Archivi giornalieri: 16 ottobre 2016

Osservatore Romano

Un’alleanza contro la paura della morte

Per un serio e pacato dibattito sul fine vita ·

«Professiamo quindi che ogni uomo e ogni donna, per quanto insignificanti possano apparire, hanno in sé una nobiltà inviolabile che loro stessi e i vicini debbono rispettare e fare rispettare senza condizioni; che tutta la vita umana merita per se stessa, in qualsiasi circostanza, la sua dignità».

Andrea Mantegna «Cristo morto» (1475-1478)

Monsignor Oscar Arnulfo Romero pronunciò queste parole in una delle sue ultime omelie a San Salvador nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza per malati terminali non molto tempo prima di essere ucciso il 24 marzo 1980: nel libro Sorella morte (Milano, Piemme, 2016, pagine 275, euro 17.50) l’autore, monsignor Vincenzo Paglia, da agosto 2016 presidente della Pontificia Accademia per la Vita e postulatore della causa di beatificazione del vescovo centroamericano, sembra tenerle nel cuore come un fil rouge che si ritrova in molti passaggi. La “morte moderna”, per rifarsi al più volte citato Carl-Henning Wijmark, così lontana e così diversa dalla francescana “sorella morte” viene descritta dall’autore in modo attento e vivissimo. Dalle pressioni del mercato per rendere non solo «legale ma desiderabile l’eutanasia», fino al tradimento stesso della parola “eutanasia” che da “morte buona” ha finito per diventare un “diritto individuale” e una “pratica pietosa”, monsignor Paglia individua chiaramente nel crollo della «cultura umanistica che di fatto sostiene le relazioni umane nella società occidentale» il motivo alla base di quella “cultura dello scarto” che ha nella pratica dell’abbreviare la vita uno dei suoi più tragici epiloghi.

Etienne Montero, decano della facoltà di giurisprudenza dell’università belga di Namur, viene citato dall’autore per sottolineare l’ampliarsi del fenomeno eutanasico «rispetto al campo ristretto inizialmente previsto dalla legge», quel «piano inclinato» che i fautori della “dolce morte” vorrebbero mettere in dubbio ma che le cifre confermano.

Il rischio è quello di un passaggio dal “diritto di morire” al “dovere di morire”: al contrario monsignor Paglia invoca in molte pagine un serio e pacato dibattito sulle condizioni della fine della vita nella nostra società, un dibattito che ad oggi in molti paesi e in particolare in Italia sembra ancora lontano.

Quasi — suggerisce l’autore citando le parole del teologo valdese Paolo Ricca — sembrerebbe mancare radicalmente la coscienza della morte che è sempre “una coscienza critica” senza la quale si rischia di favorire “l’accettazione supina e acritica del sistema”. Il contributo che la fede cristiana può dare ad un tale dibattito è di importanza capital, a patto di aprire «una rinnovata e creativa stagione di riflessione teologica sulle realtà ultime» e tornando con forza a proporre ai credenti e agli uomini di buona volontà il tesoro centrale della nostra fede, quel «guardare oltre» che, solo, può davvero strappare il morente dalla solitudine e dalla marginalizzazione nelle quali sembra relegato dalla nostra società.

Significative le pagine nelle quali monsignor Paglia, rifacendosi «alla lunga esperienza di amicizia intessuta tra giovani e anziani che si vive, ad esempio, nella Comunità di Sant’Egidio», indica i risultati che si potrebbero ottenere da una rinascita dell’alleanza tra generazioni, da una riscoperta di una concreta coesione sociale attorno a questi temi forti.

«Gli anziani — scrive Paglia — attraverso la loro esistenza indebolita scuotono la sciocca pretesa dell’autosufficienza senza limiti e mostrano a tutti che la dipendenza reciproca è il senso stesso della vita: è la fraternità, è il diritto-dovere dell’amore vicendevole». Nell’ultima parte del libro viene evidenziato il ruolo chiave della medicina palliativa, come antidoto sia all’accanimento terapeutico sia all’eutanasia e come orizzonte nel quale la proporzionalità delle cure e la considerazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento possono portare ad una vera alleanza terapeutica. «Se si guarda con più attenzione e profondità alle scelte che si compiono nei momenti estremi della vita — scrive l’autore — non può sfuggire una certa simmetria, a specchio, tra l’eutanasia e l’accanimento terapeutico. Si tratta in fondo, in entrambi i casi, di pratiche che negano la morte come evento naturale. Sono atti che scaturiscono dalla stessa paura della morte: per questo si cerca di dominarla, con l’eutanasia anticipandola, con l’accanimento terapeutico rimandandola. Due forme di onnipotenza e di sconfitta».

