Come i biscotti della nonna
Messa a Santa Marta ·
14 ottobre 2016
Il cristiano non deve essere come i biscotti della nonna, popolarmente chiamate «bugie» proprio perché sono belli e grandi fuori ma vuoti e senza sostanza dentro. È dunque dall’ipocrisia, in tutte le sue peggiori declinazioni, che Papa Francesco ha messo in guardia durate la messa celebrata venerdì mattina, 14 ottobre, nella cappella della Casa Santa Marta. E il Pontefice ha anche suggerito le tracce per un esame di coscienza proprio sul livello di ipocrisia di ciascun credente.
Prendendo le mosse dal passo evangelico di Luca (12, 1-7) proclamato durante la liturgia, Francesco ha indicato subito «una parola che il Signore dice ai discepoli: “lievito”». Scrive Luca, riportando l’insegnamento di Gesù: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei». Il Signore, ha affermato il Papa, «ha parlato del lievito anche in altre occasioni, quando spiegava, per esempio, che il regno dei Cieli era come il lievito che la donna immischia con la farina, fa la massa e cresce: così è il regno dei Cieli». Inoltre «l’apostolo Paolo dice ai Corinzi: “Tirate via il vecchio lievito e siate pasta nuova”».
Nel passo proposto dalla liturgia «Gesù parla di un lievito che non fa il regno dei Cieli, di un lievito cattivo». E dunque ci sono due lieviti, uno buono e uno cattivo: «il lievito che fa crescere il regno di Dio e il lievito che fa soltanto l’apparenza nel regno di Dio». Del resto, «il lievito fa crescere, sempre; e fa crescere, quando è buono, in modo consistente, sostanzioso e diventa un buon pane, una buona pasta: cresce bene. Ma il lievito cattivo non fa crescere bene».
Per spiegare più efficacemente questa immagine, Francesco ha scelto di fare una confidenza personale: «Ricordo che per carnevale, quando eravamo bambini, la nonna ci faceva dei biscotti, ed era una pasta molto sottile, sottile, sottile quella che faceva. Poi la buttava nell’olio e quella pasta si gonfiava, si gonfiava e, quando noi incominciavamo a mangiarla, era vuota». Quei biscotti in dialetto si chiamavano “bugie”. Ed era proprio la nonna a spiegarne la ragione: questi biscotti «sono come le bugie: sembrano grandi, ma non hanno niente dentro, non c’è niente di verità, lì; non c’è niente di sostanza».
Gesù, dunque, ci mette in guardia: «State attenti al cattivo lievito, quello dei farisei». E quel lievito «è l’ipocrisia». Perciò l’invito del Signore è di guardaci «bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia».
Del resto, ha fatto notare Francesco, «tante volte Gesù dice “ipocriti, ipocriti” ai farisei, ai dottori della legge». Per esempio, «basta leggere il capitolo 23 di Matteo: una dietro all’altra». Ma, in realtà, «cos’è questo lievito cattivo, cos’è l’ipocrisia?». Per rispondere il Papa ha preso in esame «alcuni passi della Bibbia». E così ecco che «il Signore si lamenta con il profeta: “Questo popolo mi invoca con le labbra ma il cuore è lontano da me”». Perché, ha spiegato il Pontefice, «l’ipocrisia è una divisione interna, si dice una cosa e si fa un’altra: è una sorta di schizofrenia spirituale». Per di più «l’ipocrita è un simulatore: sembra buono, cortese ma dietro di sé ha il pugnale». Proprio come Erode, ha ricordato Francesco, che, spaventato dentro, «aveva ricevuto i magi» con «cortesia» e «poi, al momento del congedo, dice: “andate e poi tornate e ditemi dove è questo bambino perché anche io vada ad adorarlo”». Invece voleva «ucciderlo».
«L’ipocrita che ha doppia faccia — ha insistito il Papa — è un simulatore». Gesù stesso, «parlando di questi dottori della legge», afferma che essi «dicono e non fanno». E questa «è un’altra forma di ipocrisia, è un nominalismo esistenziale: quelli che credono che, dicendo le cose, sistemano tutto. No, le cose vanno fatte, non solo dette». Invece «l’ipocrita è un nominalista, crede che con il dire si faccia tutto». Inoltre «l’ipocrita è incapace di accusare se stesso: mai trova in se stesso una macchia; accusa gli altri». Si pensi, ha suggerito Francesco, «alla pagliuzza e alla trave»: proprio «così possiamo descrivere questo lievito che è l’ipocrisia».
In tale prospettiva, «per capire che cosa Gesù vuol dire a noi» il Pontefice ha proposto le tracce per un vero e proprio «esame di coscienza sul nostro modo di agire nella vita, sul nostro lievito», in modo che «possiamo essere più liberi per andare dietro al Signore e dirci sempre la verità». Perciò è importante chiedersi: «Come cresco, io? Cresco con il lievito vecchio che non serve a niente? Cresco come le crêpes della mia nonna, vuoto, senza sostanza, o cresco con il lievito nuovo, quello che fa il regno dei Cieli, che fa crescere il regno dei Cieli? Com’è il mio lievito?». E cioè: «Con quale spirito io faccio le cose? Con quale spirito io prego? Con quale spirito mi rivolgo agli altri? Con lo spirito che costruisce o con lo spirito che diviene aria?»
Francesco ha suggerito anche di non ingannare mai se stessi dicendo: «ho fatto questo, ho fatto quell’altro». E ha indicato piuttosto l’esempio dei più piccoli: «Con quanta verità si confessano i bambini! I bambini mai, mai, mai dicono una bugia, nella confessione, mai dicono cose astratte: “Ho fatto questo, ho fatto quell’altro”». Dunque, ha spiegato il Papa, i bambini sono «concreti, quando sono davanti a Dio e davanti agli altri dicono cose concrete, perché hanno il lievito buono, il lievito che li fa crescere come cresce il regno dei Cieli». E così il Pontefice ha concluso la sua meditazione pregando il Signore che «ci dia, a tutti noi, lo Spirito Santo e la grazia della lucidità di dirci qual è il lievito con il quale io cresco, qual è il lievito con il quale io agisco», per essere sempre pronti a rispondere sinceramente a questa domanda: «Sono una persona leale e trasparente o sono un ipocrita?».
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