Archivi giornalieri: 30 aprile 2013

Permessi lavorativi Legge 104

La norma originaria e principale in materia di permessi lavorativi retribuiti è la Legge quadro sull’handicap (Legge 5 febbraio 1992, n. 104) che all’articolo 33 prevede agevolazioni lavorative per i familiari che assistono persone con handicap e per gli stessi lavoratori con disabilità e che consistono in tre giorni di permesso mensile o, in alcuni casi, in due ore di permesso giornaliero.

Principalmente ad occuparsi dei permessi lavorativi previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992, sono stati gli enti previdenziali (INPS e INPDAP, solo per citare i principali) emanando circolari ora applicative ora esplicative. Non sempre le indicazioni fornite dai diversi enti sono fra loro omogenee.

Le condizioni e la documentazione necessaria per accedere ai permessi lavorativi sono diverse a seconda che a richiederli siano i genitori, i familiari o gli stessi lavoratori con handicap grave. Inoltre vi sono molti aspetti applicativi che si diversificano a seconda delle situazioni.

Nel nostro sito pubblichiamo schede specifiche per ciascun aspetto, oltre alla modulistica disponibile e alle disposizioni dei singoli enti previdenziali, che di seguito riassumiamo.

I permessi per i genitori e i familiari

I permessi per i lavoratori con handicap

Retribuzione e ferie

Cecile Kyenge

Razzismo. Boldrini, vergognosi insulti alla neo ministra Cecile Kyenge

 
Cecile KyengeCecile Kyenge

 

ROMA – «È indegna di un Paese civile la serie di insulti che – soprattutto da alcuni siti in rete, ma non solo – si sta rovesciando sulla neoministra Cècile Kyenge. Come molti e molte, nel vederla giurare al Quirinale ho avvertito anche io che l’Italia stava facendo un passo avanti importante non solo per i »nuovi italiani«, ma per tutti noi, perchè capiamo finalmente quanto ricco, contemporaneo e antico al tempo stesso, sia l’incontro tra le culture.

Questo percorso può non piacere a tutti. Però non è in alcun modo tollerabile la volgarità razzista mirata contro una persona per il colore della pelle». Lo scrive la Presidente della Camera Laura Boldrini in un messaggio al neo ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge.

Boldrini prosegue: «La libertà di espressione non c’entra: in alcuni siti si pratica un sistematico incitamento all’odio razziale, che resta un reato anche se espresso via web. E molto gravi sono anche le parole usate da qualche esponente politico, che vanno ben oltre il legittimo dissenso sulle iniziative che Cècile Kyenge intende promuovere. Ritengo inaccettabile che queste bassezze possano, anche grazie alla compiacenza di una parte dell’informazione, entrare nel circuito della discussione politica senza suscitare l’esecrazione che meritano. Ci tengo peraltro a ricordare che la riforma della legge sulla cittadinanza è cara non solo alla neoministra. Con molti di noi, da tempo e in prima fila, la sollecita il Presidente della Repubblica Napolitano. Buon lavoro, Cècile».

Notizie

Servizi Online

Lavorare in Germania

Lavorare in Germania

Cultura d’impresa, stipendi e norme di lavoro

Molti stranieri hanno bisogno di qualche tempo per adattarsi al modo di lavorare tedesco. La gente non lavora molte ore; in molti uffici, soprattutto nel settore pubblico, la giornata finisce alle 16.Lavorare in Germania

Tuttavia, si dà molta importanza all’efficenza, si cerca di essere il più produttivi possibile e c’è poco tempo, o quasi nullo, per socializzare o parlare ad eccezione delle ore di pausa che sono di solito di 15 minuti con 45 minuti per mangiare.

La cultura d’impresa in Germania è generalmente abbastanza gerarchica. Ai tedeschi piace lavorare basandosi su piani prestabiliti e prendono decisioni basate su fatti. Le riunioni, organizzate e ben pianificate, rappresentano il passo per prendere decisioni con il consenso generale di gruppo. Ci si aspetta la puntualità e non vengono tollerati i ritardi. Quindi fa attenzione, specialmente se vieni da un paese in cui il ritardo è molto diffuso!

Stipendi

Gli stipendi ( Lohn/Gehalt) in Germania sono tra i più alti del mondo. La maggior parte dei lavori per i laureati pagano 30.000€ /anno. I lavori per gli studenti in cui non è richiesta una laurea vengono pagati 10/15 € /ora. Di solito, quando si parla di stipendi, si parla di stipendio lordo cioè prima della deduzione delle tasse e della previdenza sociale. Tieni presente che le tasse, a seconda del tuo stipendio, possono arrivare ad essere il 50% del tuo stipendio lordo. Quindi cerca di non confondere gli stipendi lordi e netti!

Lo stipendio nel tuo contratto è mensile. Nel contratto dovrebbero essere indicati anche remunerazioni speciali, bonus e revisioni dello stipendio. Molte imprese hanno 13 paghe l’anno. Di solito si riceve lo stipendio a dicembre per Natale o viene diviso tra Natale e l’estate. Per alcuni lavori di dirigenza ci sono 14 paghe l’anno.

È difficile sapere a quanto ammonta lo stipendio per lavori o posti specifici anche se ti risulterebbe più facile saperlo per contrattare il tuo stipendio. Personalmarket ( www.personalmarket.de ) ti offre, previo pagamento, un’analisi dello stipendio basandosi sul settore, educazione, esperienza professionale e zona geografica. Questo può essere di gran aiuto quando dovrai negoziare il tuo stipendio.

Legge di lavoro

Per lavorare hai bisogno di un permesso di lavoro (Arbeitsgenehmigung o Arbeitserlaubnis) o di un permesso di residenza che ti permetta di lavorare (consulta la nostra sezione sui permessi di lavoro). Hai anche bisogno di una tessera fiscale (Lohnsteuerkarte) e di un numero della previdenza sociale (Sozialversicherungsnummer). Le tessere fiscali vengono emesse dall’autorità che corrisponde alla città/regione in cui sei registrato. I numeri della Previdenza Sociale sono emessi dalle istituzioni delle assicurazioni pensionistiche.

