Archivio mensile:maggio 2021

San Paolo VI

 

San Paolo VI


Nome: San Paolo VI
Titolo: Papa
Nascita: 26 settembre 1897, Concesio, Brescia
Morte: 6 agosto 1978, Castel Gandolfo, Roma
Ricorrenza: 29 maggio
Tipologia: Commemorazione

Giovanni Battista Montini nacque a Concesio, presso Brescia, il 26 settembre 1897. da famiglia agiata. Suo padre era avvocato, redattore politico e deputato parlamentare; la madre, verso la quale il figlio nutriva molto affetto, aveva un profondo senso religioso. Timido e di salute delicata, ma amante dei libri, seguì gli studi presso il seminario diocesano; fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1920 e prosegui gli studi universitari a Roma.

Dal 1922 ebbe incarichi nella segreteria di stato del Vaticano e per un breve periodo (maggio-novembre 1923) nella nunziatura di Varsavia, che fu poi costretto a lasciare per motivi di salute. Svolse un servizio intenso e costante presso la segreteria di stato dedicando le ore di libertà, dal 1924 al 1933, al movimento cattolico studentesco; dal 1931 insegnò storia diplomatica nell’accademia pontificia per coloro che erano avviati a tale carriera. L’8 luglio 1931 fu nominato prelato domestico di sua santità e il 13 dicembre 1937 sostituto alla segreteria di stato allora sotto la direzione del cardinale Eugenio Pacelli.

Quando questi salì al trono pontificio nel 1939, G.B. Montini continuò a lavorare in stretto contatto con lui e nel 1944 ricevette la direzione degli affari interni della chiesa. Divenuto prosegretario di stato nel novembre del 1952, il 1 novembre 1954 fu nominato arcivescovo di Milano, una diocesi molto vasta dove si agitavano innumerevoli problemi sociali. Questa nomina è stata interpretata come segno di non apprezzamento da parte del papa nei suoi confronti.

Considerandosi l’«arcivescovo dei lavoratori», sempre però accompagnato dalle sue ormai leggendarie novanta casse di libri, egli si gettò con instancabile energia nel nuovo campo di lavoro: desiderava far rifiorire la diocesi devastata dalla guerra e riconquistare le masse operaie che si erano allontanate dalla chiesa. Nel novembre del 1957 svolse per tre settimane un’intensa opera missionaria che mirava a raggiungere ciascuna parrocchia della città, ma il suo zelo nel settore missionario — e in quello diocesano — non ebbe il successo desiderato. Trovò anche il tempo di tentare nuove vie nel campo dell’unità cristiana, aprendo, per citare un esempio, un dialogo con un gruppo di anglicani nel 1956.

Il 5 dicembre 1958 Giovanni XXIII, nel suo primo concistoro, lo nominò cardinale: una nomina ovvia, e tuttavia sempre evitata da Pio XII nonostante ripetuti appelli da parte dei milanesi. Come confidente del papa ebbe una parte notevole nei preparativi per il concilio Vaticano II (19621965); il suo atteggiamento verso la prima sessione (11 ottobre – 8 dicembre 1962), nella quale parlò solo due volte, fu riservato, quasi critico.

Durante quegli anni viaggiò molto, visitando l’Ungheria (1938), gli Stati Uniti d’America (1951 e 1960), Dublino (1961) e l’Africa (1962). Nel conclave del giugno 1963, al quale parteciparono ottanta cardinali fino a quel momento il più grande conclave della storia, nel quinto scrutinio venne eletto successore di Giovanni. Scelse un nome che suggeriva una grande apertura apostolica.

Paolo, che aveva vissuto in profonda intimità di intenti con il suo predecessore, assicurò immediatamente (22 giugno) che avrebbe continuato il concilio Vaticano II, interrotto dalla morte di Giovanni XXIII; intendeva anche rivedere il diritto canonico, promuovere la giustizia nella vita civile, sociale e internazionale e lavorare inoltre per la pace e per l’unità dei cristiani tema che gli sarebbe divenuto sempre più caro.

Aprì la seconda sessione del concilio il 29 settembre 1963 introducendo importanti riforme procedurali tra l’altro l’ammissione di laici come uditori, la nomina di quattro moderatori e una più discreta formulazione delle norme di segretezza e la chiuse il 4 dicembre 1963 promulgando la Costituzione sulla sacra liturgia e il Decreto sui mezzi di comunicazione sociale.

