Archivi giornalieri: 15 novembre 2010

Per Inca “No ad aumento età pensionabile”

NEWS

Il contributo dell’Inca al libro verde sulle pensioni della Commissione europea 

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Con il Libro verde “Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa”, la Commissione europea ha lanciato un’utile consultazione sociale per ricevere contributi da organizzazioni  sociali, centri studi, fondi pensione ecc.. dei 27 paesi membri  interessati a contribuire alla definizione di obiettivi comuni in materia di trattamenti  pensionistici sia pubblici  che erogati dai Fondi pensione.

L’Inca ha preso parte alla consultazione, così come ha fatto  la Cgil, per far sentire  la voce di chi difende la previdenza pubblica e la solidarietà tra le generazioni; auspica un adeguamento  dei sistemi pensionistici alle nuove esigenze per garantire diritti certi ai giovani; chiede la copertura della contribuzione figurativa dei periodi di disoccupazione e di cura; pretende la lotta ad ogni forma  di sottocontribuzione e di lavoro nero.
Nel documento inviato alla Commissione europea  l’Inca sottolinea l’importanza della previdenza complementare, di cui  ribadisce la natura integrativa,  sottolineando l’esigenza di una tutela reale degli interessi dei lavoratori nel caso di aziende inadempienti nel versamento dei contributi ai Fondi ed interessate da procedure di fallimento.

L’Unione europea deve promuovere un quadro di regole e garanzie condivise tra i 27 paesi , ad esempio sulla trasparenza nella gestione dei fondi  e sull’informazione da garantire al lavoratore o alla lavoratrice iscritti .

I Paesi dell’Unione  devono fronteggiare sfide comuni , a partire dal governo del positivo aumento della vita media e dal superamento degli effetti prodotti dalla crisi  sui lavoratori, sulle imprese e sulle  economie nazionali.

La forza dell’Unione è stata ed è quella di saper progredire insieme, anche in materie di competenza nazionale, per le quali il “ metodo aperto di coordinamento”, con la definizione di obiettivi comuni e lo scambio di buone esperienze, si è rivelato uno strumento efficace. Questo metodo va applicato anche alla previdenza complementare.

Una migliore conoscenza di quanto avviene negli altri Paesi può contribuire nel valutare la gravosità del lavoro o gli effetti positivi indotti dalla flessibilità dell’età pensionabile, introdotta in Italia già 15 anni fa ( con la legge n.335/1995)  e colpevolmente cancellata dal governo di centro-destra.

Nel suo documento l’Inca esprime opinioni chiare: d’accordo con la Commissione sul fatto che “la solidarietà tra generazioni e la solidarietà nazionale sono fondamentali”, “per i cittadini  e per la coesione sociale sono essenziali sistemi pensionistici solidi e adeguati, che permettano alle persone di mantenere … il loro tenore di vita”.
Occorre un approccio integrato per considerare “gli aspetti economici, sociali e finanziari e riconoscere i legami e le sinergie tra pensioni, occupazione e  crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”.

Le pensioni insufficienti possono essere una delle  principali cause  di povertà tra le persone anziane, ma in disaccordo con la Commissione quando questa sembra suggerire l’aumento dell’età pensionabile per tutti come soluzione per fronteggiare l’aumento della vita media.

L’aumento non produrrebbe risultati positivi, a giudizio dell’Inca, perché in tutta Europa la gran parte dei lavoratori “anziani”, tra 55 e 65 anni, viene espulsa dai processi produttivi nei periodi di crisi ed è costretta a vivere lunghi periodi di disoccupazione e di disagio sociale ed economico. 

Un aumento indifferenziato dell’età legale di pensione, tra l’altro, cancellerebbe le differenze di fondo che esistono tra lavori in termini di gravosità e di logoramento psicofisico.

L’allungamento della vita attiva è legato allo sviluppo della qualità del lavoro e alla formazione continua, che consentono di passare da un lavoro all’altro con maggiore facilità. Su questo terreno  si procede con troppa lentezza e con l’esclusione, sostanziale, dei lavoratori a bassa scolarità e delle donne.

Occorrono, dunque, politiche innovative in campo formativo ed informativo, in quanto l’adeguata conoscenza dei propri diritti pensionistici da parte di lavoratori e lavoratrici è un elemento centrale per un futuro sereno e per favorire scelte consapevoli.

L’Unione europea deve  operare per stimolare la crescita dell’occupazione in termini di quantità e qualità, per eliminare discriminazioni e segregazioni professionali, in particolare delle donne, ribadendo la centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato come tipologia di lavoro “standard” in Europa. 

Luigina De Santis, della presidenza Inca

Sa limba a scuola

postato da: francosardo alle ore 16/11/2010 11:57 | link | commenti | categorie: provincia di cagliari, sportelli uffici lingua sarda

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lunedì, 15 novembre 2010

Sa limba a scuola

«La lingua sarda e l’insegnamento a scuola»,

di Francesco Casula, Alfa Editrice, Quartu Sant’Elena, euro 14.