Il libro termina con un augurio, quello di «un’alleanza tra tutti al fine di individuare un orizzonte comune ove iscrivere il senso del vivere e del morire» salvaguardando in tal modo il senso del mistero. «Nessun uomo può dire di conoscere se stesso se non si incontra con Dio (…). Non so che darei, cari fratelli — diceva un giorno monsignor Romero ai suoi poveri — perché il frutto di questa predicazione fosse che ciascuno di noi si ritrovi con Dio e che viva la gioia della sua maestà e della nostra piccolezza». La riconciliazione che “Sorella morte” sembra suggerire anche a noi.

di Ferdinando Cancelli

Osservatore Romano

 

Una partita a biliardino con il Papa

 

Venerdì della misericordia tra i bambini ·

15 ottobre 2016

 
 

 

Una partita di biliardino, una bella merenda con pasticcini e leccalecca, e anche l’ascolto di un brano rap con la cuffia dello smartphone: Papa Francesco ha voluto vivere il suo decimo «venerdì della misericordia» con una piccola festa in mezzo a bambini e ragazzi ospiti di una casa famiglia. E così alle 15 del 14 ottobre ha fatto una vera e propria sorpresa ai giovanissimi ospiti del Villaggio Sos, a via Michelangelo di Pierri, in zona Boccea a Roma. È una struttura, hanno spiegato al Pontefice, che dal 1987 «accoglie temporaneamente bambini in condizioni di disagio personale, familiare e sociale, su segnalazione dei servizi sociali e del tribunale».

I piccoli non hanno nascosto stupore e gioia vedendo entrare il Papa nella loro casa. Una festa inaspettata vissuta insieme senza protocolli, in un clima di semplice familiarità, tanto che un bambino di due anni e mezzo ha offerto a Francesco il suo leccalecca. Il Papa — accompagnato dall’arcivescovo Rino Fisichella — ha visitato tutta la struttura, preso per mano proprio dai più piccoli che gli hanno mostrato le loro camerette e anche i loro giocattoli preferiti. E poi lo hanno portato anche nella zona verde, dove ci sono un campetto da calcio e un piccolo parco giochi.

Francesco non ha poi mancato di incoraggiare gli educatori. «Il vostro lavoro è importantissimo e speciale perché nessun bambino nasce per crescere da solo» ha detto. Inoltre il Pontefice si è informato dell’assistenza offerta ai bambini e alle loro famiglie — come ha poi raccontato Pier Carlo Visconti, presidente del Villaggio Sos — e ha voluto conoscere personalmente la storia di ciascun ospite prima di incontrarlo per abbracciarlo. Per tutti, ha aggiunto il direttore Paolo Contini, «la visita del Papa è stata un grande riconoscimento dopo anni di lavoro e fatica, ed è stato bello sentirsi scelti solo per il senso reale del nostro lavoro, senza che nessuno indicasse il Villaggio». Gli ha fatto eco Maria Grazia Lanzani Rodríguez y Baena, presidente dell’associazione per l’Italia: «Siamo commossi per l’incontro con il Papa, ha fatto un regalo immenso ai nostri bambini e ragazzi, e questo sarà per loro un ricordo indelebile».

Il Villaggio, spiegano i responsabili, «è composto da cinque case, in ognuna delle quali ci sono un massimo di sei bambini e bambine fino a dodici anni di età, insieme a una responsabile chiamata “mamma sos”». In sostanza, hanno detto a Francesco, «il Villaggio è strutturato in modo da riuscire a seguire e supportare i bambini durante la loro crescita, accompagnandoli come una famiglia vera e propria attraverso le varie tappe di crescita e di integrazione nella società». I bambini, infatti, «vengono accompagnati a scuola, frequentano la parrocchia e fanno sport». Da parte loro «i professionisti, residenti, non residenti o volontari, che operano nel centro, seguono i bambini per un periodo di diversi anni, contribuendo a creare rapporti umani stabili, che li aiutano a raggiungere un’adeguata autonomia». Ed è significativo che alcuni ragazzi scelgano di restare vicino alla struttura per avere un riferimento ma anche per dare una mano nelle attività quotidiane. «Questa ormai — racconta Megan, un ragazzo eritreo — è la mia casa: è molto tempo che sono qui, non mi sono mai voluto allontanare, voglio molto bene alle persone che ci lavorano».

