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Nella memoria storica Rosario Bentivegna, detto Sasà, sarà ricordato da tutti come uno dei protagonisti della lotta di resistenza antifascista e antinazista, l’uomo di via Rasella, ma per l’Inca c’è una ragione in più per ricordarlo come il medico legale che ha insegnato a tante generazioni di operatori di patronato come tutelare gli interessi dei lavoratori nell’ambito a lui più congeniale per formazione culturale, che è la medicina del lavoro.
Sasà, dopo aver smesso i panni del partigiano nel 1945, si è messo al servizio dell’Inca, dove ha trascorso gran parte della propria vita, dal 1949 al 1995, diventando non uno dei tanti, ma il medico legale del patronato.
Sono anni importanti per la formazione di una cultura della sicurezza del lavoro che in quel periodo muoveva i primi passi, fondata sul rispetto della persona che si rivolgeva al patronato.
In uno dei tanti articoli che portano la sua firma scriveva: “Occorre comunque che il medico fiduciario (cosi come il funzionario) del Patronato vagli il caso che giunge per qualsiasi motivo alla sua osservazione, e che può trovare soluzione, oltre che nell’ambito che ha sollecitato l’istanza primitiva, anche in altri ambiti (Inps, Inail, causa di servizio, invalidità civile, responsabilità civile ecc.)”. Affermazione che oggi tradurremmo con un I care, il prendersi cura della persona nel suo complesso, per offrire una tutela adeguata ai suoi bisogni.
Il suo impegno e la sua passione per il lavoro rappresenta una parte importante del patrimonio Inca, grazie al quale il patronato della Cgil si è imposto come protagonista nella costruzione di un quadro legislativo sul diritto alla salute e alla sicurezza nel lavoro, di cui il nostro paese si è successivamente dotato.
A lui, insieme ad autorevoli giuristi, si devono importanti sentenze, come quella della Corte Costituzionale n.179 dell’88, considerata di portata storica, con la quale è stato introdotto il sistema misto nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali.
Una sentenza che vale una riforma fu definita in quegli anni, grazie alla quale la Consulta ha definitivamente dichiarato l’illegittimità del valore tassativo delle tabelle delle malattie professionali indennizzabili, consentendo il riconoscimento dell’origine lavorativa di tutte le patologie riconducibili all’attività svolta.
Nel pieno del boom economico, Sasà affermava che non è “il fattore umano che deve adattarsi alla fabbrica, ma viceversa…”. Un’affermazione che appare ambiziosa ancora oggi, ma che forse vale la pena sottolineare.
La presidenza dell’Inca