Quando un lavoratore lavora per la prima volta, l’impresa di solito lo registra ed emette un numero di previdenza sociale e una carta d’identità. Nel caso tu avessi domande o richieste, dovresti dirigerti direttamente alla tua impresa, alla tua compagnia di assicurazioni sanitarie o la tua istituzione di assicurazioni statale.

Normativa lavorativa

La Germania ha uno dei mercati lavorativi più regolati del mondo, con le sue leggi sul lavoro disegnate per proteggere i lavoratori. Che ci sia o meno un contratto di lavoro, i lavoratori hanno diritti di base:

● vacanze

● stipendio per malattia

● poter scegliere di lavorare a tempo parziale

● ricevere una formazione

● ferie per maternità/paternità e relativa protezione professionale

I periodi di preavviso seguono delle regole ma le compagnie possono concordare periodi di preavviso più lunghi nel caso di lavori collettivi o individuali. Le condizioni di lavoro al di sotto dello standard minimo legale stabilito non sono permesse e non sono legalmente vincolanti.

Accordi di lavoro collettivo

C’è anche una legge per il lavoro collettivo che nasce dalle leggi che proteggono gli accordi lavorativi collettivi e i diritti dei lavoratori sul posto di lavoro (Betriebsverfassungsrecht). Le leggi che governano gli accordi collettivi permettono ad entrambe le parti (sindacati e federazioni patronali o impresari individuali) di creare i loro propri accordi lavorativi. Gli accordi lavorativi regolano gli stipendi, ore lavorative, ferie e periodi di preavviso. La maggior parte degli impiegati lavorano con un accordo lavorativo anche se negli ultimi anni sempre più imprese sono state esentate dal negoziare accordi propri.

I diritti del lavoratore

Il Betriebsverfassungsrecht regola la relazione tra lavoratore ed impresa sul posto di lavoro. Gli impiegati sono rappresentati dal Consiglio di Lavoro (Betriebsrat) i cui membri vengono scelti dai lavoratori. Tra le altre cose, è responsabile della protezione dei diritti dei lavoratori sul posto di lavoro. La direzione deve consultare il Betriebsratin relazione a questioni sul personale o l’impresa. Se hai problemi sul posto di lavoro, devi consultare il tuoBetriebsrat e chiedere consiglio o aiuto.

Nelle imprese con più di 2.000 impiegati, viene applicata la co-determinazione del 1976 o Legge della Partecipazione dei Lavoratori (Mitbestimmungsgesetz). Questa legge richiede che il consiglio supervisore dell’impresa abbia un certo numero di impiegati rappresentanti. Il principio di co-determinazione dice che i sindacati e gli impiegati hanno voce e diritto di voto nelle politiche dell’impresa, oltre che avere la responsabilità della stessa

Canne al vento di G. Deledda cap. VI°

Capitolo sesto

Nei tempi di carestia, cioè nelle settimane che precedevano la raccolta dell’orzo, e la gente, terminata la provvista del grano, ricorre all’usura, la vecchia Pottoi andava a pescare sanguisughe. Il suo posto favorito era una insenatura del fiume sotto la Collina dei Colombi presso il poderetto delle dame Pintor.

Stava là ore ed ore immobile, seduta all’ombra di un ontano, con le gambe nude nell’acqua trasparente verdognola venata d’oro; e mentre con una mano teneva ferma sulla sabbia una bottiglia, con l’altra si toccava la collana.

Di tanto in tanto si curvava un poco, vedeva i suoi piedi ondulare grandi e giallastri entro l’acqua, ne traeva uno, staccava dalla gamba bagnata un acino nero lucente che vi si era attaccato, e lo introduceva nella bottiglia spingendovelo giù con un giunco. L’acino s’allungava, si restringeva, prendeva la forma di un anello nero: era la sanguisuga.

Un giorno, verso la metà di giugno, ella salì fino alla capanna di Efix. Faceva un gran caldo e la valle era tutta gialla sotto il cielo d’un azzurro velato.

Il servo intrecciava una stuoia, all’ombra delle canne, con le dita che tremavano per la febbre di malaria; vedendo la vecchia che gli si sedeva ai piedi con la bottiglia in grembo, sollevò appena gli occhi velati e attese rassegnato, quasi sapesse già quello che ella voleva da lui.

«Efix, sei un uomo di Dio e puoi parlarmi con la coscienza in mano. Che intenzioni ha il tuo padroncino? Egli viene a casa mia, si mette a sedere, dice al ragazzo: suona la fisarmonica (gliel’ha regalata lui), poi dice a me: manderò zia Ester, a chiedervi la mano di Grixenda; ma donna Ester non si vede, e un giorno che io sono andata là, donna Noemi mi ha preso viva, e morta m’ha lasciata, tanti improperi mi ha detto. Tornata poi a casa, Grixenda m’ha anche lei mancato di rispetto, perché non vuole che vada dalle tue padrone. Io non so da qual parte rivolgermi, Efix; non siamo noi che abbiamo chiamato il ragazzo dalla strada: è venuto lui. Kallina mi dice: cacciatelo fuori. Ma lei lo caccia fuori, quando ci va?»

Efix sorrise.

«Là non va certo per far all’amore!…»

Allora la vecchia sollevò irritata il viso e il suo collo parve allungarsi più del solito, tutto corde.

«E in casa mia viene forse a far all’amore? No; egli è un ragazzo onesto. Neppure tocca la mano a Grixenda. Essi si amano come buoni cristiani, in attesa di sposarsi. Dimmi in tua coscienza, Efix, che intenzioni ha? Fammi questa carità, per l’anima del tuo padrone.»

Efix diventò pensieroso.

«Sì, una sera, alla festa, egli mi disse: la sposerò… In mia coscienza credo però che egli non possa.»

«Perché? Egli non è nobile.»

«Non può, ripeto, donna!», disse Efix con più forza.

«Per denari ne ha, questo si vede. Spende senza contare. E il tuo padrone morto diceva, mi ricordo, quando anche lui veniva a sedersi a casa mia ed era giovane e viveva mia nonna: l’amore è quello che lega l’uomo alla donna, e il denaro quello che lega la donna all’uomo.»

«Lui? Diceva così? A chi?»

