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Con il DPR n. 171/11, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2011, è stato regolamentato il rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni colpiti da infermità psicofisiche. I tratti salienti della nuova disciplina riguardano: la specificazione del concetto di inidoneità assoluta e relativa, una nuova procedura di accertamento dell’inidoneità da cui scaturisce un più ampio potere d’azione dell’ente datore di lavoro, una nuova disciplina del trattamento economico e giuridico del personale inidoneo.
Ambito applicativo
Sono interessati dall’applicazione del nuovo regolamento i dipendenti delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, degli enti pubblici non economici (parastato), degli enti di ricerca e delle università, nonché delle agenzie delle entrate, dogane, territorio, demanio.
Per esplicita previsione di legge sono invece esclusi i magistrati, il personale delle forze armate, delle forze di polizia ad ordinamento civile e militare, i vigili del fuoco, il personale della carriera diplomatica e prefettizia, nonché i dipendenti del Comitato interministeriale del Credito, della Consob e dell’Antitrust, a cui vanno aggiunti i ricercatori e i professori universitari.
Permangono dubbi sull’applicazione del DPR ai dipendenti degli enti locali e del servizio sanitario nazionale.
Tipologie di inidoneità
Nel regolamento (art. 2) viene chiarito il concetto di inidoneità psicofisica permanente, distinguendo tra quella assoluta ossia lo stato di un soggetto che per infermità (fisica o mentale) è nella condizione di non poter svolgere qualsiasi attività lavorativa e inidoneità permanente relativa ossia lo stato di colui che per infermità (fisica o mentale) si trova nell’impossibilità di svolgere alcune o tutte le mansione dell’area, categoria o qualifica di inquadramento.
Avvio del procedimento
L’art. 3 impartisce disposizione riguardanti le procedure relative all’accertamento dell’inidoneità psicofisica che possono essere avviate, non prima del superamento del periodo di prova, dal dipendente interessato o dall’amministrazione di appartenenza.
La novità più rilevante è rappresentata dalla previsione che attribuisce all’amministrazione la potestà d’agire d’ufficio in presenza di particolari patologie anche se non decorso il primo periodo di comporto.
In tutti i comparti del pubblico impiego le norme contrattuali prevedono che in caso di assenza per malattia il dipendente ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per in periodo massimo di 18 mesi retribuiti, da calcolarsi con riferimento a tutte le malattie intervenute nei tre anni precedenti l’ultimo evento morboso (c. d. triennio mobile).
In linea generale, la disciplina contrattuale ha dettato norme in favore del lavoratore stabilendo che la visita medica per il mutamento di mansioni o per l’accertamento dell’inidoneità a proficuo lavoro non possa essere chiesta dall’amministrazione prima del superamento dei 18 mesi retribuiti, mentre è facoltà del lavoratore richiederla in qualsiasi momento.
Il DPR n. 171/11 modifica sostanzialmente questo impianto nella parte in cui introduce la possibilità per l’ente datore di lavoro di sottoporre il dipendente a visita medica, anche prima del completamento dei 18 mesi di assenza per malattia retribuiti, in presenza di situazioni che fanno emergere fondate perplessità sulla effettiva idoneità allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Organismi sanitari
Gli organismi sanitari preposti all’accertamento medico sono gli stessi che hanno competenza nei procedimenti per il riconoscimento della causa di servizio. Tali organismi sono:
• per il personale delle forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento civile e militare nonché per i dipendenti civili del ministero della difesa e dell’interno, l’organismo sanitario competente è la commissione medica ospedaliera (CMO);
• per il personale degli enti pubblici non economici (parastato) sono le commissioni mediche operanti presso le asl;
• per tutti gli altri dipendenti delle pubbliche amministrazioni, sono le commissioni mediche di verifica (CMV).
Procedure per l’accertamento dell’idoneità
Superato il periodo di comporto retribuito, per il lavoratore che ne faccia richiesta è prevista la possibilità di chiedere ulteriori 18 mesi non retribuiti. A differenza del periodo di comporto retribuito, che si configura un diritto soggettivo del lavoratore, il prolungamento della malattia di ulteriori 18 mesi non retribuiti rientra invece nel potere discrezionale dell’ente, che può concederlo a condizione però che dall’accertamento medico, a cui il lavoratore deve obbligatoriamente sottoporsi, risulti un giudizio di idoneità all’attività lavorativa.
