Pensioni Quota 100: perché è un fallimento e perché i sindacati continuano a volerla, ma Mario Draghi no
Si torna a parlare di Quota 100, provvedimento che consente di andare in pensione in via anticipata, con due requisiti: 62 anni e almeno 38 anni di contributi. Siccome il provvedimento era stato portato avanti dal Governo Conte I (sponsor Matteo Salvini) e scade a fine di quest’anno, i sindacati, supportati anche da Confindustria – sono tornati a perorare un suo prolungamento.
Quota 100: perché è stata fallimentare
Ma Quota 100 è un provvedimento iniquo e sbagliato per cui non sarebbe opportuno rinnovarlo. Infatti la Lega, Salvini e il suo consigliere economico Claudio Borghi ci avevano promesso che a fronte di un prepensionato, ci sarebbero state ben tre assunzioni di giovani.
Così non è avvenuto, e non per il Covid, ma perché il mercato del lavoro non funziona come dovrebbe. È rigido, macchinoso, non ha regole chiare e l’imprenditore, tra imposte e contributi, vede moltiplicato il costo del lavoro. Sarebbe opportuno portare avanti, invece che Quota 100, un provvedimento di defiscalizzazione o decontribuzione così che le imprese siano incentivate ad assumere.
Quando si parla di rigidità del mercato del lavoro si intende la difficoltà per il datore di lavoro nel licenziare il lavoratore di cui non si è soddisfatti.
Naturalmente a fronte di maggiore flessibilità, dovrebbero nascere degli ammortizzatori sociali che tutelino il lavoratore e non il posto di lavoro. Altrimenti si rischia, come per la cassa integrazione, di congelare il lavoratore e renderlo inabile a trovare un altro lavoro.
Opzione donna: non basta un’azione isolata per costruire un wealfare a misura di donna
In passato era stato approvato anche un provvedimento – chiamato “Opzione donna” – per i prepensionamenti delle donne, ma anche in questo caso, invece di incentivare la partecipazione al mercato del lavoro, si sono spinte le donne a smettere di lavorare anticipatamente.
Peraltro, mentre per Quota 100 la penalizzazione per chi decideva di avvalersi della facoltà di pensionamento era ridotta (di base si utilizzava il favorevole metodo retributivo), per le donne si scelte di penalizzarle di più, ossia di utilizzare come metodo di calcolo il sistema contributivo.
Siccome sono ben poche le donne che lavorano (circa una su due), specialmente nel Sud Italia, il provvedimento non aveva alcuna logica. Come ha sottolineato più volte la sociologa Chiara Saraceno, deve essere costruito un welfare sociale a misura di donna.
Ossia vanno costruiti asili nido e forniti adeguati servizi per l’infanzia, come in Francia dove esiste il quoziente familiare, per cui più figli si hanno, meno imposte si pagano. Inoltre le famiglie numerose possono beneficiare di bonus baby sitter. In questo modo si favorisce la natalità e si rende più sostenibile il sistema previdenziale.
Sistema retributivo e metodo contributivo: che differenza c’è
Una chiosa. Il nostro sistema pensionistico è a ripartizione: ciò che entra oggi come contributi dei lavoratori, va a finanziare chi è in pensione. Visto che i pensionati sono sempre di più e le nascite rallentano, il sistema è pronto per l’autodistruzione.
La riforma pensata da Elsa Fornero – la persona più esperta in Italia, già allieva di Onorato Castellino, autorità in materia – ha fortunatamente mitigato i benefici dei lavoratori “a retributivo”, la cui pensione è calcolata sulla base dello stipendio degli ultimi cinque anni. È stato quindi introdotto per tutti il metodo contributivo, che prevede una pensione commisurata ai contributi versati nel corso dell’intera vita lavorativa.