Osservatore Romano

Il vescovo giudice nella riforma di Papa Francesco

 Atto accademico di inizio attività 2015-2016 dello Studio rotale ·

04 novembre 2015

La rifondazione del processo matrimoniale voluta da Papa Francesco è stata «una risposta di giustizia e di misericordia fra i due sinodi». Questo il punto centrale del saluto con cui nel pomeriggio del 4 novembre il decano della Rota romana Pio Vito Pinto introduce nella sala Riaria del Palazzo della Cancelleria l’atto accademico di inizio attività 2015-2016 dello Studio rotale. La cerimonia è stata presieduta dall’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, che ha tenuto la prolusione che pubblichiamo qui di seguito.

Antonello da Messina  «Sant’Agostino» (1472-1473)

1. E’ a tutti noto che nessuno dei Pontefici nei trascorsi dieci lustri ha deciso di convocare due Sinodi in due anni; tale periodo comprende le due consultazioni previe ordinate dalla Segreteria Generale e che hanno coinvolto innanzitutto le Conferenze Episcopali di tutta la Chiesa e per mezzo di queste le istituzioni cattoliche, parrocchie, università, comunità di vita consacrata, ecc..

Un impegno che si può definire immane e seguito spesso personalmente dal Santo Padre.

Queste parole di introduzione richiamano quella connotazione del cammino ecclesiale tanto cara a Papa Francesco: una Chiesa tutta sinodale.1

Direi di più: Papa Francesco, da subito, cioè poco dopo essere stato chiamato dallo Spirito del Signore alla guida della Chiesa, intese dare al Suo Pontificato una missione essenziale: porre in essere e promuovere — nel contesto giuridico della Rota Romana si potrebbe dire in facto esse – la collegialità episcopale.

Non che gli immediati predecessori — San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI — abbiano mancato di rifarsi allo Spirito ecclesiale della collegialità; ma il Santo Padre Francesco ha inteso indicarne la priorità non solo come necessità di ordine ecclesiologico, ma come fattuale, concreto programma del Suo ministero Petrino.

– In realtà, a ben leggere questo kairós, dato da Dio al mondo e alla Chiesa, ritengo giusto notare come Papa Francesco, successivamente alla Sua avvenuta elezione, ha con chiarezza indicato che cosa avrebbe marcato il Suo Pontificato: primo, dare al Concilio Vaticano II il pieno accoglimento delle decisioni determinanti, col porre il necessario rapporto tra Pietro e i Vescovi Capi delle Chiese, come prima centralità; e secondo, conferire chiara e concreta visibilità al ruolo del laici, sia i coniugi cristiani che vivono la bellezza del matrimonio cristiano nella sua interezza, sia i fedeli

infelici o per il loro fallimento coniugale o per la loro impossibilità ad avere il necessario per una vita minimamente decente. Il mondo intero, come possono tutti attestare, è attratto dalla sollecitudine apostolica di Francesco per gli ultimi, per i poveri.

3. – Mi sia concesso di sottolineare — sul tema della collegialità — il riferimento continuo di Papa Francesco al Pontificato di Paolo VI come Papa del Concilio, da Lui elevato agli onori degli altari.

Il mio discorso, in questa sede, sul tema della centralità del Vescovo come capo della Chiesa locale e nella sua funzione specifica di Padre- Giudice, riceve particolare luce dallo straordinario legame tra il pontificato di Francesco e quello del Beato Paolo VI, in ordine, più precisamente, alla comprensione del pieno ed effettivo esercizio della potestà del Vescovo diocesano (entrambi, Paolo VI e Francesco, furono Vescovi di grandi metropoli per un buon lasso di tempo, e dunque esperti di tale potestà episcopale).

In ambedue i Pontefici, benché in epoche così lontane fra loro, ricorre la medesima lettura del sempre più imperante secolarismo e, nel contempo, l’animo accogliente e misericordioso del Padre che invita ad aprire le porte della Chiesa, a includere e non ad escludere, perché anche i fedeli feriti o lontani si sentano membri di diritto del Popolo di Dio, come il Santo Padre ha ripetuto nella Sua omelia, tenuta in San Pietro nella domenica dello scorso 25 ottobre, in occasione della celebrazione di chiusura del Sinodo2.

