Archivi giornalieri: 6 giugno 2015

Elezioni regionali

ELEZIONI 2015

Elezioni regionali 2015: il Partitino della Nazioncina

Direttore de Il Fatto Quotidiano e scrittore

1) Numeri. Calcolando le regioni vinte e quelle perse, non c’è dubbio che le elezioni le abbia vinte il Pd sul centrodestra 5-2, mentre i 5Stelle continuano a non governarne nessuna. Contando le regioni strappate agli avversari, c’è un perfetto equilibrio rispetto a cinque anni fa: 5 al Pd e 2 al centrodestra (con lo scambio incrociato Liguria-Campania). Quindi nessun effetto-Renzi, anzi: alle regionali del 2010 il Pd di Bersani fece molto meglio di lui, con 1 milione di voti in più (26% contro 25, e allora il centrosinistra non aveva ancora raso al suolo i suoi alleati, dall’Idv alle sinistre radicali). E il paragone con il risultato di un anno fa alle Europee è ancor più impietoso: il Renzi 2015 è la metà del Renzi 2014 quanto a percentuale (25 contro 40,8), e dimagrisce di 2 milioni di voti in un solo anno. Il che non vuol dire ancora né crisi né declino: ma è una bella spuntatina al crine di Sansone e alla fortuna di Gastone, un po’ meno bravo bravissimo e molto meno fortunatissimo in verità. Un bagno forzato di umiltà, un brusco ritorno sulla terraferma.

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2) Governo. “Il governo non c’entra”, dicono il premier e i suoi. Sulla carta è vero: non si votava per Renzi (per la verità non si è mai votato per Renzi, salvo alle provinciali e alle comunali di Firenze). Ma nemmeno un anno fa, alle Europee: eppure lui si intestò quel trionfo come un premio al suo governo, che peraltro non aveva ancora fatto nulla, se non annunciare gli 80 euro. Ora, questa è la prima elezione dopo 16 mesi di governo; e il premier e i suoi ministri si sono spesi allo spasimo in campagna elettorale. Soprattutto per le due uniche candidate renziane: la Paita, stesa da tal Toti, e la Moretti, asfaltata da Zaia. vincitori, invece, o rappresentano la vecchia “ditta” (Rossi in Toscana, Marini in Umbria, Ceriscioli nelle Marche), o hanno giocato e vinto da soli (Vincenzo De Luca in Campania e Michele Emiliano in Puglia).

3) Conseguenze. Nel 2000 il centrosinistra perse in 8 regioni su 15 e il premier D’Alema si dimise all’istante. Ora la situazione è diversa, ed è una sciocchezza chiedere le dimissioni del governo. Ma anche dire che non cambia nulla. Intanto gli italiani avvertono il premier che non sono soddisfatti del suo primo anno a Palazzo Chigi, tutto chiacchiere e distintivo. Eppoi l’arroganza dell’uomo solo al comando non paga, anzi spaventa. Tantopiù se un elettore su due non va a votare: in Spagna vince Podemos, in Italia trionfa Astenemos. Con che faccia Renzi riforma da solo la legge elettorale, lo Statuto dei lavoratori, la scuola, financo la Costituzione col 25% dei votanti, pari al 13 dei cittadini attivi? Chi rappresenta poco più di un italiano su 10 non può comportarsi come l’idolo delle masse.

4) Paradossi. Renzi perde nelle due regioni dove più avrebbe voluto vincere, mentre strappa alla destra l’unica regione che le avrebbe volentieri lasciato: la Campania. Lì ora gli tocca dichiarare decaduto De Luca e spiegare perché mai ha candidato e sostenuto uno che non può governare, avviando una battaglia di carte bollate destinata a screditare più Matteo che don Vincenzo. La classica vittoria di Pirro, anzi di pirla.

5) Alibi. Anziché fare autocritica sui candidati sbagliati in Liguria, Veneto e Campania e sull’agenda sballata del governo, Renzi e il suo politburo battono il mea culpa sul petto degli altri: i soliti “gufi e masochisti” della sinistra che gli avrebbero rubato la Liguria. Se questi gaglioffi sapessero far di conto, scoprirebbero che Toti ha staccato la Paita di 7 punti, mentre di suo Pastorino ha portato a casa il 4% (il resto è di Tsipras, che si sarebbe presentato comunque). E poi: se il Pd passa dal 40,8 al 25 su scala nazionale, tallonato in molte regioni e città dai 5Stelle, e perde 2 milioni di voti in un anno, sarà mica colpa dei 62 mila elettori di Pastorino? Forse la colpa è di un partito che ha smarrito la vecchia identità, senza costruirsene una nuova, e anzi mettendo in fuga con le scelte di governo pezzi del suo blocco sociale (insegnanti, studenti, lavoratori, sindacalisti, società civile sensibile alla legalità). E poi: se davvero la sconfitta in Liguria fosse colpa di Pastorino, dunque non conta, allora non varrebbe neppure la vittoria in Campania, che sarebbe merito di De Mita e delle liste impresentabili, senza i cui voti De Luca avrebbe perso con Caldoro. O De Mita e l’ex sputacchiere Barbato sono due architravi del “nuovo Pd”?

