Archivi giornalieri: 26 giugno 2013

Invalidità civile

Tempi troppo lunghi per il riconoscimento dell’invalidità civile

Il cittadino italiano che fa domanda per l’invalidità si scontra con un percorso labirintico e ostile. Ci impiega circa un anno, in media, per ottenere il riconoscimento e i relativi benefici economici. Ben 365 giorni contro i 120 stabiliti dalla legge. Nel 2012 solo per essere convocati alla prima visita sono passati in media 8 mesi con un peggioramento rispetto ai 6 del 2011, mentre per ricevere il verbale ce ne sono voluti 11 rispetto ai 9 del 2011. E’ quanto emerge dal I Rapporto nazionale sull’invalidità civile e la burocrazia, presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva, che nel maggio 2011 ha lanciato la campagna ”Sono un V.i.P. – Very invalid People”.

Il labirinto, con tutti i disagi che ne conseguono, è affrontato “da persone clinicamente e psicologicamente fragili”, che non di rado lottano per la sopravvivenza: il 39% di chi si è rivolto a Cittadinanzattiva ha una patologia oncologica, si legge nel Rapporto, il 26,8% una malattia cronica e neurologica degenerativa, il 12,2% una patologia legata all’anzianità”. Quasi il 30% dei cittadini, in secondo luogo, considera inadeguata la valutazione della propria condizione clinica da parte della commissione medico-legale: o per la mancata concessione o revoca dell”assegno di accompagnamento (48,5%), o per una inadeguata percentuale di riconoscimento dell’invalidità”/handicap (42,4%), o ancora perché vien loro riconosciuta una pensione di invalidità rivedibile (9,1%).

Come conseguenza di questa ”inadeguatezza”, dalle segnalazioni dei cittadini emerge un maggiore ricorso alle vie giudiziarie, avverso i verbali di invalidità civile. Una tendenza che rappresenta una evidente disfunzione del sistema, nonché una beffa per il cittadino che deve sostenere ulteriori costi e attendere ulteriore tempo per ottenere ciò che gli spetta.

Secondo Cittadinanzattiva è quindi necessario lavorare su alcuni punti: “semplificare l’iter burocratico per richiedere l’invalidità”; rivedere le ”linee guida operative” del 2010, già bocciate dal Parlamento, con cui l’Inps rivede al ribasso i criteri di riconoscimento dell’accompagnamento; approvare il ddl 538: il diritto va legato al reddito del richiedente, non del nucleo familiare; concludere l’indagine conoscitiva avviata nel 2012 sulle procedure di accertamento delle minorazioni civili da parte dell’Inps; ripristinare la possibilità di impugnazione giudizio di primo grado.

Un altro aspetto rilevato nel rapporto è il costo per la lotta ai falsi invalidi (triplicati rispetto all’anno precedente), ma con scarsi risultati visto che su circa 2.800.000 invalidi civili sono appena 1.047 quelli accertati dalla Guardia di finanza come falsi invalidi, cioè solo lo 0,04%……

E’ aumentata quindi anche la spesa per i compensi medici convenzionati Inps che è passata da 10,7 milioni del 2010 ai 34,3 milioni del 2011. Viene sottolineato anche come a fronte dell’aumento della spesa per le visite di controllo vi è una diminuzione del numero degli stessi medici Inps all’interno delle Commissioni Asl (dal 46% del 2010 al 37,7% del 2011). La risposta a questa contraddizione va ricercata nel fatto che l’Inps ha deciso di utilizzare tali figure prevalentemente nei piani di verifica straordinaria, cioè nella lotta contro i falsi invalidi, anziché nell’attività ordinaria dell’Istituto. La scarsa presenza del medico Inps nelle commissioni mediche Asl spiega quindi il perché dei ritardi e i troppo lunghi tempi di iter di riconoscimento dell’invalidità civile.

Il governo ha però intenzione di intervenire. Maria Cecilia Guerra, vice ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, intervenendo all’iniziativa, ha assicurato di voler “ripartire con un tavolo istituzionale. Il primo passo – ha spiegato – è capire di chi sono le responsabilità di questi ritardi perché una volta localizzato il problema esiste la possibilità di superarlo. Per quanto riguarda le visite straordinarie, ad esempio, non si devono sovrapporre a quelle già previste per ridurre la spesa. Spero che in tempi brevi si possano raggiungere dei risultati”. 