Suonano attualissime le parole del Beato Paolo VI che affermava:

«Non dobbiamo pensare che il Concilio abbia autorizzato un’ambigua e accomodante interpretazione del Vangelo, un cristianesimo facile, senza dogmi, senza autorità e senza virtuosi sacrifici» 3;

ovvero, quando, con parole cariche di grave mestizia per le chiusure e le diffidenze che accompagnarono i Suoi ultimi anni di vita, metteva in guardia dalle facili aspettative sul Concilio:

«Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza. Predichiamo l’ecumenismo e ci distacchiamo sempre di più dagli altri. Cerchiamo di scavare abissi invece di colmarli»4.

Francesco, allo stesso modo, nell’omelia della Santa Messa per l’apertura della XIV Assemblea Generale del Sinodo, parla della Chiesa «chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri», eche «si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia; di essere “ospedale da campo”, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di uscire dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente della salvezza»5.

4. – Tra i criteri fondamentali che hanno guidato l’opera di riforma del processo canonico, auspicata dalla maggioranza dei Vescovi, i quali hanno sollecitato – nelle recenti Assemblee sinodali – processi più rapidi ed accessibili, emerge con forza la figura ed il ruolo che assume il Vescovo diocesano, come stabilito da Papa Francesco con i due Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus Mitis et misericors lesus, che hanno riformatoil processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio sia nella Chiesa Latina che nelle Chiese Orientali.

Il Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus al numero terzo del Proemio afferma:

«Affinché sia finalmente tradotto in pratica l’insegnamento del Concilio Vaticano II in un ambito di grande importanza, si è stabilito di rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati. Si auspica pertanto che nelle grandi come nelle piccole diocesi lo stesso Vescovo offra un segno della conversione delle strutture ecclesiastiche, e non lasci completamente delegata agli uffici della curia la funzione giudiziaria in materia matrimoniale. Ciò valga specialmente nel processo più breve, che viene stabilito per risolvere i casi di nullità più evidente»6

Un ritorno alla funzione personale del Vescovo diocesano nel processo per la dichiarazione di nullità del matrimonio è la risposta emersa dai Vescovi nel Sinodo Straordinario sulla Famiglia, i quali hanno sottolineato laresponsabilità

del Vescovo Diocesano in tali processi, ma, come lo stesso Pontefice nel primo capoverso dei due Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus Mitis et misericors Iesus evidenzia, ciò risponde principalmente alla natura ed ai compiti affidati dallo stesso Signore Gesù alla Chiesa ed ai suoi Pastori.

Bisogna, allora, evidenziare un dato parimenti essenziale: il proposito di Francesco di chiedere la conversione di tutti, innanzitutto dei Vescovi, a porsi in stato di effettivo servizio permanente. Egli chiede con forza, che ogni Vescovo torni personalmente ad esercitare o dare almeno il segno ai suoi fedeli di questa sua personale potestà.

Trovo indispensabile evidenziare come l’invito del Papa abbia fondamento costante in tutta la grande Traditio Ecclesiae.

Excursus storico sull’esercizio personale del Vescovo Giudice

5. – In effetti il potere-dovere di giudicare affonda le sue radici nella pratica cristiana antica (1 Cor 6,1-6; cfr. Matt. 18,15-18) per cui le dispute tra singoli venivano risolte all’interno della comunità al fine di evitare lo scandalo di liti di fronte a giudici secolari.

E, via via che le chiese locali accrescevano il ruolo centrale di un vescovo nel governare la comunità, la responsabilità pastorale del vescovo nel dirimere le dispute assunse maggiore e più universale significato all’interno della Chiesa7 ed anche nelle questioni civili8.

