Abruzzo, tante promesse ma l’economia non riparte

La tragedia delle beffe

Il terremoto dell’aprile 2009 che ha coinvolto un cratere di più di 50 paesi oltre L’Aquila, ha scosso un’economia regionale già molto provata. Ad un anno di distanza da quell’evento il bilancio delle iniziative positive del governo nazionale e del governo regionale è negativo. L’economia è ancora bloccata. Si continuano a perdere posti di lavoro e anche settori che avrebbero dovuto diventare trainanti – come quello dell’edilizia per esempio – sono in crisi profonda. Tra l’altro solo il 20% della forza lavoro utilizzata finora in edilizia dopo il terremoto è abruzzese. La tragedia e la beffa per i lavoratori della regione, mentre l’università, che era il volano dell’Aquila, non si è ancora ripresa (ci vorranno anni per tornare alla normalità), e nel settore sanitario si scontano i ritardi e si rischia di perdere altri posti di lavoro. È questo il quadro dell’economia abruzzese disegnato oggi da Gianni Di Cesare, segretario regionale della Cgil in apertura dell’undicesimo Congresso che si concluderà oggi, 25 marzo, con l’intervento della segretaria confederale della Cgil, Morena Piccinini.

“Siamo arrivati all’orribile anno 2009 con una situazione economica, di bilancio e di qualità dell’occupazione e di reddito veramente disastrosa.Secondo il segretario regionale, l’andamento del tasso di attività e di occupazione continua a tenere l’Abruzzo ben lontano dall’obiettivo assegnato dal Consiglio Europea di Lisbona del 24 marzo 2000 ai paesi, alle regioni e alla stessa Europa. Qui, quella che era stata una crescita dell’occupazione fino al 2008 si è comunque realizzata con una presenza nel mercato del lavoro di una notevole quantità di precariato e con una riorganizzazione all’interno dei settori: nel terziario si perde il lavoro più qualificato, basta ricordare la ristrutturazione e riorganizzazione del sistema creditizio, sostituito con il lavoro più povero e i call-center sono un esempio. Nel settore dell’industria diminuisce il peso dell’edilizia a favore dell’impresa manifatturiera.

Intanto le vertenze per il lavoro si moltiplicano in ogni settore, non solo nell’industria. Emblematica, per la Cgil abruzzese, è la vertenza Villa Pini, dove allo spreco di risorse di ieri si risponde con il taglio di oggi che mette in forse 1.600 posti di lavoro, con lavoratrici e lavoratori che non prendono ormai lo stipendio da quasi 12 mesi, pur avendo avuto l’obbligo, anche morale, del lavoro per non lasciare i loro pazienti senza assistenza. “Sulle zone terremotate la Regione non produce alcun intervento con il bilancio ordinario – ha spiegato Di Cesare – dopo un anno dal sisma in Friuli, nel 1976, c’erano già 16 interventi di sostegno di carattere regionale”.

“La costruzione di “case” e luoghi pubblici (progetto case, map, mar, ristrutturazione case A,B,C Musp ecc.) viene realizzata con fondi europei, donazioni e governativi. Ma quale è stato l’effetto sul lavoro degli abruzzesi nelle zone del sisma? Per adesso scarso, il lavoro in edilizia per gli abruzzesi non è cresciuto e i dati della cassa integrazione lo indicano. Hanno lavorato meno del 20% di operai edili delle nostre terre, anche il volano dell’edilizia per adesso non sta incidendo in modo significativo per i nostri lavoratori”.

La crisi abruzzese è a più facce. Di Cesare ha proposto una sua lista precisa delle crisi: il welfare locale e nazionale; la crisi del bilancio regionale; la crisi legata ai processi di globalizzazione e dell’industria; la crisi del terziario, del credito alle piccole imprese; del lavoro precario, soprattutto giovanile e femminile; del reddito; della città con il suo mercato.

Dopo una catastrofe naturale, in una crisi di queste proporzioni, la Cgil propone dunque di ridiscutere il Patto di stabilità. “La nostra Regione deve essere messa in condizione di avere le risorse necessarie per gli investimenti, per la ricostruzione, per il lavoro, per i servizi, per il turismo, per i beni comuni – ha detto Di Cesare nella  relazione introduttiva – e la Cgil non può accettare che questa regione possa seguitare ad avere il massimo della tassazione, non basata sulla progressività e con tariffe che non tengano conto della condizione di reddito delle classi sociali più deboli. Siamo disponibili ad affrontare la riorganizzazione della sanità in Abruzzo, per recuperare risorse dagli sprechi e per allocarle come investimenti in tecnologia e professionalità, realizzando una effettiva integrazione socio-sanitaria nei distretti” .

In questi mesi trascorsi dal terremoto la giunta regionale non ha espresso chiaramente una proposta concreta e non solo per l’intervento delle varie lobby ma anche per la confusione generata da tempo dal sovrapporsi di poteri e dalle varie gestioni commissariali. “È comunque possibile fare scelte nella direzione giusta – presegue Di Cesare – conferire risorse adeguate a tutti i servizi di medicina preventiva nei luoghi di lavoro occupando in questo modo un buon numero di lavoratori; non procedere alla privatizzazione dell’Ospedale di Sant’Omero; superare l’anomalia della psichiatria assegnata prevalentemente al privato per riportare la stessa allo spirito e alla lettera della legge 180; prevedere come da piano una riabilitazione con la presenza importante del pubblico; spostare l’attenzione delle politiche sanitarie verso il principio del diritto alla salute. E questo comporta respingere, anche dall’Abruzzo, il progetto delineato nel libro bianco del Ministro Sacconi, quello di uno Stato sociale minimo a partire dalla sanità. Oggi l’investimento nello stato sociale è la forma più certa per contrapporsi alla disoccupazione in modo qualitativo considerando la sanità, come la scuola, scelte nazionali e non opzioni da proporre regione per regione”.

La politica nazionale e quella regionale vanno però in un’altra direzione. In attesa della “riforma” Sacconi dello Statuto dei lavoratori, anche in Abruzzo si applica infatti l’accordo separato del 22 gennaio. “Proprio in questi giorni – ci ha informato Di Cesare – abbiamo già avuto un esempio emblematico: la Banca Intesa san Paolo assume lavoratori a L’Aquila con il 40% in meno di stipendio (20% perché è in apprendistato, 20% in applicazione dell’accordo separato). Più ore di lavoro e meno ferie. I lavoratori dell’Aquila avrebbero bisogno di più salario e più diritti, e non va spiegato perché”. Vista la situazione così grave, e visto che il terremoto, insieme alla grande crisi, sta cambiando gli assetti dell’economia della regione, secondo Di Cesare “non è possibile fermarsi a proposte estemporanee”: è per questo che ha lanciato l’idea di una conferenza di programma della Cgil regionale che vada oltre gli appuntamenti istituzionali del sindacato. “Alla luce di questa emergenza – ha concluso – ci vuole uno scatto all’altezza della situazione”.

Rassegna.it

Abruzzo, tante promesse ma l’economia non riparteultima modifica: 2010-03-28T09:59:43+02:00da vitegabry
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