Archivi giornalieri: 6 aprile 2024

I VIAGGIATORI ITALIANI E STRANIERI IN SARDEGNA (Alfa Editrice)

I VIAGGIATORI ITALIANI E STRANIERI IN SARDEGNA (Alfa Editrice)
L’opera contiene la testimonianza di 37 personaggi (18 italiani e 19 stranieri: tedeschi, francesi, inglesi) che visitano la Sardegna (fuorché i primi due di cui si parla nel libro; Cicerone e Dante) e sulla nostra Isola scrivono.
Sono soprattutto scrittori, romanzieri e giornalisti (ricordo fra gli altri Honoré de Balzac e Vittorini, Levi e Lawrence, Valery e Bontempelli Savarese e Lilli); ma anche linguisti (Wagner) e letterati (Boullier), politici (Cattaneo, De Bellet) e antropologi (Mantegazza e Cagnetta), docenti universitari (Gemelli e Le Lannou), militari (La Marmora e Smyth, Domenech e Bechi), ecclesiastici (il pastore protestante Fuos e il gesuita Padre Bresciani), nobili (Francesco d’Este, Von Maltzan.), archeologi (Harden) e fotografi (Delessert), imprenditori (Tennant).
I giudizi e le valutazioni sulla Sardegna e sui sardi sono i più vari
Quelli di Cicerone sono infamanti e insultanti: i Sardi sono dipinti come ladroni con la mastruca (mastrucati latrunculi), inaffidabili e disonesti la cui vanità è così grande da indurli a credere che la libertà si distingua dalla servitù solo per la possibilità di mentire: la loro inaffidabilità – secondo l’oratore romano – viene da lontano, dalle loro stesse radici che sono rappresentate dai Fenici e dai Cartaginesi. Di qui l’accusa più grave, oggi diremmo “razzistica”: dal momento che nulla di puro c’è stato in questa gente nemmeno all’o¬rigine, quanto dobbiamo pensare che si sia inacetita per tanti travasi?.
Per Dante – per cui nessun isolano è degno di stare in Paradiso, molti invece vengono collocati nell’Inferno – i Sardi, fra tutti i Latini, sembrano proprio gli unici a non disporre di un proprio volgare imitando la grammatica latina come le scimmie imitano gli uomini!
Per l’Anonimo Piemontese, l’economia sarda è dominata da attivissimi e scaltrissimi genovesi, livornesi e napoletani. Tale situazione è dovuta alla poltronite naturale alla nazione sarda…e al difetto d’industria.
Invece secondo il gesuita Padre Gemelli che soggiornerà in Sardegna dal 1768 al 1771, l’arretratezza della Sardegna e segnatamente della sua agricoltura è da ricondurre alle terre comunitarie:Nasce tutto il disordine dalla comunanza o quasi comunanza delle terre. E dunque la terapia è molto semplice : Distruggasi quindi questa comunanza o quasi comunanza delle terre in Sardegna, concedendole in perfetta e libera proprietà alle persone particolari; e otterrassi di certo il disiato rifiorimento dell’agricoltura ne’ seminati, ne’ pascoli, nelle piante, e in ogni parte della rustica economia.
Anche il tedesco Fuos, ritorna ossessivamente sul “vizio” già denunciato dall’Anonimo Piemontese ovvero che ai Sardi sarebbero connaturati : L’oziosità e la pigrizia…e il difetto d’industria.
Mentre l’inglese Henry Smyth, da buon protestante, addebita alla Chiesa di Roma le superstizioni in cui, abbondantemente, i Sardi sarebbero ancora immersi.
Padre Bresciani, che visitò per ben quattro volte l’Isola fra il 1843 e il 1846, riscontra nei costumi de’ Sardi certe medesimezze con quelle dei primi popoli d’Asia, che non potrei dire quanto me ne sentissi riscosso e stupito.
Secondo Lamarmora la Sardegna ha le caratteristiche di un’Isola-continente dove entro limiti ristretti si aveva una varietà di aspetti così grande degni di richiamare l’attenzione dell’osservatore […]:varietà di montagne, di terreni, di miniere, di fossili.
Francesco d’Austria-Este esprime giudizi molto severi sui vicerè: Riguardavano comunemente la Sardegna come un esilio – scrive – in cui stavano tre anni per arricchirsi, o farsi meriti presso la loro corte.
Altrettanto severo Francesco d’Este è nei confronti del clero, specie nei confronti dei preti più ricchi che abitavano in genere nelle città, essi infatti – secondo il duca – menano una vita pigra, comoda per la più parte, e molti anche scandalosa pubblicamente con donne.