«A me, sei sordo? Sì a me. Ma io avevo quindici anni ed ero senza malizia. Mia nonna cacciò via di casa don Zame e mi fece sposare Priamu Piras. E Priamu mio era un valent’uomo: aveva un pungolo con una lesina in cima e mi diceva, avvicinandomelo agli occhi: vedi? ti porto via la pupilla viva se guardi don Zame quando ti guarda. Così passò il tempo. Ma i morti ritornano: eccoli, quando don Giacintino sta seduto sullo sgabello e Grixenda sulla soglia della porta, mi par di essere io e il beato morto…»

Quando ella incominciava a divagare così non la finiva mai, ed Efix che lo sapeva la mandò via infastidito.

«Andate in pace! Cercate anche voi un uomo con un buon pungolo, per nipote vostra!»

E la vecchia contenta di sapere che il ragazzo una sera alla festa aveva detto: «la sposerò» andò via senz’altro. Efix rimase solo in faccia alla luna rossa che saliva tra i vapori cinerei della sera, ma si sentiva inquieto: nel sopore in cui tutta la valle era immersa, il mormorio dell’acqua gli pareva il ronzio della febbre, e che i grilli stessi col loro canto si lamentassero senza tregua.

No, la vita che Giacinto conduceva non era quella di un giovane onesto e timorato di Dio: giorno per giorno le grandi speranze fondate su lui cadevano lasciando posto a vere inquietudini. Egli spendeva e non guadagnava; ed anche il pozzo più profondo, pensava Efix, ad attingervi troppo si secca.

Qualche sera Giacinto scendeva al poderetto per portare in paese le frutta e gli ortaggi che le zie poi vendevano a casa di nascosto come roba rubata, poiché non è da donne nobili far le erbivendole, e tutto questo era quanto di più utile egli faceva: il resto del tempo lo passava oziando di qua e di là per il paese. Ma eccolo che vien su per il sentiero trascinandosi a fianco come un cane la bicicletta polverosa: arriva ansante quasi venga dall’altro capo del mondo e dopo aver gettato da lontano un involto al servo si butta per terra lungo disteso come morto.

E di un morto aveva il viso pallido, le labbra grigie; ma un tremito gli agitava la spalla sinistra, tanto che Efix spaventato trasse di tasca un tubetto di vetro, fece cadere sulla palma della mano due pastiglie di chinino e gliele mise in bocca.

«Mandale giù. Hai la febbre!»

Giacinto ingoiò le pastiglie e senza sollevarsi si strinse la testa fra le mani.

«Come sono stanco, Efix! Sì, ho la febbre: l’ho presa, sì! Come si fa a non prenderla, in questo maledetto paese? Che paese!», aggiunse come parlando fra sé, stanco. «Si muore: si muore…»

«Alzati», disse Efix, curvo su lui. «Non star lì: l’aria della sera fa male.»

«Lasciami crepare, Efix! Lasciami! Che caldo! Non ho mai conosciuto un caldo simile: almeno da noi si facevano i bagni…»

Che dirgli, per confortarlo? «Perché non sei rimasto ?» Efix sentiva troppa pietà di tanta miseria prostrata davanti a lui, per parlare così.

«Che hai fatto oggi?», domandò sottovoce.

«E cosa vuoi che faccia? Non ce niente da fare! Scender qui a portarti il pane, tornar là a portare l’erba! E loro che vivono come tre mummie! Zia Noemi oggi però s’e inquietata un poco, perché zia Ester mi diceva che non riesce a metter su i denari per l’imposta. Si capisce! Spendono per me, e da me non vogliono niente! Io dissi a zia Ester: non preoccupatevi, andrò io dall’esattore. – Una furia, zia Noemi! Aveva gli occhi come un gatto arrabbiato. Non la credevo così collerica. Ebbene, mi disse persino: coi tuoi denari, se ne hai, compra un’altra fisarmonica a Grixenda. Che male c’è, Efix, s’io vado da quella ragazza? Dove si va, se no? Zio Pietro mi porta alla bettola, e a me non piace il vino, lo sai; il Milese vuole che io giochi (così s’è fatto la fortuna, lui!) ed a me non piace giocare. Vado là, dalla ragazza, perché è buona, e la vecchia dice cose divertenti. Che male c’è, dimmi. Dimmi?»

Lo guardava di sotto in su, supplichevole, con gli occhi dolci lucidi alla luna. Efix aveva preso l’involto del pane, ma non poteva mangiare; sentiva la gola stretta da un’angoscia profonda.

«Nessun male! Ma la ragazza, benché buona, è povera e non è degna di te.»

«L’amore non conosce né povertà né nobiltà. Quanti signori non han sposato ragazze povere? Che ne sai tu? Più di un lord inglese, più di un milionario d’America han sposato serve, maestre, cantanti… perché? Perché amavano. E quelli son ricchi: sono i re del petrolio, del rame, delle conserve! Chi sono io, al loro confronto? E le donne? Le principesse russe, le americane, chi sposano? Non s’innamorano di poveri artisti e persino dei loro cocchieri e dei loro servi? Ma tu che cosa puoi sapere?»

Efix stringeva fra le mani un pezzo di pane e gli sembrava di stringere il suo cuore tormentato dai ricordi.

«Eppoi dicono di credere in Dio, loro! Perché non mi lasciano sposare la donna che amo?»

«Taci, Giacinto! Non parlare così di loro! Esse vogliono il tuo bene.»

«Allora mi lascino formare la mia famiglia. Io, magari, porterò Grixenda in casa loro ed essa le aiuterà. Ormai esse sono vecchie. Io lavorerò. Andrò a Nuoro, comprerò formaggio, bestiame, lana, vino, persino legna, sì: perché adesso, con la guerra, tutto ha valore. Andrò a Roma e offrirò la merce al Ministero della Guerra. Sai quanto c’è da guadagnare?»

«Ma! E i capitali?»

