Archivi giornalieri: 15 luglio 2023

Tutela dei dipendenti che segnalano violazioni: nuove disposizioni

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Tutela dei dipendenti che segnalano violazioni: nuove disposizioni

Operativa dal 15 luglio la tutela dei soggetti che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’UE.

Pubblicazione: 14 luglio 2023

Dal 15 luglio 2023, per effetto del decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24, sarà garantita la tutela dei dipendenti pubblici e privati che segnalano o denunciano violazioni del diritto dell’Unione europea e delle disposizioni normative nazionali.

Questa protezione garantisce la riservatezza dell’identità della persona che compie la segnalazione, della persona coinvolta e di quella menzionata nella segnalazione, oltre al contenuto della segnalazione stessa e della relativa documentazione (cd. whistleblowing).

La circolare INPS 13 luglio 2023, n. 64 illustra il nuovo quadro normativo e le modalità con cui segnalare le violazioni nell’ambito del proprio contesto lavorativo.

Lo Stato sociale per la crescita del Paese: intervista a Giuseppe Sacco

Lo Stato sociale per la crescita del Paese: intervista a Giuseppe Sacco

Il professor Giuseppe Sacco interviene sull’importanza dello “Stato sociale” e delle politiche di welfare state per la competitività del Paese.

Pubblicazione: 14 luglio 2023

“Senza una buona amministrazione, quasi niente può funzionare”. Questo è il sincero convincimento che traspare dalle risposte date durante l’intervista  a Giuseppe Sacco, professore di Politica economica internazionale, ribadisce la mai tramontata importanza delle politiche di welfare state, anche in questo nuovo secolo in cui tutto appare rimesso in discussione.

In questo senso, sottolinea anzi il professore, veniamo da un trentennio in cui un processo di generale liberalizzazione commerciale e di crescita senza inflazione dovuta ai Paesi a basso costo del lavoro ha portato tutti i benefici che poteva portare. Ma ha anche accumulato un imponente passivo in materia di diseguaglianze. Urgente e indispensabile appare – se si vogliono evitare eventi drammatici come quelli che già si manifestano in qualche Paese europeo, ma che anche e soprattutto si profilano negli Stati Uniti – riconoscere un ruolo crescente a uno “Stato sociale” capace di recepire le esigenze dei cittadini, e di rispondere garantendo loro le dovute protezioni.

Né va peraltro dimenticato come il sistema previdenziale italiano rimanga “uno dei più avanzati” al mondo. Per sintetizzare la natura e la forza di tale sistema, Sacco – che pure per un trentennio è stato Cattedratico alla Luiss – non esita a ricordare le origini ideologiche delle sue tappe fondamentali, che si ritrovano nel pensiero socialista come in quello dalle forze cattoliche, cui va riconosciuta l’estensione della previdenza sociale al mondo agricolo, voluta all’indomani della Seconda guerra mondiale. Ma non esita neanche a sottolineare le condizioni istituzionali indispensabili perché lo Stato sociale possa funzionare con efficacia di risultati e con costi accettabili. E il ruolo di primo piano che, a questo fine, riveste il sistema dei media.

“Il singolo cittadino è favorito dall’azione pubblica, quella che la collettività gli offre attraverso una burocrazia molto capillare. Ma da tale complessa struttura il cittadino-assistito chiaramente rischia pure di diventarne dipendente. E quando l’azione pubblica si inceppa, e non gli fornisce più, o gli fornisce male con tempi troppo lunghi quei servizi medici e sociali quasi sempre indispensabili alla sua sopravvivenza, il cittadino non ha via d’uscita. Non può, come accade nei sistemi privatistici, rivolgersi a un altro fornitore”, aggiunge Sacco.

E qui appare in tutta la sua importanza il ruolo dell’informazione: “La stampa dovrebbe andare più sistematicamente di quanto già non accada, a caccia della cosiddetta ‘malasanità’, per identificarne casi concreti e denunciarli in modo che diventi impossibile non intervenire. Insomma, in una società in cui lo Stato ha un ruolo sempre più importante, l’Opinione pubblica, e soprattutto quella ‘pubblicata’, debbono avere un ruolo di contrappeso sempre più impegnativo”.

Sebbene consapevole dei costi e delle difficoltà, il professor Sacco – che è uno specialista in materia di sistemi economici internazionali – non ha dunque alcun dubbio: “Uno Stato sociale che operi con efficacia di risultati e a costi a questi non sproporzionati garantisce al Paese una crescita in termini di competitività, e un evidente beneficio economico”.

Per approfondire il tema dello Stato sociale e le dinamiche a esso collegate, guarda la video-intervista.