Casula, giornalista e studioso, già membro dell’Osservatorio regionale della Lingua e della Cultura sarda, ha raccolto nella prima parte del volume i testi di conferenze e lezioni nelle quali ha sostenuto la validità della «limba» e ha propugnato il suo inserimento tra le discipline scolastiche; mentre nella seconda parte l’avvocato Debora Steri presenta il quadro della legislazione vigente in Europa, in Italia e in Sardegna per la tutela delle minoranze linguistiche.
 

LA SARDEGNA          LIBRO
di Salvatore Tola        per libro

 

Da La Nuova Sardegna del 15/11/2010

NEWS

A Roma il Forum della Rivista politiche sociali

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Le conseguenze della crisi economica sulla coesione sociale: sarà questo il tema al centro della sesta edizione del Forum della Rivista delle politiche sciali, in programma per il 15 e 16 novembre a Roma, presso la Casa internazionale delle donne (via della Lungara, 19). Durante l’iniziativa, organizzata in collaborazione con la delegazione italiana di Espanet (network europeo di studi sul welfare), sarà presentato il Manifesto sul welfare del XXI secolo.
 
Quali effetti sta producendo la crisi economica sul welfare italiano? E’ l’interrogativo a cui proveranno a rispondere alcuni studiosi di politiche economiche e sociali, fra cui Colin Crouch dell’Università di Warwick, e Chiara Saraceno, esperta di sociologia della famiglia e del lavoro e attualmente professore di ricerca presso il Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino.
 
Il forum si articolerà in sessioni plenarie (15 e 16 novembre) e parallele (pomeriggio del 15). Nelle sessioni plenarie saranno affrontate, su scala internazionale, questioni relative al confronto fra le parti sociali in rapporto alle dinamiche occupazionali e temi legati alla strategia europea per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. In particolare, le prospettive disegnate per il prossimo decennio dall’Agenda 2020 saranno illustrate da Antonia Carparelli, della direzione Affari sociali della Commissione europea.
 
Uno specifico approfondimento sarà dedicato al raffronto, sulla base di indicatori statistici, tra il diverso grado di coesione sociale in Italia e in Germania. A chiudere il quadro sarà Chiara Saraceno con un’analisi sociologica tesa a delineare le possibili risposte di policy per il ripristino di condizioni di tutela dal rischio sociale diffuso.
 
Condizioni lavorative, sistema di welfare e lavoratori migranti saranno invece i temi tre sessioni parallele: saranno presentati e discussi risultati di ricerche e di studi, in cui i fenomeni sociali e le relative politiche locali in atto in Italia saranno analizzati in prospettiva comparata con altre esperienze e dimensioni europee.
 
Allo studio e al dibattito si affiancherà anche, quest’anno per la prima volta, una dimensione di carattere più operativo. “Considerata la scarsa attenzione che nel dibattito pubblico si riserva al welfare – spiegano i promotori – durante i lavori del Forum sarà lanciato un Manifesto sul welfare del XXI secolo. L’intento è rompere il sostanziale silenzio che ha finora accompagnato i progressivi tagli alle politiche sociali italiane che rischiano di produrre effetti molto dannosi sul nostro già debole e contraddittorio sistema nazionale. Con il Manifesto, e soprattutto grazie all’ampio schieramento di intellettuali, studiosi, associazioni e operatori attivi nel settore che intorno ad esso si vorrebbe raggruppare, si intende riaprire una discussione comune sul rilancio del welfare quale strumento indispensabile a garantire la coesione sociale e come fattore di investimento, moltiplicatore di risorse e attivatore di capacità”.

Come sarà l’Italia tra 40 anni: più anziani e immigrati

Come sarà l’Italia tra 40 anni: più anziani e immigrati

L’Italia: un Paese affetto da Alzheimer

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“L’Italia non solo è un Paese vecchio ma soffre anche di Alzheimer: affronta i problemi e poi li abbandona, senza risolverli. Quando poi torna ad affrontarli si dimentica di essersene già occupata”. Parola di Enrico Giovannini, presidente Istat, intervenuto  a “Benvenuti al Capodannno 2050”, il laboratorio sul futuro del mondo organizzato a Bassano del Grappa dalla neonata Fondazione Nardini. L’Italia a metà ventunesimo secolo avrà 61,6 milioni di abitanti, 1,5 in più di oggi.