«Non ci pensare, li ho. Basta mi lascino in pace, loro. Io non sono venuto per sfruttarle né per vivere alle loro spalle. Ah, ma zia Noemi è terribile!», egli gemette a un tratto, nascondendosi il viso fra le mani. «Ah, Efix, sono così amareggiato! Eppoi mi fa tanta vergogna vederle così misere; vederle vender di nascosto le patate, le pere e i pomi ai bambini che entrano piano piano nel cortile, col soldo nel pugno, e domandando la roba sottovoce quasi si tratti di cosa rubata! Mi vergogno, sì! Questo deve cessare. Esse torneranno quelle che erano, se mi lasceranno fare. Se zia Noemi sapesse il bene che le voglio non farebbe così…»

«Giacinto! Dammi la mano: sei bravo!», disse Efix commosso.

Tacquero, poi Giacinto riprese a parlare con una voce tenue, dolce, che vibrava nel silenzio lunare come una voce infantile.

«Efix, tu sei buono. Ti voglio raccontare una cosa accaduta ad un mio amico. Era impiegato con me alla Dogana. Un giorno un ricco capitano di porto in ritiro, un buon signore grosso ma ingenuo come un bambino, venne per fare un pagamento. Il mio amico disse: Lasci i denari e torni più tardi per la ricevuta che dev’essere firmata dal superiore. Il capitano lasciò i denari; il mio amico li prese, andò fuori, li giocò e li perdette. E quando il capitano tornò, il mio amico disse che non aveva ricevuto nulla! Quello protestò, andò dai superiori; ma non aveva la ricevuta e tutti gli risero in faccia. Eppure il mio amico fu cacciato via dal posto… sì, saranno quattro mesi… sì, ricordo, in carnevale. Egli andò a ballare. Si stordiva, beveva: non aveva più un soldo. Uscendo dal ballo prese una polmonite e cadde su una panchina di un viale. Lo portarono all’ospedale. Quando uscì, debole e sfinito, non aveva casa, non aveva pane. Dormiva sotto gli archi del porto, tossiva e faceva brutti sogni: sognava sempre il capitano che lo inseguiva, lo inseguiva… come nelle scene del cinematografo. Ed ecco una sera, ecco proprio il capitano che va a cercarlo sotto gli archi del porto. L’amico credeva di sognare ancora; ma l’altro gli disse: sa, è da un pezzetto che la cerco. So che è fuori di posto per via del versamento, ma a me preme che i suoi superiori e tutti sappiano la verità. È meglio anche per lei: dica in sua coscienza: li ho versati o no, i denari? – L’amico rispose: sì. – Allora il capitano disse: – Cerchiamo di aggiustare le cose. Io non voglio rovinarla: venga a casa mia, ecco il mio indirizzo: venga domani e assieme andremo dai suoi superiori. – Va bene! Ma l’indomani né poi l’amico andò. Aveva paura. Aveva paura. Eppoi il tempo era orribile ed egli non si muoveva di là. Tossiva e un facchino gli portava di tanto in tanto un po’ di latte caldo. Che tempo era? Che tempo!», ripeté Giacinto, e sollevò il viso guardandosi attorno quasi per accertarsi che la notte era bella.

Efix ascoltava, col gomito sul ginocchio e il viso sulla mano, come i bambini intenti alle fiabe.

«Ma un giorno mi decisi e andai…»

Silenzio. Il viso dei due uomini si coprì d’ombra ed entrambi abbassarono gli occhi. La spalla di Giacinto tremava convulsa; ma egli la sollevò e la scosse come per liberarsi dal tremito, e riprese con voce più dura

«Sì, ero io, tu avevi capito. Andai dal capitano. Non era in casa, ma la cameriera, una ragazza pallida che parlava sottovoce, mi fece aspettare in anticamera. La stanza era quasi buia, ma ricordo che quando un uscio s’apriva il pavimento rosso luccicava come lavato col sangue. Aspettai ore ed ore. Finalmente il capitano tornò; era con la moglie, grossa come lui, bonaria come lui. Sembravano due bambini enormi; ridevano rumorosamente. La signora aprì gli usci per vedermi bene: io tossivo e sbadigliavo. Si accorsero che avevo fame e m’invitarono ad entrare nella sala da pranzo. Io, ricordo, mi alzai, ma ricaddi seduto battendo la testa alla spalliera della cassapanca. Non ricordo altro. Quando rinvenni ero a letto, in casa loro. La cameriera mi portava una tazza di brodo su un vassoio d’argento e mi parlava con grande rispetto. Rimasi là più di un mese, Efix, capisci: quaranta giorni. Mi curarono, cercarono di rimettermi a posto; ma il posto era difficile trovarlo perché tutti ormai sapevano la mia storia. D’altronde anch’io volevo andarmene lontano, al di là del mare. Ciò che io ho sofferto durante quel tempo nessuno può saperlo: il capitano, sua moglie, la serva io li vedo sempre in sogno; li vedo anche nella realtà, anche adesso, lì, davanti a me. Essi erano buoni, ma io vorrei sprofondarmi per non vederli più. E il peggio è che non potevo andarmene da casa loro. Stavo lì, istupidito, seduto immobile ad ascoltare la signora che parlava parlava parlava, o in compagnia della serva che taceva: sedevo a tavola con loro, li sentivo scherzare, far progetti per me, come fossi un loro figliuolo, e tutto mi dava pena, mi umiliava, eppure non potevo andarmene. Finalmente un giorno la signora, vedendomi completamente guarito, mi domandò che intenzioni avevo. Io dissi che volevo venire qui dalle mie zie, di cui avevo parlato come di persone benestanti. Allora mi comprarono il biglietto per il viaggio e mi regalarono anche la bicicletta. Io capii ch’era tempo d’andarmene e partii: venni qui. Che liberazione, in principio! Ma adesso, in casa delle zie, sono ancora come là… e non so…».

Un grido che aveva qualche cosa di beffardo attraversò il silenzio del ciglione, sopra i due uomini, e Giacinto balzò sorpreso credendo che qualcuno avesse ascoltato il suo racconto e lo irridesse: ma vide una piccola forma grigia lunga, seguita da un’altra più scura e più corta, balzare come volando da una macchia all’altra intorno alla capanna e sparire senza neppur lasciargli tempo di raccattare un sasso per colpirla.

Anche Efix s’era alzato.