Gli Imperatori garantivano alla comunità cristiana i servizi del tribunale episcopale in modo assai simile a quello in cui era consentito agli ebrei di risolvere dispute civili davanti ai propri leaders religiosi9.

Nel 318 l’imperatore Costantino emise due costituzioni10 garantendo statuto legale al tribunale episcopale (audientia episcopalis, episcopale judicium).

Addirittura alcuni editti imperiali11 furono emessi per ridurre il quasi inarrestabile flusso di contendenti davanti ai tribunali episcopali, visto che questi tribunali garantivano giudizi rapidi e non costosi ed un vasto numero di persone preferiva i tribunali episcopali ad un sistema giudiziario secolare lento, costoso e corrotto.

Lo stesso sant’Agostino fu testimone del fatto che Ambrogio si trovava sommerso dal gran numero di contese da risolvere come giudice12, una condizione che, dieci anni più tardi, avrebbe trovato un parallelo nel suo esercizio dell’episcopato.13 Le questioni legali su cui Agostino poteva giudicare riguardavano proprietà di beni, contratti, eredità14, ma anche accuse di adulterio15. Agostino era investito del potere di pronunciare sentenze compresa l’imposizione di multe e, nel caso dei cristiani, la scomunica16.

Agostino era consapevole dell’aspettativa che egli, nel suo tribunale, addivenisse a giudizi giusti ed era altresì conscio che, in qualità di vescovo, gli era consentito esercitare la mitezza evangelica (mansuetudo)nel cercare di riconciliare le parti e non esitava a sollecitare giudici e funzionari imperiali a fare lo stesso17.

E a proposito dell’affermazione del Signore “chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”, non esitava ad affermare che il giudice cristiano deve imitare la clemenza di Cristo:

«S’arrenda a questa massima la pietà dei Cristiani, dal momento che vi si arrese l’empietà dei Giudei; vi s’arrenda l’umiltà dei fedeli come s’arrese la superbia dei persecutori; si arrendano coloro che sinceramente si professano Cristiani, come si arresero gli ipocriti tentatori di Cristo. Perdona ai cattivi, tu che sei buono; quanto più sei buono, tanto più sii mite; quanto più sei elevato in potestà, tanto più sii umile per la bontà»18.

La potestas iudicialis del Vescovo resta integra lungo tutto il medioevo ma spesso viene delegata da questi al decano, all’arcidiacono o ad altri chierici inferiori.

Perciò il Concilio di Trento, voluto sia per una renovatio in pristinum che per una renovatio in melius della Chiesa — cosa che recenti studi scientifici su quel Concilio confermano ampiamente – con forza nel canone XX afferma:

«Tutte le cause che in qualsiasi modo appartengono al foro ecclesiastico [..] in prima istanza si svolgano solo dinanzi agli ordinari locali e siano assolutamente condotte a termine almeno entro un biennio dalla data dell’inizio della lite. Dopo questo tempo sia lecito alle parti, o ad una di esse, adire i giudici superiori, naturalmente competenti. Questi assumano la causa nello stato in cui si trova e cerchino di condurla a termine al più presto. [..] Si

eccettuano, tuttavia, quelle cause che, secondo le prescrizioni canoniche, devono essere trattate presso la Sede Apostolica, o quelle che per un motivo urgente e ragionevole il Sommo Pontefice romano credesse di dovere affidare o avocare alla Segnatura con uno speciale rescritto da firmarsi di propria mano da sua santità. »19.

Ed a proposito delle cause matrimoniali, il Sacro Concilio specifica:

«Le cause matrimoniali e criminali, inoltre, non siano lasciate al giudizio del decano, dell’arcidiacono o di altri chierici minori, anche se sono in visita, ma solo all’esame e alla giurisdizione del Vescovo, anche se tra il vescovo e il decano o l’arcidiacono o altri inferiori vi sia in pendenza qualche lite, in qualsiasi istanza, sulla trattazione di queste cause. E se una parte può davvero provare dinanzi a lui la sua povertà, non sia costretta a condurre avanti la causa fuori della provincia, né in seconda, né in terza istanza nella stessa causa matrimoniale, a meno che l’altra parte non sia disposta a provvedere gli alimenti e a sostenere le spese della lite»20.