San Bonaventura

 

San Bonaventura


Nome: San Bonaventura
Titolo: Vescovo e dottore della Chiesa
Nascita: 1221, Bagnoregio, Lazio
Morte: 14 luglio 1274, Lióne, Francia
Ricorrenza: 15 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Canonizzazione:
14 aprile 1482, Roma , papa Sisto IV
Nell’anno 1221 nasceva in Bagnoregio (Lazio) San Bonaventura che al fonte battesimale fu chiamato Giovanni. Essendosi ammalato gravemente all’età di quattro anni, la mamma lo raccomandò a S. Francesco d’Assisi, colà di passaggio, promettendo di offrirlo al Signore nell’ordine dei Frati Minori, se avesse riacquistata la salute. S. Francesco pregò per lui e quando lo seppe risanato, esclamò: « O buona ventura » e da allora Giovanni fu chiamato Bonaventura.

Cresciuto negli anni, nel 1242 si associò ai seguaci del poverello d’Assisi, ove in breve fece mirabili progressi nella virtù e nella scienza.

Fatta la professione, venne mandato all’Università di Parigi, alla scuola del dottissimo Padre Ales. I progressi che fece negli studi furono tali che dopo solo sette anni venne eletto professore di filosofia e teologia nella medesima Università.

I suoi esempi rifulgevano davanti ai confratelli ed essi, nonostante la sua giovine età, lo elessero priore generale dell’ordine nel 1256.

Nella nuova carica era sempre così puntuale e preciso, che per stimolare i ritrosi ed animare i fervidi alla imitazione di S. Francesco, si serviva più del suo esempio che della sua autorità.

La sua fama si estese: tutti ormai stimavano il Padre Bonaventura uomo eccezionale, perciò il papa Clemente IV gli offrì l’arcivescovado di York (Inghilterra). Ma S. Bonaventura riuscì a indurre il Santo Padre a desistere dal suo progetto.

Però Gregorio X, successore di Clemente IV, vedendo i doni che Dio aveva elargito a questo religioso, e considerando il gran bene che avrebbe potuto fare alla Chiesa, lo elesse cardinale. S. Bonaventura non voleva e si era persino rifugiato in Francia; ma tutto fu inutile. Costretto dall’ubbidienza si portò a Roma dove il Papa, consacrandolo vescovo di Albano, lo nominò legato pontificio assieme a San ‘Tommaso d’Aquino per il concilio che si stava per aprire in Lione.

Ma S. Tommaso lungo il viaggio s’ammalò e morì, e S. Bonaventura per il troppo lavoro fu preso da atroce malore e da vomito continuo, onde in pochi giorni passò’ all’eternità. Era il 14 luglio del 1274.

Come si è già accennato, S. Bonaventura era dottissimo ed in mezzo alle sue molteplici occupazioni trovò modo di scrivere numerosi volumi che rivelano la profondità della sua dottrina e l’acutezza del suo ingegno. Ad una vecchietta che lo lodava per la sua scienza rispose: « Voi potete amar Dio più di qualsiasi sapiente ed è questo l’unico mezzo per essere a Lui accetti ».

Un fraticello laico perciò ripeteva: « Vecchierella, vecchierella, se tu amerai il Signore più di Padre Bonaventura, sarai più santa di Padre Bonaventura ».

PRATICA. La perfezione cristiana non consiste in altro che nel conoscere, amare e servire fedelmente il Signore.

PREGHIERA. O Dio, che desti al tuo popolo il beato Bonaventura ministro di eterna salute, deh! fa’ che, come lo avemmo dottore sulla terra, meritiamo di averlo intercessore in cielo.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Lióne, in Frància, la deposizione di san Bonaventura, Cardinale e Vescovo di Albàno, Confessore e Dottore della Chiesa, dell’Ordine dei Minori, famosissimo per la dottrina e la santità della vita. La sua festa tuttavia si celebra nel giorno precedente.

PROVERBIO. A San Bonaventura s’è finito di mietere in pianura.

 

Ricordando Antonio Simon Mossa

Ricordando Antonio Simon Mossa, teorico del moderno indipendentismo sardo

14 Luglio 2023

[Francesco Casula]

Il 14 luglio del 1971 scompariva Antonio Simon Mossa, il teorico (e padre) del moderno indipendentismo sardo, del tutto rimosso e dimenticato dalle Istituzioni sarde e dalla cultura (e scuola) ufficiale.

Algherese, Antonio Simon Mossa è un architetto di talento, arredatore, urbanista e artista di genio, insegnante dell’istituto d’arte e scenografo, intellettuale dagli interessi pressoché enciclopedici e dalla forte sensibilità artistica, viaggiatore colto e curioso del nuovo e del diverso tanto da spaziare con gusto e competenza nell’ambito di una pluralità vastissima di arti: dalla letteratura alla pittura e alle arti popolari.

Ma è anche brillante ideologo indipendentista (una indipendenza non solo di liberazione economica e sociale ma anche di libertà di tutto il popolo sardo dal punto di vista etnico, etico e culturale) e di un nuovo Sardismo, giornalista e polemista ironico e versatile, viaggiatore colto e aperto alle problematiche delle minoranze etniche mondiali, ma soprattutto europee. Conoscendole direttamente, per così dire de visu, si rende conto della drammatica minaccia di estinzione che pesa su di esse: oramai sul bilico della scomparsa. Contro di esse è in atto, infatti, un pericolosissimo processo di “genocidio”, soprattutto culturale ma anche politico e sociale. Si tratta di minoranze che l’imperiale geometria delle capitali europee vorrebbe ammutolire.