«Son le volpi», disse sottovoce. «Lasciale correre: fanno all’amore. Sembrano folletti, alle volte» riprese mentre Giacinto si buttava di nuovo per terra silenzioso. «Hai veduto com’eran lunghe? Mangiano l’uva acerba come diavoli…»

Ma Giacinto non parlava più. Ed Efix non sapeva cosa dire, se pregarlo di riprendere il racconto, se confortarlo, se commentare in bene o in male quanto aveva sentito. Ecco perché era stato triste, tutto il giorno, ecco come vanno le cose della vita! Ma che dire? In fondo era contento che il passaggio delle volpi avesse fatto tacere Giacinto; tuttavia qualche cosa bisognava pur dire.

«Dunque… quel capitano? Si vede che era uomo savio: capiva che la gioventù… la gioventù… è soggetta all’errore… Eppoi quando si è orfani! Su, alzati; vuoi mangiare?»

Entrò nella capanna e tornò sbucciando una cipolla: Giacinto stava immobile, abbattuto, forse pentito della sua confessione, ed egli non osò più parlare.

L’odore della cipolla si mischiava al profumo delle erbe intorno, della vite e della salsapariglia; le volpi ripassarono. Efix cenò ma il pane gli parve amaro. E due o tre volte tentò di dire qualche cosa; ma non poteva, non poteva; gli sembrava un sogno. Finalmente scosse Giacinto, tentò di sollevarlo, gli disse con dolcezza:

«Su, vieni dentro! La febbre è in giro…».

Ma il corpo del giovine sembrava di bronzo, steso grave aderente alla terra dalla quale pareva non volesse più staccarsi.

Efix rientrò nella capanna, ma tardò a chiudere gli occhi, e anche nel sonno aveva l’idea tormentosa di dover commentare il racconto di Giacinto, non sapeva però come, se in bene o in male.

«Devo dirgli: ebbene, coraggio, ti emenderai! Dopo tutto eri un ragazzo, un orfano…»

Ma sognò Noemi che lo guardava coi suoi occhi cattivi, e gli diceva sottovoce, a denti stretti:

«Lo vedi? Lo vedi che razza di uomo è?».

Si svegliò con un peso sul cuore; benché fosse notte ancora si alzò, ma Giacinto se n’era già andato.

Per molti giorni non si lasciò più vedere, tanto che Efix cominciò a inquietarsi, anche perché gli ortaggi e i pomi si ammucchiavano all’ombra della capanna e nessuno veniva a prenderli.

Ogni sera don Predu, che possedeva grandi poderi verso il mare, passava di ritorno al paese, e se vedeva il servo tendeva l’indice verso la terra delle sue cugine e poi si toccava il petto per significare che aspettava l’espropriazione e il possesso del poderetto; ma Efix, abituato a quella mimica, salutava, e a sua volta accennava di no, di no, con la mano e con la testa.

Dopo la confessione di Giacinto s’inquietava però vedendo don Predu; gli sembrava più beffardo del solito.

Una sera aspettò accanto alla siepe, e gli chiese:

«Don Predu, mi dica, ha veduto il mio padroncino? L’altra sera venne qui che aveva la febbre e adesso sto in pensiero per lui».

Don Predu rise, dall’alto del cavallo, col suo riso forzato a bocca chiusa, a guance gonfie.

«Ieri sera l’ho veduto a giocare dal Milese. E perdeva, anche!»

«Perdeva!», ripeté Efix smarrito.

«Come lo dici! Vuoi che vinca sempre?»

«A me disse che non giocava mai…»

«E tu lo credi? Non dice una verità neanche se gli dai una fucilata. Ma non è cattivo: dice le bugie, così perché gli sembran verità, come i bambini.»

«Come un bambino davvero…»

«Un bambino che ha tutti i denti però! E come mastica! Vi mangerà anche il poderetto. Efix, ricordati: son qua io! Se no, bastonate…»

Efix lo guardava dal basso, spaurito; e il grosso uomo a cavallo gli sembrava, nel crepuscolo rosso, un uccello di malaugurio, uno dei tanti mostri notturni di cui aveva paura.

«Gesù, salvaci. Nostra Signora del Rimedio, pensa a noi…»

Don Predu s’era già allontanato, quando Efix lo raggiunse nello stradone porgendogli con tutte e due le mani un cestino colmo di pomi e di ortaggi.

«Don Predu, mandi questo con la sua serva alle mie padrone. Io non posso abbandonare il poderetto… e don Giacinto non viene…»

Da prima l’uomo lo guardò sorpreso; poi un sorriso benevolo gli increspò le labbra carnose. Sollevò una gamba e disse:

«Guarda lì, c’è posto».

Efix cacciò il cestino entro la bisaccia, e mentre don Predu andava via senza dir altro, se ne tornò su alla capanna: aveva paura che le padrone lo sgridassero; sapeva d’aver commesso un atto grave, forse un errore; ma non si pentiva. Una mano misteriosa lo aveva spinto, ed egli sapeva che tutte le azioni compiute così, per forza sovrannaturale, sono azioni buone.

Aspettò Giacinto fino al tardi. La luna piena imbiancava la valle, e la notte era così chiara che si distingueva l’ombra d’ogni stelo. Persino i fantasmi, quella notte, non osavano uscire, tanta luce c’era: e il mormorio dell’acqua era solitario, non accompagnato dallo sbatter dei panni delle panas. Anche i fantasmi avevan pace, quella notte. Il servo solo non poteva dormire. Pensava alla storia di Giacinto e del capitano di porto, e provava un senso d’infinita dolcezza, d’infinita tristezza.

Tutti, nel mondo, pecchiamo, più o meno, adesso, o prima o poi: e per questo? Il capitano non aveva perdonato? Perché non dovevano perdonare anche gli altri? Ah, se tutti si perdonassero a viceversa! Il mondo avrebbe pace: tutto sarebbe chiaro e tranquillo come in quella notte di luna.

S’alzò e andò a fare un giro nel poderetto. Sì, sul sentieruolo bianco si disegnava anche l’ombra dei fiori: le foglie dei fichi d’India avevano le spine, nell’ombra, e dove l’acqua era ferma, giù al fiume, si vedevano le stelle.

Ma ecco un’ombra che si muove dietro la siepe, fra gli ontani: è un animale deforme, nero, con le gambe d’argento: scricchiola sulla sabbia, si ferma.