Queste disposizioni sfociano nel Codex Iuris Canonici del 1917 che, a sua volta, confermò l’antichissima disciplina della Chiesa sul potere giudiziario dei Vescovi i quali nelle loro diocesi, sono i giudici naturali di qualsiasi causa sorta nel loro territorio, salva l’autorità del Sommo Pontefice anche in questo campo per tutta la Chiesa.

Il principio viene espresso con chiarezza – almeno in forma di principio – al can. 335 §1 che riconosce al solo Vescovo diocesano «ius et officium gubernandi dioecesim tum in spiritualibus tum in temporalibus cum potestate legislativa, iudiciaria, coactiva ad normam sacrorum canonum exercenda».

In applicazione di tale norma che si fonda senz’altro sul diritto divino positivo, viene stabilito nello stesso Codice al Can. 1572 § 1:

«In unaquaque dioecesi et pro omnibus causis a iure expresse non exceptis, iudex primae instantiae est loci Ordinarius, qui iudiciariam potestatem exercere potest ipse per se, vel per alios, secundum tamen canones qui sequuntur».

Il concetto di una «potestas iudiciaria» demandata ad un Tribunale interdiocesano o regionale, nella legislazione canonica era

pressoché ignorato almeno fino al 1938, anno in cui il Papa Pio XI costituì in Italia i tribunali regionali, per le cause contenziose di nullità di matrimonio.21

In effetti, già nella preparazione del Codice 1917 non era mancato qualche tentativo di introdurre dei «Tribunalia regionalia appellationis», «ut administratio iustitiae magis tuta ac facilis evaderet, itemque levaretur onus S. R. Rotae»22. Ma com’è risaputo, la Commissione incaricata di redigere il codice del 1917 non accettò le diverse proposte che chiedevano di introdurre i tribunali regionali nella legislazione universale.

6. – La dottrina, dunque, non ha mai negato la potestas iudicialis episcopalis e, nel solco di questa antica Traditio Ecclesiae, l’intero magistero dei Successori di Pietro lo ha più volte ribadito, soprattutto in occasione delle Allocuzioni alla Rota Romana.

Pio XII, nel suo discorso alla Sacra Romana Rota del 29 ottobre del 1947, parlando della potestà giudiziaria ecclesiastica ed evidenziando la profonda differenza che la diversità del fine determina fra la potestà giudiziaria ecclesiastica e quella civile, chiaramente insegna:

«Giudici nella Chiesa sono in virtù del loro ufficio e per volere divino i Vescovi, dei quali dice l’Apostolo che “sono stati costituiti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio” (At 20, 28. Ma il “reggere” include il «giudicare» come una necessaria funzione. Dunque secondo l’Apostolo lo Spirito Santo chiama i Vescovi non meno all’ufficio di giudice che al governo della Chiesa. Dallo Spirito Santo deriva perciò il carattere sacro di quell’ufficio. I fedeli della Chiesa di Dio “acquistata da lui col proprio sangue” sono coloro ai quali si riferisce l’attività giudiziaria. La legge di Cristo è fondamentalmente quella, secondo cui nella Chiesa si pronunziano le sentenze. Il principio vitale divino della Chiesa muove tutti e tutto ciò, che è in lei, verso il suo fine, quindi anche la potestà giudiziaria e il giudice: caelestia ac sempiterna bona comparare»23.

Il Beato Paolo VI, in varie sue Allocuzioni alla Rota, sulla scia del Concilio da poco concluso ha vigorosamente riconfermato la funzione giudiziaria dei Vescovi, fondata in tutta la tradizione ecclesiastica e soprattutto nell’ecclesiologia conciliare 24.