Ma gli over 65 passeranno dal 20 al 30% e gli over 80 dal 5 al 15%. “Più che di sostenibilità bisognerebbe parlare di vulnerabilità”, commenta Giovannini. Secondo il presidente dell’Istat non è questione di avere buon cuore verso i nostri pronipoti ma semmai si tratta di “scontare oggi il rischio del futuro”, come direbbero gli economisti. Più si rimandano i problemi, più sarà difficile risolverli. L’Italia fra quarant’anni avrà anche un volto diverso. Sarà diverso il colore della pelle di chi l’abita, saranno diversi i luoghi di preghiera, saranno diversi i processi di formazione e il sistema sanitario. Solo il 10% degli abitanti infatti sarà di origine italiana gli altri avranno provenienza straniera e se le regole sulla cittadinanza non cambieranno solo il 50% dei residenti in Italia avrà la cittadinanza. “Ma l’immigrazione non può essere solo scambio di manodopera” avverte Giovannini. Per completare l’integrazione serve prima di tutto essere cittadini del paese in cui si abita.

da Redattore Sociale

I minatori sardi della Carbosulcis. Gli ultimi dei moicani

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In fondo a un buco nero

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I minatori sardi della Carbosulcis sono gli unici rimasti in Italia a estrarre carbone dalle viscere della terra. Un carbone ricco di zolfo, impuro, pericoloso, facilmente infiammabile, venduto a costo bassissimo all’Enel, per la sua centrale sarda. Una miniera dove lavorano 484 operai (prima erano 600), che picconano, estraggono, rinforzano pareti a 400 metri sotto il livello del mare, più altri 200 metri di galleria.

“Questa miniera è importante, non solo perché mantiene occupazione e ricchezza sul territorio, ma anche per un altro motivo: è un presidio di conoscenza e di tecnologia passata e presente. I sistemi di sicurezza qui sono i migliori, controllati, monitorati, l’estrazione viene effettuata nel modo migliore studiato finora”, spiega Francesco Carta ex minatore, segretario generale della Filctem del Sulcis-Iglesiente. Il carbone estratto dalla Carbosulcis viene tuttavia conferito quasi esclusivamente all’Enel (visto che una legge prevede che il carbone venga utilizzato solo in loco), che non riesce a consumarne più di 300.000 tonnellate all’anno, mentre la miniera ha potenzialità molto più elevate. “Il motivo è che non ci sono altre centrali nella zona che vanno a carbone, oltre a quella dell’Enel. Ce n’è una dell’Eon nel Sassarese, ma non acquista il materiale da noi estrattto”, spiega ancora Carta.

Il 60 per cento dei minatori d’Italia si trova in Sardegna. Alla Carbosulcis, a scavare nel sottosuolo, ci sono anche tre donne: i minatori sono divisi in 4 turni al giorno che si intersecano, perché la miniera non può mai essere lasciata sola, altrimenti si sviluppano gas a combustione. Su quello che è successo in Cile i lavoratori della Carbosulcis hanno da dire la loro: “Di quella storia non ci hanno fatto vedere tutto – commenta Carta –, e chi lavora in miniera lo sa. Certo il nostro ambiente di lavoro è pericoloso, perché liberi spazio alle frane. Quella del Cile però è una miniera come la nostra, e doveva essere attrezzata per le frane. Loro invece avevano solo un pozzo dove passavano merci e uomini, mentre noi abbiamo due pozzi di servizio e poi abbiamo i pozzi di ventilazione che fungono anche da vie di fuga”.

La malattia professionale è molto comune tra chi fa questo mestiere: dei 15.000 minatori del Sulcis che alla fine degli anni cinquanta lavoravano nel cosiddetto pozzo Gordon, a 672 metri sotto il livello del mare, nemmeno uno ha superato i 48 anni di vita. La prima malattia resta la carboniosi, che colpisce le vie respiratorie, mentre l’aria ad alta pressione usata per la perforatrice provoca l’angenerosi, che interessa le mani e le terminazioni nervose. Alle malattie si aggiungono gli infortuni.

Carta racconta di due incidenti in cui è rimasto coinvolto: “Stavamo scavando un fornello, un collegamento verticale tra due gallerie per far passare aria e materiale estratto nelle metallifere: all’improvviso da una parete alta 15 metri si è staccato un masso che ha sfondato il casco del mio collega e l’ha ucciso sul colpo. Un’altra volta stavamo costruendo un sistema di sicurezza in una zona considerata pericolosa: in un attimo è venuto giù un lastrone di pietra vetrosa di circa 3 metri per 4 e largo 20 centimetri, sfiorandomi la schiena e pro- curandomi un taglio di 30 centimetri. Al mio collega invece la lastra ha spezzato l’omero e i due femori. Eravamo a circa tre chilometri dal pozzo, in una galleria in discesa. Abbiamo dovuto portarlo per tutto il tragitto a spalla. Il problema degli incidenti comunque riguarda soprattutto i precari e gli immigrati, che lavorano per le ditte appaltanti e sono meno formati degli altri”.

da Rassegna.it