Archivi giornalieri: 15 maggio 2020

Libera

Luigi Ciotti su insulti a Silvia Romano

“Gli insulti e le offese a Silvia dimostrano come quanto sia ancora malato il nostro Paese.Il virus, in questo caso, si chiama “capro espiatorio”.”

Gli insulti e le offese a Silvia dimostrano come quanto sia ancora malato il nostro Paese.

Il virus, in questo caso, si chiama “capro espiatorio”. È il bisogno di costruire un nemico simbolico – chiamato ora “traditore”, ora “reprobo”, ora “impuro” – contro cui una comunità incattivita scarica il suo odio e la sua rabbia, e così nasconde agli altri e a se stessa le storture al proprio interno, la propria ingiustizia e la propria mancanza di umanità. Il capro espiatorio serve a dare illusoria compattezza a comunità disgregate.

Silvia è una giovane donna che è andata in Africa per lavorare in un orfanotrofio e che ha vissuto il trauma terribile di un sequestro di persona. Liberata dopo un anno e mezzo, ha dichiarato di aver cambiato nome e di essersi convertita all’Islam durante la prigionia.

Una comunità degna di questo nome dovrebbe darle il tempo di elaborare la sua esperienza, capire come ha influito sulla sua interiorità la terribile esperienza della prigionia. Sono vicende che non possono essere guardate da fuori con occhio freddo, giudicante o, peggio, cinico. Una comunità vera sa mettersi nei panni degli altri, a maggior ragione se gli altri soffrono o hanno sofferto. L’empatia è il collante della civiltà. Senza empatia precipitiamo nella barbarie.

Quanto alla conversione all’Islam, non tutti i musulmani sono integralisti così come non tutti i cattolici sono reazionari. La fede autentica chiama in causa la coscienza e la responsabilità. È una faticosa ricerca di verità, non un imporre certezze travestite da verità.

Sono certo che Silvia arriverà col tempo a capire quanto c’è di autentico nella sua conversione e quanto di dettato dalle contingenze terribili vissute. Nel frattempo dobbiamo lasciarla in pace e gioire con lei e per lei del suo essere viva.

Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele

Libera

“Mi auguro fortemente che, superata questa emergenza sanitaria, non ci dimenticheremo la lezione che la lotta al virus ci ha insegnato: che per sconfiggere il male, qualsiasi male, bisogna cooperare, essere solidali, avere cura del bene comune senza abbandonare i deboli, i poveri, i diversi e i migranti. Solo il “noi” può darci sicurezza, speranza e futuro. Non torniamo a un’umanità malata.” Luigi Ciotti
LUIGI CIOTTI // NEWS Luigi Ciotti su insulti a Silvia Romano

“Gli insulti e le offese a Silvia dimostrano come quanto sia ancora malato il nostro Paese.”

LUIGI CIOTTI // LIBRO L’amore non basta, il nuovo libro di Luigi Ciotti

Attraverso il lavoro del Gruppo Abele, l’esperienza di Libera contro le mafie, un racconto in controluce delle vicende cruciali della recente storia del nostro Paese.

SCUOLE // CITTADINANZA ATTIVA Distanti ma uniti

Le proposte di Libera Formazione per percorsi a distanza di cittadinanza responsabile.

ALAS – AMÉRICA LATINA ALTERNATIVA SOCIAL // LIBERA IN AMERICA LATINA Lettera delle madri e dei familiari delle vittime delle favelas di Rio de Janeiro

“Siamo le voci dei nostri figli. Uccisi , torturati e giustiziati. Non hanno ucciso solo i corpi. I nostri figli avevano anche nomi, volti e storie. Cerchiamo giustizia per continuare a restare in piedi.”

#GIUSTAITALIA // LUIGI CIOTTI #Giustaitalia. Patto per la ripartenza

Un manifesto per far ripartire l’Italia uscendo dalla cultura dell’emergenza e affermando quella delle regole.

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Decreti

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in evidenza

DECRETI-LEGGE – NUOVE REGOLE DI AGGIORNAMENTO

A partire dal mese di agosto 2019 è stata revisionata la regola per l’aggiornamento degli atti modificati dai Decreti-Legge.

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6 maggio 2020 – “CORONAVIRUS – MISURE URGENTI A SOSTEGNO DELL’ECONOMIA”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 23.

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6 maggio 2020 – “CONSULTAZIONI ELETTORALI 2020 – DISPOSIZIONI URGENTI”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 20 aprile 2020, n. 26.

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5 maggio 2020 – “CORONAVIRUS – MISURE URGENTI PER FRONTEGGIARE L’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 25 marzo 2020, n. 19.

