IL MOBBING TRA DIRITTO E GIURISPRUDENZA

IL MOBBING TRA DIRITTO E GIURISPRUDENZA

 

Gian Paolo Cioccia*, Stefania Cupido**, Gianluca Fiorenza***, Massimo Piccioni*

*Coordinamento Generale Medico Legale INPS

**Centro Medico Legale Polispecialistico INPS di Roma

***Istituto di Medicina Legale e delle Ass. dell’Università “La Sapienza” di Roma

  Che cos’è il Mobbing

Il termine mobbing deriva etimologicamente dal verbo inglese “to mobe” che  alla lettera significa “assalire tumultuando, affollarsi, accalcarsi” e/o dal sostantivo “mob” indicante “folla tumultuante, plebe, plebaglia, gentaglia”.

            L’etologo Konrad Lorenz  utilizzò per la prima volta tale etimo per indicare un comportamento di alcuni uccelli che in gruppo circondavano e rumorosamente assalivano un proprio simile al fine di allontanarlo dal gruppo stesso.

            Per Heinz Leymann, il primo studioso che ha usato tale termine in ambito lavorativo,   il mobbing è una  “comunicazione ostile e  non etica diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo che, a causa del mobbing, è spinto in una posizione in cui è privo di appoggio e di difesa e lì relegato per mezzo di continue attività mobbizzanti”.

Per Harald Ege, lo studioso che ha “importato” in Italia il concetto di mobbing, esso è

“una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte dei colleghi o di superiori.”

 

Siamo tutti vittime del mobbing??!!

Per poter parlare di Mobbing la   modalità  dell’aggressione  deve essere frequente,   pressoché quotidiana e deve protrarsi per un periodo di almeno sei mesi.

 

Modalità di estrinsecazione del mobbing

·         Verticale: esercitato da un superiore nei confronti di un subordinato o viceversa da un gruppo di dipendenti verso un superiore;

 

·         Orizzontale: tra pari grado;

 

·         Collettivo: attuato nei confronti di un intero gruppo di persone e rappresenta molto spesso una strategia aziendale mirata a ridurre o razionalizzare gli organici;

·         Doppio mobbing (secondo Ege) : il mobbizzato porta in famiglia tutti suoi disagi. Dapprima   i familiari comprendono le problematiche ma successivamente, con l’aggravarsi della situazione, assumono essi stessi un ruolo mobbizzante tendendo, nei casi estremi,  a isolare l’individuo anche dal nucleo familiare;

 

Fasi del mobbing

secondo Leyman:

 

Segnali premonitori:   fase breve e sfumata. Iniziano a rendersi palesi gli screzi relazionali tra la vittima e i colleghi o il superiore. Tali dinamiche si scatenano in seguito a cambiamenti apparentemente insignificanti nell’ambiente lavorativo quali una nuova  assunzione  oppure  un passaggio  di carriera. Iniziano le prime critiche e i primi  rimproveri.

Mobbing e stigmatizzazione: si appalesano tutti i comportamenti del mobbing, con incalzanti e reiterati attacchi nei confronti della vittima della quale si vuole screditarne la reputazione, impedirle ogni forma di comunicazione e di espressione isolandola socialmente dal contesto lavorativo, dequalificandola professionalmente e, attraverso continue critiche e richiami, demotivarla psicologicamente.

Ufficializzazione del caso: La vittima denuncia il caso.  La malattia assume il ruolo di causa e non di conseguenza e il mobbizzato viene additato dai suoi persecutori come soggetto psichicamente labile.

Allontanamento: In questa fase si concretizza il completo isolamento del mobbizzato. Iniziano a manifestarsi depressione e somatizzazioni. Il lavoratore non è più in grado di reagire a tale situazione progressivamente ingravescente. Tale fase termina con  le sue dimissioni o con  il licenziamento.

 

secondo Ege:

Condizione  zero che risente di:

 

·         Fattori intrinseci: fattori personali quali gelosie, ambizioni, antipatie ecc.

