POLITICA

Roma, un baratro senza opposizione

—  Paolo Berdini, 2.12.2014

La pre­senza della grande cri­mi­na­lità orga­niz­zata a Roma non è una novità. Nel 1968 Michele Sin­dona diventa capo della Società gene­rale immo­bi­liare. Nel 1982 l’Università di Tor Ver­gata acqui­sta il ret­to­rato dalla Banda della Magliana. Impor­tati pezzi dell’economia e delle isti­tu­zioni pub­bli­che col­luse con la cri­mi­na­lità deru­bri­cati a pic­coli inci­denti. C’è voluta tutta la bra­vura del pro­cu­ra­tore Pigna­tone, degli inqui­renti e delle forze dell’ordine per sco­per­chiare un sistema per­fetto che da decenni si era invece inci­stato nella capi­tale. I nomi degli arre­stati non lasciano dubbi. Boss mala­vi­tosi insieme a alla destra neo­fa­sci­sta. Diri­genti di coo­pe­ra­tive insieme a pedine dell’occupazione par­ti­tica delle isti­tu­zioni. Dob­biamo dipa­nare que­sto intrec­cio se vogliamo capire il bara­tro in cui è caduta la capitale.

Dob­biamo chie­derci come sia stato pos­si­bile che una con­sor­te­ria tra­sver­sale abbia potuto agire indi­stur­bata e le rispo­ste sono tre. La prima riguarda il fatto che da venti anni è stata can­cel­lata ogni forma di regola nella con­du­zione della cosa pub­blica. Nelle auto­riz­za­zioni com­mer­ciali, negli appalti; negli immo­bili da affit­tare (Di Ste­fano docet); nell’urbanistica con­trat­tata che può deci­dere tutto e il suo con­tra­rio, non c’è seg­mento della vita pub­blica che sia stata sot­tratta alle regole della tra­spa­renza per essere affi­data alla discre­zio­na­lità più assoluta.

La seconda causa riguarda il bara­tro etico in cui è caduta la politica.

Da troppi anni nell’aula del Cam­pi­do­glio non esi­ste una oppo­si­zione degna di que­sto nome. Sulle que­stioni fon­da­men­tali vige un patto di ferro che l’inchiesta ha sve­lato. Destra e sini­stra unite nella spar­ti­zione della cosa pub­blica. La poli­tica che pri­vi­le­gia gli affari e tace sullo stato deva­stante delle peri­fe­rie urbane. Salvo poi stu­pirsi o caval­care il dolore della parte più debole della società, come ha fatto Gianni Ale­manno negli eventi di Tor Sapienza di que­sti giorni. E infine il terzo tas­sello: l’occupazione dei gan­gli diri­gen­ziali delle ammi­ni­stra­zioni pub­bli­che e delle società con­trol­late. Si è spesso deru­bri­cata que­sto feno­meno come un inno­cuo com­penso per i poli­tici sulla via del tra­monto. Non è così. L’Ente Eur affi­dato nelle mani di Man­cini gestiva appalti milio­nari, ven­deva patri­mo­nio pub­blico, con­clu­deva valo­riz­za­zioni urba­ni­sti­che. E così tutte le altre società. Lo Stato can­cel­lato da una spre­giu­di­cata con­sor­te­ria bipartisan.

Sono que­sti i nodi che la poli­tica deve affron­tare. Nei decenni pre­ce­denti le denun­cie dei par­titi e di tanti intel­let­tuali tro­va­vano in piaz­zale Clo­dio quello che venne deno­mi­nato il porto delle neb­bie: una disat­ten­zione a tro­vare il filo che univa il malaf­fare e la poli­tica. Para­dos­sal­mente è pro­prio dall’ex palazzo delle neb­bie che è venuto un segnale straor­di­na­rio per ten­tare di rimet­tere la capi­tale d’Italia sui binari della lega­lità. E’ ora che anche le isti­tu­zioni pub­bli­che si libe­rino della zavorra dei cor­rotti e che la poli­tica torni ad occu­parsi della città e non degli affari.

ultima modifica: 2014-12-03T18:41:32+01:00da vitegabry
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