6) Partito della Nazione. Il sogno (o l’incubo) di un partitone centrista e postideologico tipo Dc, che si piazza al centro e catalizza voti da destra e sinistra, esiste solo nella fantasia malata di chi l’ha concepito. Gli elettori – a dispetto della pretesa giacobina di rieducarli, raddrizzando le gambe all’Italia tripolare uscita dalle urne del 2013 – continuano a dividersi in tre blocchi equivalenti: centrosinistra, centrodestra e incazzati grillini. Il che rende ancor più demenziale il premio di maggioranza dell’Italicum che regala il 55% della Camera alla prima lista, magari al di sotto del 30% dei voti validi (cioè del 15% degli elettori). E il record di astensionismo fa delle regioni l’istituzione più screditata e meno rappresentativa: la meno indicata per nominare i futuri senatori.

7) 5Stelle. A ridosso del Pd in diverse regioni e città, il M5S smentisce chi lo dava anzitempo per morto. Merito di alcuni suoi esponenti capaci di rendersi credibili dopo la ritirata mediatica di Grillo e Casaleggio. Ma anche merito del governo, che alimenta la speranza di qualcosa di radicalmente diverso. A lungo andare, però, vincere senza governare può stufare chi crede nel Movimento, che ora più che mai è a un bivio: porsi il problema delle alleanze, misurarsi con la difficile sfida dell’amministrazione e smentire la propaganda del “voto inutile”. Una sfida che potrebbe arrivare prima del previsto, se a Toti non bastassero 16 consiglieri su 30 e si rivotasse in Liguria e/o in Campania: un approccio sui contenuti con la sinistra landinian-civatian-cofferatiana pare l’unica strada.

8) Forza Lega. Salvini si aggiudica il derby con FI, ma senza B. non vincerebbe da nessuna parte, salvo il Veneto (dove però candidava il più rassicurante Zaia) e forse la Lombardia. FI, pur al suo minimo storico, si salva dall’estinzione: che, per un partito senza leader, senza idee, senza programmi e senza senso, è già un trionfo. Quindi Lega e FI sono condannate alle nozze o alla testimonianza. E quel che resta di B., che pure ha perso la supremazia a destra, avrà ottimi argomenti (numerici e finanziari) per contare ancora qualcosa al tavolo delle trattative con l’altro Matteo. Anche perché il suo cerchio magico ha vinto con Toti e ha rimesso in riga i nostalgici del Nazareno, Fitto e Verdini, che col dimagrimento di Renzi stanno – se possibile – peggio di B. Il quale potrà “investire” un volto più giovane e spendibile di lui (non è difficile: Mara Carfagna?) e sperare che intercetti su scala nazionale quegli elettori di centrodestra che non voterebbero mai nessuno dei due Matteo (modello Liguria).

9) Sinistra. È ancora un mondo senza leader: Civati è troppo debole, Cofferati troppo “ex”, Vendola è troppo screditato. Ma, se ne trovasse uno, se magari Landini si decidesse al grande passo, troverebbe un suo elettorato, in grado anche di ringalluzzire gli antirenziani rimasti nel Pd. Anch’essi sono in cerca di un leader che non puzzi di ditta e di muffa. Ma il loro peso contrattuale da oggi aumenta: col Pd sotto il 30%, un’eventuale scissione costringerebbe Renzi a porsi un problema finora inimmaginabile: il rischio di diventare il secondo partito alle elezioni politiche. Tantopiù che ora qualcuno potrebbe sfidare la sualeadership, smontando la famosa “mancanza di alternative” con un progetto neoulivista (intervista a Emiliano, pag. 10).

10) Informazione. Come sempre arroccati nei loro palazzi, spesso coincidenti con il Palazzo, i giornaloni avevano capito poco o nulla. Davano Renzi per imbattibile, gli accreditavano consensi oceanici grazie alle mirabolanti “riforme”, irridevano a chiunque non baciasse la sua sacra pantofola. E lui, poveretto, ci aveva creduto.

 

Pablo Neruda

 

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CANTI A SOLE E CIELO

Canti e a sole e cielo col tuo canto
la tua voce sgrana il cereale del giorno,
parlano i pini con la lor lingua verde:
gorgheggiano tutti gli uccelli dell’inverno.

Il mare empie le sue cantine di passi,
di campane, di catene e di gemiti,
tintinnano metalli e utensili,
suonano le ruote della carovana.

Ma solo la tua voce ascolto e sale
la tua voce con volo e precisione di freccia,
scende la tua voce con gravità di pioggia,

la tua voce sparge altissime spade,
torna la tua voce carica di viole
e quindi m’accompagna per il cielo.

– Pablo Neruda –

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HO FAME DELLA TUA BOCCA

Ho fame della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli
e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.
Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.
Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia
e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratúe.

– Pablo Neruda –

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CANTO DEL GIULLARE

Di giorno si fa festa
per il contado.
Sta per sorgere
la luce del sole
all’orizzonte.
Va e viene
tanto al sud
come al nord;
tanto a levante
come a ponente.
Si fa luce
sulla terra
buia
per dare…
Gli scarafaggi e
i grilli e le pulci
… e le falene
fuggono nei loro rifugi.
Le gallinelle e le colombe
e le tortore e le pernici,
le piccole quaglie,
i merli e gli usignoli.
Mentre le formiche rosse
fuggono a…
Questi uccelli silvestri
cominciano a cantare
perché la rugiada
risveglia la gioia.
La Bella Stella
lucente sopra
i boschi “tremula”;
languidamente
va a morire la luna
sul verde dei boschi.
Allegria,
del giorno di festa qui
sul villaggio,
perché un nuovo
sole viene a illuminare
tutti gli uomini
che vivono uniti
qui nel villaggio.