·         Fattori estrinseci: legati per lo più a situazioni connesse al mercato lavoro quali ad esempio la precarietà lavorativa, il continuo ringiovanimento degli organici e così via

Conflitto mirato

Inizio del mobbing

 

Primi sintomi psicosomatici

 

Errori ed abusi dell’Amministrazione del personale(il caso diventa pubblico)

Serio aggravamento della salute psicofisica della vittima (ha inizio l’isolamento dell’individuo)

Esclusione dal mondo del lavoro

 

 

Alterazioni dello stato di salute più frequentemente riscontrate nei  pazienti  “mobbizzati”
(Studio condotto dal Centro del Disadattamento Lavorativo della Clinica del Lavoro  di  Milano su 250 persone nel periodo aprile ‘98 – settembre ‘99)

Tipo di alterazione

·         Alterazioni dell’equilibrio socio-emotivo;

·         Alterazioni dell’equilibrio psico-fisiologico;

 

·         Disturbi del comportamento;

 
Manifestazioni cliniche

·         ansia, depressione, stato di preallarme, ossessioni, attacchi di panico, isolamento, anestesia reattiva, depersonalizzazione;

 

·         cefalea, vertigini, tachicardia, disturbi gastrointestinali, senso di oppressione toracica, manifestazioni dermatologiche, disturbi del sonno, disturbi della sessualità;

·         disturbi alimentari, totale passività, reazioni autoaggressive o eteroaggressive, abuso di alcool, di fumo, di farmaci;

Secondo i parametri dettati dal DSM IV:

·         un terzo dei pazienti rientrerebbe nei disturbi dell’adattamento;

·         un terzo dei pazienti rientrerebbe nel disturbo post traumatico da stress;

 

·         un terzo dei pazienti presenterebbe patologie comuni non riconducibili al mobbing;

 

Si   può   configurare,   quindi,   un   danno  psichico quale “menomazione psichica subita da un soggetto conseguentemente al fatto illecito di terzi, consistente nell’ingiusta turbativa del suo equilibrio mentale determinante una modificazione della salute psichica, con alterazione – temporanea o permanente – delle sue funzioni psichiche”  rientrante in  un particolare aspetto del danno biologico qualificabile come danno evento e quindi sempre ricorrente perché insito nel fatto illecito.

 

Il mobbing nel Diritto

La Costituzione con gli artt. 2-3-4-32-35-36-41-42 tutela la persona in tutte le sue fasi esistenziali, da quella di cittadino in quanto tale a quella di lavoratore inserito in una realtà lavorativa.

 

Molti comportamenti rientranti nelle dinamiche del mobbing trovano una precisa connotazione in numerosi articoli del codice penale.

       Ad esempio, nel caso di dimostrata intenzionalità dell’azione mobbizzante da cui derivi un evento dannoso voluto e previsto o prevedibile, si possono configurare diversi reati tra i quali:

·         abuso d’ufficioai sensi dell’art. 323 c.p.Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.

·         delitto di percosse codificato dall’art. 581 c.p. (Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente (582), è punito, a querela della persona offesa (c.p.120-126), con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire 600.000 (c.p.587 n.4). Tale disposizione non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato).

·         delitto di lesione personale volontaria ai sensi dell’art. 582 c.p. (Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni e non concorre alcuna delle circostanze aggravanti previste negli artt. 583 [lesione personale grave  e gravissima]  e 585 , ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell’ultima parte dell’art. 577, il delitto è punibile a querela della persona offesa).

·         delitto di lesione personale colposa ai sensi dell’art. 590 c.p. ( Chiunque cagiona ad altri per colpa (c.p.43) una lesione personale (c.p.582) è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a lire 600.000) . Se la lesione è grave (583 n.1) la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da lire 240.000 a 1.200.000; se è gravissima (583 n.2), della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da lire 600.000 a 2.400.000.