Dall’osservatorio privilegiato dell’Inca, – secondo Franca Gasparri del Presidenza del patronato della Cgil – a cui si sono rivolte oltre 380.000 persone per avviare le pratiche per il riconoscimento delle prestazioni di invalidità e disabilità, possiamo affermare che  le nuove procedure, rivelatesi rigide e farraginose, anziché combattere il fenomeno dei falsi invalidi hanno contribuito a creare pesanti disagi ai veri disabili rallentando e in alcuni casi negando il loro diritto alle prestazioni assistenziali. Occorrerebbe – secondo Gasparri – cambiare la prescrizione breve, ossia la possibilità di ricorrere entro 6 mesi o mettere in grado il cittadino di accedere al contenzioso extragiudiziale per ottenere l’assegno ordinario. Così come va cambiato l’atteggiamento dell’Inps che, opponendo la legge Bossi-Fini, nega il diritto agli immigrati con soggiorni di breve durata, ma comunque riconosciuti destinatari delle prestazioni di invalidità civile, da sentenze della Corte Costituzionale emanate in ottemperanza dell’art. 14 C.E. sui diritti umani.
Così come dall’osservatorio Inca emerge come l’Inps statistichi come cause positive per l’Istituto le sentenze, cui il giudice, in genere per carenza di documentazione sanitaria, che si disperde nei diversi rivoli delle visite, sposta anche di pochi mesi, la decorrenza del diritto. Inoltre  – ha concluso Gasparri – l’attuale sistema di riconoscimento dell’invalidità e dell’handicap, che prevede diversi step decisionali, non permette di garantire una reale evidenza clinica oggettiva che dovrebbe, secondo il nostro Patronato, guidare l’operato dei sanitari dell’Istituto.

La critica del linguista Roberto Bolognesi alla didattica nelle scuole sarde

A SCUOLA PIU’ LIMBA

E MENO DISPERSIONE

 

di Francesco Casula

 

La fine dell’anno scolastico ci consegna una scuola sarda “afflitta” da una serie di primati non proprio invidiabili, peraltro certificati impietosamente – da anni oramai – dall’INVALSI. Ad iniziare dalla dispersione scolastica che, anziché calare, sale. A documentarlo, questa volta è il Rapporto Cronos 2013 secondo cui a partire dal 2007, in Sardegna la percentuale di abbandoni scolastici è cresciuta dal 21,8 al 25,1%, mentre in Italia si assesta sul 17,6%. Su questo fenomeno preoccupante interviene il professor Roberto Bolognesi, sardo di Villamassargia ma da decenni in Olanda. Attualmente è associato come ricercatore all´Università di Amsterdam e a quella di Groninga come docente di linguistica italiana. È autore del libro The Phonology of Campidanian Sardinian e di diversi articoli di fonologia e di linguistica sarda: fra l’altro è uno degli artefici e sostenitori de sa Limba sarda comuna (LSC). Argomenta Bolognesi :” Non so bene quali siano stati gli interventi, ma so con certezza che una cosa non è stata fatta: un’indagine mirata a stabilire il rapporto tra la dispersione scolastica e la lingua effettivamente usata dai giovani sardi. Una simile ricerca non esiste per la Sardegna e, a quanto mi risulta, non esiste per tutto il territorio dello stato italiano. Mi sembra altrettanto chiaro che deve esistere una discrepanza tra la lingua usata dai giovani sardi e la lingua che la scuola si aspetta da loro. Oggi il problema viene liquidato con una leggerezza che sconfina nella colpa, dicendo che tutti i giovani Sardi sono italofoni. Eppure a nessuno dei linguisti che operano in Sardegna, a nessuna delle università della Sardegna, a nessuno dei politici sardi – inclusi quelli democratici, sovranisti e indipendentisti – è venuto in mente di accertare quale sia effettivamente la situazione linguistica dei giovani Sardi e di cercare di comprendere quale sia il rapporto tra questa lingua e il fallimento scolastico. … I politici e gli intellettuali sardi continuano a rifiutarsi di prendere atto del fatto che la questione linguistica in Sardegna è tutt’altro che risolta. Evidentemente non hanno ancora superato il trauma della loro italianizzazione forzata”. Difficile non convenire. Per decenni l’impegno politico-sindacale è stato finalizzato esclusivamente alla risoluzione dei problemi strutturali (aule, laboratori, palestre) o a quello dei trasporti. O a quello del personale e degli organici. Si è invece trascurato del tutto una questione cruciale: la catastrofica situazione della didattica. E dunque dei contenuti e dei metodi di una scuola che risulta semplice e piatta succursale della scuola italiana. Nereide Rudas studia da anni il malessere psicologico dei Sardi: ancora non ha messo in conto gli effetti della repressione che la scuola italiana esercita sulla lingua materna. In Friuli  questa repressione non c’è più: sarà un caso che la dispersione scolastica in quella regione è così bassa? Di qui l’urgenza che la lingua sarda entri organicamente nei curricula scolastici, delle scuole di ogni ordine e grado: anche come strumento per iniziare a risolvere i problemi dello svantaggio culturale, e della stessa dispersione e mortalità scolastica come della precaria alfabetizzazione di gran parte della popolazione, evidente e diffusa a livello di scolarità di base ma anche superiore. Specie a livello comunicativo e lessicale. Che oggi risulta essere, in modo particolare nei giovani e negli stessi studenti, povero, banale, improprio,gergale.

 

Pubblicato su Sardegna Quotidiano del 26-6-2013