Se a seguito dell’accertamento sanitario, a cui il lavoratore è tenuto a sottoporsi per ottenere il prolungamento della malattia o nei casi di comportamenti gravi o di infermità che fanno presumere un’inidoneità psicofisica al servizio, viene emesso un giudizio di inidoneità permanente assoluta (inidoneità a proficuo lavoro), l’amministrazione deve, entro trenta giorni dalla data di ricezione del verbale medico, risolvere il rapporto di lavoro e corrispondere all’interessato l’indennità di mancato preavviso.
Al dipendente dispensato per inidoneità a proficuo lavoro compete il trattamento pensionistico se ha maturato almeno 15 anni di anzianità contributiva.
Sospensione cautelare dal servizio
E’ questa una delle maggiori novità introdotte dal nuovo regolamento. Si tratta, in sostanza, della possibilità da parte delle amministrazioni di sospendere dal servizio in via cautelare il dipendente in attesa di essere sottoposto a visita medica.
L’adozione delle misure cautelari può essere disposta quando l’ente datore di lavoro ritiene di ravvisare nel comportamento e/o nello stato di salute del dipendente elementi che possono far presumere l’esistenza della inidoneità psicofisica al servizio e generare pericolo per la sicurezza o l’incolumità del dipendente stesso, dei suoi colleghi o degli utenti.
Oltre che nei casi succitati, l’ente datore di lavoro può applicare la sospensione cautelare anche in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità in assenza di giustificato motivo. Se il dipendente diserta immotivatamente anche la seconda visita, l’amministrazione può procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro con preavviso.
La durata massima della sospensione cautelare è di 180 giorni, suscettibili di ulteriore proroga se vi sono motivi che la giustificano. Il periodo di sospensione è utile alla maturazione dell’anzianità di servizio e non deve essere riscattato ai fini pensionistici.
Durante il periodo di allontanamento dal lavoro al dipendente viene corrisposta un’indennità pari al trattamento economico spettante nei casi di assenza per malattia. Se la misura cautelare è stata disposta a seguito del rifiuto da parte del dipendente di sottoporsi a visita medica, viene riconosciuta un’indennità di importo pari al 50% della retribuzione base, con la iis conglobata, nonché gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, se spettanti.
La sospensione cautelare cessa immediatamente quando il procedimento sanitario si conclude con un giudizio di idoneità al servizio. In questo caso il dipendente ha diritto alla corresponsione delle somme decurtate, tranne nell’ipotesi di sospensione disposta a seguito di mancata presentazione a visita medica senza giustificato motivo, per la quale non è previsto alcun reintegro economico.
Inidoneità permanente relativa
Un altro punto del nuovo regolamento in cui si riscontrano le maggiori modifiche recate alla disciplina contrattuale riguarda il procedimento che l’ente datore di lavoro deve attivare nei casi di inidoneità permanente relativa allo svolgimento della mansione.
L’inidoneità alla mansione non costituisce giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro, fino a quando, esperito da parte dell’amministrazione ogni tentativo per recuperare il dipendente al servizio attivo, risulti impossibile trovare la collocazione in una mansione compatibile con la ridotta capacità lavorativa.
In base alla novellata disciplina, il dipendente giudicato inidoneo alla mansione deve essere ricollocato in mansioni equivalenti o di un altro profilo professionale all’interno della medesima area di inquadramento, compatibili con la ridotta capacità lavorativa.
Se l’inidoneità è tale da precludere un reimpiego nelle succitate mansioni, l’amministrazione può adibire il dipendente a mansioni di un altro profilo riferito a una diversa area di inquadramento o a mansioni inferiori.
In caso di ricollocazione in mansione inferiore, al dipendente viene conservato il trattamento economico (fisso e continuativo) del profilo di provenienza, con l’attribuzione di un assegno ad personam riassorbibile con i futuri miglioramenti economici.