Tale articolo prevede in maniera esplicita un aumento delle sanzioni e della reclusione  se i fatti … sono commessi con violazione delle norme …… per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Inoltre recita che “il delitto è punibile a querela (c.p.120-126) della persona offesa” tranne per i “ fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all`igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionaleper i quali vige la procedibilità d’ufficio .

·         ingiuria (art. 594 c. p.) “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito  con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire 1 milione (c.p.341-344).

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a lire 2 milioni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate (c.p.64) qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone (c.p.596-599)”.

·         diffamazione (art. 595 c.p.) “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire 2 milioni.Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a lire 4 milioni……

·         violenza privata (art. 610 c.p.) Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni ”.

·         minaccia ai sensi dell’art. 612 c.p. “Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa (c.p.120-126), con la multa fino a lire 100.000.Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell`art. 339, la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio” .

·         molestie (art. 660 c.p.) Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l`arresto fino a sei mesi o con l`ammenda fino a lire 1 milione (c.p.659, 688)”.

 

Il codice civile in svariati articoli prevede forme di tutela per il lavoratore. Oltre all’articolo 2087 c.c. di seguito enunciato, molto importante è l’art. 2049 c.c. secondo il quale “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”. Interpretando in modo esteso la norma il datore  di  lavoro deve vigilare sul comportamento dei suoi dipendenti e mettere in atto tutti quei comportamenti atti ad impedire l’attuarsi di condotte illegittime determinanti un danno.

Il datore di lavoro ai sensi dell’art. 2219 del c. c. (“Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto………”).può licenziare per giusta causa il proprio dipendente nel quale dovesse ravvisare il ruolo di mobber.

In caso di   dequalificazione e/o demansionamento del lavoratore l’articolo 2103 del c.c., modificato dall’art. 13 dello statuto dei lavoratori legge 300/1970,  è chiaro riguardo alle mansioni del lavoratore e così recita: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

 

Decreto  Legislativo  19 settembre  1994  n.  626Attuazione delle direttive CEE (..omissis) riguardanti il miglioramento della sicurezza  e  della  salute  dei lavoratori sul luogo di lavoro“:

·   sancisce il passaggio dalla tutela dell’integrità fisica  a  quella  psico-fisica del lavoratore;

·   introduce il concetto di salute non più intesa solo come assenza di malattia ma come benessere e assenza di disagio;

·   nell’art. 3 (“Misure generali di tutela“) sono evidenti gli elementi utili a far rientrare il fenomeno mobbing tra i rischi connessi all’attività lavorativa;

·   gli artt. 4 e 17 identificano, differenziandole per competenze, le figure responsabili della sorveglianza della “salute” del lavoratore;

 

Il mobbing nella Giurisprudenza

 

La giurisprudenza sembra essere unanimamente concorde riguardo al risarcimento del danno biologico, definito come la “menomazione (temporanea o permanente) alla integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti soggettivi dinamico-relazionali, passibile di accertamento e valutazione medico-legale ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito….” (Articolato approvato dalla SIMLA al Congresso di Riccione dell’11/5/2001), dimostrato essere in rapporto causale con dinamiche riconducibili al mobbing.

 

L’onere del risarcimento spetta al datore di lavoro che è chiamato a rispondere in relazione all’inadempimento degli obblighi previsti dall’art. 2087 del c.c. (“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro).

 

           

Sentenza della Corte di Cassazione   n. 12339 del 5/11/99:

al datore di lavoro spetta l’onere del risarcimento del danno alla salute anche in presenza di concause e che le concause naturali sono da considerare irrilevanti qualora sussista una causa umana rappresentata da un comportamento umano illecito.