Questo stile educativo, affermano i responsabili, «riprende il modello pedagogico e organizzativo del primo Villaggio Sos, fondato in Austria nel 1949 da Hermann Gmeiner, un giovane studente di medicina che, profondamente colpito dalle centinaia di bambini rimasti senza i propri genitori a causa delle devastazioni della guerra, aprì il primo Villaggio Sos, sviluppando un modello educativo vicino per umanità al calore di una famiglia vera, in forte contrapposizione al modello dell’orfanotrofio, diffuso a quel tempo».

Prima di far rientro in Vaticano, Francesco è andato a far visita al novantunenne cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, ricoverato nella casa di cura Villa Betania, in via Pio IV.

Il NO degli indipendentisti al referendum

16 ottobre 2016

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Francesco Casula

Per cogliere la reale posta in gioco della Riforma Costituzionale occorre individuare con nettezza la “visione” che ne è sottesa e le finalità. Ma per capirla appieno bisogna conoscerne gli “ispiratori” e i precedenti ideologici, culturali, economici e politici. Giacché Renzi e Boschi sono solo degli amanuensi: dei padri adottivi. I padri veri, naturali, sono altri e molteplici, fra cui, la P2 di Licio Gelli e la Banca JP Morgan.

Gelli con il Piano di Rinascita democratica disegna e prospetta uno stato autoritario con un Parlamento che perde la sua centralità a favore di un premierato forte, con una enorme concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo e del suo capo. Nel contempo vuole uno Stato antisociale, con il Sindacato ridotto collaboratore del fenomeno produttivo, l’abolizione dell’art. 18 ecc.

Dal canto suo in un documento del 28 maggio 2013 la Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale, scrisse che le riforme adottate nei paesi europei periferici (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo), non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni  nazionali. Troppo democratiche. Troppo sociali, anzi, “socialiste”! Quattro i difetti fondamentali di queste Costituzioni: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite al potere.

Alcuni obiettivi proposti da Gelli-Morgan, il governo Renzi li ha già conseguiti (abolizione dell’art.18, Jobs act, controllo delle TV, Buona scuola, ecc.), altri li vorrebbe ottenere manomettendo la Costituzione con il cambiamento di ben 47 articoli, per rovesciare il rapporto tra Stato e Regioni; per ritornare a un centralismo illimitato e insieme ridurre il pluralismo politico e la rappresentanza; per rendere più difficili le forme di democrazia diretta: ricordo che nel nuovo Testo della Costituzione per un referendum occorrerà raccogliere 800 mila firme e non più 500 mila mentre per una legge di iniziativa popolare 150 mila e non più 50 mila.

A fronte di questa realtà, le bugie della propaganda per il Si hanno le gambe corte. Il nuovo Senato serve per accelerare il processo legislativo, superando lungaggini per approvare una legge? E’ falso. Quando hanno voluto, (e facevano comodo alla partitocrazia) le hanno approvate in un amen. I templi biblici non dipendono dal ping-pong fra Camera e Senato ma dalle divisioni e contraddizioni all’interno della maggioranza. Qualche esempio: il lodo Alfano è stato approvato in 20 giorni, la legge Fornero in tre settimane, il ddl Boccadutri, che ha permesso ai partiti di incassare 45,5 milioni di finanziamenti pubblici anche se i bilanci non erano stati verificati, in tre ore al Senato.

Ma poi, se era il Senato a ritardare l’approvazione delle leggi, perché non abolirlo, sic et simpliciter, invece di mantenerlo in vita come dopolavoro per Sindaci e Consiglieri regionali, magari inquisiti e in attesa di immunità parlamentare?

l nuovo Senato dovrebbe rappresentare le Autonomie, i Territori. Bene, A parte che la Controriforma renziana, in buona sostanza, le Autonomie le abolisce e i Territori li cancella, un piccolo dubbio: i cinque senatori nominati dal Presidente della repubblica, quale territorio rappresentano? Il cortile del Quirinale?

Ma l’elemento più funesto per noi Sardi è questa normativa: “Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”

Con questo, la Regione sarda, di fatto sarà completamente espropriata delle sue competenze e poteri. E così, senza discussioni e confronti, lo Stato, a prescindere dalla volontà della Sardegna e delle sue comunità, potrà decidere, ad libitum, di continuare a mantenere il nostro territorio occupato dalle Basi militari (anzi, potrà persino aumentarle!); trivellare, sventrare e devastare la nostra terra e il nostro mare; allocare il deposito unico nazionale delle scorie nucleari e l’aliga di mezzo mondo.

Si dirà: le Regioni speciali sono escluse dalla Riforma Costituzionale di Renzi (almeno dal capo IV). E’ vero. Ma se vince il Si, con quale forza la Regione sarda si presenterà per discutere sulla “revisione” dello Statuto, prevista dall’art.39, comma 12? Co forza zero. Il Governo infatti obietterà: ma cosa volete? Il popolo ha deciso.

