La tragedia di Barletta: Il paese dei paradossi

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La morte delle operaie costringe tutti a riflettere sull’Italia del sommerso 

Solo dopo la tragedia ci si interroga su chi fosse il proprietario del maglificio di Barletta che pagava le sue operaie tre euro e 95 centesimi l’ora; chi fossero quelle donne che hanno accettato di lavorare in una catena di montaggio per un misero stipendio; chi sono le istituzioni che con colpevole superficialità fino al giorno prima del crollo della palazzina hanno rassicurato tutti sulla stabilità di una struttura sfacciatamente fatiscente e pericolante.  

Antonella, Giovanna, Matilde e Tina per l’Inps erano fantasmi, poiché per loro il datore di lavoro non versava un euro dei contributi previdenziali, obbligatori per legge; così come quasi del tutto sconosciuto  all’ufficio delle entrate era il maglificio per cui lavoravano le donne schiacciate sotto le macerie, che denunciava un giro di affari complessivo di diecimila euro annui: meno di quanto guadagna un operaio.

Questo è il paese dei paradossi: dove si urla allo scandalo per un’evasione fiscale di oltre 120 miliardi di euro, ma contemporaneamente si garantisce ancora una sorta di impunità ai grandi evasori, che una volta stanati, possono anche patteggiare la pena, mentre ci si accanisce sul lavoro dipendente e i pensionati che pagano le tasse per tutti; dove si registrano 3 morti sul lavoro ogni giorno, ma c’è chi, come il ministro dell’economia, considera le norme sulla sicurezza nel lavoro un lusso che non possiamo permetterci.

Tanto basta a questo governo per giustificare le modifiche al decreto legislativo 81/2008 per ridurre le sanzioni in capo agli imprenditori  e aumentare quelle a carico dei lavoratori, per chi non rispetta gli standard di sicurezza; senza considerare che tutto questo contribuisce a deresponsabilizzare le imprese, alle quali corre l’obbligo di garantire la salubrità degli ambienti di lavoro, che in questo modo, trasferiscono i costi degli infortuni e delle morti bianche sulla collettività, e dunque sullo Stato.

In sostanza, si sentono legittimate a non rispettare le norme sulla sicurezza e ad aumentare i rischi per le lavoratrici e per i lavoratori che già pagano sulla loro pelle le conseguenze di una crisi economica e occupazionale gravissima.

Questo è un paese dove le piccole aziende a conduzione familiare rappresentano una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale, ma ce ne ricordiamo solo quando una tragedia come questa incrocia il destino di chi è costretto a lavorare in modo illegale con quello dei padroncini.

Ciò che è accaduto a Barletta, ci consegna una storia di povertà dove muoiono insieme 4 operaie e la figlia del proprietario del maglificio per cui lavoravano, di appena quindici anni. Pochi, forse, per rendersi conto che non basta stare dall’altra parte per essere più fortunati.

Purtroppo, il lavoro sommerso non è un’eccezione, ma una piaga diffusa più di quanto si immagini; specchio di un sistema paese che è poco sistema e molto paese: dove le regole contrattuali sono diventate una variabile indipendente, tanto basta per  metterle continuamente in discussione; dove il diritto al lavoro lo si vuole trasformare  in una concessione dall’alto; dove i sindacati sono diventati ingombranti per gli interessi dei potentati, dove l’Inail si crogiola per la riduzione degli infortuni, senza considerare il paese reale fatto di tante morti bianche che sfuggono alle statistiche ufficiali, perché riconducibili ad un oceano sommerso di tante persone fantasma, come lo erano le operaie di Barletta, prima della tragedia.

Morena Piccinini, presidente Inca

La tragedia di Barletta: Il paese dei paradossiultima modifica: 2011-10-06T08:57:12+02:00da vitegabry
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