Le contraddizioni di un paese democratico
“Anche quando non vogliono fare sanatorie, i governi hanno attenzione per i casi individuali: mi sembra che questa sentenza rappresenti un passo indietro e anche una contraddizione con i paesi democratici”. Maurizio Ambrosini, sociologo all’università Statale di Milano, commenta la sentenza della Cassazione sfavorevole a un papà albanese che aveva chiesto di rimanere in Italia per stare vicino ai propri figli che frequentano la scuola.
“Fermo restando il dubbio sulle motivazioni della sentenza, di cui non ho avuto modo di leggere il testo, in base alle informazioni che ci sono posso dire che negli ordinamenti dei paesi democratici ci sono dei principi di flessibilità che consentono di dare il permesso di soggiorno a persone che sono sul territorio da anni e che hanno qui una famiglia, figli che vanno a scuola e che hanno attuato processi di integrazione sul territorio -prosegue Ambrosini-. Mi sembra che questa sentenza rappresenti un successo della retorica securitaria, perché anche l’immigrato sul territorio da anni e che ha i figli che vanno a scuola qui è sempre sotto sorveglianza e sotto pregiudizio di pericolosità. Per cui quando vengono meno le ragioni economiche immediate del suo utilizzo lavorativo, diventa un soggetto da espellere, quale che sia la sua condizione familiare e sociale. E questo mi sembra un principio pericoloso, anche perché in questo modo si aprono diversi scenari”.
Quali? “Primo, che lo straniero che rimane qui può essere deportato da un momento all’altro -continua Ambrosini-; secondo, che, se il padre che lavora se ne va, la famiglia diventa un onere per le casse dello Stato; terzo, il padre che non può guadagnare onestamente potrebbe pensare di guadagnarsi da vivere in altro modo; quarto, se la famiglia se ne andasse, verrebbe pregiudicato l’interesse prevalente dei minori all’istruzione”.
“La sentenza è deplorevole – conclude il sociologo -, mi addolora molto e va in controtendenza con il ruolo delle corti di giustizia di altri paesi di far avanzare la frontiera dei diritti nei confronti della pretesa degli Stati che, mai come ora, esercitano un potere di posizionamento e di mobilità dei diritti individuali nei confronti degli immigrati. Così com’è la sentenza mi addolora e spero che si mobilitino le forze vive della società civile in difesa del diritto di vivere con la propria famiglia anche per i poveri e i disoccupati. Un diritto superiore e meritevole di tutela: dovrebbe infatti essere onere dello Stato dimostrare che l’immigrato rappresenta un pericolo per la sicurezza. Ricordiamoci poi che l’attuazione dell’espulsione è ben diversa dai decreti di espulsione, la cui efficacia è tutta da verificare”.