San Giovanni Paolo II, nel suo ultimo discorso alla Rota Romana del 29 gennaio 2005, quasi a testamento sulla questione che oggi qui ci interessa, rammentando l’essenziale rapporto che il processo ha con la ricerca della verità oggettiva, insegnò testualmente:

«Di ciò devono farsi carico innanzitutto i Vescovi, che sono i giudici per diritto divino delle loro comunità […] I sacri Pastori non possono pensare che l’operato dei loro tribunali sia una questione meramente “tecnica” della quale possono disinteressarsi, affidandola interamente ai loro giudici vicari (cfr CIC, cann. 391, 1419, 1423 § 1»25.

La riforma del processo matrimoniale di Papa Francesco rafforza la comunione del Vescovo Diocesano con Pietro e con i confratelli Vescovi del territorio

7. – Nel contesto storico appena ricordato si inserisce il ministero petrino di Papa Francesco che già nell’Evangelii Gaudium affermava la necessità di una

«riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, [e che] si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia»26.

La logica della prossimità secondo Papa Francesco è connessa alla«riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale» e manifesta direttamente lo spirito che anima la riforma del processo matrimoniale.

Lo stesso Pontefice, nell’udienza ai partecipanti al Corso sul rato et non consummato (5 novembre 2014), ricordò che i Vescovi nel Sinodo manifestarono profonda sollecitudine per lo snellimento delle procedure in ordine una vera e celere giustizia, vicina ai fedeli.

È proprio in questa ottica che il Motu Proprio Mitis ludex, affinché «sia finalmente tradotto in pratica l’insegnamento del Concilio Vaticano Il»,ordina

«che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati»27

Anche le Conferenze Episcopali sono chiamate a cooperare affinché il ruolo di giudice del Vescovo sia attualizzato come un diritto integro(sartum tectumque ius, afferma il testo latino del Motu proprio) nella propria Chiesa particolare.

Esse non solo non devono porre ostacoli ma dovranno stimolare e aiutare i singoli Vescovi a ripristinare la vicinanza tra il giudice e i fedeli, formando i propri tribunali ed esprimendo personalmente la propria potestà giudiziale.

Aiuteranno anche:

«salva la giusta e dignitosa retribuzione degli operatori dei tribunali, che venga assicurata la gratuità delle procedure, perché la Chiesa, mostrandosi ai fedeli madre generosa, in una materia così strettamente legata alla salvezza delle anime, manifesti l’amore gratuito di Cristo dal quale tutti siamo stati salvati»28.

8. – Giova ricordare quanto un eminente canonista, il Card. Aurelio Sabattani, per lunghi anni Uditore di Rota e poi Prefetto della Segnatura Apostolica, suggeriva nei lavori del “Coetus de processibus”, ovvero che il processo, se celebrato distante dalle parti e avulso dal territorio, perde la sua efficacia e la sua funzione: «Ex alia parte dedecet omnino quod in dioecesi, apud Episcopum – iudicem natum quoad illam portionem populi Dei – pereat vel minima administratio iustitiae»29.

A ben vedere la riforma del processo matrimoniale di Papa Francesco è un rinvio all’autentico antico magistero della Chiesa, che, oltre al perfezionamento avuto in epoche successive dalle tecniche procedurali, vedeva nel Vescovo giudice il Sacerdos iuris, maestro dell’officium caritatis et unitatis nella verità e nella giustizia: vera diaconia secondo la teologia di San Gregorio Magno, che diede al Papa il titolo singolare diservo dei servi di Dio e al Vescovo come munus proprio di pastore e giudice la sacerdotalis moderatio.

Concludo con le parole della Relatio finalis del Sinodo appena trascorso:

«Per tanti fedeli che hanno vissuto un’esperienza matrimoniale infelice, la verifica dell’invalidità del matrimonio rappresenta una via da percorrere. I recenti Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus hanno condotto ad una semplificazione delle procedure per la eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Con questi testi, il Santo Padre ha voluto anche «rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati» (MI, preambolo, III). L’attuazione di questi documenti costituisce dunque una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia»30.