Fra il 4 e il 6 gennaio 1964 fece un pellegrinaggio aereo senza precedenti in Terra Santa, incontrando a Gerusalemme il patriarca ecumenico Atenagora I. Dopo aver annunciato (6 settembre) che le donne, religiose o laiche, potevano partecipare al concilio come uditrici, aprì la terza sessione il 14 settembre 1964; la chiuse il 21 novembre promulgando la Costituzione sulla Chiesa (con l’aggiunta di una nota che spiegava la collegialità dei vescovi, cioè la dottrina secondo cui i vescovi formano un collegio che, agendo di comune accordo e non indipendentemente dal suo capo, il papa, ha la suprema autorità nella chiesa); promulgò pure il Decreto sull’Ecumenismo (di cui modificò di propria autorità alcuni passi) e il Decreto sulle chiese orientali cattoliche; inoltre proclamò la B.V. Maria «madre della chiesa», nonostante i padri non fossero tutti d’accordo. Durante l’intervallo tra le sessioni conciliari si recò in volo (25 dicembre 1964) a Bombay per il congresso eucaristico internazionale.

Nella quarta e ultima sessione del concilio (14 settembre – 8 dicembre 1965), durante la quale si recò in volo a New York (4 ottobre) a perorare per la pace davanti alle Nazioni Unite, Paolo si impegnò a costituire un sinodo permanente di vescovi con poteri tanto deliberativi quanto consultivi.

Prima della messa del 7 dicembre fu letta pubblicamente una dichiarazione comune del papa e del patriarca Atenagora I, che deplorava i reciproci anatemi pronunciati dai rappresentanti delle chiese d’Occidente e d’Oriente a Costantinopoli nel 1054 e lo scisma che ne era derivato; il giorno dopo, Paolo confermò solennemente tutti i decreti del concilio e proclamò un giubileo straordinario (1 gennaio29 maggio 1966) da dedicare alla riflessione e al rinnovamento nella luce delle dottrine conciliari.

Subito dopo, cominciò a mettere in opera le deliberazioni del concilio con grande coraggio e anche con un’acuta consapevolezza degli ostacoli che potevano frapporsi alla loro attuazione; torna a suo favore il fatto che riuscì a guidare la chiesa attraverso un periodo di cambiamenti rivoluzionari evitando uno scisma.

Istituì diverse commissioni post-conciliari (per esempio commissioni per la revisione del breviario, del lezionario, dell’ordo missae, della musica sacra e del diritto canonico) e approvò la sostituzione del latino con la lingua volgare con intrepida determinazione. Riorganizzò la curia e le finanze del Vaticano sia nell’amministrazione che negli investimenti e confermò i segretariati permanenti per la promozione dell’unità dei cristiani, per le religioni non-cristiane e per i non-credenti.

Mirando all’ecumenismo ebbe incontri con l’arcivescovo di Canterbury (Michael Ramsey) a Roma (24 marzo 1966) e con il patriarca ecumenico Atenagora I a Istanbul (25 luglio 1967) e a Roma (26 ottobre 1967). Nel maggio del 1974 raggiunse in aereo Fàtima in Portogallo per visitare il santuario della B.V. Maria su invito personale Suo, come affermò e pregare per la pace.

Fra le sue encicliche sono da ricordare la Mysterium fidei (3 settembre 1965), che preparava il terreno alla riforma liturgica e riconfermava la tradizionale dottrina eucaristica; la Populorum progressio (26 marzo 1967), chiara difesa della giustizia sociale; la Sacerdotalis eoelibatus (24 giugno 1967), che insisteva sulla necessità del celibato ecclesiastico; l’ Humanae vitae (25 luglio 1968), che condannava i metodi artificiali di controllo delle nascite, e la Matrimonia mixta (31 marzo 1970). Mentre quest’ultima permetteva modeste deroghe alle regole per i matrimoni misti, che però non soddisfecero molto i cristiani non romani, 1′ Humanae vitae non trovò l’accoglienza sperata; vi contribuì anche il fatto che la maggioranza della commissione pontificia, nominata nel 1963 per esaminare la questione, si era pronunciata in favore della contraccezione, in determinate circostanze.

