Umbria Olii, se la colpa è di chi muore

Lavorare per vivere

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Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Fabrizio Ricci che riporta in una cronaca fedele,  gli avvenimenti, dall’incidente che ha causato la morte di quattro lavoratori  sino ad un processo in cui c’è uno scambio delle parti. Le vittime sembrano i carnefici di loro stessi e i carnefici diventano vittime. Un libro che vale la pena di leggere per capire come si lavora in Italia, quali i condizionamenti dei datori di lavoro e quanto gli stessi lavoratori si sentano usurpati di un loro diritto. Quello di lavorare non per morire, ma per vivere. 

“L’esplosione è stata devastante, non ha lasciato scampo. Il volo di 50 metri, la rovinosa caduta al suolo e le fiamme che hanno ridotto i corpi come pezzi di carbone sono arrivati dopo, quando i giochi erano già fatti. È l’esplosione che ha ucciso tutti e quattro: Maurizio, Tullio, Vladimir e Giuseppe. È l’esplosione che ha dato il via a una storia assurda, per certi versi grottesca, sulla quale ancora per molto tempo sarà difficile porre la parola fine.

A Campello dicono che avvicinandosi ai grandi sili distrutti della Umbria Olii, le cui lamiere contorte e arrugginite oggi sembrano sculture di uno scenario post apocalittico, ancora si senta quell’odore forte e acre di olio bruciato, come se fosse penetrato nella terra e non se ne volesse più andare. Ma ormai sono passati tre anni e forse l’odore è più che altro nelle teste delle persone che ricordano.

Il processo
Non dovevano usare quel saldatore. Non dovevano accendere quell’aggeggio elettrico e soprattutto non dovevano avvicinarlo al tetto del serbatoio, spesso solo pochissimi millimetri. Come hanno fatto a commettere un errore così grave? Loro che quei sili li avevano costruiti e li conoscevano alla perfezione. Loro che lavoravano da anni per la Umbria Olii e che avrebbero dovuto sapere ormai che tipo di azienda era, che lavorazioni svolgeva, quali erano i rischi.

Avrebbero dovuto saperlo, sì, ma lo sapevano? E chi era tenuto a informarli? Insomma, come si è potuti arrivare a un simile disastro? Di chi sono le immense responsabilità? Davvero la colpa è di chi muore? Il processo penale per la strage del 25 novembre 2006 alla Umbria Olii ha preso il via il 24 novembre 2009. Un giorno prima del suo terzo anniversario. Tre lunghi anni prima di poter cominciare a cercare compiutamente la verità.

Il 14 giugno 2008 le quattro vedove, i due fratelli di Giuseppe Coletti, Paolo e Antonio, e Klaudio Demiri, l’unico sopravvissuto del disastro del 25 novembre 2006, si vedono recapitare dall’ufficiale giudiziario incaricato dal tribunale di Spoleto una notifica dell’atto di citazione da parte di Giorgio Del Papa, legale rappresentante della Umbria Olii Spa. Sono tutti invitati a comparire davanti al giudice del Tribunale Civile di Spoleto come responsabili dei danni subiti dalla Umbria Olii. In altre parole l’unico superstite e i parenti dei morti, compresi i figli minorenni di Morena Manili, di Anila Todhe e di Catia Mottini, sono chiamati a risarcire in solido i danni arrecati all’azienda di Del Papa dai loro mariti e padri nell’atto finale della loro esistenza: devono pagare 35 milioni 316 mila 456 euro.

Dunque, improvvisamente e a pochi giorni dall’udienza che dovrebbe decretare il rinvio a giudizio di Giorgio Del Papa, i ruoli si invertono. I familiari dei morti, che sono parte offesa nel procedimento penale, diventano in sede civile i possibili responsabili dell’immane disastro che, dopo aver ucciso i loro cari, ha distrutto gran parte dell’azienda di Campello sul Clitunno.

E ora che il processo è partito, seppure con tutti i condizionamenti derivanti dall’ennesimo ricorso pendente in Cassazione, sarà interessante capire come i media e l’opinione pubblica riprenderanno in mano i fili di questa storia. Perché il clima nel Paese è molto cambiato e anche una vicenda come questa, che aveva saputo indignare l’opinione pubblica, potrebbe oggi essere letta diversamente, con minore interesse, con minore trasporto di coscienza. Paradossalmente la tragedia di Campello aveva contribuito a dar vita a una speranza. Il sacrificio di quei lavoratori, insieme a quelli di centinaia di altre vittime spesso senza nome, aveva innescato qualcosa che sembrava poter portare a un’inversione di tendenza. Lentamente, a partire dal rogo della Umbria Olii e poi in maniera ancora più forte dopo la tragedia della Thyssen, si era andata formando nel Paese una tensione morale nuova, quasi un risveglio collettivo di fronte a una piaga presente da sempre, ma che a un certo punto era sembrata di colpo qualcosa di non più tollerabile nel terzo millennio e in un Paese che continua a considerarsi tra i più avanzati al mondo. La spinta di una nascente coscienza collettiva sembrava forte, quasi irresistibile. Finalmente qualcosa sarebbe cambiato, il trend invertito, la vergogna interrotta.

Non è facile dire quanto sia rimasto di questo slancio oggi. Certo è che l’attenzione dei media (dei grandi media) è progressivamente venuta meno. Il processo Thyssen è uscito di scena, confinato nelle pagine locali di qualche quotidiano. Le altre tragedie recenti, sono prima sfumate e poi scomparse. Difficile sperare in una sorte differente per i morti di Campello, nonostante la loro straordinaria peculiarità. In fondo Maurizio, Vladimir, Tullio e Giuseppe, prime vittime di una tragedia sul lavoro a ritrovarsi sotto accusa per la loro stessa morte, sono pur sempre 4 dei 1.300 che se ne vanno ogni anno nelle fabbriche, nei cantieri e nei campi. Un numero, persino piccolo, che rischia di perdersi nelle statistiche”.

Umbria Olii, se la colpa è di chi muoreultima modifica: 2010-02-11T09:02:27+01:00da vitegabry
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