Una volta accertata l’impossibilità della ricollocazione per mancanza di posti in organico corrispondenti a profili professionali adeguati alla residua capacità lavorativa, il dipendente viene inquadrato in posizione soprannumeraria e, fino al riassorbimento del soprannumero, viene reso indisponibile dal punto di vista finanziario un numero di posti equivalente.
Nell’ipotesi risultasse preclusa la possibilità di collocare il dipendente in soprannumero, l’ente datore di lavoro avvia le procedure di consultazione di mobilità, anche temporanea, con altre amministrazioni aventi sede nell’ambito provinciale. Trascorsi 90 giorni dall’avvio delle procedure di mobilità, venuta meno ogni possibilità di reimpiego del dipendente in altra amministrazione, lo stesso viene collocato in disponibilità, la cui durata massima è di 24 mesi.
Al termine di 24 mesi, risultato infruttuoso ogni tentativo di ricollocazione, l’amministrazione procede alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Personale dirigenziale
Le succitate disposizioni si applicano anche al personale dirigenziale. In base alle risultanze mediche, l’amministrazione può conferire un altro incarico dirigenziale compatibile con la ridotta capacità lavorativa, assicurando un percorso formativo finalizzato alla ricollocazione; oppure, nell’ipotesi di carenza di posti nella dotazione organica, collocare il dipendente a disposizione nei ruoli dirigenziali (1^ e 2^ fascia) senza incarico.
Se l’inidoneità riguarda invece i dipendenti con incarico dirigenziale, l’ente datore di lavoro revoca l’incarico e ricolloca i diretti interessati nel profilo di inquadramento, ovvero, se provenienti da altra amministrazione, ne dispone il rientro nella qualifica precedentemente ricoperta.
Personale docente
Per espressa previsione, al personale docente della scuola e dell’Afam continua ad applicarsi, in tema di inidoneità alla mansione, la specifica normativa di settore.
Al riguardo, ricordiamo che al personale docente giudicato inidoneo alla propria funzione ma idoneo ad altri compiti è data la possibilità di chiedere l’inquadramento nei ruoli del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA), mantenendo la retribuzione di provenienza, tramite assegno ad personam riassorbibile con qualsiasi successivo miglioramento.
In caso di mancata presentazione dell’istanza di transito, o di mancato accoglimento della stessa, il docente è soggetto alla mobilità intercompartimentale e transita obbligatoriamente nei ruoli di altre amministrazioni (Stato, Agenzie, Enti pubblici non economici e Università), mantenendo l’anzianità maturata e l’eventuale maggior trattamento stipendiale, con l’attribuzione, anche in questo caso, dell’ assegno ad personam riassorbibile con i futuri miglioramenti economici.
Nel dare attuazione a questo dispositivo di legge, il Miur con DM n. 79/11 ha previsto, per il personale docente giudicato inidoneo allo svolgimento della mansione ma idoneo ad altri compiti, la possibilità di chiedere, in alternativa al transito nei ruoli ATA, la dispensa dal servizio per motivi di salute.
Disposizioni finali
La nuova disciplina non modifica quanto previsto nel DPR n. 461/01 che regolamenta i procedimenti di riconoscimento della causa di servizio, della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo, né le disposizioni contenute nel DPR n. 1124/65 in materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, e neppure la normativa in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro di cui al Dlgs n. 81/08.
Come pure sono fatte salve le condizioni di miglior favore previste nei confronti dei soggetti tossicodipendenti e alcolisti cronici, e di coloro che risultano affetti da gravi patologie in stato terminale.
La quasi concomitante abrogazione della causa di servizio con l’entrata in vigore della nuova e più restrittiva regolamentazione in tema di inidoneità al servizio pone preoccupanti interrogativi sulle future tutele di quei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, la cui integrità psicofisica dovesse risultare compromessa da eventi riconducibili o non al servizio prestato e per i quali si dovesse arrivare alla risoluzione del rapporto di lavoro senza diritto a pensione
Il quadro è divenuto ancora più allarmante dopo che la legge n. 122/10 ha decretato l’abrogazione della legge n. 322/58 che consentiva ai pubblici dipendenti cessati dal servizio senza diritto a pensione di trasferire gratuitamente all’Inps la loro posizione assicurativa ed accedere alle prestazioni erogate da questo Istituto ai lavoratori privati.