– Pablo Neruda –

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GIOCHI TUTTI I GIORNI

Giochi tutti i giorni con la luce dell’universo.
Esile visitatrice, tu giungi nel fiore e nell’acqua.
Sei più di questa testolina bianca che stringo
Come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.

Non assomigli più nessuna da quando ti amo.
Lasciati distendere tra ghirlande gialle.
Chi scrive il tuo nome con lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lasciati ricordare com’eri allora, quando ancora non esistevi.

D’un tratto il vento ulula e colpisce la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete stracolma di pesci d’ombra.
Qui convergono tutti i venti, tutti.
La pioggia si spoglia.

Passano uccelli in fuga.
Il vento. Il vento.
Io posso contrastare solo la forza degli uomini.
Il temporale travolge in mulinelli fogli scure
e scioglie tutte le barche ormeggiate ieri sera nel cielo.

Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all’ultimo grido.
Raggomitolati accanto a me come se avessi paura.
Eppure, talora, un’ombra strana ti è passata negli occhi.

E ora, anche ora, piccola, mi porti rami di caprifoglio,
e persino i tuoi seni profumano.
Mentre galoppa il vento triste uccidendo farfalle
io ti amo e la mia felicità morde la tua bocca di prugna.

Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima solitaria e selvaggia, al mio nome che tutti evitano.
Tante volte abbiamo visto splendere l’astro baciandoci gli occhi
e piegarsi sul nostro capo i crepuscoli in ventagli giranti.
Le mie parole ti sono piovute addosso come carezze.
Amo da tempo ormai il tuo corpo di madreperla assolta.
Ti credo persino signora dell’universo.
Ti porterò dai monti fiori allegri, copihue,
nocciole scure e ceste silvestri di baci.

Voglio fare con te
Quello che la primavera fa con i ciliegi.

– Pablo Neruda –

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CORPO DI DONNA

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d’abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.

Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli
e in me la notte entrava con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiata come un’arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.

Ma cade l’ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell’assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito.

– Pablo Neruda –

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AH, IMMENSITA’ DI PINI

Ah immensità di pini, rumore d’onde che s’infrangono,
gioco lento di luci, campana solitaria,
crepuscolo che cala sui tuoi occhi, bambolina,
conchiglia terrestre, in te la terra canta!

Cantano in te i fiumi e la mia anima li insegue
come tu vuoi e laddove a te piace.
Indicami la strada sul tuo arco di speranza
e libererò delirante il mio stormo di frecce.

Sto vedendo intorno a me la tua cinture di nebbia
e il tuo silenzio incalza le mie ore braccate,
ed è in te, nelle tue braccia di pietra trasparente,
che ancorano i miei baci e la mia umida ansia si annida.

Ah la tua voce misteriosa che l’amore colora e piega
nel tramonto che risuona e muore!
Così nelle ore profonde sui campi ho visto
Piegarsi le spighe nella bocca del vento

– Pablo Neruda –

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IL GRANDE OCEANO

Se dei tuoi doni e delle tue distruzioni, Oceano,
alle mie mani
potessi io destinare una misura, un frutto, un fermento,
sceglierei il tuo riposo distante, le linee del tuo acciaio,
la tua distesa sorvegliata dal vento e dalla notte,
e l’energia del tuo linguaggio bianco
che sgretola e disfà le sue colonne
nella purezza della sua rovina.
Non è l’ultima onda col suo peso salino
quella che frange le coste e genera
la pace di arenile che contorna il mondo:
è il centrale volume della forza,
la potenza distesa delle acque,
l’immota solitudine affollata di vite.
Tempo, forse, o calice colmo
di ogni movimento, unità pura
non sigillata dalla morte, verde viscere
della totalità bruciante.
Del braccio immerso che solleva una goccia
non resta che un bacio del sale. Dei corpi
dell’uomo sulle tue rive un’umida fragranza
di fiore bagnato permane. La tua energia
sembra scivolare non esausta,
sembra ritornare al suo riposo.
L’onda che sferri,
arco d’identità, piuma stellata,
appena si sprofonda è solo schiuma
ma poi rinasce senza consumarsi.
Ogni tua forza ridiventa origine.
Solo abbandoni spoglie stritolate,
gusci che il tuo gran carico ha scartato,
ciò che l’eccesso del tuo avere esclude,
tutto ciò che ha cessato di esser grappolo.
Oltre le onde è protesa la tua statua.
Vive e ordinata come il petto e il manto
di una sola creatura, i cui respiri,
nella materia della luce issati,
pianure sollevate dalle onde,
sono la nuda pelle del pianeta.
E’ tua la sostanza che ti colma.
Piena di te è la curva del silenzio.
Di sale e di miele tuoi ribolle il calice,
l’universale cavità dell’acqua,
e non ti manca quanto possa avere
un cratere spellato o un vaso rozzo:
cime vuote, cicatrici,
segnali che vegliano sull’aria mutilata.
La tua corolla contro il mondo palpita,
tremano i tuoi sommersi cereali,
le soavi alghe appendono minacce,
navigano pullulanti i pescherecci
e sale al filo delle reti
solo il morto baleno della squama,
millimetro ferito nell’ampiezza
delle tue totalità cristalline.