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5 maggio 2020 – “CORONAVIRUS – ANNO SCOLASTICO ED ESAMI DI STATO”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 8 aprile 2020, n. 22.

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5 maggio 2020 – “LAVORO DIPENDENTE – RIDUZIONE DELLA PRESSIONE FISCALE”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 5 febbraio 2020, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla Legge 2 aprile 2020, n. 21.

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21 aprile 2020 – “CURA ITALIA”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18.

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14 aprile 2020 – “MILLEPROROGHE”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 30 dicembre 2019, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 febbraio 2020, n. 8.

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30 marzo 2020 – “DECRETO INTERCETTAZIONI – CONVERSIONE IN LEGGE”

La Banca Dati è aggiornata in multivigenza con le modifiche apportate dal Decreto-Legge 30 dicembre 2019, n. 161, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 febbraio 2020, n. 7.

il manifesto

 

 
 
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Condizionare i finanziamenti europei all’Ungheria, compresa la partecipazione all’imminente Piano di rilancio, al rispetto dello stato di diritto. Lo ha chiesto ieri il Parlamento europeo, invitando anche il Consiglio a proseguire con le sanzioni dell’articolo 7, procedura avviata nel 2018 contro Budapest (e la Polonia).

La Commissione però frena. La commissaria Vera Jourova ha spiegato ieri che per il momento non aprirà una procedura di infrazione contro Budapest sulla gestione dell’emergenza, anche se mette in atto «una valutazione quotidiana» della situazione, con «una preoccupazione particolare» per quello che sta succedendo in Ungheria, paese che auspica ritorni «nel campo della democrazia».

PER IL PARLAMENTO EUROPEO, l’Ungheria infrange i valori europei approfittando della crisi del Coronavirus, con la proclamazione di uno stato d’emergenza senza limiti di tempo e con la restrizione della libertà di espressione. La Commissione esamina in particolare le leggi di emergenza imposte da Viktor Orbán, che legifera per decreto e limita il diritto del lavoro. Sul caso di due persone arrestate con l’accusa di aver diffuso fake news sul Covid-19, la Commissione «valuta» se è possibile agire su base legale.

IL 30 MARZO SCORSO, Orbán ha decretato lo stato d’emergenza illimitato e ne ha subito approfittato per dimezzare i finanziamenti di partiti politici e per togliere soldi agli enti locali, in particolare alle città, come Budapest, governate dall’opposizione. Sono state inoltre create zone economiche speciali, con meno diritti per i lavoratori, i militari sono presenti negli ospedali (dove sono stati di autorità ridotti 10 mila letti per i servizi non dedicati al Covid-19) e anche nei supermercati.

L’Ungheria è sotto osservazione per il non rispetto della regolazione europea sulla protezione dei dati. Inoltre, ieri, la Corte di giustizia europea, sollecitata dal Comitato Helsinki Ungheria, ha condannato Budapest per il mantenimento illegale di richiedenti asilo nella zona di transito del campo di Röszke, alla frontiera con la Serbia.

ORBÁN HA RIFIUTATO di presentarsi ieri di fronte al Parlamento europeo e al suo posto ha inviato la ministra della Giustizia, Judit Varga. La Fidesz, il partito di Orbán, ha protestato per «il testardo rifiuto del socialista presidente del Parlamento, David Sassoli» che avrebbe impedito a Varga di difendere l’operato del suo paese.

«Sappiamo tutti cosa succede in Ungheria da dieci anni e ancora in queste ultime settimane – ha denunciato la verde Gwendaline Delbas-Corfield – conosciamo gli attacchi contro i media, la riforma giudiziaria, le misure discriminatorie». Malessere nel gruppo Ppe, dove la Fidesz è “sospesa” da un anno ma non espulsa, malgrado forti perplessità di alcuni.

A DIFENDERE IL GOVERNO di Orbán è sceso in campo ieri Nicolas Bay, del Rassemblement national (gruppo Identità e democrazia, dove siede anche la Lega, che spera di far entrare i 12 eurodeputati Fidesz se verranno espulsi dal Ppe): «Sappiamo che la ragione di questi attacchi è dovuta al rifiuto dell’Ungheria di adottare le politiche migratorie della Ue».

il manifesto

Dopo il decretone ora Conte si gioca tutto sui tempi

Governo. Per Zingaretti e Di Maio la parola d’ordine è «sburocratizzazione». Il timore è che, come nei casi precedenti, gli aiuti arrivino tardi

«Semplificare, accelerare, sburocratizzare». Nel giorno che segue il travagliato varo del dl Rilancio l’attenzione delle forze di maggioranza, più che sui contenuti universalmente esaltati, si concentra sulla traduzione in moneta sonante. Il più esplicito, su Fb, è Zingaretti: «Nell’attuazione sinora hanno prevalso burocrazia, ritardi e sottovalutazioni. Sono riemersi vizi e limiti di uno Stato che spesso non funziona. Se ne parla molto ma non si riesce a cambiare». Di Maio concorda: «Speriamo di sburocratizzare tante cose che hanno impedito di far arrivare i soldi nelle tasche». Questa del resto è la richiesta corale che parte da tutte le associazioni di categoria e dai sindacati, scottati dall’esperienza dei decreti precedenti.