Di qui la necessità che i sardi, in modo unitario e compatto, votino No, ad iniziare dagli Indipendentisti: anzi, soprattutto da loro.

Tutto bene, allora, perché in questo modo difenderemo la Costituzione più bella del mondo?

No. La Costituzione italiana ha senz’altro molti pregi, occorre però denunciare che in molti degli aspetti più positivi (es. art, 1:L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…), semplicemente, non è stata attuata.

Ma c’è di più: la sua “bontà” è gravemente inficiata da quell’orrendo, illiberale, antidemocratico e liberticida articolo 5 riguardante la :“repubblica una e indivisibile”.

E il diritto dei popoli all’Autodeterminazione, previsto e garantito da tutte le leggi e convenzioni internazionali? Carta straccia. La Costituzione fa strame di questo diritto: non solo ledendolo e impedendolo, ma criminalizzando la stessa idea indipendentista.

Il popolo sardo, grazie alla sua storia e lingua, e alla sua precisa identità nazionale, ha diritto all’indipendenza. E dunque, a ragione, può rivendicare la Riforma dello Stato in senso federale, con la rottura e la disarticolazione dello stato unitario italiano, per dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui ciascuno possa anche rivendicare, magari attraverso un referendum, la secessione.

La controriforma di Renzi va nella direzione opposta: deprivandoci persino della esile e debole Autonomia di cui è dotato lo Statuto sardo. Mi sorprende che qualche indipendentista non lo abbia capito e proponga il “Non voto”.

Sant’ Edvige

 


Sant' Edvige

Nome: Sant’ Edvige
Titolo: Religiosa e Duchessa di Slesia e di Polonia
Ricorrenza: 16 ottobre

S. Edvige, figlia di Bertoldo e di Agnese, marchesi della Moravia, illustrò il secolo xm, con un mirabile esempio di madre cristiana. 

Fin dalla sua giovinezza apparve in lei una maturità di senno e una serietà superiore alla sua età, onde fu esente da quelle leggerezze e da quelle vanità che purtroppo sogliono costituire l’occupazione delle fanciulle di nobile stirpe. 

Posta dai suoi genitori in un monastero di Benedettine della Franconia per ricevere una buona educazione, fu da quelle suore istruita nella pietà cristiana ed imparò a conoscere, amare e servire Dio con fedeltà. A 12 anni per volontà del padre fu data in sposa ad Enrico il Barbuto duca di Slesia e di Polonia: ella acconsentì solo per ubbidienza poichè avrebbe voluto consacrare al Signore la sua verginità. Ma così piacque a Dio per far apparire maggiormente la sua eletta virtù. E veramente ammirabile fu la sua pietà, l’aborrimento delle pompe e la diligente cura che pose per allevare cristianamente i suoi sei figli. Il primo, divenuto erede degli stati del padre, fu detto per le sue predare virtù Enrico il Pio. 

Bandì dalla sua corte le bugie, le maldicenze e tutte le azioni che ‘potessero violare in qualche modo la purità dei costumi. 

Indusse il marito a erigere un monastero nella città di Treburg per quelle donne che volessero consacrarsi al Signore nell’Ordine Cistercense, mantenendole a proprie spese. Volendo fare con esse vita comune, sovente si ritirava tra quelle monache, dove aveva pure una sua figlia. In età avanzata si ritirò nello stesso monastero, ma non emise i voti per essere più libera nel soccorrere i poveri. Ben presto sorpassò le altre religiose. 

Incredibile fu la costanza e fortezza d’animo che mostrò nelle avversità. Ad una grave ferita che ricevette il marito restando prigioniero del duca Corrado di Kirn ed alla morte del figlio Enrico, avvenuta tre anni dopo la cattività del padre, con cristiano coraggio esclamò: « Sia fatta la volontà di Dio », ed incoraggiava anche gli altri. 

Nella mortificazione, nei digiuni e nell’assiduo lavoro manuale, perseverò fino alla fine della vita. Tutto faceva per piacere a Gesù dàl quale attendeva la meritata ricompensa. E questa venne il 15 ottobre 1243. 

I miracoli accrebbero la sua gloria e Clemente IV l’annoverò nel catalogo dei Santi.

PRATICA. Oggi compiamo bene il nostro dovere. 

PREGHIERA. O Dio, che insegnasti alla beata Edvige a passare con tutto il cuore dalle pompe del secolo all’umile sequela della tua croce, concedi che noi, per i meriti e l’esempio di lei, impariamo a calpestare le caduche delizie del mondo, così da superare, abbracciati alla tua croce, tutte le avversità. 

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