– Pablo Neruda –

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ABBIAMO PERSO

Abbiamo perso anche questo crepuscolo.
Nessuno ci ha visto stasera mano nella mano
mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.

Ho visto dalla mia finestra
la festa del tramonto sui monti lontani.

A volte, come una moneta
mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani.

Io ti ricordavo con l’anima oppressa
da quella tristezza che tu mi conosci.

Dove eri allora?
Tra quali genti?
Dicendo quali parole?
Perché mi investirà tutto l’amore di colpo
quando mi sento triste e ti sento lontana?

È caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo
e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.

Sempre, sempre ti allontani la sera
e vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.

– Pablo Neruda –

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LA MATTINA E’ GONFIA

La mattina è gonfia di tempesta
nel cuore dell’estate.

Come bianchi fazzoletti d’addio viaggiano le nubi,
il vento le scuote con le sue mani peregrine.

Cuore infinito del vento
che palpita sul nostro silenzio innamorato.

E ronza tra gli alberi, orchestrale e divino,
come una lingua piena di guerre e di canti.

Vento che rapina fulmineo le foglie secche
e devia le frecce palpitanti degli uccelli.

Vento che le travolge in onda senza spuma
e sostanza senza peso, e fuochi inclinati.

Si rompe e sommerge il suo volume di baci
combattuto sulla porta del vento dell’estate.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

UBRIACO

Ubriaco di trementina e di lunghi baci,
guido il veliero delle rose, estivo,
che volge verso la morte del giorno sottile,
posato sulla solida frenesia marina.

Pallido e ormeggiato alla mia acqua famelica
incrocio nell’acre odore del clima aperto,
ancora vestito di grigio e di suoni amari,
e di un cimiero triste di spuma abbandonata.

Vado, duro di passioni, in sella all’unica mia onda,
lunare, solare, ardente e freddo, repentino,
addormentato nella gola di felici
isole bianche e dolci come freschi fianchi.

Trema nella notte umida il mio abito di baci
follemente carico di impulsi elettrici,
diviso in modo eroico tra i miei sogni
e le rose inebrianti che con me si cimentano.

Controcorrente, in mezzo a onde esterne,
il tuo corpo parallelo si ferma tra le mie braccia
come un pesce per sempre incollato alla mia anima,
rapido e lento nell’energia subceleste.

– Pablo Neruda –

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MI PIACI QUANDO TACI

Mi piaci quando taci perché sei come assente,
e mi ascolti da lontano, e la mia voce non ti tocca.
Sembra che si siano dileguati i tuoi occhi
e che un bacio ti abbia chiusa la bocca.

Siccome ogni cosa è piena della mia anima
tu emergi dalle cose, piena dell’anima mia.
Farfalla di sogno, assomigli alla mia anima,
e assomigli alla parola malinconia.

Mi piaci quando taci e sei come distante.
Sembri lamentarti, farfalla che tuba.
E mi ascolti da lontano e la mia voce non ti giunge:
lascia che io taccia con il silenzio tuo.

Lascia che ti parli anche con il tuo silenzio
chiaro come una lampada, semplice come un anello.
Sei come la notte, silenziosa e stellata.
Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice.

Mi piaci quando taci perché sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Poi basta una parola, un sorriso.
E sono felice, felice che non sia vero.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

PER IL MIO CUORE

Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino al cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.

È in te l’illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l’orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l’onda.

Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Coem quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

PERCHE’ TU POSSA ASCOLTARMI

Perché tu possa ascoltarmi
le mie parole
si fanno sottili, a volte,
come impronte di gabbiani sulla spiaggia.

Collana, sonaglio ebbro
Per le tue mani dolci come l’uva.

E le vedo ormai lontane le mie parole.
Più che mie sono tue.
Come edera crescono aggrappate al moio dolore antico.

Così si aggrappano alle pareti umide.
È tua la colpa di questo gioco cruento.

Stanno fuggendo dalla mia buia tana.
Tutto lo riempi tu, tutto lo riempi.

Prima di te hanno popolato la solitudine che occupi,
e più di te sono abituate alla mia tristezza.

Ora voglio che dicano ciò che io voglio dirti
Perché tu le ascolti come voglio essere ascoltato.

Il vento dell’angoscia può ancora travolgerle.
Tempeste di sogni possono talora abbatterle.
Puoi sentire altre voci nella mia voce dolente.
Pianto di antiche bocche, sangue di antiche suppliche.
Amami, compagna. Non mi lasciare. Seguimi.
Seguimi, compagna, su quest’onda di angoscia.

Ma del tuo amore si vanno tingendo le mie parole.
Tutto ti prendi tu, tutto.

E io le intreccio tutte in una collana infinita
per le tue mani bianche, dolci come l’uva.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

CHINO SULLE SERE

Chino sulle sere, lancio le mie reti tristi
nei tuoi occhi oceanici.