Il 6 agosto 1968 la conferenza di Lambeth dei vescovi anglicani respinse l’enciclica; Paolo VI rimase decisamente convinto della giustezza della propria decisione, ma la critica reazione internazionale lo scosse profondamente. Dopo il 1968 alcuni avvertirono un’ombra sempre più cupa sul suo pontificato. Paolo VI parve ritirarsi in se stesso, preoccupato da fenomeni come il terrorismo internazionale e da tensioni all’interno della chiesa per esempio la crescente richiesta del matrimonio per i chierici, la provocante resistenza del vescovo Marcel Lefebvre e di altri alle riforme liturgiche, le lotte fra tradizionalisti e progressisti e anche i segni della comparsa di un nuovo tipo di modernismo.

Nel 1974 si parlò di una sua possibile rinuncia al papato; ma, pur essendo reale, il suo malessere interiore può essere stato sopravvalutato. In questi stessi anni si assistette ad alcuni dei più sensazionali viaggi internazionali del «papa pellegrino».

Nel giugno del 1969 Paolo andò a Ginevra per pronunziare un discorso all’Organizzazione internazionale del lavoro e al Consiglio mondiale delle chiese; in luglio visitò l’Uganda per onorare i martiri di quel paese; nell’aprile del 1970 si recò in Sardegna per onorare Nostra Signora di Bonaria, e fra il novembre e il dicembre del 1970 fu nell’estremo Oriente, dove, a Manila, sfuggì a un attentato.

Il 25 ottobre 1970 canonizzò, nonostante che all’inizio gli anglicani mossero proteste, quaranta martiri cattolici inglesi e gallesi del XVI e XVII secolo; inoltre proclamò dottori della chiesa Santa Teresa d’Avila (15151582) e Santa Caterina da Siena (13471380), le prime donne che ricevettero questo titolo.

Nel medesimo anno fissò l’età per le dimissioni dei preti e dei vescovi (settantacinque anni) e dichiarò che i cardinali ultraottantenni non potevano essere più ammessi al governo della curia.

Nel 1971 quando Papa Paolo VI diede vita alla Caritas Italiana e mise in luce come la carità, senza mai sostituirsi alla giustizia, sarà sempre necessaria come stimolo e completamento. Da qui l’intuizione del valore di una “carità politica” e della dimensione comunitaria della carità che non può permettere deleghe: Una crescita del popolo di Dio nello spirito del Concilio Vaticano II non è concepibile senza una maggiore presa di coscienza da parte di tutta la comunità cristiana delle proprie responsabilità nei confronti dei bisogni dei suoi membri.

Per promuovere la collegialità da lui sostenuta purché non violasse il primato del papa convocò sinodi episcopali internazionali nel 1971 (sul sacerdozio), nel 1974 (sull’evangelizzazione) e nel 1977 (sulla catechesi). Nell’aprile del 1972 Paolo VI e l’arcivescovo di Canterbury (Donald Coggan) emisero una dichiarazione comune che prometteva un lavoro concorde per la riunione delle chiese, ma non faceva menzione dell’intercomunione richiesta dall’arcivescovo.

Forse l’eredità più importante che Paolo VI lasciò alla chiesa, e che portò a compimento in questa fase conclusiva del suo pontificato, fu il costante ampliamento e l’internazionalizzazione del sacro collegio. Questo, al momento della sua elezione, contava circa ottanta membri, ma nel 1976 il numero era salito a centotrentotto; inoltre i membri italiani erano divenuti una piccola minoranza e vi erano molti rappresentanti del terzo mondo. Pur non riuscendo gradito a tutti, Paolo aveva un carisma per i gesti significativi; tuttavia non si può determinare con sicurezza l’orientamento complessivo dei suoi interventi: Giovanni XXIII lo aveva definito «un po’ come Amleto». Infatti vi fu in lui contrasto fra la visione progressista e la diffidenza verso ogni innovazione che potesse minare l’integrità e l’autorità della dottrina della chiesa.

Esaltò costantemente il mistero della fede e il distacco dal mondo terreno che essa implicava; ebbe anche timore di tutto ciò che potesse orientare il pensiero umano verso il naturalismo scientifico.

Una sua notevole iniziativa fu la riduzione della pompa e delle cerimonie papali; per soccorrere i poveri vendette anche la tiara che gli era stata donata al momento dell’elezione.

Nel suo ultimo anno di vita fu profondamente turbato dal rapimento e dall’assassinio (9 maggio 1978) dello statista democristiano Aldo Moro, suo grande e fedele amico; l’ultima volta che comparve in pubblico fu per presiedere al suo funerale in San Giovanni in Laterano. Ammalatosi poi di artrite e colpito da un attacco cardiaco mentre si celebrava la messa presso il suo capezzale, morì a castel Gandolfo il 6 agosto, festa della Trasfigurazione.