Daquanto autorevolmente esposto, dal Santo Padre e dalla Relatio finalisdel Sinodo, emerge con evidenza la necessaria applicazione della legge di riforma del processo matrimoniale voluta dal Santo Padre Francesco, in vista della salus animarum.

NOTE

 

Cf. Discorso del Santo Padre Francesco, in occasione della Commemorazione del 50° Anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi, in L’Osservatore Romano del 18 ottobre 2015; ed anche: Discorso del Santo Padre Francesco a conclusione dei Lavori della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in L’Osservatore Romano del 26-27 ottobre 2015.

2 FRANCESCO, Omelia del 25 ottobre 2015, in occasione della chiusura della XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, inL’Osservatore Romano del 26-27 ottobre 2015, p. 14.

PAOLO VI, Catechesi all’Udienza Generale del 14 luglio 1971, inInsegnamenti di
Paolo VI, vol. IX, p. 623.

PAOLO VI, Omelia del 29 giugno 1972, nella Santa Messa in occasione della
solennità dei SS. Pietro e Paolo e nel IX Anniversario della Sua Incoronazione, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. X, p. 708.

FRANCESCO, Omelia del 4 ottobre 2015, in occasione della apertura della XIV
Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, in L’Osservatore Romano del 5-6 ottobre 2015, p. 7.

Lettera Apostolica in forma di «motu proprio» del Sommo Pontefice Francesco Mitis et misericors Iesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali

Cf. Didache 15.1-3; Pseudo-Clementina Epistula Clementis ad Jacobum 5; 10 = Pg 2:39, 46; Lattanzio, div. inst. 1.12; Constitutiones Apostolicae 2.45-46.

Cf. Didascalia Apostolorum 2.46-54. Cf. AGOSTINO, Conf. 6.3.3; Ambrogio, Ep. 32; De offìciis ministrorum 1.4.

Cf. CODEX THEODOSIANUM 2.1.10.

10 Cf. CODEX THEODOSIANUM, 1.27.1 «Imp. Costantinus A. Iudex pro sua sollicitudine observare debebit, ut, si ad episcopale iudicium provocetur, silentium accomodetur et, si quis ad legem Christianam negotium transferre voluerit et illud iudicium observare, audiatur, etiamsi negotium apud iudicem sit inchoatum, et pro sanctis habeatur, quidquid ab his fuerit iudicatum: ita tamem, ne usurpetur in eo, ut unus ex ligantibus pergat ad supra dictum auditorium et arbitrium suum enuntiet. ludex enim praesentis causae integre habere debet arbitrium, ut omnibus accepto latis pronuntiet»; COLLECTIO SIRMONDIANA 1.: «Sanximus namque, sicut edicti nostri forma declarat, sententias episcoporum quolibet genere latas sine aliqua aetatis discretione inviolatas semper incorruptasque servari; scilicet ut pro sanctis semper ac venerabilibus habeantur, quidquid episcoporum fuerit sententia terminatum. Sive itaque inter minores sive inter maiores ab episcopis fuerit iudicatum, apud vos, qui iudiciorum summam tenetis, et apud ceteros omnes iudices ad executionem volumus pertinere [..] Quidquid itaque de sententiis episcoporum clementia nostra censuerat… gravitatem tuam et ceteros pro utilitate omnium latum in perpetuum observare convenit».

11 Cf. editti emessi durante l’episcopato di Agostino dagli imperatori Arcadio e Onorio, prima per l’impero d’Oriente (C.I 1.4.7 [398 e.v.] e più tardi per l’impero d’Occidente (CT 1.27.2 [408]).

12AGOSTINO, Conf 6.3,3. Ambrogio, Ep. 32; De officiis ministrorum 1.4.

13ID., Epp. 48.1; 139.3; 213.5; En. Ps. 118.24.3; s. 340; Op. mon. 29.37; Vera rei. 58.

14ID., Epp. 33.5; 139.3; 8; 20; En Ps. 25.2.13; 80.2.21; 118.24.3.

15ID., En. Ps. 392.4.