Lì si tende e arde nella pira più alta
la mia solitudine che annaspa come un naufrago.

Lancio rossi segnali oltre i tuoi occhi assenti
che ondeggiano come il mare sulla sponda di un faro.

Sorvegli solo le tenebre, femmina distante e mia,
dal tuo sguardo talora emerge la costa dello spavento.

Chino sulle sere, getto le mie reti tristi
in quel mare che scuote i tuoi occhi oceanici.

Gli uccelli notturni beccano le prime stelle
che splendono come la mia anima quando ti amo.

La notte galoppa sulla sua cavalla ombrosa
sparpagliando spighe azzurre sul campo.

– Pablo Neruda –

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QUI IO TI AMO

Qui ti amo.
Tra i pini scuri si srotola il vento.
Brilla fosforescente la luna su acque erranti.
Passano giorni uguali, inseguendosi l’un l’altro.

Si dirada la nebbia in figure danzanti.
Un gabbiano d’argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte stelle.

O la croce nera di una nave.
Solo.
A volte mi alzo all’alba e persino la mia anima è umida.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui io ti amo.

Qui io ti amo e invano l’orizzonte ti occulta.
Ti sto amando anche in mezzo a queste cose fredde.
A volte vanno i miei baci su quelle navi gravi,
che corrono sul mare dove non arriveranno.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.

Sono più tristi le banchine quando ormeggia la sera.
Si stanca la mia vita inutilmente affamata.
Amo quel che non ho. Tu sei così distante.
La mia noia lotta con lenti crepuscoli.
Ma poi giunge la notte e inizia a cantarmi.
La luna proietta la sua pellicola di sogno.

Mi guardano con i tuoi occhi le stelle più grandi.
E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie metalliche.

– Pablo Neruda –

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BIMBA BRUNA E FLESSUOSA

Bimba bruna e flessuosa, il sole che fa la frutta,
quello che riempie il grano, quello che piega le alghe,
ha fatto il tuo corpo allegro, i tuoi occhi luminosi
e la tua bocca che ha il sorriso dell’acqua.

Un sole nero e ansioso si attorciglia alle matasse
della tua nera chioma, quando allunghi le braccia.
Tu giochi con il sole come un ruscello
e lui ti lascia negli occhi due piccoli stagni scuri.

Bimba bruna e flessuosa, nulla mi avvicina a te.
Tutto da te mi allontana, come dal mezzogiorno.
Sei la delirante gioventù dell’ape,
l’ebbrezza dell’onda, la forza della spiga.

Eppure il mio cuore cupo ti cerca,
e amo il tuo corpo allegro, la tua voce disinvolta e sottile.
Farfalla bruna dolce e definitiva
come il campo di grano e il sole, il papavero e l’acqua.

– Pablo Neruda –

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ODE CON UN LAMENTO

Oh bambina tra le rose, oh pressione di colombe,
oh presidio di pesci e rosai,
la tua anima è una bottiglia piena di sale assetato
e una campana piena di uve è la tua pelle.
Sfortunamente non ho da darti che unghie
o ciglia, o pianoforti liquefatti,
o sogni che escono dal mio cuore a fiotti,
sogni polverosi che corrono come cavalieri neri,
sogni pieni di velocità e sventure.

Posso solo amarti con baci e papaveri,
con ghirlande bagnate dalla pioggia,
guardando cavalli cinerini e cani gialli.
Posso solo amarti con onde dietro la schiena,
tra vaghi colpi di zolfo e acque assorte,
nuotando contro i cimiteri che scorrono
in certi fiumi
con l’erba bagnata che cresce sulle tristi tombe di gesso,
nuotando attraverso cuori sommersi
e pallide ciabattine di bimbi insepolti.

C’è molta morte, molti avvenimenti funebri
nelle mie passioni indifese e baci desolati,
c’è l’acqua che mi cade sulla testa,
mentre mi crescono i capelli,
un’acqua come il tempo, un’acqua nera scatenata,
con una voce notturna, con un grido
d’uccello nella pioggia, con una interminabile
ombra d’ala bagnata che protegge le mie ossa:
mentre mi vesto, mentre
instancabilmente mi guardo negli specchi e nei vetri,
sento che qualcuno continua a chiamarmi tra i singhiozzi
con una voce triste imputridita dal tempo.

Tu sei in piedi sulla terra, piena
di denti e fulmini.
Tu spargi i baci e uccidi le formiche.
Tu piangi di salute, di cipolla, di ape,
di abbecedario in fiamme.
Tu sei come una spada azzurra e verde
e onduli quando ti toccano, come un fiume.
Vieni alla mia anima vestita di bianco, con un ramo
di rose insanguinate e calici di cenere,
vieni con una mela e un cavallo,
perché lì c’è una sala buia e un candelabro rotto,
delle sedie sghangherate che attendono l’inverno,
e una colomba morta, con un numero.

– Pablo Neruda –

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LA CANZONE DISPERATA

Emerge il tuo ricordo dalla notte in cui sono.
Il fiume congiunge al mare il suo lamento ostinato.

Abbandonato come le banchine all’alba.
È l’ora di partire, oh abbandonato!

Piovono sul mio cuore fredde corolle.
Oh sentina di macerie, feroce covo di naufraghi!