Simon Mossa aveva infatti verificato la tendenza del genocidio culturale e non solo, dei popoli senza stato, delle piccole patrie, incorporate e imprigionate coattivamente nei grandi leviatani europei e mondiali, centralisti e accentrati, entro un sistema artificioso di frontiere statali, sottoposti a controllo permanente, con evidenti fini di spersonalizzazione, ridotti all’impotenza e di continuo minacciati delle più feroci rappresaglie, se mai tentassero di rompere o indebolire la sacra unità della Patria.

All’interno di tali minoranze colloca la Sardegna che considera una unità o comunità etnica ben distinta dalle altre componenti dello Stato italiano. Per annichilire l’identità etno-nazionale dei Sardi è in atto – secondo Simon Mossa – un processo forzato di integrazione che minaccia l’identità culturale, linguistica ed etnica, anche con la complicità di molti sardi che si lasciano comprare.

Uno degli elementi che per Simon Mossa devasta maggiormente l’Identità di un popolo è l’attacco alla cultura e alla lingua locale: in Sardegna, dunque, il divieto e la proibizione della cultura e della lingua sarda (ad iniziare dalla scuola di stato) e segnatamente dell’uso pubblico e ufficiale del Sardo.

L’ideologo nazionalitario e indipendentista sa bene che un popolo senza Identità, in specie culturale e linguistica, è destinato a morireSe saremmo assorbiti e inglobati nell’etnia dominante e non potremmo salvare la nostra lingua, usi costumi e tradizioni e con essi la nostra civiltà, saremmo inesorabilmente assorbiti e integrati nella cultura italiana e non esisteremo più come popolo sardo. Non avremmo più nulla da dare, più niente da ricevere. Né come individui né tanto meno come comunità sentiremo il legame struggente e profondo con la nostra origine ed allora veramente per la nostra terra non vi sarà più salvezza. Senza Sardi non si fa la Sardegna. I fenomeni di lacerazione del tessuto sociale sardo potranno così continuare, senza resistenza da parte dei Sardi, che come tali, più non esisteranno e così si continuerà con l’alienazioneetnica, lo spopolamento, l’emarginazioneeconomica. Ma questo discorso è valido nella misura in cui lo fanno proprio tutti i popoli parlanti una propria originale lingua e stanziati in un territorio omogeneo, costituenti insomma una nazione che sia assoggettata e inglobata in uno Stato nel quale l’etnia dominante parli una lingua diversa.

Poliglotta e appassionato studioso di lingua e di linguistica – fra l’altro traduce in Sardo il Vangelo e scrive ottave deliziose – ritiene che Il sardo lungi dall’essere un dialetto ridicolo è già, ma in ogni modo può e deve essere una lingua nella misura in cui sia parlato e scritto da un popolo libero e capace di riaffermare la propria identità. A questo proposito pone questo interrogativo: Hai mai meditato su ciò che significa l’esclusione della nostra lingua madre dalle materie di insegnamento delle scuole pubbliche e il divieto di farne uso negli atti «ufficiali»? Ci regalano insegnanti di un italiano spesso approssimativo e zeppo di provincialismo e noi non abbiamo il diritto di esprimerci adeguatamente nella nostra lingua! Ci hanno privato del primordiale e più autenticamente «autonomista» strumento di comunicazione fra gli uomini!

Sostiene ciò nel luglio del 1967, molto prima che in Sardegna la questione del “Bilinguismo perfetto” diventasse oggetto di discussione prima e di iniziativa politica poi: a buona ragione possiamo perciò considerare Simon Mossa, il vero profeta e anticipatore delle proposte prima e della Legge regionale 26 sul Bilinguismo poi. Con acume e perspicacia aveva capito che il problema della lingua sarda non era tanto o soltanto parlarla, magari nell’ambito familiare, ma scriverla e soprattutto insegnarla nelle Scuole di ogni ordine e grado come materia curriculare; usarla nella Pubblica Amministrazione, nei media, (da quelli tradizionali: Giornali e Radio, ai nuovi: Internet ecc.); nella Toponomastica, nella Pubblicità. Il problema era cioè (ed è) la sua ufficializzazione.

Oggi noi nel 2023 sappiamo bene che la lingua sarda, al di fuori di questa prospettiva è destinata a morire o, al massimo, a vivacchiare e languire, marginalizzata ghettizzata sminuzzata e folclorizzata comente dennuntziat Zuseppe Corongiu finas in “S’Intelligentzia de Elias”, maravizosu romanzu in una limba sarda rica e galantzete.

Simon Mossa questo lo aveva capito ben più di 55 anni fa.

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