Valery è entusiasta per l’ospitalità dei Sardi che è allo stesso tempo una tradizione, un gusto e quasi un bisogno per il sardo; di contro un altro francese, Honoré de Balzac, risentito per non essere riuscito nella sua impresa in Sardegna di arricchirsi attraverso lo sfruttamento delle scorie delle miniere d’argento abbandonate nella Nurra, vaneggia di uomini e donne nude come selvaggi, domiciliati in tane e abbruttiti dalle foreste, che addirittura mangiano un pane fatto di farina mista ad argilla. L’Africa comincia qui – scrive – ho intravisto una popolazione in cenci, tutta nuda, abbronzata come gli etiopi..
Secondo il milanese Carlo Cattaneo i Sardi, quasi incatenati da forza arcana di tradizioni non seppero dalla rude vita pastorale e dell’aratore levar la mente alle imprese marittime, alle arti, alli studi.
L’inglese Tyndale analizza la realtà sarda, ai suoi occhi selvaggia e misteriosa, studiandone l’intricato ordito storico, economico, politico, sociale e culturale contestualmente a dati scientifici e curiosità. Seppur affascinato da questa terra esotica e primitiva, non trascura di sottoporne al lettore le problematiche più scottanti, tracciando un quadro a tutto tondo de L’isola di Sardegna; di contro il francese Jourdan, deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, sfoga il suo malumore lanciandosi in contumelie,insulti e diffamazioni contro i Sardi e la Sardegna rimasta ribelle alla legge del progresso, terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi: una Sardegna insomma come un focolare spento, carica di barbarie.
L’intento è solo quello di denigrare l’Isola, presentata solo come terra di banditi, misera e arretrata. Jourdan riesce perfino a falsificare la realtà dei Nuraghi scrivendo che si tratta di rovine, peraltro insignificanti perché resti incontrati vicino al mare in tre o quattro punti (sic!). Questi Noraghi – scrive il francese – misteriosi e giganteschi, se so¬no una prova delle dominazioni subite, non sono però né così numerosi né così importanti da attestare una civiltà decadente.
Al contrario, per un altro francese, Domenech, la Sardegna, sempre trascurata dal suo governo, ignorata e poco conosciuta dai turisti,ha per questo conservato fino a oggi le sue caratteristiche originali, eccezionali, e la sua fisionomia orientale e primitiva; tanto che è colpito dall’analogia delle usanze sarde con ciò che aveva letto nella Bibbia e in Omero e dove ritrova popolazioni ardenti, simpatiche,, buone, anime fortemente temperate, virtù patriarcali, difetti moderni, bizzarrie rispettabili, grandezza e poesia.
Dell’inglese Tennant sono estremamente interessanti e in qualche modo ancora attuali alcune proposte che attraversano tutta la sua opera, La Sardegna e le sue risorse: ad iniziare dalla necessità di una serie di intraprese tese a valorizzare la produzione locale per favorire le esportazioni e ridurre le importazioni. Individua a questo proposito i settori portanti dell’economia sarda sui quali intervenire: l’agricoltura, le miniere, le piccole industrie, la lavorazione in loco delle materie prime, una politica fiscale meno vessatoria, il turismo, grazie anche all’ambiente incontaminato e all’amenità dei luoghi, unito ai monumenti antichi unici al mondo.
Il francese Delessert, da letterato e fotografo, nel suo viaggio in Sardegna, è attratto dagli aranceti di Milis, dalle feste in costume e soprattutto dai balli all’aperto, dall’illuminazione della Grotta di Nettuno ad Alghero, dalle serenate e da su fastiggiu (il colloqui d’amore dalla finestra).