In te si accumularono le guerre e i voli.
Da te spiegarono le ali gli uccelli del canto.

Tutto hai inghiottito, come la lontananza.
Come il mare, come il tempo. Tutto in te fu naufragio!

Era l’ora felice dell’assalto e del bacio.
L’ora dello stupore che splendeva come un faro.

Ansia di timoniere, furia di palombaro cieco,
torbida ebbrezza d’amore, tutto in te fu naufragio!

Nell’infanzia di nebbia la mia anima alata e ferita.
Esploratore perduto, tutto in te fu naufragio!

Ti cingesti al dolore, ti aggrappasti al desiderio,
ti abbatté la tristezza, tutto in te fu naufragio!

Feci indietreggiare la muraglia d’ombra,
andai oltre il desiderio e l’atto.

Oh carne, carne mia, donna che amai e persi,
te, in questa ora umida, evoco e canto.

Come un bicchiere ospitasti l’infinita tenerezza,
e l’infinito oblio ti frantumò come un bicchiere.
Era la nera, nera solitudine delle isole,
e lì, donna d’amore, mi accolsero le tue braccia.

Era la sete e la fame, e tu fosti la frutta.
Era il dolore e la rovina, e tu fosti il miracolo.

Oh donna, non so come hai potuto contenermi
nella terra della tua anima, nella croce delle tue braccia!

Il mio desiderio di te fu il più terribile e breve,
i più inquieto ed ebbro, il più avido e teso.

Cimitero di baci, c’è ancora fuoco sulle tue tombe,
ancora bruciano i grappoli sbecchettati dagli uccelli.

Oh la bocca mordicchiata, le membra baciate,
oh i denti famelici, oh i corpi intrecciati.

Oh l’amplesso folle di speranza e vigore
in cui ci congiungevamo e ci disperavamo.

E la tenerezza, lieve come acqua e farina.
E la parola appena iniziata sulle labbra.

Quello fu il mio destino e con esso viaggiò il mio desiderio,
con esso crollò il mio desiderio, tutto in te fu naufragio!

Oh sentina di macerie, in te tutto crollava,
quale dolore non esprimesti, quale onde non ti affogarono.

Di caduta in caduta, ancora fiammeggiasti e cantasti.
In piedi come un marinaio a prua della nave.

Ancora fioristi in canti, ancora straripasti in correnti.
Oh sentina di macerie, posso aperto e amaro.

Pallido palombaro, tutto in te fu naufragio!

È l’ora di partire, l’ora fredda e dura
che la notte ferma su ogni orologio.

Il cinturone rumoroso del mare cinge la costa.
Sorgono fredde stelle, migrano uccelli neri.

Abbandonato come le banchine all’alba.
Solo l’ombra tremante mi si ritorce tra le mani.

Ah più in là di qualsiasi cosa. Ah ben più in là.
È l’ora di partire. Oh abbandonato!

– Pablo Neruda –

divisore poesia

LA GRANDE GIOIA

L’ombra che ho frugato ormai non mi appartiene.
lo ho la gioia duratura dell’albero,
l’eredità dei boschi, il vento del cammino
e un giorno deciso sotto la luce terrestre.
Non scrivo perché altri libri mi imprigionino
né per accaniti apprendisti di giglio,
bensì per semplici abitanti che chiedono
acqua e luna, elementi dell’ordine immutabile,
scuole, pane e vino, chitarre e arnesi.
Scrivo per il popolo per quanto non possa
leggere la mia poesia con i suoi occhi rurali.
Verrà il momento in cui una riga, l’aria
che sconvolse la mia vita, giungerà alle sue orecchie,
e allora il contadino alzerà gli occhi,
il minatore sorriderà rompendo pietre,
l’operaio si pulirà la fronte,
il pescatore vedrà meglio il bagliore
di un pesce che palpitando gli brucerà le mani,
il meccanico, pulito, appena lavato, pieno
del profumo del sapone gua!derà le mie poesie,
e queste gli diranno forse: «E’ stato un compagno».
Questo è sufficiente: questa è la corona che voglio.
Voglio che all’uscita di fabbriche e miniere
stia la mia poesia attaccata alla terra,
all’aria, alla vittoria dell’uomo maltrattato.
Voglio che un giovane trovi nella scorza
che io forgiai con lentezza e con metalli
come una cassa, aprendola, faccia a faccia, la vita,
e affondandovi l’anima tocchi le raffiche che fecero
la mia gioia, nell’altitudine tempestosa.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

LE TUE MANI

Quando le tue mani muovono,
amore, verso le mie,
cosa mi portano in volo?
Perché si sono fermate
sulla mia bocca, all’improvviso,
perché le riconosco
come se una volta, prima,
le avessi toccate,
come se prima di esistere
avessero già percorso
la mia fronte, la mia cintura?
La loro morbidezza giungeva
volando sul tempo,
sul mare, sul fumo,
sulla primavera,
e quando tu hai posato
le tue mani sul mio petto,
ho riconosciuto quelle ali
di colomba dorata,
ho riconosciuto quella creta
e quel colore di grano.
Per tutti gli anni della mia vita
ho vagato cercandole.
Ho salito scale,
ho attraversato scogliere,
mi hanno trascinato via treni,
le acque mi hanno riportato,
e nella pelle dell’uva
mi è sembrato di toccarti.
Il legno di colpo
mi ha portato il tuo contatto,
la mandorla mi annunciava
la tua morbidezza segreta,
finché si sono strette
le tue mani sul mio petto
e lì come due ali
hanno concluso il loro viaggio.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