Efix corse giù; gli sembrava di volare.

«Sei tu! Sei tu? M’hai spaventato.»

Giacintino si tirò a fianco la bicicletta e lo seguì silenzioso; ma ancora una volta, arrivati davanti alla capanna si buttò a terra gemendo:

«Efix. Efix, non ne posso più… Che hai fatto! Che hai fatto!».

«Che ho fatto?»

«Non so bene neppur io. È venuta la serva di zio Pietro, portando un cestino, dicendo che lo avevi consegnato tu al suo padrone. C’erano zia Ruth e zia Noemi in casa, poiché zia Ester era alla novena: presero il cestino e ringraziarono la serva, e le diedero anche la mancia; ma poi zia Noemi fu colta da uno svenimento. E zia Ruth la credeva morta, e gridò. Corsero a chiamare zia Ester; ella venne spaventata, e per la prima volta anche lei mi guardò torva e mi disse che son venuto per farle morire. Oh Dio, Dio, oh Dio, Dio! Io bagnavo il viso di zia Noemi con l’aceto e piangevo, te lo giuro sulla memoria di mia madre; piangevo senza sapere perché. Finalmente zia Noemi rinvenne e mi allontanò con la mano; diceva: era meglio fossi morta, prima di questo giorno. Io domandavo: perché? perché, zia Noemi mia, perché? E lei mi allontanava con una mano, nascondendosi gli occhi con l’altra. Che pena! Perché son venuto, Efix? Perché?»

Il servo non sapeva rispondere. Adesso vedeva, sì, tutto l’errore commesso, consegnando il cestino a don Predu e pensava al modo di rimediarvi, ma non vedeva come, non sapeva perché, e ancora una volta sentiva tutto il peso delle disgrazie dei suoi padroni gravare su lui.

«Sta’ quieto», disse infine. «Tornerò io domani al paese e rimedierò tutto.»

Allora Giacinto riprese

«Tu devi dire alle zie che non son stato io a consigliarti di incaricare zio Pietro della consegna del cestino. Esse credono così. Esse credono, e zia Noemi specialmente, che io cerchi l’amicizia di zio Pietro per far dispetto a loro. Io sono amico di tutti; perché non dovrei esserlo di zio Pietro? Ma le zie sanno che egli vuole comprare il poderetto. Che colpa ne ho io? Sono io che voglio venderlo, forse?»

«Nessuno vuol venderlo. Perché parlare di queste cose? Ma tu, anima mia, tu… tu l’altra sera dicevi questo, dicevi quest’altro: promettevi mari e monti, per far felici le tue zie; e ieri sera, invece, sei andato a giocare…»

«Giocando tante volte si guadagna. Io voglio guadagnare, appunto per loro: no, non voglio più essere a carico loro. Voglio morire… Vedi» aggiunse sottovoce «adesso, dopo la scena di oggi, mi pare di essere ancora nella casa del capitano… Dio mi aiuti, Efix!»

Efix ascoltava con terrore: sentiva d’essere di nuovo davanti al destino tragico della famiglia alla quale era attaccato come il musco alla pietra, e non sapeva che dire, non sapeva che fare.

«Oh», sospirò profondamente Giacinto. «Ma di qui me ne vado certo; non aspetto che mi caccino via! Sono senza carità, le mie zie, specialmente zia Noemi. Non m’importa, però: essa non ha perdonato mia madre; come può perdonare me? Ma io, ma io…»

Abbassò la testa e trasse di saccoccia una lettera.

«Vedi, Efix? So tutto. Se zia Noemi non ha perdonato mia madre dopo questa lettera, come può aver l’animo buono? Tu lo sai cosa c’è, in questa lettera, l’hai portata tu, a zia Noemi. Ed io gliel’ho presa: stava sul lettuccio, il giorno del mio arrivo: io ne lessi qualche riga, poi la presi dall’armadio, oggi… È mia; è di mia madre; è mia… Non è degna di stare là questa lettera…»

«Giacinto! Dammela!», disse Efix stendendo le mani. «Non è tua! Dammela: la riporterò io, alle mie padrone.»

Ma Giacinto stringeva la lettera fra le palme delle mani e scuoteva la testa. Efix cercò di prendergliela: supplicava, pareva domandasse un’elemosina suprema.

«Giacinto, dammela. La riporterò io, la rimetterò nell’armadio. Parlerò io con loro, metterò pace. Tu aspettami qui. Ma dammi la lettera.»

Giacinto lo guardò. La sua spalla tremava, ma gli occhi erano freddi, quasi crudeli. Allora Efix balzò, gli gravò le mani sulle spalle, gli sibilò all’orecchio una parola.

«Ladro!»

Giacinto ebbe l’impressione di essere assalito da un avvoltoio; aprì le mani e la lettera cadde per terra.a:


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Lavoro

Lavoro: manifestazione nazionale a Roma il 22 giugno di Cgil, Cisl e Uil

Non si arrestano le iniziative unitarie di Cgil, Cisl e Uil per riportare al centro dell’agenda politica la questione del lavoro. Dopo il primo maggio, i tre sindacati, i cui esecutivi unitari si sono riuniti oggi hanno indetto un percorso di mobilitazione che porterà, il 22 giugno prossimo, ad una manifestazione nazionale a Roma.

I direttivi di Cgil, Cisl e Uil hanno anche approvato per acclamazione il documento delle segreterie che dà il via libera a proseguire il confronto con Confindustria sulla rappresentanza e la democrazia sindacale, sulla base dell’ipotesi unitaria, e indica le richieste al nuovo esecutivo che puntano innanzitutto su lavoro e fisco.

Per Cgil, Cisl e Uil il lavoro, quindi, resta la priorità assoluta da affrontare con urgenza per uscire dalla crisi e rilanciare l’economia.

La riunione degli esecutivi unitari è stata anche l’occasione per esprimere perplessità su alcune misure annunciate dal nuovo governo.  

“Non va bene l’abolizione tout court dell’Imu sulla prima casa – ha spiegato Susanna Camusso, segretario generale della Cgil – perché significherebbe sottrarre risorse necessarie a coprire altre voci. Allora bisogna scegliere e difendere chi ha una sola casa a basso valore e non chi ha 20 ville e 37 appartamenti”. 