L’italiano Mantegazza, sociologo, economista e medico, denuncia invece l’abbandono e l’isolamento in cui è lasciata dai poteri centrali; l’uso di mandare nell’Isola, come una Siberia d’Italia funzionari rozzi, inetti, ignoranti o addirittura colpevoli; l’assalto dell’Isola da parte di avidi speculatori che, per esempio strappano le foreste, lembo a lembo, con feroce vandalismo; l’estrema povertà e insufficienza dell’ordinamento scolastico…gli ergastolani che gli fanno pensare che la società si vendica più di quel che si difenda.
Un altro francese, Boullier, innamorato della Sardegna, in due opere sui canti popolari e sui costumi dei Sardi, raccoglie, commenta ma soprattutto fa conoscere in Francia molta poesia popolare sarda, mentre l’italiano Aventi, conduce in Sardegna un’inchiesta agraria che, nata inizialmente come studio del progetto di colonizzazione della valle del Coghinas, si estende alle altre parti del territorio, considerato dal punto di vista dell’agronomo come vergine, incontaminato, dove cioè il margine di progresso della tecnica è vastissimo, dove tutto è da fare, tutto da innovare, per metterla parallela alle cognizioni e al progresso di parecchie Provincie del Continente.
Il Vuillier, pittore, disegnatore e scrittore francese della fine del XIX secolo, per quanto attiene alla nostra Isola descrive molto spesso donne e uomini con i costumi tradizionali dei vari paesi ma anche rappresentazioni di danze (del duru-duru), panorami, paesaggi e località, edifici, monumenti, chiese, scene agresti e persino oggettistica.
Un altro italiano invece, Corbetta, nel suo libro dedicato alla Sardegna, tratta soprattutto della geografia, la storia, gli usi, le istituzioni, le antichità e l’economia corredata da molte statistiche.
L’inglese Edwardes consegna, attraverso pagine ora irreali ora scrupolose, ma quasi sempre appassionate, l’immagine della Sardegna all’Europa. Fra gli inglesi che visitarono la Sardegna nell´Ottocento, Charles Edwardes occupa infatti un posto del tutto particolare. La sua curiosità, si esercita in direzione non solo del paesaggio, ma anche della gente dell´Isola, delle differenze fra i cittadini e le popolazioni dell´interno. Il suo resoconto di viaggio assume così il senso e il significato di un continuo confronto di uomini e mentalità, alla ricerca del volto autentico dei Sardi.
Bechi invece, militare e scrittore, nel libro La caccia grossa, descrive episodi di “caccia” al bandito, come fosse un cinghiale selvatico, rivelando una mentalità coloniale,poliziesca e inumana.
Roissard de Bellet, nobile francese, pur trattenendosi in Sardegna qualche settimana appena scrive il suo libro sull’Isola dando molto risalto alla storia e, segnatamente, alla storia dei nuraghi, ai costumi e alle tradizioni dei Sardi ma soprattutto alle miniere, il vero interesse del barone francese, settore peraltro in cui mostra grandi conoscenze. La Sardegna – secondo De Bellet – è ricca di molti minerali fra cui la galena, la blenda, la pirite, le cerusite, l’ematite,il nickel, il cobalto. Ma anche di piombo, zinco argento. Sono inoltre presenti sorgenti minerali di acque alcaline, iodate, sulfuree, acidule. Ma forse la sua annotazione più importante e significativa è il riconoscimento di una Letteratura sarda::”Si è diffusa una letteratura sarda, esattamente come è avvenuto in Francia del provenzale, che si è conservato con una propria tradizione linguistica”.
Bontempelli, nelle sette pagine che dedica alla Sardegna nel suo libro Stato di grazia, racconta il suo viaggio a cavallo per i paesi dell’interno, della Barbagia di Ollolai. Ma si tratta di una descrizione che niente ha a che vedere con la realtà effettuale dell’Isola, piuttosto rientra nella sua “poetica”, nel suo realismo magico, governato dalla immaginazione e dalla fantasia, così come lo aveva teorizzato in varie opere.
L’inglese Flitch, approda in Sardegna alla fine di un tour nelle Isole del Mediterraneo. Descrive un’Isola un po’ troppo di maniera ma emerge anche una umanità diversa e inedita; una borghesia vista in un modo scanzonato, gli abitanti dei sottani cagliaritani descritti nella loro primitività, la gente osservata con acutezza, nei suoi pregi e nei suoi difetti.
