egli di colpo fece crollare tutti questi sogni, annunciando la sua decisione di entrare nell’Ordine di S. Domenico.

Da Napoli, per timore della famiglia che gli si opponeva decisamente, fu mandato a Parigi, ma nel viaggio, raggiunto dai fratelli, venne arrestato e ricondotto nel castello paterno di S. Giovanni a Roccasecca. Rimase prigioniero per circa un anno, vincendo tutte le difficoltà e le lusinghe. Per il suo angelico candore ed in premio della sua fortezza contro una grave tentazione, meritò d’essere cinto del cingolo di purezza da due Angeli, così che dopo d’allora mai più ebbe a subire tentazioni contro la bella virtù.

Aiutato dalle sorelle riuscì a fuggire, e tosto rientrò nel convento da cui era stato strappato. All’Università di Parigi studiò filosofia e teologia sotto il celeberrimo S. Alberto Magno e a 25 anni cominciò con somma lode a interpretare filosofi e teologi. Passò indi col suo maestro a Colonia, e qui ricevette la sacra ordinazione. Ritornato a Parigi come insegnante universitario sostenne lotte coi maestri secolari. Chiamato poi alla Corte Pontificia in qualità di teologo della curia romana vi rimase qualche anno, poi tornò a Parigi. È questo il tempo più fecondo del suo insegnamento. Da Parigi entrò in Italia e fu inviato da Gregorio X al Concilio di Lione. Ma nel viaggio mori a Fossanova, il 7 marzo 1274.

Raccolse, sistemò ed espose tutto lo scibile antico, e segnò le vie alle scienze nuove, tanto che non si esita a chiamarlo uno dei più grandi ingegni dell’umanità.

Mirabili ed eccelse furono le sue virtù. Tale e tanta fu la sua umiltà che ricusò l’arcivescovado di Napoli ripetutamente offertogli dal Sommo Pontefice. Il suo confessore ebbe a dire: « Fra Tommaso a 50 anni aveva il candore e la semplicità di un bambino di cinque anni ».

PRATICA. Impariamo da questo santo la fermezza nell’eseguire la volontà di Dio.

PREGHIERA. Dio, che illustri la Chiesa con la meravigliosa erudizione del tuo beato confessore Tommaso e la rendi feconda di tante opere, dacci, te ne preghiamo, d’intendere ciò ch’egli ci ha insegnato e di compiere, a suo esempio, ciò che ha fatto. Bibl., CINTI, Tommaso d’Aquino, Ed. Paoline.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria di san Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.

IL PENSIERO DI SAN TOMMASO

Uomo di fede e grande pensatore, San Tommaso d’Aquino diede vita a quello che viene chiamato tomismo, ed è considerato l’esponente più importante della filosofia scolastica nonché uno dei più grandi teologi cristiani.

Varie le sue opere e i suoi trattati sugli argomenti più disparati; tra le più importanti vi sono certamente la Summa Contra Gentiles, attraverso la quale cerca di convincere gli intellettuali musulmani della verità del cristianesimo, e la Summa theologiae, rimasta incompiuta. Essa tratta di Dio, della creazione e dell’azione umana.

Alla base del suo pensiero troviamo la non contraddizione tra fede e ragione, che possono coesistere ed anzi supportarsi l’un l’altra. Se la prima infatti eleva quest’ultima alla certezza e alla perfezione, attraverso la ragione possiamo spiegare e rendere accessibili le verità della fede, difendendola dalle critiche e dalle obiezioni.

In pratica sia filosofia che teologia parlano dello stesso Dio ma in maniera diversa. La filosofia risale dal basso, dalla creazione, la teologia discende dall’alto, da Dio, entrambe radicate nella loro verità si sostengono a vicenda.

Tra tutti i suoi insegnamenti, molti dei quali riprendono quelli di Aristotele, ci soffermiamo proprio sulla dimostrazione dell’esistenza di Dio attraverso cinque vie:

la prova cosmologica, che riprende il principio aristotelico secondo cui tutto ciò che si muove è mosso da altro; dovendo dunque individuare un primo motore immobile, esso non può che essere Dio.

La prova causale: se ogni fenomeno ha una causa, da questa concatenazione si risale alla causa prima identificata con Dio;

la prova del contingente e del necessario, che individua in Dio quel qualcosa di necessario da cui tutte le cose non necessarie discendono,

la via dei gradi di perfezione: la qualità ha vari gradi di perfezione, e in Dio risiedono i più alti;

e infine la prova della finalità delle cose: tutto in natura mostra di avere un suo fine ed ordine, ci deve essere una intelligenza superiore a stabilirlo.

Nel campo della teologia Tommaso fa una distinzione tra teologia naturale, che cerca di approdare a Dio attraverso l’utilizzo della ragione nell’osservazione e nella comprensione della creazione, e teologia rivelata, che si rivolge direttamente a Dio attraverso la fede.

Per quanto riguarda l’anima, immortale in quanto immateriale e quindi incorruttibile, egli sostenne che fosse indipendente dal corpo e derivante direttamente da Dio.

Come sostenne che tutti gli esserei viventi siano guidati da una “legge morale”, secondo la propria natura. Nelle creature definite irragionevoli essa si manifesta col carattere della necessità e ineluttabilità, in quelle ragionevoli invece esiste il libero arbitrio, la libertà di scelta sebbene l’individuo, una volta capito dove è il bene, tende naturalmente verso di esso. L’uomo, insomma, ha un’attitudine innata fare il bene e fuggire il male.

Ma il pensiero di una mente tanto eccelsa ha spaziato in vari ambiti, e non poteva non chiedersi cosa sia la felicità e come raggiungerla, approdando quasi nell’economia. Ad esempio se da un lato, asseriva, il commercio è necessario, dall’altro cercare l’arricchimento a scapito degli altri è sbagliato; la condivisione evita i conflitti e le diseguaglianze. Anche perché in fondo tutto appartiene a Dio, non a noi.

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