LA MORTE

Sono rinato molte volte, dal fondo
di stelle rovinate, ricostruendo il filo
delle eternità che popolai con le mie mani,
e ora vado a morire, senza nient’ altro, con la terra
sopra il mio corpo, destinato a essere terra.
Non ho comprato una porzione del cielo che vendevano
i sacerdoti, e non ho accettato le tenebre
che il metafisico fabbricava
per potenti sfaccendati.
Voglio stare nella morte insieme ai poveri
che non ebbero tempo di studiarla,
mentre li bastonavano quelli che hanno
un cielo suddiviso e su misura.
Ho la mia morte pronta, come un vestito
che mi aspetta, del colore che amo,
dell’estensione che cercai inutilmente,
della profondità che necessito.
Quando l’amore consumò la sua materia evidente
e la lotta sgrana i suoi martelli
in altre mani di unita forza,
la morte viene a cancellare le tracce
che costruirono le tue frontiere.

– Pablo Neruda –

divisore poesia

POSSO SCRIVERE I VERSI PIU’ TRISTI STANOTTE

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.

Scrivere, per esempio: «La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri, in lontananza.»

Il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l’amai e a volte anche lei mi amò.

Nelle notti come questa l’ho tenuta tra le braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi ha amò e a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l’ho più. Sentire che l’ho perduta.

Udire la notte immensa, ancor più immensa senza lei.
E il verso cade sull’anima come sll’erba la rugiada

Che importa che il mio amore non potesse conservarla

La notte è stellata e lei non è con me.

E’ tutto. In lontananza, qualcuno canta.

In lontananza.

La mia anima non si accontenta d’averla perduta.

Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.

Noi, quelli di allora, già non siamo gli stessi.

Io non l’amo , è certo, ma quanto l’amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.

D’altro. Sarà d’altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.

Più non l’amo, è certo, ma forse l’amo.
È così breve l’amore, ed è sì lungo l’oblio.

Perchè in notti come questa la tenni tra le mie braccia,

la mia anima non si rassegna d’averla perduta.

Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.

– Pablo Neruda –

rassegna.it

Newsletter del 06/06/2015

Flc Vercelli-Valsesia: Claudio Canato è il nuovo segretario(05/06/2015 19:18)

Spettacolo, Slc: lavorare gratis non è un’opportunità (05/06/2015 18:11)

Fp Marche: sanità, è necessario cambiare rotta (05/06/2015 18:02)

  Appello del sindacato al nuovo presidente della Giunta regionale

Formazione, Fp Lombardia: aperto confronto con Regione(05/06/2015 17:23)

  Il sindacato: “Adesso servono risposte concrete”

Fp Roma-Lazio, precari giustizia: incontro con Regione positivo (05/06/2015 17:00)

  A breve, la definizione di un protocolo d’intesa per garantire occupazione

Cgil Friuli: sul lavoro, la Regione deve cambiare marcia(05/06/2015 16:44)

  Olivo: “Dall’Istat arrivano dati che allarmano”. Belci: “Bisogna accelerare su reddito di cittadinanza e formazione”

Referendum su accordo Cevital: vince il sì con il 91,7%(05/06/2015 15:41)

  Lami (Cgil Toscana): “Grande risultato, c’è un modello Piombino di relazioni sindacali”. Gabrielli (Fiom Cgil provinciale): “Premiate le lotte dei lavoratori”

Potenza: gruppo Coca Cola, Flai vince elezioni Rsu (05/06/2015 15:21)

Genova: stabilizzati 25 edili, sindacati soddisfatti (05/06/2015 15:12)

Flai Cgil: per 2015 no sgravi su premi produzione, scelta sciagurata (05/06/2015 14:35)

  “Il ministero dell’Economia ha confermato che per il 2015 non ci sarà lo sgravio fiscale a favore dei lavoratori sui premi di produzione e, in generale, sul salario di 2° livello quale incentivo alla crescita della produttività”

Università, specializzazioni mediche: Fp Cgil, da Consiglio di stato sovrannumero senza retribuzione (05/06/2015 14:23)

  Cozza: “Sentenza importante, battaglia diritto a formazione non si ferma”

Sanità, negli ospedali a rischio 10mila posti letto (05/06/2015 13:34)

  L’allarme della Fp Cgil. “Il taglio dei posti letto previsto dalla legge Balduzzi sta già producendo i suoi effetti negativi. In molti ospedali si rivedono barelle nei corridoi, alcuni dipartimenti di emergenza fanno sostare i malati oltre il possibile”

«Serve una grande vertenza sulle pensioni» (05/06/2015 13:30)

  Carla Cantone (Spi Cgil): “La Consulta non ha risolto tutti i problemi che hanno impoverito la gente. Apriamo insieme, confederazione e federazioni, una vertenza sul sistema pensionistico, sul fisco, sulle tasse, sul welfare. Cambiamo la legge Fornero”

Sicilia, parte raccolta firme per legge iniziative popolare famiglie povere (05/06/2015 13:18)