16Ep. 153.21. La formula di consacrazione dei Vescovi, consolidatasi nel periodo successivo, riassume mirabilmente tra i munera del Vescovo anche quello attinente al potere di «legare e sciogliere»: « Con la forza dello Spirito del sommo sacerdozio abbia il potere di rimettere i peccati secondo il tuo mandato; disponga i ministeri della Chiesa secondo la tua volontà; sciolga ogni vincolo con l’autorità che hai dato agli Apostoli». «Legare» e «sciogliere» costituiscono la formula usata dai maestri della legge per dichiarare qualcosa proibito o permesso, e che significa inoltre il potere di dare o togliere la esclusione dalla comunità. Ha senso cioè di autorità completa, dottrinale e disciplinare, allo scopo di regolare la vita della comunità.

17 ID., En. Ps. 50; s. 13

18 Ivi, 4.11.

19Conc. Tridentinum, Sessio 24, de. ref 20: «Causae omnes ad forum ecclesiasticum  quomodolibet pertinentes etiam si beneficiales sint in prima instantia coram ordinariis locorum dumtaxat cognoscantur atque omnino saltem infra biennium a die motae litis terminentur; alioquin post id spatium liberum sit partibus vel alteri illarum iudices superiores alias tamen competentes adire qui causam in eo statu quo fuerit assumant et quam primum terminare curent. [..]Ab his excipiantur causae quae iuxta canonicas sanctiones apud Sedem Apostolicam sunt tractandae vel quas ex urgenti rationabili que causa iudicaverit summus Romanus Ponti:fa per speciale rescriptum signaturae sanctitatis suae manu propria subscribendum committere aut avocare».

20Ivi, Sessio 24, de. ref 20: «Ad haec causae matrimoniales et criminales non decani archidiaconi aut aliorum inferiorum iudicio etiam visitando sed episcopi tantum examini et iurisdictioni relinquantur etiam si in praesenti inter episcopum et decanum seu archidiaconum aut alios inferiores super causarum istarum cognitione lis aliqua in quacumque instantia pendeat; coram quo si pars vere paupertatem probaverit non cogatur extra provinciam nec in secunda nec in tertia instantia in eadem causa matrimoniali litigare nisi pars altera et alimenta et expensas litis velit subministrare».

21Anche dopo il 1938, quasi nessun autore, cultore del Diritto canonico, si diffuse nei propri trattati o commentari a spiegare la natura e l’importanza dei tribunali, che allora genericamente venivano chiamati «regionali»; al massimo qualcuno arrivò a riportare i documenti della S. Sede (cfr. F. M. CAPPELLO, Summa iuris canonici, vol. III, Romae 1948, il quale si limita a riportare i provvedimenti della S. Sede per i Tribunali regionali d’Italia, p. 326, n. 491, e nel voi. V, De Sacramentis, Marietti 1950, dove parla del processo di nullità matrimoniale, non fa alcun cenno ai Tribunali Regionali; F. X. WERNZ-P. VIDAL, De Processibus, Tomo VI, ed. altera curante F. Cappello, Roma 1949, ove non si parla affatto dei Tribunali Regionali, e nel Tomo V, Jus Matrimoniale, Roma 1946, dove si parla del processo di nullità matrimoniale, ma non si fa alcun cenno ai Tribunali Regionali; F. ROBERTI, De Processibus, vol. I, Ed. IV – Roma 1956, che un pò più degli altri parla di questo nuovo istituto nelle pp. 404-416; A. VERMEERSCH-I. CREUSEN, Epitome Juris Canonici, tomus III, Ed. VII, 1956, che non parla affatto di questo istituto; E. F. REGATILLO,Institutiones iuris canonici, vol. II, Ed VI Santader 1961, il quale illustra i compiti e le competenze solo della Rota Spagnola, pp. 265-275; mentre in Jus Sacramentarium, Santader 1964, p. 905, al n. 1459, accenna solo ai nn. IV e V del m.p. «Qua Cura»; P. MATTEO CONTE A CORONATA,Institutiones Juris Canonici, vol. III, ed. Marietti 1962 che si limita a riferire i documenti della S. Sede sia per il diritto della Chiesa latina, p. 459, n.1481 bis, sia per il diritto orientale, pp. 36-37 n. 1115 bis, n. 1130 bis, p. 57).