Il siciliano Savarese, in forma essenziale e con un taglio giornalistico, racconta aspetti segreti o poco noti della terra sarda : un lembo di terra ancora umido di una freschezza verginale. In tale narrazione Savarese, che intuisce i cambiamenti che stanno per investire l’Isola, evidenzia una forte preoccupazione che, riletta a posteriori, si rivela premonitrice di una situazione ancora oggi molto attuale.
Lawrence nel suo libro Sea and Sardinia (Mare e Sardegna), descrive una Sardegna in cui è presente l’elemento autobiografico, il culto per la natura intatta e selvaggia e la primigenia istintività, l’esaltazione dei rapporti fisici visti come manifestazione vitalistica di somma importanza, la filosofia del racconto mitico basata sulla sua visione del cosmo e delle pulsioni vitali dell’uomo.
Wagner, dopo aver visitato la Sardegna in lungo e in largo, per studiare la lingua sarda e le tradizioni popolari, ci ha lasciato opere monumentali come il Dizionario etimologico sardo, La Lingua sarda i La vita rustica mentre, di contro, l’archeologo inglese Harden, non solo ci insulta, (parla di Sardegna, regione sempre retrograda) ma ci racconta un mucchio di balle storiche, archeologiche e linguistiche.
Il giornalista Virgilio Lilli, nel suo Viaggio in Sardegna ci consegna intatto il fascino dell’improvvisazione, tipico del reportage giornalistico; in questa circostanza l’esperienza di Lilli pittore e fotografo si somma a quella dello scrittore, che coglie gli aspetti più suggestivi dell’Isola come attraverso una serie di brevi ma intensi flashes; mentre il libro sulla Sardegna di Vittorini, che ha lo stesso titolo, Viaggio in Sardegna appunto, come scrive Geno Pampaloni, lo possiamo considerare un reportage e…un libro composito: un po’ poema in prosa, un po’ recensione di paesaggi e figure, un po’ aneddotica di racconto, un po’ (è il tono dominante) lirica moralità: una forma nuova per Vittorini e a lui subito congeniale.
Un altro grande scrittore italiano invece, Carlo Levi in Tutto il miele è finito descrive una Sardegna di pietre e di pasto¬ri, e di uomini moderni e vivi. Corriamo così attraverso imma-gini rapidissime, dove ogni momento è gremito di visioni. Tro¬viamo le querce e i prati di asfodeli, i pipistrelli delle domus de janas, le greggi, le sacre capre mannalittas, i nuraghi, le roc¬ce e il mare, e il Sopramonte deserto e feroce; gli operai, gli emigranti, gli uomini, e l’incedere divino delle antiche donne¬regine:così viene presentato dalla casa editrice Einaudi il suo libro.
Il francese Le Lannou considera la Sardegna come un grande mosaico di terra, le cui tessere siano state furiosamente scompigliate. E la montagna sarda è tutta paccata, fessurata, divisa da grandi gote, un tempo pressoché invalicabili. Una montagna difficile, aspra, severa: una montagna vera. Questa durezza della tettonica sarda ha anche avuto due conseguenze storiche, che hanno operato direttamente sulle vicende e il caratteri del sardi: ha isolato i villaggi l’uno dall’altro, alimentando nei secoli la disunione e l’estraneità fra gruppi pure contigui (dunque, impedendo la nascita di una più vasta unità “nazional-regionale”) e, secondo, ha isolato la montagna dal resto dell’isola, rendendone difficili gli accessi e spesso negando alta montagna più frequenti contatti con le pianure “civilizzate”.
Infine, l’ultimo “viaggiatore” e osservatore della Sardegna e delle cose sarde, che presentiamo in questo volume, l’italiano Cagnetta, in Banditi a Orgosolo, denuncia lo sfruttamento, la repressione poliziesca e nel contempo l’espropriazione etno-culturale, operate dallo Stato italiano, segnatamente nei confronti dell’area barbaricina, di cui Orgosolo è solo l’esempio paradigmatico.
Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "Francesco Casula IVIAGGIATORI ITALIANI E STRANIERI IN SARDEGNA ALFA EDITRICE"
 
