L’autunno caldo del 1969, dopo le grandi lotte studentesche del 68, è il momento culminante di quella che Paul Ginsborg ha definito «l’epoca delle azioni collettive», divenendo anche un elemento costitutivo dell’identità di un’intera generazione. Non un’increspatura della storia di quegli anni, il precipitato e il coagulo di processi di trasformazioni profonde dell’economia, dei modi di pensare e degli stessi comportamenti collettivi. La piattaforma contrattuale, nel corso delle lunghe vertenze per il rinnovo, grazie anche a forti spinte dal basso, a manifestazioni spontanee e all’esito delle consultazioni della base, acquisisce una connotazione fortemente egualitaria, con una drastica riduzione della forbice tra i diversi livelli di categoria, l’abolizione delle gabbie salariali delle diverse regioni e la parificazione retributiva, per uguali mansioni, tra uomini e donne.
I forti incrementi salariali, accompagnati da significative riduzioni dell’orario di lavoro, determinano una redistribuzione dei profitti e l’ineludibile, tardivo adeguamento dei compressi livelli salariali italiani a quelli di altri paesi europei. Si ha anche la conquista dei diritti sindacali in fabbrica, a partire dal diritto di assemblea. Un’indubbia novità è rappresentata dalla presenza e dal ruolo dei giovani operai, i tanti cosiddetti «operai massa». Nonostante le iniziali diffidenze da parte delle tradizionali maestranze qualificate e politicizzate, superano rapidamente marginalità e molteplici sudditanze, divenendo il nerbo dei rinvigoriti e rinnovati sindacati confederali e delle nuove esperienze di organizzazione di base.
Con l’approvazione, il 20 maggio del 1970, dello Statuto dei lavoratori s’istituzionalizza anche l’inserimento di alcuni elementari principi di civiltà delle relazioni sindacali nei luoghi di lavoro, conquistando un diritto di cittadinanza nelle aziende con i consigli di fabbrica unitari, aperti anche ai non iscritti, che occupano il posto delle vecchie commissioni interne. L’autunno caldo ha costituito anche l’occasione e il contesto per una forte e diffusa interiorizzazione, all’interno della classe operaia e anche attorno ad essa, segnatamente nel mondo della scuola e della nuova intellettualità diffusa, della convinzione che l’eguaglianza e la partecipazione non sono dei principi astratti, ma dei valori discriminanti che fondano la democrazia di un paese e di una comunità.
Nel lungo ciclo di lotte, che non si esaurisce nella sola stagione dell’Autunno caldo, l’operaio, segnatamente quello della grande fabbrica, occupa anche la scena pubblica, divenendo anche una figura simbolo dell’immaginario collettivo. Forse anche per questo nei primi anni Settanta gli operai dopo aver conquistato e occupato le piazze, occupano e riempiono anche gli schermi. È d’obbligo il rinvio al denso numero degli Annali del 2011 dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, dal titolo Ciak, si lotta! Il cinema dell’Autunno caldo in Italia e nel mondo, nel quale sono pubblicati saggi di studiosi italiani e stranieri e preziose testimonianze dei leader carismatici della Fiom, Fim e Uilm, Bruno Trentin, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto, nonché di Ugo Gregoretti, il regista che ha diretto due film documentari straordinari sulle lotte operaie di quella stagione: Apollon: una fabbrica occupata del 1969 e Contratto del 1970.
Nell’annale dianzi citato è pubblicata anche un’esaustiva filmografia ragionata sulla vastissima produzione documentaria. Per quanto riguarda quella fiction, è sufficiente ricordare che sono una decina i film, dei generi più diversi, dai film politici, alla commedia scollacciata: da Trevico-Torino…viaggio nel Fiat-Nam di Ettore Scola, a La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, Mimì metallurgico ferito nell’onore di Lina Wertmüller, fino alla Califfa di Alberto Bevilacqua e a Il Padrone e l’operaio di Steno.
A mio parere, tuttavia, il film più straordinario è Romanzo popolare di Mario Monicelli, del 1974, che si avvale, per la sceneggiatura, dell’intelligente collaborazione di Age e Scarpelli e, per la colonna sonora, di Enzo Jannacci. Monicelli con fine intuito storico-antropologico, constata come uno dei portati, allora percepiti come definitivi, di quel ciclo di lotte sociali e operaie, fosse il conseguimento di una nuova, matura e consapevole, identità nazional-popolare, raggiunta per la prima volta, a oltre un secolo dall’unificazione nazionale. Rappresentanti esemplari ne sono, nel film, l’operaio metalmeccanico lombardo, Giulio Basletti (Ugo Tognazzi), la giovanissima operaia immigrata Vincenzina (Ornella Muti), il giovane poliziotto, meridionale immigrato (Michele Placido), coinvolto anch’esso, non solo per il suo ruolo di tutore dell’ordine, nei grandi e epocali mutamenti dei quali l’Autunno caldo è il portato,