Quella del 22 giugno, a Roma, dovrà essere una grande iniziativa all’altezza dei movimenti storici del sindacato con cui chiudere il percorso che partirà l’11 maggio prossimo con mobilitazioni territoriali e di categoria. E’ quanto promettono Cgil, Cisl e Uil.

La disoccupazione è diventata una vera e propria emergenza sociale. A confermarlo è Istat che, alla vigilia del primo maggio, diffonde altri dati preoccupanti sull’andamento dell’occupazione. A marzo 2013 si è registrata una diminuzione dello 0,2 per cento rispetto a febbraio, che in valori assoluti significa una riduzione di 51 mila posti di lavoro e dell’1,1 per cento su base annuna, con una perdita di 248 mila unità. 

La disoccupazione giovanile (15-24 anni) a marzo è stata pari al 38,4%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto a febbraio e di 3,2 punti su base annua. Si tratta di 635 mila 15-24enni in cerca di un lavoro.

Questa riduzione, avverte l’Istituto di statistica, riguarda la sola componente femminile perché mentre gli uomini occupati crescono di 19 mila unità, le donne a lavoro si riducono di 70 mila, sempre rispetto a febbraio. 

Con tutta probabilità la permanenza a lavoro delle donne over-50, che aveva finora permesso di arginare il calo, non basta più a garantire la stabilità e, tanto meno, la crescita dell’occupazione. 

Anche in Europa, la situazione occupazionale conferma la preoccupante tendenza. Ancora un record per la disoccupazione nei 17 Paesi dell’Eurozona: a marzo i senza lavoro erano 19,21 milioni, pari al 12,1% della popolazione attiva, contro il 12% registrato a febbraio. Lo ha reso noto
Eurostat. 

L’Italia, con il suo 38,4% di giovani senza lavoro, è al top in Europa preceduta solo da Grecia e Spagna. Nell’insieme dei 27 Paesi Ue la disoccupazione è invece rimasta stabile al 10,9%. Un anno fa, cioè nel marzo del 2012, segnala Eurostat, il tasso dei senza lavoro era dell’11% nell’Eurozona e del 10,3% nell’Ue a 27. 

In questi dodici mesi, rileva l’Eurostat,  la disoccupazione è cresciuta in 19 Paesi, mentre è diminuita in otto. L’incremento maggiore è stato registrato in Grecia (dal 21,5 al 27,2%), a Cipro (dal 10,7 al 14,2%) e in Spagna (dal 24,1 al 26,7%). 

Tra i Paesi dove la disoccupazione è diminuita figura invece l’Irlanda, con un calo dei senza lavoro di quasi un punto (dal 15 al 14,1%). La disoccupazione maschile, tra marzo 2012 e marzo 2013, è passata dal 10,8 all’11,9% nell’Eurozona e dal 10,2 al 10,9% nell’Ue, mentre quella femminile è cresciuta rispettivamente dall’11,3 al 12,2% e dal 10,4 all’11%. 

Su livelli ben più alti viaggia la quota dei senza lavoro per quanto riguarda i giovani under 25. Il tasso di disoccupati è passato in un anno dal 22,5 al 24% nell’Eurozona e dal 22,6 al 23,5% nell’Ue.  

Boldrini

Boldrini, indegni di un Paese civile insulti al ministro Kyenge

”E’ indegna di un Paese civile la serie di insulti che – soprattutto da alcuni siti in rete, ma non solo – si sta rovesciando sulla neoministra Ce’cile Kyenge”. Lo afferma il presidente della Camera Laura Boldrini.

”Come molti e molte, nel vederla giurare al Quirinale ho avvertito anche io che l’Italia stava facendo un passo avanti importante non solo per i ”nuovi italiani”, ma per tutti noi, perché capiamo finalmente quanto ricco, contemporaneo e antico al tempo stesso, sia l’incontro tra  le culture. Questo percorso può non piacere a tutti. Però non è in alcun modo tollerabile la volgarità razzista mirata contro una persona per il colore della pelle. La libertà di espressione non c’entra: in alcuni siti si pratica un sistematico incitamento all’odio razziale,che resta un reato anche se espresso via web. E molto gravi sono anche le parole usate da qualche esponente politico, che vanno ben oltre il legittimo dissenso sulle iniziative che Ce’cile Kyenge intende promuovere. Ritengo inaccettabile che queste bassezze possano, anche grazie alla compiacenza di una parte dell’informazione, entrare nel circuito della discussione politica senza suscitare l’esecrazione che meritano. Ci tengo peraltro a ricordare che la riforma della legge sulla cittadinanza è cara non solo alla neoministra. Con molti di noi, da tempo e in prima fila, la sollecita il Presidente della Repubblica Napolitano. Buon lavoro, Ce’cile.”

Direttivi sindacati

Direttivi unitari Cgil, Cisl, Uil: Camusso, dopo annunci ora risposte concrete

”Non ci si può fermare alle prime dichiarazioni, perché c’è davvero bisogno di cambiare compiutamente la politica economica di questo Paese” ha sottolineato Camusso, parlando a margine degli esecutivi unitari di Cgil, Cisl e Uil. ”E c’è bisogno di mettere dei cerotti alle emergenze costruite dai precedenti governi e di impostare una linea di politica economica che potrei sintetizzare in redistribuire il reddito, redistribuire il lavoro”.

Il numero uno della Cgil ha sottolineato le emergenze da affrontare subito, che sono la Cig in deroga e gli esodati. Ieri ”il presidente del Consiglio ha detto cose importanti, a partire dal riconoscimento della centralità del tema del lavoro e della disoccupazione, indicando poi temi che in tutti questi mesi abbiamo sollecitato. Al momento siamo però alla pura condivisione dei titoli, perché poi dove si sceglie di trovare le risorse per coprire la Cig in deroga, il tema degli esodati e su come rimodulare l’Imu, è altrettanto fondamentale, perché se i tagli riguardano sempre lo stesso mondo, non va bene” ha affermato Camusso, sottolineando che ”i temi che indichiamo oggi” con Cisl e Uil ”vanno ben oltre i titoli indicati ieri da Letta”. Il tema, ha detto ancora rispondendo ad una domanda, ”non credo sia apertura di credito o meno al governo, non serve a nessuno fare operazioni di facciata”.