 
 
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San Pietro da Verona

 

San Pietro da Verona


Nome: San Pietro da Verona
Titolo: Sacerdote e martire
Nome di battesimo: Pietro Rosini
Nascita: 1200, Verona
Morte: 6 aprile 1252, Seveso
Ricorrenza: 6 aprile
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
24 marzo 1253, Roma, papa Innocenzo IV
Nacque a Verona, l’anno 1200. Benché i suoi genitori e tutti i suoi parenti fossero manichei, il nostro Pierino, protetto dalla divina grazia, rimase illeso da questa particolare religione, poiché a sette armi fu mandato dal padre ad una scuola cattolica, ove assieme ai primi elementi apprese la dottrina apostolica.

Un suo zio vedendo il grande amore del fanciullo per la religione cattolica, tanto fece che lo tolse da quella scuola.

Di comune accordo con il padre fu mandato all’Università di Bologna, ambiente allora di sfrenata scostumatezza.

Quanti fiori in mezzo a tanta decadenza erano appassiti! Ma il giglio olezzante di Pietro, la candida sua anima, fu dal Divino Giardiniere serbata immacolata.

Stomacato per tanto male, decise di abbandonare tutto e tutti e si chiuse nella pace del chiostro domenicano, sotto la guida del suo santo Fondatore.

Suo principale studio era imitare i più fervorosi e cercare d’emularli.

Ancora novizio, cadde in una gravissima malattia, che mise in pericolo la sua preziosa esistenza; per grazia di Dio superò questa crisi e, nonostante rimanesse assai indebolito, s’applicò agli studi così che meritò, ancora chierico, la cattedra di Sacra Scrittura e di teologia del suo convento. Fin d’allora con grande sapienza e zelo difese la dottrina cattolica e confutò gli eretici.

Consacrato sacerdote, fu un instancabile ministro della parola di Dio nell’Italia Settentrionale e Centrale; migliaia erano le conversioni ch’egli operava colla sua parola e innumerevoli le anime che indirizzò alla santità.

A suggello del suo apostolato, egli chiese al Signore il martirio, ma Gesù volle prima sottoporlo a un’altra prova, per meglio prepararlo a questo atto eroico.

Fu accusato da alcuni confratelli d’aver introdotto nella sua cella persone d’altro sesso ed essersi intrattenuto a lungo con esse.

Pietro senza punto affermare o negare, umilmente confessò d’essere un grande peccatore.