 

           

Sentenza del Tribunale di Torino, dep. il 16/11/99 (est. Ciocchetti – Enriquez / Ergom  Materie Plastiche): il giudice, identificando la responsabilità del datore di lavoro nell’inadempienza del già citato art. 2087 c.c., riconosce il risarcimento in via equitativa nella somma di lire dieci milioni del danno biologico ad una signora  che, a causa di maltrattamenti durati complessivamente 8 mesi ad opera di un capo turno, subiva una “autentica catastrofe emotiva” con comparsa di “sindrome ansioso   depressiva  con  frequenti  crisi di  pianto, vertigini, senso di soffocamento,   tendenza    all’isolamento….”  migliorata  dopo la risoluzione del rapporto di lavoro.

Punti importanti alla base di tale sentenza:

·         non è stato nominato il CTU;

·         l’onere della prova a carico della parte attrice;

·         il nesso di causalità tra l’insorgenza della  patologia e il disagio lavorativo è stato dimostrato basandosi su testimonianze di colleghi di lavoro (al fine di accertare le condizioni lavorative particolarmente disagevoli) e di certificati medici stilati dal medico curante e da due neurologi di parte.

 

Sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 143 dell’8 gennaio 2000

·         viene utilizzato esplicitamente il termine mobbingche indica l’aggredire la sfera psichica altrui”

·         il datore di lavoro ha l’obbligo di tutelare il benessere psico-fisico del lavoratore ai sensi dell’art. 2087 c.c.

·         il datore di lavoro  e  i suoi stretti collaboratori, devono evitare qualsiasi comportamento lesivo dell’integrità psicofisica dei dipendenti, qualunque ne siano la natura e l’oggetto: pertanto, qualora da un comportamento derivi un pregiudizio per il lavoratore, implicante la lesione del bene primario della salute o integrante quel tipo di nocumento che dalla dottrina e dalla giurisprudenza viene definito biologico, evidente è la responsabilità del datore di lavoro purché sia accertata l’esistenza di un nesso causale fra il suddetto comportamento, doloso o colposo, e il pregiudizio che ne deriva”

 

Sentenza della Corte di Cassazione n. 1307 del 5/2/2000: il datore di lavoro deve predisporre tutte le adeguate ed idonee misure generiche ed organizzative atte ad  evitare il verificarsi di eventi dannosi per il lavoratore: “La violazione di tale dovere può atteggiarsi sia mediante fatti commissivi e sia mediante atti omissivi e può estrinsecarsi sia nell’omissione di misure tassativamente previste dalla legge a tutela della sicurezza del lavoratore e sia in omissioni non tassativamente previste dalla legge, ma egualmente esigibili nella esecuzione del rapporto di lavoro secondo regole di correttezza e buona fede. Tale violazione, ove sia stata causa di danno biologico ossia di menomazione dell’integrità psico-fisica del lavoratore, può essere fatta valere dal dipendente, come si  è  rilevato, con azione contrattuale indipendentemente dal fatto che la violazione integri gli estremi del reato“.

 

 

I.N.A.I.L. e Mobbing

La  sentenza  della   Corte   Costituzionale  n. 179  del  1988 (principio confermato dal D.L. 38/2000 art. 10 comma 4) ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano il cosiddetto “sistema misto”, secondo il quale ai lavoratori dell’industria e dell’agricoltura può essere riconosciuta  dall’INAIL  come professionale  una malattia non rientrante nelle tabelle del T.U.  n. 1124 del 30/6/65

Conditio    sine    qua   non  è l’onere della prova a carico del    lavoratore circa la dimostrazione del nesso di causalità tra la patologia denunciata e l’attività lavorativa svolta.