NON SIGNIFICA CHE il merito del decreto sia passato in giudicato. Su un testo così pieno di norme il passaggio parlamentare sarà combattuto su diversi punti, anche se per ora solo LeU, con i capigruppo Fornaro e De Petris, annuncia la presentazione di emendamenti per correggere «gli squilibri» di un testo che non si occupa abbastanza degli ultimi ma in compenso garantisce il taglio dell’Irap anche alle imprese che nella crisi non hanno perso o hanno addirittura guadagnato. Sul capitolo sostegno agli autonomi torna invece Gualtieri. Per aprile resteranno 600 euro, indirizzati in automatico alla platea che li ha già ricevuti per marzo, forse un po’ allargata. Per maggio, però, dovrebbero salire sino a mille euro depennando però quelli che di un sostegno non hanno bisogno e correggendo così uno degli squilibri denunciati da LeU.

MA LA PARTITA PRINCIPALE, soprattutto agli occhi del Paese, Conte se la giocherà davvero sulla capacità di fare presto. Un passaggio importante, quello che riguarda le casse integrazione in deroga, è già contenuto nel dl. I datori di lavoro faranno domanda direttamente all’Inps, aggirando così la palude delle Regioni. L’Inps, secondo gli auspici, dovrebbe a quel punto erogare il 40% anche del pregresso entro 15 giorni mentre il saldo arriverà più tardi, dopo la presentazione della documentazione completa. Forse si eviterà così, almeno in parte, il buco nero delle Cigs ma restano in sospeso capitoli altrettanto fondamentali. La documentazione che dovranno presentare i beneficiari dello scarso una tantum che ha sostituito il reddito d’emergenza, per esempio, e i tempi di erogazione, che per chi è senza un soldo da marzo è questione vitale, o il nodo ancora irrisolto dei crediti delle banche alle aziende.

LE CRITICHE dell’opposizione, oltre agli strilli sguaiati contro le regolarizzazioni, peraltro ancora insufficienti, si appuntano sulla scarsa progettualità del dl. Manca un’idea di ripresa sostengono non solo la destra ma anche parecchi economisti e, a voce altissima, Italia viva. Il decreto, come ammette per Iv Rosato, è in effetti del tutto «emergenziale». Questi 55 miliardi non basteranno neppure a fronteggiare le urgenze immediate, figurarsi per avviare una politica industriale di rilancio. Ma quel capitolo non può neppure essere aperto senza che sia prima chiarito cosa farà la Ue. I segnali, da quel punto di vista, non sono troppo confortanti. Il Recovery Fund è ancora una scatola vuota. La proposta della presidente von der Leyen, inizialmente fissata per il 6 maggio, continua a slittare per l’impossibilità di risolvere i nodi più aggrovigliati, la scelta tra la percentuale del fondo costituita dal prestito e quella dal sussidio a fondo perduto, i termini del prestito, il negoziato in panne sul bilancio europeo.

Gli applausi unanimi riservati dalla maggioranza al decreto non devono però trarre in inganno. La battaglia delle ultime settimane lascia cicatrici profonde. I 5S sono stati sconfitti su quasi tutti gli elementi portanti. Sbandierano come unica vera vittoria l’ecobonus fiscale del 110% sulle ristrutturazioni, cavallo di battaglia del Movimento sin dalle origini. Ma la ferita più profonda è politica. Sul dl si è consumato una sorta di divorzio definitivo tra i 5S e il premier, schierato con il Pd nelle trattative durissime sui migranti, sul reddito di emergenza, sulle banche. Quel rancore potrebbe con facilità esplodere al momento di prendere la decisione sin qui rinviata sulla linea di credito del Mes. Ieri la Francia ha annunciato che non accederà al prestito. Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda lo avevano già fatto. L’Italia sarebbe l’unico Paese ad accettare il prestito: un quadro destinato a moltiplicare le resistenze di un M5S in cerca di rivincita.

il manifesto

Governo. Per Zingaretti e Di Maio la parola d’ordine è «sburocratizzazione». Il timore è che, come nei casi precedenti, gli aiuti arrivino tardi