22 F. ROBERTI, De Processibus, vol. I, Ed. IV, Roma 1956, p. 404, nota 2; cfr. dello
stesso ROBERTI, Schema de proc. F. Can 52 § 1, not. 47 e A Can. 80.

 

23 PIO XII, Allocutio ad Praelatos Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae Rotae, 29 ottobre 1947, in AAS, 39 (1947), p. 498

24 Ad esempio il 27 gennaio del 1969 egli riafferma che «la potestà giurisdizionale si
inserisce nel quadro di quella ecclesiologia integrale, che Noi riteniamo autentica, e che, senza nulla trascurare della realtà e della profondità del suo aspetto mistico e carismatico; ne considera insieme il suo aspetto visibile e sociale, che qualifica la Chiesa una società giuridicamente perfetta, non univocamente eguale a quella civile, ma originale e singolare, perché, a causa del fine suo proprio e dei mezzi dei quali si vale per conseguirlo, si definisce soprannaturale e spirituale, trovando in se stessa, per disposizione del suo divino Fondatore, le risorse alla sua esistenza e alla sua attività (cfr. LEONE XIII, Enc. Immortale Dei, A.A.S. 18, p. 165)»; e ricorda «nella Costituzione dogmatica Lumen gentium […] dice che «i Vescovi hanno il sacro diritto, e davanti al Signore il dovere, di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare (iudicium faciendi) e di fare tutto quanto appartiene al culto e all’apostolato (n. 27)» (PAOLO VI, Allocutio ad Praelatos Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae Rotae, 27 gennaio 1969, in AAS, 61 [1969], p. 175). Lo stesso Pontefice nella solenne inaugurazione dell’attività giudiziaria del Tribunale della Sacra Romana Rota del 1971, ritornando sulla concezione della Chiesa proposta nellaLumen Gentium dal Concilio, riporta quanto la stessa Costituzione conciliare afferma: «I Vescovi hanno il sacro diritto e, davanti al Signore, il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all’apostolato I fedeli, da parte loro, devono aderire al vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo, e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano d’accordo nell’unità e crescano per la gloria di Dio (Lumen gentium, 27)» e conclude riaffermando quanto già fatto dalla Immortale Dei: «I Vescovi hanno il diritto e il dovere di esercitare il potere legislativo, giudiziario e coattivo» (PAOLO VI,Allocutio ad Praelatos Auditores et Officiales Tribunalis Sacrae Romanae Rotae, 28 gennaio 1971, in AAS, 63 (1971), p. 136).

25 GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione alla Rota Romana, 29 gennaio 2005, in AAS 97 (2005) 164-166.

26 FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 27

27 FRANCESCO, Mitis ludex Dominus Iesus, III.

28 FRANCESCO, Mitis Iudex Dominus Iesus VII: «Proximitatis inter iudicem et christWdeles restauratio secundum enim exitum non sortietur, nisi ex Conferentiis singulis Episcopis stimulus una simul cum auxilio veniat ad reformationem matrimonialis processus adimplendam. Una cum iudicis proximitate curent pro posse Episcoporum Conferentiae, salva fusta et honesta tribunalium operatorum mercede, ut processuum gratuitati caveatur et Ecclesia, generosam matrem se ostendens fidelibus, in re tam arcte animarum saluti cohaerente manifèstet Christi gratuitum amorem quo salvi omnes facti sumus».

29Relatio Excmi A. Sabattani, in Communicationes 2 (1970) 184-185.

30Relazione finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco, al termine della XIV Assemblea Generale Ordinaria (4-25 ottobre 2015), n. 82.

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Osservatore Romanoultima modifica: 2015-11-04T21:10:05+01:00da vitegabry
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