”Sosterremo la piattaforma di Cgil, Cisl e Uil con la mobilitazione nei territori e con la manifestazione nazionale del 22 giugno” a Roma, ha concluso il leader della Cgil.

E a proposito del documento sulla rappresentanza e la democrazia sindacale che i direttivi unitari di Cgil, Cisl e Uil sono chiamati a varare ha ribadito che “Abbiamo dopo lungo tempo un’ipotesi unitaria che giudichiamo molto importante, abbiamo aperto una discussione con Confindustria, la apriremo con le altre associazioni e ci auguriamo che tutti convengano sulla necessità di mettere fine alla stagione delle
divisioni e di avere un nuovo statuto delle regole e delle
relazioni industriali” ha aggiunto Camusso.

ansa

Sovraccarico biomeccanico nel rivestimento di pavimenti e muri

In un documento elaborato nel 2004 da parte dell’European Agency for Safety and Health at Work si afferma che i  lavoratori edili soffrono più dei colleghi di altri settori di disturbi muscoloscheletrici, come lombalgie, cervicalgie e problemi degli arti; molti di essi risultano ancora oggi esposti ad amianto; i carpentieri hanno un rischio relativo elevato di sviluppare un tumore delle cavità nasali come risultato dell’esposizione a polveri di legno; le polveri generate dal taglio e dalla lavorazione di prodotti contenenti silice cristallina, come ad esempio la sabbia, sono in grado di sviluppare silicosi e gravi patologie respiratorie; il ripetuto contatto con sostanze a base liquida, come ad esempio oli, resine e prodotti a base di cemento, possono provocare problemi cutanei (dermatiti professionali)e, meno frequentemente asma allergico; numerosi lavoratori edili risultano esposti ad alti livelli di rumore e vibrazioni a causa dell’utilizzo di macchinari, tra cui i martelli pneumatici. Tali esposizioni incrementano il rischio di ipoacusia da rumore e di disturbi a carico del sistema mano-braccio.

Uno studio condotto dall’INAIL con le Parti Sociali (CGIL-CISL-UIL) che ha interessato il settore dell’edilizia  civile (nuove costruzioni e ristrutturazioni) e alcune mansioni, ritenute sempre presenti nei cantieri con elevato grado di omogeneità e rischi confrontabili,  è pervenuto  a concludere che: “Gli indici di rischio permettono di asserire che gli  intonacatori ed i tinteggiatori sono i soggetti maggiormente esposti, rispetto ai ferraioli, ai carpentieri ed ai muratori. Le attività effettuate dai lavoratori che afferiscono alle prime due mansioni comportano una alta ripetitività dei gesti ed un uso delle spalle (soprattutto nello svolgimento di fasi lavorative eseguite ad una certa altezza), dei gomiti e dei polsi decisamente più pronunciato se confrontate con quelle svolte da ferraioli, carpentieri e muratori. Nel caso degli intonacatori, inoltre, l’alta frequenza dei movimenti è concomitante ad uno sforzo muscolare spesso sensibile ed a posture incongrue”…..

n 12° 2013 numero newsletter.doc

uffici inquinati come camere a gas

Allarme esperti: uffici inquinati come camere a gas

Gli esperti lanciano l’allarme: gli uffici sono sempre meno gestiti secondo le logiche ecologiche sino a diventare vere e proprie camere a gas, in cui si evidenza un’alta concentrazione di sostanze inquinati. Parola di esperti sulla base di ricerche della Boston University School. Proprio per questo i guru della formazione si sono specializzati nell’insegnare a manager e quadri a come educare i dirigenti al sostenibile.

La corretta formazione di un manager green oltre a far bene alla salute dei colletti bianchi impatta anche positivamente sul sistema sanitario nazionale. Non ha dubbi il direttore della BP Sec, azienda leader nelle consulenze e nei servizi formativi, nonché esperto di problematiche ambientali. ”Contrariamente a quanto si pensa, infatti la salute dei lavoratori è raramente tutelata  e il fatto di lavorare in un ufficio ”chiuso” non ci mette al sicuro dall’inquinamento”.

All’interno di un ufficio ci sono diversi fattori inquinanti, in primis l”aria che può avere un eccesso di CO2, che pur non essendo pericolosa per l”organismo può comunque portare a una sensazione di sonnolenza e stordimento tanto da ostacolare le attività quotidiane e causare malesseri e malattie. Se le stampanti sono molto dannose perché emettono particelle ultrasottili nocive riempiendo l’aria di sostanze volatili tossiche, anche l”inquinamento acustico, telefoni, pc etc. non è da sottovalutare così come l’umidità che porta alla formazione di muffe responsabile di tossi croniche, raffreddori e mal di testa. A conferma di questa preoccupante tendenza, vi è uno studio del Boston University School of Public Health, che rincara la dose sostenendo che i lavoratori negli uffici possono essere esposti a composti perfluorinati presenti nei mobili e nelle pitture e che sono dannosi per la salute.

Lavoro

Lavoro: a marzo i giovani disoccupati volano al 38,4% ….

Non si ferma la crescita del tasso di disoccupazione giovanile: come segnala l’Istat a marzo tra i giovani tra i 15 e i 24 anni l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 38,4%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,2 punti nel confronto tendenziale. In totale i giovani disoccupati sono 635 mila e rappresentano il 10,5% della popolazione in questa fascia d’età.

Quanto al numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta dello 0,5% rispetto al mese precedente (+69 mila unità). Il tasso di inattività si attesta al 36,3%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e in diminuzione di 0,2 punti su base annua.

La diminuzione registrata per l’occupazione su base mensile (-51 mila unità) riguarda la sola componente femminile. E’ quanto riferisce l’Istat, spiegando che mentre gli uomini occupati crescono di 19 mila unità, le donne al lavoro si riducono di 70 mila unità, sempre rispetto a
febbraio. Con tutta probabilità la permanenza a lavoro delle donne over-50, che aveva finora permesso di arginare il calo, non basta più a garantire la stabilità e, tanto meno, la crescita dell’occupazione.