Il Superiore credendolo colpevole, gli proibì di predicare e lo mandò come penitente al convento di Jesi. Ma l’innocenza trionfa sempre e Pietro riconosciuto innocente fu d’allora in poi ammirato e venerato dagli stessi accusatori. Fu pure premiato dal Signore, il quale infuse nuova grazia alle sue prediche. Ma gli eretici vedendo l’immenso bene che compiva, pensarono di togliergli la vita.

Martirio di San Pietro da Verona

titolo Martirio di San Pietro da Verona
autore Mattia Preti anno dopo il 1687

Conosciuta la via che avrebbe percorso per portarsi a Como, si posero in agguato, e al suo passaggio, assalitolo a colpi di sciabola l’uccisero il 6 aprile 1252. Prima di spirare balbettò una volta ancora il Credo, mentre il dito della sua destra, intinta nel proprio sangue scriveva nella sabbia: « Credo ».

PRATICA. Cristiano, il Credo è il simbolo della fede cattolica che professi: esso riassume la verità della religione. Recita tutti i giorni questa ammirabile preghiera.

PREGHIERA. Fa’, te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che imitiamo la fede del tuo martire Pietro quale per la dilatazione della stessa fede, meritò di ottenere la palma del martirio.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Milano la passione di san Pietro, dell’Ordine dei Predicatori, Martire, ucciso dagli eretici per la fede cattolica

ICONOGRAFIA

Nell’iconografia San Pietro viene raffigurato quasi sempre in abito domenicano con un libro in una mano, la palma del martirio nell’altra e con il capo trafitto da una roncola o un grosso coltello.

San Pietro martire

titolo San Pietro martire
autore Pedro Berruguete anno 1493-99

Anche nelle scene del suo martirio San Pietro ha sempre gli stessi abiti da domenicano. La storia del suo assassino, tale Carino da Balsamo, in un certo qual modo ricorda la storia di S. Paolo che si convertì dopo aver ucciso tanti cristiani. Cos’ anche, l’uccisore di S. Pietro, convertitosi, vestì egli stesso l’abito di terziario domenicano e morì in concetto di santità nelle Marche, venendo elevato dalla Chiesa alla gloria degli altari e venerato come Beato Carino da Balsamo. Scrive un insigne domenicano, autore di una vita del Santo celebrato oggi, che: «Carino fu perdonato e si pentì del suo tremendo delitto; convertitosi, egli chiese di potersi ricoprire dell’abito che indossava il dolce servo del Signore, e finì fratello laico in un convento domenicano delle Marche dove si dedicò al lavoro e a tale durissima penitenza d’espiazione che il popolo lo venerò dopo la morte come beato».

Martirio di San Pietro martire

titolo Martirio di San Pietro martire
autore Pedro Berruguete anno 1493-99
Trittico con storie di S. Pietro da Verone: Miracolo della falsa Madonna ovvero S. Pietro rompe il giogo satanico degli eretici; Martirio di S. Pietro da Verona; Miracolo della nube

titolo Trittico con storie di S. Pietro da Verone: Miracolo della falsa Madonna ovvero S. Pietro rompe il giogo satanico degli eretici; Martirio di S. Pietro da Verona; Miracolo della nube
autore Jeremias Mittendorff anno XVII sec.

Spesso viene anche raffigurato insieme ad altri santi di notevole importanza come il dipinto di Giovanni Battista Cima da Conegliano insieme a San Benedetto e San Nicola di Bari oppure come nella tela di Juan de Borgoña con Maria Maddalena, Caterina da Siena e beata Margherita d’Ungheria.

San Pietro martire con i Santi Nicola di Bari e Benedetto

titolo San Pietro martire con i Santi Nicola di Bari e Benedetto
autore Giovanni Battista Cima da Conegliano anno 1504
SS. Maria Maddalena, Pietro martire, Caterina da Siena e beata Margherita d'Ungheria

titolo SS. Maria Maddalena, Pietro martire, Caterina da Siena e beata Margherita d’Ungheria
autore Juan de Borgoña anno 1515 circa