Pedretti (Spi Cgil): sistema pensionistico da rivedere (05/06/2015 13:16)

  La relazione di apertura all’Assemblea dei quadri e attivisti del sindacato. “La legge Fornero ha tagliato il diritto alla pensione, ha colpito centinaia di migliaia di lavoratori e provocando danni enormi. No al ricalcolo contributivo”

Palermo, due carovane in piazza con centinaia di edili (05/06/2015 13:11)

  Gli edili di Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil hanno riunito simbolicamente la Sicilia ‘spezzata’ e lanciato un appello ai governi regionale e nazionale per infrastrutture moderne necessarie allo sviluppo dell’isola

Bologna: Filt Cgil, il 6/6 iniziativa “Giornata dell’integrazione”(05/06/2015 12:33)

Spi: Baseotto, da oggi lavoriamo a nuovo statuto lavoratori(05/06/2015 12:04)

Spi Cgil, al via assemblea nazionale a Roma (05/06/2015 11:49)

Bofrost: nuova apertura e nuove assunzioni in Veneto (05/06/2015 10:54)

Sicilia: Fillea, oggi 5/6 grande iniziativa su crisi edilizia(05/06/2015 09:34)

San Norberto

San Norberto


San Norberto

Nome: San Norberto
Titolo: Vescovo
Ricorrenza: 06 giugno

S. Norberto nacque a Xanten, città della Francia, nel 1086 da una illustre e ricca famiglia. 

Fin da giovinetto si diede agli studi con splendidi successi, per cui fu bene accolto alle corti dei principi e in quella dello stesso imperatore Enrico. 

E qui, più che altrove, diede prova della sua nobiltà e della sua erudizione. 

Norberto però in questa prima sua gioventù sprecò i preziosi talenti ricevuti da Dio conducendo una vita comoda, amante delle vanità e delle lodi. 

Ma la grazia di Dio non tardò a smuovere il suo cuore e a fargli comprendere che tutto è vanità. 

Un giorno mentre viaggiava, elegantemente vestito, sul suo cavallo, lo colse un temporale. Rifugiatosi sotto una pianta, poco mancò che un fulmine non lo incenerisse. La terra si aperse sotto i piedi del cavallo ed egli fu buttato a terra svenuto. 

Rinvenuto, si ricordò della sua triste vita condotta fino allora e, come già S. Paolo, rivolse al Signore le parole: « Che vuoi che io faccia? ». — « Fuggi il male e fa’ il bene, cerca la pace e seguila finché non la trovi ». 

Queste parole le sentì nel profondo del cuore. Era la voce di Dio che ancora una volta lo chiamava, ed egli l’ascoltò e mutò vita per sempre.

Abbandonata la corte, si ritirò nel monastero di Sigeberto vicino a Colonia, e dopo conveniente preparazione fu ordinato sacerdote dall’Arcivescovo di quella città. 

In seguito fu eletto canonico e in questo nuovo ufficio avrebbe voluto correggere molti abusi, ma trovò ostacoli nella rilassatezza dei tempi, per cui, rinunziato al canonicato, camminando a piedi scalzi, e mendicando il cibo, andava annunziando ovunque la buona novella, finchè si ritirò nel silenzio di Premonstrato. Ma non fu solo. Quaranta ecclesiastici e molti secolari si unirono a lui per vivere nella penitenza e ne la preghiera. S. Norberto pensò allora ad una regola di vita comune e adottò quella di S. Agostino, e nel Natale del 1121 fecero la professione solenne. Così era fondata la Congregazione dei Canonici Regolari Premostratensi. 

Nel viaggio che fece a Roma per l’approvazione della regola, passò a Spira ove il clero e il popolo era no radunati per l’elezione del nuovo arcivescovo. Sa puto l’arrivo del Santo, egli stesso fu eletto all’alta di gnità. « Ecco il nostro padre, ecco il nostro pastore Y. si gridava dappertutto. Voce di popolo, voce di Dio: e S. Norberto dovette accettare e cercò di soddisfar a questo nuovo onere guadagnando tutti a Gesù Cristo

Non pochi però si opposero al suo ardente zelo attentarono anche alla sua vita. Egli perdonò e sopportò tutto; e alla fine colla sua pazienza vinse anche quegli animi ribelli, conducendoli all’ovile di Gesù Cristo.

Nel 1131 assistette al concilio che si tenne a Reim e molto s’affaticò per estinguere lo scisma dell’antipa pa Anacleto; nello stesso tempo visitò molte provinc della Germania portando ovunque la sua parola di padre e di pastore. 

Una malattia che l’assalì gravemente, lo tenne per 4 mesi a letto ed il 6 giugno 1134 spirò nel bacio de Signore. 

PRATICA. Perdoniamo le offese ricevute e godiamo se il mondo ci odia quando facciamo bene, perchè, allora siamo sicuri di essere veramente seguaci di Gesù Cristo. 

PREGHIERA. O Signore, che il tuo beato confessore e vescovo Norberto rendesti banditore esimio della tua parola, e per suo mezzo rendesti feconda la tua Chiesa di una nuova famiglia, deh! fa che per i suoi meriti possiamo praticare col tuo aiuto quando egli ha insegnato con le parole e colle opere.