Archivi giornalieri: 17 novembre 2010

Immigrazione: il mercato delle truffe

Il fallimento di una politica ipocrita

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In tempi crisi gli atti estremi diventano gli unici che riescono a catturare l’attenzione dei media. Lo hanno capito i lavoratori che protestano sui tetti per rivendicare dignità e occupazione; così pure ora gli immigrati che da una gru a Brescia e dalle torri di Milano chiedono di essere considerati cittadini-lavoratori regolari.

Che l’ultima sanatoria circoscritta alle sole colf e badanti non fosse sufficiente era già cosa nota, perciò non deve meravigliare che ora emerga in tutta la gravità il fenomeno del sommerso e dei tanti stranieri costretti in primis dalla legge Bossi-Fini, dai discutibili provvedimenti governativi sui flussi e, infine, dalla legge che ha introdotto il reato di clandestinità, a ricorrere ad ogni espediente pur di assicurarsi un futuro nel nostro Paese.
Sono sempre più numerose le dichiarazioni di immigrati che dicono di aver pagato fino a mille euro un finto contratto di lavoro, pur di rientrare nei ristretti requisiti imposti dalle normative vigenti. Una pratica-truffa figlia di una concezione sull’immigrazione che tende ad escludere e non a integrare.

Perché non riconoscere il fallimento di una politica fondata sulla ipocrisia dell’attuale governo che fa finta di non sapere che in Italia non possiamo fare a meno del lavoro degli immigrati e prosegue con la legittimazione di misure restrittive, come sono alcune ordinanze comunali?

L’Inca ha più volte denunciato le incongruenze delle procedure previste per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno e, facendosi interprete del disagio sociale, ha chiesto una sanatoria generale per tutti i lavoratori che svolgono attività in agricoltura, nell’edilizia e nei servizi. La sordità del governo su questo è totale. Il paradosso e che, continuando su questa strada, non si fa altro che aumentare l’esercito degli irregolari e sviluppare il mercato delle truffe che lo stesso governo dice di voler combattere.

Enrico Moroni, coordinatore uffici immigrazione Inca

Conferenze sulla Storia sarda


 

Giovedì 18 Novembre alle ore 16 all’Università della Terza Età di Sanluri (presso la sala dell’ex Montegranatico – fronte Castello- con accesso sulla via San Rocco) Francesco Casula

darà l’avvio a una serie di Conferenze sulla Storia sardaccc.jpg: dalla “colonizzazione” fenicia (secolo IX) all’occupazione Cartaginese (VI secolo) con la crisi della civiltà nuragica e la divisione dell’Isola in due tronconi; dal dominio di Roma e lo sconvolgimento economico, sociale, politico e culturale-linguistico della Sardegna (227-A. C.- V sec. D. C.) alla breve occupazione dei Vandali e al dominio bizantino (V-X secolo D.C.); dai Giudicati e la presenza di Pisa e Genova,. all’occupazione Aragonese; dalla dominazione spagnola al brutale dominio sabaudo, fino alla Sardegna “italiana”.
 

Nella Conferenza di Giovedì 18 Novembre si inizierà con la trattazione dell’arrivo dei Fenici prima e dell’occupazione cartaginese poi. Particolare spazio sarà dedicato:
 

1. a confutare il luogo comune –ormai messo in discussione da moltissimi storici e studiosi- secondo cui i Fenici avrebbero portato la “scrittura” in Sardegna con l’iscrizione della Stele di Nora fatta risalire al secolo IX. In realtà i sardi conoscevano ben prima la scrittura e comunque la Stele di Nora è da ascrivere al XIII-XIV secolo e non al IX secolo.
2. a mettere in rilievo come l’Isola, soccombendo ai generali Asdrubale e Amilcare , verso il 509 a.c. “la resistenza” sarda fu stroncata, “Fu –per usare la prosa di Giovanni Lilliu- domata e sospinta dalle pianure e dalle colline nelle zone montagne dell’interno, solitarie, sterili e disperate ( Iustn.XIX,1). Si può capire che l’abbandono forzato di terre che la letteratura storica greco-romana ci presenta piena di monumenti d’ogni genere e fonte di benessere materiale e civile, provocò una cesura culturale, una crisi di civiltà fra le popolazioni nuragiche. E la marcia patetica dalle <belle pianure iolaèe> ( Diod.,IV,29-30-V,15) dove gli antichi pastori e agricoltori – guerrieri lasciavano i castelli distrutti, le case fumanti, i templi profanati e le tombe dei loro morti incustodite, verso le rocce, le caverne e i boschi paurosi del centro montano, fu non soltanto una ritirata di uomini, donne e fanciulle perseguiti come vinti dal vincitore straniero e sospinti verso una carcere, quasi verso un enorme campo di concentramento naturale, ma fu anche e soprattutto la capitolazione di un’intera civiltà protesa in uno sforzo decisivo e vicina al suo pieno traguardo storico. Con la sconfitta fu pure incrinata la compattezza etnico- sociale dei Sardi della civiltà nuragica e ne risultò la prima grande divisione politica: da una parte l’Isola montana,- dei Sardi ancora liberi seppur costretti in una sorta di riserva dai conquistatori, come lo furono nel secolo XIX gli Indiani americani di Capo Giuseppe, chiusi in una riserva dell’Idaho dai bianchi del generale Miles- che continuò a esprimere una cultura genuina e autentica di pastori, per quanto impoverita e decaduta; dall’altra i Sardi più deboli, arresisi agli invasori, diventati <collaborazionisti> per calcolo o per paura furono degradati al livello di servi della gleba e confusero il loro sangue e la loro civiltà mescolandosi ai mercenari libici, schiavi gli uni e gli altri del comune padrone cartaginese. Per i sardo- punici (o sardo- libici) a cultura mista, i sogni di grandezza, già nel V secolo a.c. erano finiti nel nulla e la libertà era diventata una parola senza senso. Le madri facevano figli per essere assoldati a poco prezzo negli eserciti di Cartagine. Come le antiche “pianure iolaèe” germinavano biade e gli altopiani erbosi dei primitivi pastori ingrassavano greggi per arricchire il mercato internazionale dell’invasore e aumentarne l’insaziabile brama del potere economico e politico. Per i Sardi autentici del centro montano, a cultura tradizionale senza alcun compromesso, la libertà rappresentava ancora un valore e il suo prezzo li ripagava dei sacrifici materiali e dell’avvilimento morale in cui li aveva cacciati l’avverso destino. Schiavitù e libertà segnavano ormai una netta linea di confine fra le due parti dei Sardi: quella conformista e quella ribelle, la prima accomunata forse alla seconda al padrone nel disprezzo e nell’odio .Ed il padrone noncurante e forse lieto della divisione prosperava sulla contesa delle due Sardegne”
 

postato da: francosardo alle ore 16/11/2010 12:38 | link | commenti | categorie