 

D. L.  n. 38  del 23 febbraio 2000: “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144″:

·         L’art. 10, comma 4, ribadisce che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle del Testo Unico ma per le quali il lavoratore dimostri l’origine professionale;

 

·         L’art. 13 definisce il danno biologico come lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico legale” e ne  sancisce il ristoro, se conseguente a infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato;

 

Il   nuovo   sistema     indennitario    dell’invalidità   permanente prevede una  franchigia per gradi di menomazione del 6 % e si attua attraverso tre tabelle:

 

tabella delle menomazioni comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali, che sostituisce le due tabelle dell’industria e dell’agricoltura previste nel Testo Unico e basate sulla perdita dell’attitudine al lavoro;

Tabella delle menomazioni sistema nervoso e psichico

180:Disturbo post-traumatico da stress moderato, a seconda dell’efficacia della terapia = fino a 6

 

181: Disturbo   post-traumatico da stress cronico severo, a seconda dell’efficacia  della psicoterapia = fino a 15

 

 

tabella di indennizzo del danno biologico, da  applicare  in riferimento all’età dell’assicurato al momento della guarigione clinica, per l’indennizzo di menomazioni superiori al 16 % ed erogate in rendita. Le menomazioni inferiori o uguali al 16 % sono erogate in capitale;

 

 

tabella dei coefficienti che costituiscono indici di determinazione della percentuale di retribuzione da prendere in riferimento per l’indennizzo delle conseguenze patrimoniali, in relazione alla categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato e alla ricollocabilità dello stesso.

 

Il danno biologico comportante una invalidità permanente superiore al 6%, medico-legalmente accertabile, riconosciuta dipendente da mobbing e causal-mente connessa con l’attività lavorativa può rientrare nell’indennizzo INAIL.

I.N.P.S.  e Mobbing

·         Richiesta di riconoscimento da parte degli impiegati dell’Istituto di infermità e menomazioni dipendenti da causa di servizio:

Tabelle di infermità e menomazioni dipendenti da causa di servizio (D.P.R. 30/12/81 n. 834)

Tabella A-lesioni ed infermità che danno diritto a pensione vitalizia o ad  assegno temporaneo

·         IV categoria:  

12: Psico-nevrosi gravi (fobie persistenti)

·         VII categoria:

19: Nevrosi cardiaca grave e persistente

27: Isteronevrosi di media gravità

 

·         VIII categoria:

17: disturbi funzionali cardiaci persistenti (nevrosi, tachicardia, extrasistolia)

24: Sindromi nevrosiche lievi ma persistenti

 

 

·         Aumento di richieste d’intervento del medico competente;

 

 

·         Aumento dei giorni di assenza per malattia;

 

 

·         aumento dei costi previdenziali per l’estromissione anticipata dal mondo del lavoro di persone ancora produttivamente valide.

 

 

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

1) Calcagni C., Mei E.: Danno morale, danno biologico psichico: aspetti giurisprudenziali e medico legali.

Aggiornamenti di Medicina Sociale, n. 4, 153 – 161, 1998

2) Casilli A.: Stop mobbing.

DeriveApprodi, 22 – 23, 2000;

3) Ege H.: Cos’è il mobbing, quali sono i disturbi.

Relazione tenuta in occasione del convegno “Mobbing: quale ruolo del sindacato. Il contributo della CISL” tenutosi a Bologna il 16/5/2000;         

4) Ege H.: Il mobbing in Italia. Introduzione al mobbing culturale.

Pitagora Editrice, 1997;

5) Elo A.- Leppanen K. – Lindstrom T.: Occupational Stress Questionnaire.

Reviews, n. 19, 1992;

6) Gilioli R. : Il mobbing: un nuovo rischio relazionale per i lavoratori e per la loro salute.

Atti del Convegno ITA “Nuovi rischi e nuove malattie da lavoro” Milano, 13-14 ottobre 1999;

7) Grieco A. – Andreis L. – Cassitto M.G. e coll.: Il “mobbing”: alterata interazione psicosociale sul posto di lavoro. Prime valutazioni circa l’esistenza del fenomeno in una realtà lavorativa italiana.

Prevenzione Oggi, num. 2, 75-105, 1997;

 

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Per approfondire

 

La Costituzione italiana – pdf

 

Link consigliato

 

Inas- sportello mobbing

IL MOBBING TRA DIRITTO E GIURISPRUDENZAultima modifica: 2013-04-06T13:57:00+02:00da vitegabry
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