«Semplificare, accelerare, sburocratizzare». Nel giorno che segue il travagliato varo del dl Rilancio l’attenzione delle forze di maggioranza, più che sui contenuti universalmente esaltati, si concentra sulla traduzione in moneta sonante. Il più esplicito, su Fb, è Zingaretti: «Nell’attuazione sinora hanno prevalso burocrazia, ritardi e sottovalutazioni. Sono riemersi vizi e limiti di uno Stato che spesso non funziona. Se ne parla molto ma non si riesce a cambiare». Di Maio concorda: «Speriamo di sburocratizzare tante cose che hanno impedito di far arrivare i soldi nelle tasche». Questa del resto è la richiesta corale che parte da tutte le associazioni di categoria e dai sindacati, scottati dall’esperienza dei decreti precedenti.

NON SIGNIFICA CHE il merito del decreto sia passato in giudicato. Su un testo così pieno di norme il passaggio parlamentare sarà combattuto su diversi punti, anche se per ora solo LeU, con i capigruppo Fornaro e De Petris, annuncia la presentazione di emendamenti per correggere «gli squilibri» di un testo che non si occupa abbastanza degli ultimi ma in compenso garantisce il taglio dell’Irap anche alle imprese che nella crisi non hanno perso o hanno addirittura guadagnato. Sul capitolo sostegno agli autonomi torna invece Gualtieri. Per aprile resteranno 600 euro, indirizzati in automatico alla platea che li ha già ricevuti per marzo, forse un po’ allargata. Per maggio, però, dovrebbero salire sino a mille euro depennando però quelli che di un sostegno non hanno bisogno e correggendo così uno degli squilibri denunciati da LeU.

MA LA PARTITA PRINCIPALE, soprattutto agli occhi del Paese, Conte se la giocherà davvero sulla capacità di fare presto. Un passaggio importante, quello che riguarda le casse integrazione in deroga, è già contenuto nel dl. I datori di lavoro faranno domanda direttamente all’Inps, aggirando così la palude delle Regioni. L’Inps, secondo gli auspici, dovrebbe a quel punto erogare il 40% anche del pregresso entro 15 giorni mentre il saldo arriverà più tardi, dopo la presentazione della documentazione completa. Forse si eviterà così, almeno in parte, il buco nero delle Cigs ma restano in sospeso capitoli altrettanto fondamentali. La documentazione che dovranno presentare i beneficiari dello scarso una tantum che ha sostituito il reddito d’emergenza, per esempio, e i tempi di erogazione, che per chi è senza un soldo da marzo è questione vitale, o il nodo ancora irrisolto dei crediti delle banche alle aziende.

LE CRITICHE dell’opposizione, oltre agli strilli sguaiati contro le regolarizzazioni, peraltro ancora insufficienti, si appuntano sulla scarsa progettualità del dl. Manca un’idea di ripresa sostengono non solo la destra ma anche parecchi economisti e, a voce altissima, Italia viva. Il decreto, come ammette per Iv Rosato, è in effetti del tutto «emergenziale». Questi 55 miliardi non basteranno neppure a fronteggiare le urgenze immediate, figurarsi per avviare una politica industriale di rilancio. Ma quel capitolo non può neppure essere aperto senza che sia prima chiarito cosa farà la Ue. I segnali, da quel punto di vista, non sono troppo confortanti. Il Recovery Fund è ancora una scatola vuota. La proposta della presidente von der Leyen, inizialmente fissata per il 6 maggio, continua a slittare per l’impossibilità di risolvere i nodi più aggrovigliati, la scelta tra la percentuale del fondo costituita dal prestito e quella dal sussidio a fondo perduto, i termini del prestito, il negoziato in panne sul bilancio europeo.

Gli applausi unanimi riservati dalla maggioranza al decreto non devono però trarre in inganno. La battaglia delle ultime settimane lascia cicatrici profonde. I 5S sono stati sconfitti su quasi tutti gli elementi portanti. Sbandierano come unica vera vittoria l’ecobonus fiscale del 110% sulle ristrutturazioni, cavallo di battaglia del Movimento sin dalle origini. Ma la ferita più profonda è politica. Sul dl si è consumato una sorta di divorzio definitivo tra i 5S e il premier, schierato con il Pd nelle trattative durissime sui migranti, sul reddito di emergenza, sulle banche. Quel rancore potrebbe con facilità esplodere al momento di prendere la decisione sin qui rinviata sulla linea di credito del Mes. Ieri la Francia ha annunciato che non accederà al prestito. Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda lo avevano già fatto. L’Italia sarebbe l’unico Paese ad accettare il prestito: un quadro destinato a moltiplicare le resistenze di un M5S in cerca di rivincita.

Le Retribuzioni al 2020