Venerabile dal 20 dicembre 2012, dopo che papa Benedetto XVI ne aveva riconosciuto le virtù eroiche, è stato beatificato il 19 ottobre 2014 e proclamato santo il 14 ottobre 2018 da papa Francesco

Pensione senza tasse: come godersi la terza età senza pagare l’IRPEF

Pensione senza tasse: come godersi la terza età senza pagare l’IRPEF

Pensionati sempre in vacanza e con l’assegno senza tasse: vediamo la soluzione alla pensione troppo tassata.
pensionati all'estero

Molti lavoratori anelano alla pensione per godersi, finalmente, un pò di meritato riposo. Ma anche se questa sembra essere la favola che ci raccontiamo da sempre mentre siamo lavoratori, non sempre si traduce in realtà quando si accede alla pensione. Anche la pensione, infatti, è gravata da tasse e una pensione lorda di 1000 euro, se tutto va bene, avrà un importo netto inferiore agli 800 euro.

Pensione senza tasse

Sulla pensione, infatti, si applica l’IRPEF proprio come sullo stipendio e nel migliore dei casi l’aliquota applicata è del 23% (per pensioni con importo lordo fino a 1153 euro che si riduce, con il netto, a 888 euro mensili).

Ma c’è una possibilità di percepire la pensione senza vedersi sottrarre l’imposta in questione ed è quella di trasferirsi in uno dei Paesi esteri che offre la completa detassazione della pensione per chi si trasferisce. E’ il caso, ad esempio del Portogallo dove i pensionati che trasferiscono la residenza possono godere per 10 anni di una detassazione totale della pensione.

Questa significa che se si ha diritto ad una pensione lorda di 1153 euro si riceverà una pensione netta di 1153 euro per 10 anni.

E sono moltissimi i pensionati italiani che, proprio per questo motivo, hanno deciso di trasferire la propria residenza all’estero per godere in pieno dell’importo spettante di pensione senza subire la pesante tassazione prevista oggi in Italia. Il Portogallo, infatti, può contare su una discreta comunità di italiani pensionati. Ma non esiste solo il Portogallo: sono moltissimi i Paesi esteri che offrono condizioni del genere ai pensionati che trasferiscono la propria residenza e tra l’altro si tratta di Paesi dove il costo della vita è anche meno caro che in Italia.

In questo modo i pensionati che si trasferiscono all’estero si garantiscono non solo una vita dignitosa ma anche una vecchiaia più serena.

Per approfondire invitiamo a leggere: Pensioni all’estero: detassazione per chi si trasferisce nella Repubblica del Gabon

Smart working e permessi 104 ad ore: ecco quando spettano

 

Smart working e permessi 104 ad ore: ecco quando spettano

L’Ispettorato nazionale del lavoro si è pronunciato sulla compatibilità tra lavoro agile e permessi 104 frazionati ad ore. Analisi completa

Smart working e permessi 104 ad ore: l’Ispettorato nazionale del lavoro ha recentemente chiarito i profili di compatibilità tra lavoro agile e permessi retribuiti ai sensi della Legge numero 104/1992. L’INL si è espresso con la nota numero 7152 dello scorso 26 aprile scorso, a seguito delle indicazioni già fornite in precedenza, con altrettante note, evidentemente non chiare, sottolinea l’ente.

In particolare, nel documento l’Ispettorato evidenzia che, seppur in un’ottica di difficile convivenza (vista la flessibilità del lavoro agile) lo smart worker può comunque fruire dei permessi frazionati ad ore. Tale ipotesi si configura nel caso in cui, per la particolare organizzazione dell’attività lavorativa, l’interessato ritenga di non poter soddisfare appieno le proprie esigenze di cura ed assistenza di sé stesso o del familiare disabile, senza dover ricorrere ai permessi.

Analizziamo la novità in dettaglio.

Smart working e permessi 104 ad ore: convivenza difficile

La nota INL chiarisce innanzitutto la difficile compatibilità tra smart working e permessi retribuiti ai sensi della Legge numero 104/1992, posto che il lavoro agile è, per sua stessa definizione, svincolato da limiti di orario.

In quest’ottica, si presuppone la maggior capacità del lavoratore in smart working di organizzare la propria attività in funzione delle esigenze di cura e assistenza del familiare disabile ovvero, se è egli stesso affetto da handicap, di dedicarsi ai propri bisogni ed esigenze di vita.

Possibilità di fruire dei permessi

La difficile convivenza tra smart working e permessi 104 non esclude, ammette l’Ispettorato, che il lavoratore interessato fruisca dell’assenza frazionata ad ore qualora ritenga, si legge nella nota, secondo “le proprie valutazioni, che le proprie esigenze personali per le quali si fruisce del permesso non siano compatibili con la propria organizzazione in modalità agile”.

È ad esempio il caso del dipendente che, pur prestando l’attività in smart working, è soggetto a vincoli di orario tali da non consentirgli di soddisfare gli impegni di assistenza e cura di sé stesso o del familiare disabile.

Al contrario, conclude l’ITL, ove “si ritenga che l’esigenza personale potrà essere soddisfatta durante la propria modulazione organizzativa dell’attività lavorativa, non sarà necessario ricorrere allo strumento del permesso orario”.

Leggi anche: Permessi 104 e lavoro part time: indicazioni sul riproporzionamento

Smart working: cos’è

Lo smart working si caratterizza per essere una particolare modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, in cui la prestazione può essere resa anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi:

  • In parte all’interno ed all’esterno dei locali aziendali;
  • Senza particolari vincoli di orario o luogo di lavoro;
  • Con l’eventuale utilizzo di strumenti tecnologici.

Le ore prestate in lavoro agile sono a tutti gli effetti equiparate a quelle ordinarie, come se fossero svolte in presenza. Al tempo stesso, i lavoratori in smart working hanno diritto alla normale retribuzione, oltre alla maturazione di:

  • Ferie;
  • Permessi;
  • Anzianità di servizio;
  • Mensilità aggiuntive;
  • TFR;

al pari dei colleghi che prestano l’attività in sede.

Sono inoltre riconosciute le tutele in materia di orario di lavoro, quali:

  • Diritto al riposo giornaliero;
  • Diritto al riposo settimanale;

sebbene lo smart working si caratterizzi per una modalità di svolgimento della prestazione che può essere slegata da vincoli di orario.

Permessi 104

La legge numero 104/1992, in un’ottica di tutelare le persone colpite da disabilità o i loro familiari, ha riconosciuto la possibilità di assentarsi dal lavoro fruendo di appositi permessi retribuiti dall’INPS in misura pari al 100% della retribuzione.

Questi vengono riconosciuti a:

  • Lavoratore maggiorenne con handicap in situazione di gravità, in misura pari a 2 ore giornaliere o 3 giorni mensili;
  • Familiari di persona con handicap grave, nei limiti di 3 giorni al mese.

Nella seconda ipotesi, i permessi spettano ad un unico soggetto con riferimento allo stesso disabile (cosiddetto “referente unico”).

I familiari che possono fruire dei permessi sono:

  • Genitori;
  • Coniuge (o parte dell’unione civile);
  • Convivente;
  • Parenti e affini entro il 2º grado.

Il diritto ai permessi si estende anche a parenti e affini entro il 3º grado nel caso in cui genitori, coniuge (o parte dell’unione civile), convivente:

  • Abbiano compiuto 65 anni;
  • Siano affetti da patologie invalidanti a carattere permanente;
  • Siano deceduti o mancanti.

Leggi anche: Legge 104: a chi spetta e come fare richiesta

Permessi 104 ad ore

Come ammesso dall’INPS (messaggio numero 16866 del 28 giugno 2007) i 3 giorni di permesso mensile possono essere frazionati in ore, utilizzando il seguente algoritmo di calcolo:

(Orario settimanale / Giorni lavorativi nella settimana) * 3.

In questo modo si ottiene il tetto mensile di permessi 104 ad ore.

Il messaggio numero 16866 precisa tuttavia che il limite orario si applica esclusivamente nel caso in cui i permessi vengano fruiti parzialmente, non interessando giornate lavorative interne.

Applicando la formula di calcolo sopra citata, possiamo individuare il tetto mensile per le seguenti tipologie di orario:

  • 24 ore in presenza di orario 40 ore settimanali distribuite su 5 giorni;
  • 18 ore per chi ha un orario pari a 36 ore settimanali distribuite su 6 giorni;
  • Sempre 24 ore per i dipendenti con orario 32 ore settimanali distribuite su 4 giorni.